FOCUS UCRAINA / Il cuore dei neofascisti batte per la Russia

Vittoria per Nikos Romanos

10850229_615330735255983_4217086811320444688_n (1)

Dopo 31 giorni di sciopero della fame, il 21enne Nikos Romanòs ha vinto la sua lotta per la vita e la dignità. Con alcune modifiche dell’ultimo momento è stata approvata la riforma di legge in Parlamento che dà la luce verde ai permessi studio per i detenuti con l’uso del “braccialetto elettronico”.

Secondo le dichiarazioni del direttore dell’ospedale Gennimatas, in seguito all’approvazione unanime della riforma sui permessi studio per i detenuti, Nikos Romanos ha interrotto lo sciopero della fame dopo 31 giorni.

L’ondata di solidarietà ha costretto il ministro della Giustizia ad introdurre dei cambiamenti dell’ultimo momento nella riforma di legge. È stato preceduto da un intervento da parte del Presidente della Repubblica Karolos Papoulias, che ha chiesto di trovare una soluzione per Nikos Romanòs in una sua comunicazione con Antonis Samaras.

Sinteticamente, la riforma prevede la concessione dei permessi educativi sotto monitoraggio elettronico, il cosiddetto “braccialetto”, dopo il completamento dei primi due mesi di corsi a distanza, senza la condizione del previo pronunciamento del Consiglio dei Giudici. L’unica possibilità di sospensione è il diniego con motivazione del Consiglio dei Giudici, da trasmettere comunque successivamente. Come ha sostenuto Charalambos Athanassiou [ministro della Giustizia, n.d.t] la riforma di legge è l’insieme delle opinioni espresse da tutti i partiti del parlamento.

Somministrazione della flebo

Com’è stato già reso noto, Nikos Romanòs ha cominciato a mangiare biscotti secchi e i medici gli hanno somministrato la flebo. Intanto gli esami clinici e di laboratorio proseguono per comprendere le possibili conseguenze dello sciopero della fame sull’organismo di Nikos Romanòs e per valutare il periodo di ricovero necessario affinché il ragazzo si riprenda.

Ricordiamo che, in seguito al mancato esito delle trattative che si stavano svolgendo da martedì in parlamento sul contenuto della riforma di legge sugli studi a distanza dei detenuti, Nikos Romanòs aveva iniziato dalla mattina di mercoledì anche lo sciopero della sete.

Ondata di solidarietà

La vittoria, con l’accoglimento da parte del parlamento della sua rivendicazione di seguire i corsi della facoltà a cui è stato ammesso, è arrivata nel pomeriggio, mentre si stava ancora svolgendo in piazza Syntagma un presidio di solidarietà con il detenuto in sciopero della fame.

Nei giorni precedenti ci sono state nelle principali città del paese e all’estero mobilitazioni a oltranza, con manifestazioni di massa, occupazioni di palazzi, comunicati di sostegno e altre azioni.

Altri articoli:
Il comunicato di Nikos Romanòs

Fonte: thepressproject

Traduzione di AteneCalling.org

 

 

 

Tratto da

http://atenecalling.org/vittoria-per-nikos-romanos/

Alexis vive. Cortei in tutta la Grecia. Cariche, feriti e fermi. – Nikos Romanos: studiare o morire

10850320_613508112104912_7332299908516319504_n

Riceviamo e pubblichiamo da un compagno che si trova ad Atene

Manifestazioni in diverse città della Grecia per l’anniversario dell’omicidio di Alexis Grigoropuolos e per sostenere la lotta di Nikos Romanos in sciopero della fame in carcere. Migliaia in piazza ad Atene e Salonicco, cariche violente della polizia, arresti e feriti, mentre scrivo da Atene la polizia continua ad attaccare spazi sociali e stazioni della metro con lacrimogeni e idranti.

In questi giorni segnati da un clima di tensione crescente dovuto allo sciopero della fame (che sta arrivando alle estreme conseguenze, ha annunciato oggi di interrompere anche l’assunzione di acqua oltre che di cibo) del giovane detenuto anarchico Nikos Romanos le mobilitazioni per ricordare l’omicidio del quindicenne Alexis Grigoropulos, ucciso sei anni fa dalla Polizia ad Exarchia, hanno assunto una nuova e straordinaria importanza a. Il suo omicidio scatenò in Grecia una vera e propria ondata insurrezionale, all’inizio della crisi.  Manifestazioni e occupazioni si susseguono da giorni in tutta la Grecia, con sedi di sindacati, municipi e sedi istituzionali occupate da studenti e movimenti sociali in lotta. Oggi duri scontri ad Atene, Salonicco e Volos, ma le mobilitazioni  si sono svolte in diverse altre città compresa Creta.


Oggi ad Atene era attesa una grande manifestazione: oltre 10.000 persone hanno sfilato la mattina e il pomeriggio, per richiedere il permesso di studio per Nikos Romanos e per ricordare Alexis. La coda del corteo è stata caricata dagli idranti e a colpi di granate stordenti e lacrimogeni. Diversi fermi effettuati soprattutto da squadre di agenti infiltrati incappucciati, le ultime news parlano di oltre 120 arrestati solo ad Atene, mentre continuano i raid della polizia nelle vie limitrofe al corteo ed in particolare ad Exarchia e Omonia, dove sono stati lanciati lacrimogeni in metropolitana mentre le persone cercavano riparo, contemporaneamente alle cariche con idranti e lacrimogeni in diversi quartieri della città. 

Poco fa le squadre Delta (squadre di poliziotti in moto) hanno tranciato in due lo spezzone che si dirigeva verso Exarchia, ma la resistenza, con molotov e barricate, continua in via Stournari e in altreparti delquartiere, soprattutto intorno al Politecnico, dove la polizia carica ancora con gli idranti.

Decine di Delta appostati nei vicoli sono pronti a entrare a Exarchia e nella zona vicino al Politecnico, assieme a loro ci sono due camion Toma (con i cannoni ad acqua). Il rischio più grande riguarda le decine di agenti perfettamente camuffati che si isolano coi gruppi in ritirata e arrestano i compagni. Pochi minuti fa hanno circondato la nuova occupazione realizzata per Romanos e stanno per entrare. Attacchi con lacrimogeni alla sede GSEE, gli scontri continuano ad Exarchia e nei quartieri limitrofi. In piazza Exarchia sono state lanciate molotov dai balconi e la polizia ha risposto lanciando lacrimogeni nelle case.

