Intervista a Carmen Ferrara, attivista non-binary e ricercatrice in formazione

 

Carmen Ferrara

Io: Ti definisci un’attivista per i diritti LGBTI non-binary. Ti va di spiegarci cosa significa?

C.F.: Certo. Io sono una persona non binaria, non colloco la mia identità di genere in maniera binaria, non sono un mix di maschile e femminile, rifiuto proprio di definirmi in relazione a questi parametri. Per convenzione e per una scelta politica utilizzo i pronomi femminili. Rispetto alla mia identità di attivista, innanzitutto ci tengo a dire che non si fa attivismo, ma si è attiviste. Quando ero al terzo anno di liceo mi sono innamorata della mia compagna di banco. Non ho fatto coming-out come lesbica, perché questo presupponeva che io fossi donna. Ho semplicemente detto di provare dei sentimenti per una ragazza. Provengo da un piccolo paese vesuviano e non avevo internet a casa, ma lo usavo a casa di amici. Tramite un sito di incontri ho scoperto l’esistenza di associazioni e ho iniziato a frequentare Antinoo Arcigay Napoli, ormai quasi dieci anni fa. Ho preso consapevolezza dei miei diritti e delle ingiustizie sociali, per cui è stato naturale iniziare ad impegnarmi attivamente.

Io: Rispetto al tuo percorso di studi, cosa ti ha spinto al punto da voler intraprendere un dottorato di ricerca nell’ambito degli studi di genere?

C.F.: Ho fatto un liceo delle scienze umane, che all’epoca di chiamava socio-psico-pedagogico. Per la mia famiglia era strano che dopo il liceo volessi fare l’Università perché provengo da un contesto umile. La mia famiglia non aveva possibilità economiche e mi sono mantenuta facendo vari lavori: il call center, la cameriera, le pulizie, la badante. Sapevo che studiare era un modo per migliorare la qualità della mia vita, per prendere le distanze da modalità violente che caratterizzavano l’ambiente in cui sono cresciuta e soprattutto per potermi difendere. Sia alla triennale che alla magistrale ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, volevo comprendere la società e imparare l’inglese per ampliare le mie opportunità. Durante la stesura della tesi mi sono approcciata alla ricerca e me ne sono appassionata. La prima è stata sui migranti LGBTI, la seconda è stata sulla pianificazione strategica delle politiche di inclusione a Malta. Dopo di che ho iniziato a collaborare con un think tank, spin-off dell’Università di Cambridge che si chiama GenPol- Gender & Policy Insights. Un dottorato in studi di genere mi sembrava la naturale evoluzione del mio percorso e quindi ho fatto domanda per un dottorato transdisciplinare dal titolo “Mind, Gender and Language” sempre alla Federico II di Napoli.

Io: Nel libro che hai pubblicato sottolinei l’importanza dell’intersezionalità, cos’è e perché è importante?

C.F.: L’intersezionalità è un concetto spesso abusato, ma se applicato con criterio consente di rendere visibili forme di oppressione che altrimenti sarebbero neutralizzate. Nel caso delle donne trans nere, ad esempio, è fondamentale adottare un approccio intersezionale per comprendere le discriminazioni che possono subire. Facciamo il caso che in un progetto per l’inclusione lavorativa delle persone trans e delle persone migranti i datori di lavoro accettino di assumere solo persone trans bianche e persone migranti cisgender. Cisgender, per intenderci, è il contrario di transgender. Come ci insegna Kimberlé Crenshaw, che è colei che ha teorizzato questo concetto, se una donna trans nera non viene assunta da nessuna azienda e per leggere l’accaduto si utilizza la lente dell’identità di genere, i datori di lavoro potranno dire che non hanno fatto alcuna discriminazione di genere, perché loro hanno assunto delle persone trans. Se guardiamo alla razza, loro diranno che non sono stati razzisti, perché hanno assunto persone migranti. Però non hanno assunto nessuna donna trans nera e questa discriminazione può essere vista solo se si osservano contestualmente le dimensioni del genere e della razza e il  loro punto di intersezione. Nelle pratiche politiche è importantissimo adottare un approccio intersezionale, perché non ci si può battere per i diritti delle persone LGBTI senza considerare le persone LGBTI migranti e/o disabili e, aggiungo, è controproducente impegnarsi per i diritti di una minoranza senza fare fronte comune.

Io: C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

C.F.: Sì, un altro aspetto importante da considerare è legato alla povertà, alla lotta di classe. E quando parlo di povertà ovviamente parlo di povertà economica, educativa, deprivazione materiale e affettiva. Noi che siamo meridionali lo sappiamo bene. In questo momento, tra le varie cose, mi sto occupando di una particolare forma di violenza di genere, che è la violenza domestica nelle relazioni con partner LGBTI ed è sconvolgente il numero di survivors senza fissa dimora, per cui non esistono servizi, né rifugi. Questo è un dato che come associazione conosciamo bene, ma supportare la ricerca vuol dire raccogliere dati e avere contezza di un fenomeno consente di fare pressione sul legislatore e di porre in essere politiche e servizi che tengano conto dei bisogni specifici.

Raccogliere informazioni è propedeutico alla creazione di una società più giusta. Poi credo sia importante che chiunque lo faccia (come te hai un blog, da poco ne ho aperto uno anch’io) per sensibilizzare in più ambiti possibili.
In conclusione vorrei dire che in questo momento di pandemia, è fondamentale più che mai non dimenticare tutte le persone che vivono ai margini, in spazi senza privacy e senza poter accedere ai paracaduti sociali, pensa alle sex workers senza cittadinanza.
Io sono senza dubbio una persona privilegiata sotto tanti punti di vista e, tra l’altro, posso dirti che oltre ai legami di sangue che lasciano il tempo che trovano se non coltivati, per molte persone queer come me la comunità diventa la tua famiglia. Quando sono stata a Malta per il periodo di ricerca etnografica non conoscevo nessuno, ma il fatto che fossi un’attivista mi ha fatto trovare lì una comunità che mi ha accolta come se mi conoscesse da sempre. Mi ritengo veramente una persona molto fortunata.

INFERNO A BEIRUT

Stanno susseguendosi ininterrottamente, da quando è avvenuta, informazioni contrastanti e incerte sull’esplosione che ieri ha devastato Beirut, sia per quanto riguarda la causa scatenante sia la natura del materiale che avrebbe provocato  quest’immane catastrofe. Pressoché tutti gli organi di stampa, sia locali sia internazionali, fanno riferimento a circa 2700/2750 tonnellate di nitrato di ammonio che sarebbero state sequestrate ad una nave nel 2013 e da allora sarebbero state stoccate, senza sicurezza, vicino al porto di Beirut. Tale informazione deriverebbe  dal sito di opensource intelligence Bellingcat, considerato come fonte attendibile:

Left: image claimed to show Ammonium Nitrate shipment at port of Beirut. Right: still from video of fire

https://www.bellingcat.com/news/mena/2020/08/04/what-just-blew-up-in-beirut/

Unica voce a sollevare dubbi sarebbe finora quella di Danilo Coppe, fra i più importanti esperti di esplosivistica in Italia, che, in un’intervista al Corriere della Sera, espone la sua tesi dell’esplosione di un deposito di armamenti:

https