Giornata di lotta anche a Salonicco, dove fin da stamattina in migliaia sono scesi in piazza: anche qui la polizia ha spezzato il corteo, attaccando il blocco antiautoritario e sparando lacrimogeni, i compagni hanno resistito e alla fine hanno scelto di occupare la sede dei sindacati per una grande assemblea. Pochi minuti fa la polizia ha fatto irruzione, con lacrimogeni e cariche, proprio nella sede dei sindacati occupata dai movimenti. Di seguito il video dell’attacco dei MAT. 

Fonte:

http://atenecalling.org/alexis-vive-cortei-in-tutta-la-grecia-cariche-feriti-e-arresti/

Per saperne di più sull’omicidio di Alexis e sulla vicenda di Nikos, leggere i seguenti link:

http://atenecalling.org/perche/

http://atenecalling.org/nikos-romanos-studiare-o-morire/

17 novembre 1973: lo sgombero del Politecnico occupato ad Atene

Lunedì 17 Novembre 2014 08:02

 

altIl 14 novembre del 1973 gli studenti del politecnico di Atene entrarono in sciopero e occuparono contro il regime fascista dei colonnelli sostenuto dagli americani.

L’occupazione seguiva di alcuni mesi (febbraio 1973) lo sciopero degli studenti di legge che avevano occupato la loro facoltà ed erano stati brutalmente sgomberati dalla polizia e dall’esercito.

L’occupazione colse impreparato l’apparato repressivo del regime che non riuscì ad intervenire immediatamente anche grazie, e soprattutto, alla solidarietà che gli studenti ottennero; infatti, da subito, migliaia di lavoratori, studenti medi e universitari di altre facoltà accorsero al politecnico occupato.

Durante le giornate del 14 del 15 e del 16 continuarono a susseguirsi assemblee, iniziative, venne attivata una stazione radio che trasmetteva in tutta la zona di Atene, vennero barricati gli ingressi dell’università.

Contemporaneamente il governo impose la legge marziale e sospese la fornitura di energia elettrica a tutta la città (eccetto il politecnico che era dotato di generatori di emergenza subito messi in funzione dalgli studenti). Queste prime risposte non riuscirono tuttavia a spegnere la protesta che anzi crebbe di intensità e partecipazione tanto da spingere il governo a far circondare dall’esercito Exarchia e il Politecnico in modo da fermare l’afflusso di gente.

Alle 3 del mattino del 17 novembre un carro armato sfondò l’ingresso principale del politecnico facendo entrare i soldati nel cortile che trovarono gli studenti determinati a non cedere in alcun modo. All’interno dell’università la repressione fu brutale, arrivando fino a giustiziare con un colpo di pistola alla nuca uno studente, Michael Mirogiannis, di 19 anni,  dopo che era stato arrestato.

Contemporaneamente allo sgombero, trasmesso in diretta dalla radio del politecnico, gli studenti e gli operai attacarono l’esercito nel resto della città, le barricate si moltiplicarono, in molti zone della città le forze repressive furono messe in seria difficoltà.

La risposta del governo fu anche in questo caso estremamente brutale, furono 42 i morti durante lo sgombero e i successivi scontri (tra cui anche un bambino di 5 anni ucciso da un colpo di fucile di un soldato durante i rastrellamenti di un quartiere popolare di Atene) e centinaia i feriti.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3205-17-novembre-1973-lo-sgombero-del-politecnico-occupato-ad-atene

 

Di un omicidio politico bisogna parlare in termini politici

 

I Social Waste (Official) su Pavlos Fyssas

Quando la redazione di Hit&Run ci ha chiesto di scrivere quest’articolo su Pavlos, per la verità eravamo molto indecisi su cosa dire. All’inizio abbiamo pensato di scrivere qualcosa sulla musica che lui amava, il rap, sulla “seconda generazione” del hip hop greco, di cui faceva parte Pavlos e di cui facciamo parte anche noi, e su come questa generazione aveva vissuto gli sviluppi di questo movimento in Grecia. Ma, nonostante sia passato già un anno dal giorno in cui gli assassini di Alba Dorata hanno ucciso Pavlos, c’è ancora qualcosa che non va giù: quella frase della comunità hip hop, “non parliamo in termini politici”, durante la conferenza stampa alla sede dell’Unione dei Giornalisti dei Quotidiani di Atene. Visto però che noi crediamo sia necessario parlare in termini politici di un omicidio politico, questo è ciò che faremo in questo articolo. Del suo hip hop abbiamo comunque scritto già altrove e forse ci ritorneremo alla prima occasione.

Su Pavlos ora.

Prima di tutto bisogna chiarire che Pavlos non “se n’è andato”, né “è morto”, né “si è spento” – è stato assassinato. E non è stato assassinato perché aveva aggredito qualcuno né perché rubava. Pavlos non era un ladro di galline né un criminale. E’ stato assassinato perché attraverso le sue canzoni e in generale con il suo modo di vivere esprimeva liberamente opinioni che non “piacevano” ai neonazisti di Alba Dorata, che avevano già cominciato ad allargarsi pericolosamente nei quartieri di Pavlos. Nella lotta per l'”egemonia culturale” – come direbbe anche Gramsci – nei quartieri del Pireo Pavlos e Alba Dorata esprimevano due mondi ideologici del tutto diversi: gli albadorati quello dell’odio, della pulizia etnica e della codardia, e Pavlos quello del coraggio e dell’umanità. Ed è per questo che – stando alle testimonianze rese pubbliche – l’avevano messo sulla “lista nera”.

Non aspettatevi in questo testo un’ulteriore analisi delle opinioni politiche di Pavlos – avrebbe potuto farlo da solo, se non fosse stato assassinato vigliaccamente dai neonazisti. Quel che cercheremo di fare sarà condividere alcuni pensieri su ciò che è accaduto dal suo omicidio fino ad oggi, un anno dopo, e arrivare ad alcune conclusioni sul funzionamento della giustizia (?) indipendente (!) in questo paese e su come l’omicidio di Pavlos è stato usato e viene ancora usato in modo “strategico” dal governo della Troika e dai media che esso controlla (e/o controllano) per ottenere – a seconda delle circostanze- vantaggi politici.

Innanzitutto a nostro avviso ci sono delle responsabilità politiche per l’omicidio di Pavlos. E ci spieghiamo: l’attività assassina di Alba Dorata non era ignota alle autorità prima dell’omicidio. Tutte le associazioni dei medici del paese denunciavano in continuazione le aggressioni a sfondo razziale contro i migranti, così come le ONG che si occupano di questioni simili; le aggressioni erano centinaia – quasi veri e propri pogrom – mentre almeno due migranti erano stati uccisi. Nonostante tutto la giustizia greca si è mobilitata solo in seguito all’omicidio di Pavlos e solo su ordine del “Ministro della Protezione del Cittadino” (degli interni, n.d.t) Dendias – in seguito cioè a un ordine politico – per indagare sulla questione. Oltre l’ovvio paradosso della giustizia – tra le altre cose – indipendente che si è messa in moto solo dopo un ordine del governo, nascono due questioni imprescindibili:

– Perché la giustizia, nonostante medici e ONG attirassero l’attenzione sull’attività assassina di Alba Dorata con continui comunicati, non si è attivata prima?
e
– Perché il governo – visto che sapeva perché non poteva non essere stato informato da tutti quei servizi di polizia e non – non ha dato l’ordine politico di indagare sulle attività criminali di Alba Dorata prima dell’omicidio di Pavlos?

Domande insistenti che devono avere risposta, perché se il potere giudiziario e quello esecutivo avessero fatto il proprio lavoro quando dovevano, Pavlos, così come Sehzad, oggi forse sarebbero ancora vivi.

Un’altra questione ha a che fare con la gestione del caso da parte del governo Samaràs Venizelos e con la copertura mediatica e le trattative politiche intorno ad esso. Così in base all’incremento del distacco tra Syriza e il governo nei vari sondaggi e in base alle trattative dei vari Baltakos (ex membro del governo di Samaras che, come fu rivelato da vari video, trattava con i membri di Alba Dorata, n.d.t) con i membri della leadership di Alba Dorata, seguivamo in diretta l’arresto o la liberazione di quel deputato albadorata o di un altro, tra dichiarazioni fatte con ostentazione su persecuzioni politiche da una parte e di fiducia nella giustizia (seppur lenta) dall’altra.

Ma oltre alle fanfare di Samaràs, di Dendias e dei neonazisti, evidentemente Alba Dorata forse era “utile” alle elites politiche ed economiche del posto, ed è per questo che il governo – e la Giustizia- chiudevano un occhio su così tante aggressioni – almeno due delle quali omicide – contro i migranti ma anche contro i sindacalisti greci, tra l’altro anche per i seguenti motivi:
prima di tutto perché l’attività e l’ascesa di Alba Dorata faceva comodo al sistema politico-economico. Non dimentichiamo che la società greca, in piena alla crisi economica, politica e sociale, aveva appena dato vita a un movimento con una dinamica senza precedenti, quella della Piazza, che mise in dubbio in teoria ma anche nella pratica il sistema politico della democrazia parlamentare rappresentativa nel suo insieme, ma anche dei partiti politici che la compongono. Inoltre in quello specifico periodo, e durante ma anche dopo il movimento delle Piazze, sono stati creati in Grecia una serie di movimenti e di iniziative contro le politiche neoliberaliste e dei memoranda dei governi greci, politiche che hanno contribuito all’ascesa elettorale del partito neonazista. E a cosa “serviva” Alba Dorata, vi chiederete…Ovviamente a distrarre o almeno a indebolire il movimento, visto che gran parte di esso avrebbe comunque dovuto spendere.

Inoltre Alba Dorata serviva allo status quo politico e finanziario come uno “spauracchio”. Mentre essa agiva con la tolleranza – se non con la copertura – del governo, migranti, omosessuali, sindacalisti, attivisti, ma anche alcuni intellettuali, sapevano che forse avrebbero avuto a che fare con neonazisti palestrati, nel caso in cui avessero alzato la testa contro i piani neoliberali della elite politica e economica del luogo. E molte volte è meglio non rischiare…
Ma perché dunque, se Alba Dorata era “utile”, governo e giustizia hanno deciso di

Prima di tutto perché ha passato “la linea rossa”: ha assassinato a sangue freddo un greco (e non un migrante questa volta), e il governo non ha più potuto chiudere un occhio sulle loro attività. E poi perché con l’ascesa elettorale di Syriza nei sondaggi il governo si era reso conto che per rimanere al potere gli sarebbero serviti voti che fino a quel momento erano di Alba Dorata. E dove sarebbero andati a finire questi voti? Forse allo spazio politico più vicino ad Alba Dorata, l'”ala di estrema destra” di Nea Dimokratia, come fino a quel momento avevano, in modo indiretto ma ovvio, insinuato i collaboratori più stretti del primo ministro.

E Pavlos? Dov’è Pavlos in tutto questo? Per il governo e la giustizia purtroppo da nessuna parte… A seconda degli sviluppi politici e della fluttazione dell’ “intenzione di voto” nei sondaggi, il caso dell’omicidio di Pavlos ritorna o sparisce, ovviamente per ottenere vantaggi politici.

Durante un nostro recente concerto all’estero abbiamo visto su un muro un manifesto di Pavlos su cui era scritto “Pavlos vive”. Purtroppo Pavlos non vive più. Quel che vive e non muore è la sua memoria, per i suoi amici, la sua famiglia e le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo di persona o attraverso le sue canzoni. E non dimenticheremo Pavlos. Come non ci dimenticheremo del fatto che se il governo e la giustizia non fossero stati così ingiustificatamente e inspiegabilmente in ritardo (e tolleranti) nei confronti delle attività criminali di Alba Dorata, Pavlos forse sarebbe oggi ancora vivo. Come Sehzad Luqman.

E le domande restano. Implacabili e insistenti. E aspettano una risposta.

* I “Social Waste” sono un gruppo hip hop. Hanno collaborato nel gruppo di produzione Freestyle Productions con Pavlos Fyssas – Killah P, con cui hanno fatto delle canzoni, dei concerti e con cui erano amici.

Traduzione di AteneCalling.org
[http://www.hitandrun.gr/social-waste-grafoun-aformi-tin-dolofonia-tou-pavlou-fissa/]

Tratto da https://www.facebook.com/251665391622521/photos/a.322971424491917.1073741825.251665391622521/575276065928117/?type=1

Su Elena Angeloni, Carlo Giuliani, stragi di Stato e depistaggi

Ripropongo qui un mio vecchio articolo leggermente modificato.

 

 

Oggi è l’anniversario della morte di Elena Angeloni. Infoaut (che ha il merito di avere una sezione, denominata Storia di classe, dedicata alla memoria) ha pubblicato un articolo per ricordare il fallito attentato (dimenticando di dire che nelle intenzioni di chi lo aveva preparato doveva essere solo dimostrativo ma poi qualcosa è andato storto causando la morte dei due compagni, Angeloni e il giovane militante greco Giorgio Tsekouris) all’ambasciata Usa di Atene il 2 settembre 1970.
Qui potete leggere l’articolo di Infoaut: http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2481-2-settembre-1970-fallito-attentato-del-superclan-allambasciata-usa-di-atene
Purtroppo sul web non si trovano informazioni soddisfacenti sulla storia di Elena Angeloni un pò perchè fu a lungo dimenticata o taciuta un pò perchè fu tirata in ballo solo qualche anno fa in un articolo del quotidiano Il giornale. L’articolo in questione arriva ad accennare alla storia di Angeloni partendo dall’analisi di alcune foto del giovane Carlo Giuliani durante le manifestazioni del g8 del 2001. Il giornalista, Gian Marco Chiocci, mette in relazione due eventi completamente diversi così come lontani nel tempo (la donna è morta otto anni prima che nascesse Carlo), perchè Angeloni era la zia di Giuliani. Così facendo l’autore tenta di dar credito alle sue analisi delle foto di Carlo – descritto come un black block – come se le vicende passate della zia (peraltro poco conosciute come lo stesso giornalista ammette), potessero fornire la prova mancante del profilo criminale del giovane Carlo Giuliani, qualora non bastassero il passamontagna e le barricate. Qui l’articolo: http://www.ilgiornale.it/news/ecco-foto-inedite-black-bloc-giuliani.html
Su questo articolo e su uno più recente sempre dello stesso autore sulle stragi di Bologna e di Piazza della Loggia (dove Gian Marco Chiocci parla di depistaggi e tenta di rispolverare l’ipotesi – da tempo dimostrata essere falsa – delle piste rosse, questa, sì, vero depistaggio: qui l’articolo di Chiocci sulle stragi: http://www.ilgiornale.it/news/interni/stragi-e-br-quei-depistaggi-bologna-e-brescia-854592.html), ha scritto qualche tempo fa, sul suo blog, Francesco “baro” Barilli. Barilli è autore, tra l’altro, del bellissimo libro Carlo Giuliani, il ribelle di Genova , edito da BeccoGiallo, con disegni di Manuel De Carli, in cui si racconta , anche attraverso il dialogo con i familiari del ragazzo, la vera storia di Carlo.

 

CARLO GIULIANI

Francesco Barilli vanta una vasta pubblicazione sui temi del g8 di Genova, sulle stragi di Stato e su diversi fatti di cronaca. Vale la pena dunque leggere la sua amara riflessione su un certo modo di fare giornalismo dove dà anche un accenno del contesto storico della vicenda in cui perse la vita Elena Angeloni. Per la vera storia di Angeloni, Barilli rimanda ad un testo molto interessante scritto da Paola Staccioli e Haidi Gaggio Giuliani e pubblicato nel 2012 da DeriveApprodi: il libro s’intitola Non per odio ma per amore. Storie di donne internazionaliste, nel quale si narrano, attraverso dei racconti, le storie di sei donne, tra cui Elena Angeloni, che hanno dedicato le loro vite a sostegno delle lotte di liberazione di altri popoli.

 

A questo link potete leggere la riflessione di Barilli: http://francescobarilli.blogspot.it/2013/01/da-piazza-della-loggia-carlo-giuliani.html
Concludo dicendo che il mio voleva essere un post per ricordare Elena Angeloni ma vi sono storie che si intrecciano con altre e la memoria è fatta anche di questo, di rimandi, di collegamenti perché non si spezzi il filo della storia e perché si cerchi di fare della verità il fine dell’informazione.

 

D.Q.

Chimica e mostri

20 agosto 2014 – 22:08cape-ray

Nonostante le celebrazioni di successo del Pentagono per il completamento delle operazioni a bordo della Cape Ray, il presidente Obama avrebbe imposto la “completa eliminazione” dell’arsenale Chimico Siriano, in pratica, gli americani hanno fatto finora solo la metà del lavoro [ndr.: come abbiamo più volte ribadito dando voce al mondo scientifico Greco].

Nessuno, tranne i 64 esperti a bordo della Cape Ray, sa cosa esattamente è accaduto in acque internazionali al largo della costa di Creta.

La posizione è scelta dagli Stati Uniti per evitare di dover rispondere alla domanda più importante: cosa succede ai residui del processo di Idrolisi ?

La massa complessiva dei residui è stimata in circa dieci volte quella iniziale, i residui sono meno pericolosi della loro composizione iniziale, ma comunque ugualmente tossici.

L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza la Sig.ra Catherine Ashton, ed il Presidente Barroso, entrambi dell’Unione europea, continuano a rassicurare … ma chi gli crede ??

Rob Malone, che lavora nella agenzia Edgewood Chemical & Biological Center degli Stati Uniti è uno dei 64 specialisti di armi chimiche che sono stati inviati nel Mediterraneo a bordo della Cape Ray, a sorpresa lo scorso gennaio dichiarò:

rob_malone«… il risultato di questo processo di neutralizzazione (l’Idrolisi) creerà circa 1,5 milioni di litri di un “emissario” tossico che deve essere smaltito, ma che non può essere utilizzato come arma chimica.

L’inattivazione chimica è ottenuta attraverso l’uso di sostanze tra cui l’acqua, la candeggina e idrossido di sodio. Queste sostanze sono contenute in 220 serbatoi da 25.000 litri, circa ciascuno.

Gli effluenti sono simili ad altri composti pericolosi e tossici che generano alcuni processi industriali. C’è un mercato commerciale a livello mondiale per lo smaltimento di tali rifiuti».

Ma la destinazione di tali residui non la conosce nessuno, l’unica cosa che sappiamo per ora, sulla base di comunicazioni ufficiali, è che la Germania si è impegnata ad accettare quantitativi di agenti dell’Iprite inattivati per l’ulteriore lavorazione nella fabbrica di Munster, mentre gran parte degli altri residui si tratteranno in un impianto a Port Arthur, in Texas, che è stato già usato in passato per la distruzione americana di armi chimiche.

Questo riguarda comunque l’Iprite ed il Methylphosphonyl Difluoride (DF) sostanza chimica di base del Sarin … che dire delle decine di tonnellate del gas VX, enormemente più letale del Sarin che presumibilmente era in possesso di Assad ?

E’ stato scelto il processo di Idrolisi per il semplice motivo che altri trattamenti (ad esempio la Pirolisi ovvero la “combustione” in assenza di ossigeno) richiederebbero anni, per tali quantità.

Gli scienziati di 14 paesi avevano lanciato l’allarme su possibili perdite in mare. Riusciremo mai sapere che cosa esattamente è accaduto nel Mediterraneo, in acque internazionali ad ovest di Creta ?

Liberamente tradotto da : fonte

 

 

Tratto da http://www.sosmediterraneo.org/chimica-mostri/

Il triangolo chimico delle Bermuda

30 luglio 2014 – 16:13

bermuda

Alcuni anni fa la BBC, volendo dimostrare che le teorie sul Triangolo delle Bermuda sono una leggenda metropolitana, ha cominciato a raccogliere i dati sulle sparizioni di navi nelle zone marittime di diverse parti del mondo.

La conclusione è stata che ci sono decine di siti con livelli molto più elevati di incidenti nautici.

Un’indagine più attenta avrebbe mostrato che il triangolo più “misterioso” non è quello in Florida, ma nel tratto di mare tra l’Italia, la Grecia e le coste dell’Africa.

Questo è il “Triangolo Mediterraneo delle Bermuda”, dove la ‘ndrangheta calabrese per decenni avrebbe affondato navi che trasportavano rifiuti tossici e radioattivi.

Anche se meno noto al grande pubblico, rispetto a “Cosa Nostra” siciliana e alla “Camorra” napoletana, la ‘ndrangheta calabrese era il più forte sindacato del crimine nell’Italia degli anni ’90.

Con un fatturato superiore a quello della FIAT, la ‘ndrangheta è sospettata della “scomparsa” di almeno 30 navi con rifiuti tossici che altrimenti dovevano essere smaltiti con costosi processi, e che saranno un pericolo per l’ambiente.

Non è esagerato pensare che queste azioni illegali hanno avuto anche un ruolo geopolitico in un’area che si estende dalla costa Italiana del Mediterraneo al Corno d’Africa.

L’esempio più eclatante è stata la Somalia. Gli sforzi dei pescatori locali per evitare l’affondamento di sostanze tossiche nei pressi delle loro coste, con la creazione di gruppi di autodifesa armata, a poco a poco hanno portato al fenomeno della pirateria.

Il circolo vizioso è evidente: la Somalia, è rimasto nel caos dopo l’intervento americano nel 1993, è diventata facile preda delle mafie italiane, generando in risposta il fenomeno della pirateria e quindi nuovi interventi e bombardamenti americani con il pretesto di trattare … la pirateria.

Nelle ultime settimane, però, il “Triangolo Mediterraneo delle Bermuda” è tornato di attualità. Questa volta non per inghiottire vecchie e rugginose imbarcazioni della mafia italiana, ma per la presenza di navi più moderne della Marina degli Stati Uniti e di altri paesi che accompagnano la famosa «Cape Ray», che porta a bordo tonnellate di Armi Chimiche Siriane.

Essi sono “criminali in segreto”, ha detto il Prof. Pissias, leader dell’organizzazione “Free Mediterraneo”, partecipando alla manifestazione contro l’idrolisi.

Giovedi 24 Luglio in una conferenza stampa congiunta a organizzazioni e istituzioni coinvolte nella protesta in mare a Chania, il Prof. Pissias ha parlato di “governi tossici” e “regimi tossici”, e collega il caso con il dramma costante dei Palestinesi a Gaza.

Non è un caso che l’iniziativa “Free Mediterraneo” partecipa con la leggendaria imbarcazione “Agios Nikolaos” che forzò per la prima volta, nel 2008, l’assedio israeliano di Gaza.

E’ ironico constatare che la Cape Ray ha ricevuto il carico tossico nel porto di Gioia Tauro (l’antica Metauros), porto di cui si sono servite le organizzazioni criminali italiane per allestire le navi tossiche che oggi giacciono nel fondo del Mediterraneo

Questa volta, tuttavia, non saranno i rifiuti tossici che porteranno sviluppi geopolitici, come nel caso della Somalia, ma gli sviluppi geopolitici che ripristineranno lo stato di tossico al Mediterraneo.

E mentre i responsabili dell’Idrolisi continuano a ripetere che non vi è alcun rischio, le condizioni di assoluta segretezza imposte sin dall’inizio sembrano simili alla omertà delle mafie italiane, nonostante siano coordinate da organismi internazionali e supervisionate dalle Nazioni Unite.

Anche se non ci saranno incidenti, il processo sperimentale di Idrolisi è solo il primo passo alla riconversione del Mediterraneo in discarica.

fonte : www.efsyn.gr/?p=220521

[ndr] per approfondire il contenuto del post si consiglia la lettura delle informazioni redatte e gestite da Legambiente sul sito : www.navideiveleni.it

 

Tratto da http://www.sosmediterraneo.org/triangolo-chimico-bermuda/

UN NUOVA FREEDOM FLOTILLA PACIFICA VERSO GAZA

Posted on 28 luglio 2014 by

comunicato stampa
La Coalizione della Freedom Flotilla
Condanna l’attacco israeliano a Gaza, il blocco in atto e la complicità internazionale.

Pianifichiamo l’invio di una nuova Freedom Flotilla per sfidare il blocco

La Coalizione Internazionale della Freedom Flotilla (composta da campagne Inglesi, Francesi, Svedesi, Norvegesi, Spagnole, Italiane, Greche, Turche, Statunitensi, Canadesi e Australiane) condanna l’attacco militare israeliano contro i civili di Gaza, denuncia l’insuccesso della comunità internazionale nel fermare l’attacco, e rinnova l’opposizione al blocco economico imposto da Israele ai Palestinesi di Gaza e la collaborazione di altri governi.

Notiamo che la richiesta di rimuovere il blocco è un punto centrale dei colloqui in corso per fermare la violenza, e che i governi che rifiutano il blocco dovrebbero utilizzare la propria influenza ora per far sì che un accordo che pone fine alla violenza, ponga fine anche al blocco dannoso.

Contestualmente annunciamo che stiamo progettando una nuova Flotilla nel prossimo futuro, per sfidare l’assedio di Gaza, con partecipanti da tutto il mondo. Annunciamo la nostra intenzione di ripartire da Gaza trasportando prodotti palestinesi da esportazione, continuando così il lavoro dell’Arca di Gaza.

Siamo civili pacifici, che agiscono in solidarietà con il popolo palestinese, indipendenti da qualsiasi governo. Contrariamente a quanto espresso di recente da alcuni media, non abbiamo chiesto scorta militare, non abbiamo alcuna intenzione di farlo, e partiremo, come sempre, senza alcuna scorta militare.

La  Mavi Marmara,  la nave madre della Freedom Flotilla del 2010, che ha pagato il prezzo dell’assalto della marina militare israeliana che uccise  nove cittadini turchi e uno statunitense, sarà presto pronta ad unirsi alla Flotilla che trasporterà centinaia di attivisti pacifici da tutto il mondo.

Maggiori informazioni sui nostri piani saranno disponibili in poche settimane. Chiediamo ai sostenitori in tutto il mondo di stare allerta per gli  aggiornamenti e di prepararsi  a prender parte alla nostra campagna per far cadere il blocco israeliano di Gaza.

Freedom Flotilla Coalition:
European Campaign to end the Siege on Gaza
International Committee for Breaking the Siege on Gaza (ICBSG)
Freedom Flotilla Italia
Gaza’s Ark
IHH
Rumbo a Gaza
Ship to Gaza Greece
Ship to Gaza Norway
Ship to Gaza Sweden

Per maggiori informazioni:
Zohar Chamberlain Regev (Rumbo a Gaza/Spain)  +34 (647) 077-426   [email protected]
Dror Feiler (StG-Sweden)  +46 (70) 285-5777  [email protected]
İzzet Shahin (IHH/Turkey)  +90 (530) 341 2134  [email protected]
Ehab Lotayef (Gaza’s Ark/Canada)  +1 (514) 941-9792  [email protected]

 

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/2014/07/28/6203/

 

GAZA, LUGLIO 2014: UMANITA’ DOVE SEI? – PARTE PRIMA

Se le “democrazie” di tutto il mondo – compreso lo stato italiano – forniscono a Israele armi di distruzione di massa; se i media mainstream gridano allo scandalo di centinaia di razzi lanciati – che per fortuna non hanno fatto vittime ( e spero non ne faranno) – e chiamano terroristi i palestinesi, di cui la maggior parte donne e bambini, ammazzati come mosche; se i coloni israeliani si godono lo spettacolo dei bombardamenti seduti come a un cinema all’aperto e applaudendo a ogni esplosione; se Israele continua a fare vittime innocenti, dov’è l’umanità? Negli oltre cento martiri palestinesi di questi giorni.

D. Q.

 

Qui la foto che ritrae i coloni di Sderot mentre vanno al “cinema”:

“[…] gli abitanti di Sderot, nel sud di Israele, ieri notte hanno portato le loro sedie in cima alla collina che sovrasta la Striscia di Gaza per godersi lo spettacolo “cinematografico” dei bombardamenti: secondo il giornalista Allan Sorensen, che ha postato la foto su Twitter, gli spettatori applaudivano a al suono di ogni esplosione.”

sderot cinema

Fonte: Nena News

 

Qui un articolo de il manifesto sulle armi fornite a Israele:

Ecco il contributo dell’Italia ai raid dell’aviazione di Tel Aviv

— Manlio Dinucci,

Armi. La cooperazione sancita da una legge del 2005. Coinvolte le forze armate all’interno di un vincolo di segretezza

I cac­cia­bom­bar­dieri che mar­tel­lano Gaza sono F-16 e F-15 for­niti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed eli­cot­teri da guerra), insieme a migliaia di mis­sili e bombe a guida satel­li­tare e laser.

Come docu­menta il Ser­vi­zio di ricerca del Con­gresso Usa (11 aprile 2014), Washing­ton si è impe­gnato a for­nire a Israele, nel 2009–2018, un aiuto mili­tare di 30 miliardi di dol­lari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo svi­luppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washing­ton di una sorta di cassa con­ti­nua per l’acquisto di armi sta­tu­ni­tensi, tra cui sono pre­vi­sti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inol­tre usare, in caso di neces­sità, le potenti armi stoc­cate nel «Depo­sito Usa di emer­genza in Israele». Al con­fronto, l’armamento pale­sti­nese equi­vale a quello di chi, inqua­drato da un tira­tore scelto nel mirino tele­sco­pico di un fucile di pre­ci­sione, cerca di difen­dersi lan­cian­do­gli il razzo di un fuoco artificiale.

Un con­si­stente aiuto mili­tare a Israele viene anche dalle mag­giori potenze euro­pee. La Ger­ma­nia gli ha for­nito 5 sot­to­ma­rini Dol­phin (di cui due rega­lati) e tra poco ne con­se­gnerà un sesto. I sot­to­ma­rini sono stati modi­fi­cati per lan­ciare mis­sili da cro­ciera nucleari a lungo rag­gio, i Popeye Turbo deri­vati da quelli Usa, che pos­sono col­pire un obiet­tivo a 1500 km. L’Italia sta for­nendo a Israele i primi dei 30 veli­voli M-346 da adde­stra­mento avan­zato, costruiti da Ale­nia Aer­mac­chi (Fin­mec­ca­nica), che pos­sono essere usati anche come cac­cia per l’attacco al suolo in ope­ra­zioni bel­li­che reali.

La for­ni­tura dei cac­cia M-346 costi­tui­sce solo una pic­cola parte della coo­pe­ra­zione mili­tare italo-israeliana, isti­tu­zio­na­liz­zata dalla Legge n. 94 del 17 mag­gio 2005. Essa coin­volge le forze armate e l’industria mili­tare del nostro paese in atti­vità di cui nes­suno (nep­pure in par­la­mento) viene messo a cono­scenza. La legge sta­bi­li­sce infatti che tali atti­vità sono «sog­gette all’accordo sulla sicu­rezza» e quindi segrete. Poi­ché Israele pos­siede armi nucleari, alte tec­no­lo­gie ita­liane pos­sono essere segre­ta­mente uti­liz­zate per poten­ziare le capa­cità di attacco dei vet­tori nucleari israe­liani. Pos­sono essere anche usate per ren­dere ancora più letali le armi «con­ven­zio­nali» usate dalla forze armate israe­liane con­tro i palestinesi.

La coo­pe­ra­zione mili­tare italo-israeliana si è inten­si­fi­cata quando il 2 dicem­bre 2008, tre set­ti­mane prima dell’operazione israe­liana «Piombo fuso» a Gaza, la Nato ha rati­fi­cato il «Pro­gramma di coo­pe­ra­zione indi­vi­duale» con Israele. Esso com­prende: scam­bio di infor­ma­zioni tra i ser­vizi di intel­li­gence, con­nes­sione di Israele al sistema elet­tro­nico Nato, coo­pe­ra­zione nel set­tore degli arma­menti, aumento delle eser­ci­ta­zioni mili­tari con­giunte.
In tale qua­dro rien­tra la «Blue Flag», la più grande eser­ci­ta­zione di guerra aerea mai svol­tasi in Israele, cui hanno par­te­ci­pato nel novem­bre 2013 Stati uniti, Ita­lia e Gre­cia. La «Blue Flag» è ser­vita a inte­grare nella Nato le forze aeree israe­liane, che ave­vano prima effet­tuato eser­ci­ta­zioni con­giunte solo con sin­goli paesi dell’Alleanza, come quelle a Deci­mo­mannu con l’aeronautica ita­liana. Le forze aeree israe­liane, sot­to­li­nea il gene­rale Ami­kam Nor­kin, stanno spe­ri­men­tando nuove pro­ce­dure per poten­ziare la pro­pria capa­cità, «accre­scendo di dieci volte il numero di obiet­tivi che ven­gono indi­vi­duati e distrutti». Ciò che sta facendo in que­sto momento a Gaza, gra­zie anche al con­tri­buto italiano.

Fonte:

http://ilmanifesto.info/ecco-il-contributo-dellitalia-ai-raid-dellaviazione-di-tel-aviv/

 

Qui gli ultimi aggiornamenti da Nena News:

11 lug 2014
by Redazione

Israele intima a 100mila gazawi residenti a Beit Lahiya e Beit Hanoun di lasciare le proprie case. Abbas fa lo stesso appello: “Negoziati falliti”. Obama si offre come mediatore

 

gaza-airstrike-smoke-fist

 

Giorno 3 – giovedì 1o luglio

Giorno 2 – mercoledì 9 luglio

Giorno 1 – martedì 8 luglio

 

dalla redazione

AGGIORNAMENTO ore 18 – ONU: “L’ATTACCO ISRAELIANO POTREBBE VIOLARE IL DIRITTO INTERNAZIONALE”

Secondo l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’operazione israeliana in corso contro Gaza solleva dubbi sul rispetto del diritto internazionale, il diritto internazionale umanitario e quello di guerra. La portavoce, Ravina Shamdasani, ha detto che l’ufficio ha ricevuto rapporti su “numerose vittime civili, compresi bambini, dovuti al bombardamento di case. Tali rapporti sollevano dubbi sul rispetto da parte israeliana del diritto internazionale”. La Shamdasani ha aggiunto che gli attacchi alle case sono una violazione del diritto di guerra a meno che non siano usate per fini militari, ma che “in caso di dubbio, se l’edificio è normalmente utilizzato per fini civili, come abitazione, non può essere considerato un target legittimo”.

 

AGGIORNAMENTO ore 17.30 – COLPITA LA MOSCHEA DI ZEITOUN

La moschea del quartiere di Zeitoun è stata colpita dall’aviazione israeliana dopo la preghiera del venerdì. Almeno sette i feriti.

 

AGGIORNAMENTO ore 15.15 – HAMAS MINACCIA: “COLPIREMO L’AEROPORTO DI TEL AVIV”

Le Brigate Al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno emesso un comunicato diretto alle compagnie aeree internazionali, nel quale avvertono dell’intenzione di colpire con i missili l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, perché sede della base aerea militare n. 27.  ”Decliniamo ogni responsabilità legale e etica per danni ai vostri passeggeri o ai vostri aerei da e per il suddetto aeroporto”, si legge nel comunicato. Secondo l’Autorità israeliana per gli aeroporti, le attività dello scalo sono state sospese per 10 minuti dopo l’allarme lanciato da una sirena di emergenza, ma tutti i voli programmati sono partiti e arrivati senza problemi.

AGGIORNAMENTO ORE 14.10: LE REAZIONI INTERNAZIONALI

OIC: L’organizzazione per la Cooperazione islamica ha condannato i continui raid israeliani su Gaza e ha esortato il  Consiglio di Sicurezza dell’Onu a impegnarsi per il cessate-il-fuoco.

TURCHIA: Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan avverte Tel Aviv: “Fermate l’oppressione, altrimenti la distensione dei rapporti tra Turchia e Israele non sarà possibile”.

Le relazioni tra i due Paesi erano precipitate ai minimi storici nel 2010, in seguito al blitz delle forze speciali israeliane sula Mavi Marmara, una delle navi della Freedom Flotilla che tentava in maniera pacifica di rompere il blocco su Gaza. Nell’assalto, avvenuto in acque internazionali, erano stati uccisi nove attivisti turchi. L’azione aveva provocato l’espulsione l’ambasciatore israeliano, la richiesta di scuse formali, di un risarcimento per le vittime e della fine dell’embargo sulla Striscia.

Lo crisi diplomatica tra i due Paesi, trasformatasi in uno stallo delle relazioni, è durata oltre un anno e la svolta, che dovrebbe portare a una normalizzazione, è arrivata con l’intervento del presidente Usa, Barack Obama.

Ieri Erdogan, candidato per le presidenziali di agosto, ha detto che sebbene le prime due condizioni – scuse e risarcimento – siano state soddisfatte, l’operazione militare contro Gaza mostra che Israele non ha intenzione di soddisfare la terza condizione posta da Ankara, cioè la fine dell’embargo. Condizione che comunque Tel Aviv non sembrava affatto intenzionata a soddisfare.  Nena News

 

AGGIORNAMENTO ORE 13.15: L’Egitto ha chiuso il valico di Rafah dopo appena un giorno di apertura durante il quale sono riuscite a passare soltanto 11 persone. Nei raid israeliani sono stati feriti 600 palestinesi e il Cairo aveva aperto il valico ieri per consentire ai feriti gravi di curarsi in Egitto.

 

AGGIORNAMENTO ORE 13.00: LE REAZIONI INTERNAZIONALI

EGITTO: Oggi il Cairo ha stigmatizzato l’attacco israeliano a Gaza, parlando di “oppressive politiche di punizione collettiva” con un impiego “eccessivo e non necessario della forza militare” che sta provocando la “morte di innocenti”.

Una critica che arriva dopo il rifiuto egiziano di mediare una cessate-il-fuoco tra Tel Aviv e Hamas, che aveva fatto sperare in una fine delle violenze. L’intervento egiziano era stato richiesto da Abbas che ieri ha dovuto arrendersi di fronte al diniego del Cairo.

Il ministero egiziano degli Esteri ha rivolto un appello alla cosiddetta comunità internazionale per il raggiungimento di quella tregua che però il Cairo non ha voluto mediare, come accaduto nel 2012 per la precedente campagna militare contro Gaza denominata ‘Pilastri di difesa’.

Da allora la situazione in Egitto è molto cambiata. Il golpe del 3 luglio dell’anno scorso ha portato al potere il generale Abdel Fattah al-Sisi, nemicoga giurato dei Fratelli Musulmani legati ad Hamas. Soltanto ieri l’Egitto ha aperto il valico di Rafah, l’unica via di fuga oltre a Erez controllato dagli israeliani, per consentire il passaggio dei feriti più gravi. Nena News

 

AGGIORNAMENTO ORE 12.00: Sono 11 le vittime della quarta notte consecutiva di raid israeliani sulla Striscia di Gaza, tra cui cinque membri della famiglia Ghannam la cui casa, a Rafah, è stata rasa al suolo. L’offensiva denominata ‘Barriera Protettiva’ sinora ha fatto cento morti tra i palestinesi intrappolati in questo piccolo lembo di terra e circa la metà sono donne e bambini. È la più grande operazione militare israeliana contro Hamas a Gaza dal 2012: sono stati colpiti 1.090 obiettivi, mentre i razzi lanciati dalla Striscia sarebbero 407 e altri 118 sono stati intercettati dal sistema di difesa israeliano Iron Dome, secondo quanto riferito dalle Forze armate israeliane.

Nonostante le dichiarazioni di Tel Aviv che parla di attacchi mirati, nel mirino dell’aviazione israeliana non ci sono soltanto basi di Hamas e della Jihad islamica, o gli edifici pubblici, ma le case di decine di famiglie di gazawi. Oltre 300 abitazioni private sono state distrutte o danneggiate e circa duemila persone sono rimaste senza casa.

Durante la notte la marina israeliana ha puntato i suoi cannoni sul porto di Gaza City, colpendo anche l’Arca di Gaza, l’imbarcazione già bruciata lo scorso aprile che avrebbero dovuto compiere un viaggio simbolico nel Mediterraneo per rompere l’embargo israeliano.

 

porto

 

L’allerta è alta per il timore di un’offensiva di terra. Israele ha schierato i suoi carri armati al confine, ha richiamato almeno 40.000 riservisti  e ieri ha bombardato il versante palestinese del valico di Erez. Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas, ha accusato di codardia gli israeliani, dicendo che un’offensiva di terra sarebbe un errore. In una dichiarazione separata, il braccio armato del movimento islamico che governa Gaza dal 2007, le Brigate al-Qassam, ha di fatto minacciato di rapire soldati israeliani: “Un’offensiva via terra sarebbe un’opportunità per i prigionieri palestinesi”.

TERRITORI OCCUPATI

C’è rabbia nei Territori Occupati per la sorte dei palestinesi di Gaza. Ieri sera Betlemme una marcia di solidarietà è finita in scontri con i soldati israeliani: almeno nove i feriti tra i palestinesi, tra cui un ragazzo colpito da un proiettile al piede. Intanto, nel secondo venerdì di Ramadan, le autorità israeliane hanno limitato l’accesso alla moschea di al-Aqsa. Nena News

 

AGGIORNAMENTO ORE 9.30: Un razzo sparato dalla Striscia di Gaza ha colpito una stazione di rifornimento nei pressi di Ashdod, stamattina, 28 chilometri dal nord di Gaza, provocando un’esplosione in cui sono rimaste ferite tre persone, di cui una in maniera grave, secondo quanto riferito da fonti israeliane.

Nella Striscia, invece, il bilancio delle vittime continua ad aumentare. Secondo il portavoce del Servizio di emergenza di Gaza, Ashraf al-Qudra, sono circa 95 i gazawi uccisi da quando è iniziata l’operazione ‘Barriera Protettiva’ quattro giorni fa.

AGGIORNAMENTO ORE 9.00: Due razzi sono stati lanciati dal Libano, dall’area di Hasbaya, alle 6.30 di stamattina e sono caduti nei pressi dell’insediamento di Kfar Yuval, senza provocare danni, secondo quanto riferito dalle Forze armate israeliane che hanno risposto con l’artiglieria.

 

Gerusalemme, 11 luglio 2014, Nena News – L’offensiva via terra si avvicina. La tragedia che soffoca Gaza potrebbe intensificarsi ancora di più: con una serie di sms il governo di Tel Aviv ha intimato a 100mila gazawi residenti nel nord della Striscia, a Beit Lahiya, Beit Hanoun e Abasan al-Saghira, di lasciare le proprie case. Il presidente dell’ANP Abbas – dopo aver annunciato il fallimento di ogni tentativo di dialogo anche attraverso la mediazione parziale dell’Egitto – ha fatto appello alla popolazione perché se ne vada nel timore di una carneficina.

Israele ha richiamato 20.000 riservisti e stanotte è entrata in azione la marina israeliana che ha lanciato almeno due missili verso il porto di Gaza City. In fiamme anche Arca di Gaza della FreedomFlotilla.

gazaark

 

Novanta palestinesi sono morti nei raid. Ogni tentativo diplomatico è fallito. Ieri, durante una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il Segretario Generale Ban Ki-moon ha lanciato un appello al cessate-il-fuoco, mentre il presidente Usa, Barack Obama ha parlato con il premier Netanyahu offrendosi come mediatore per un cessate-il-fuoco con Hamas. Negli ultimi giorni sono stati lanciati circa 550 razzi dalla Striscia di Gaza, mentre i raid israeliani sono stati oltre 800.

Fonte: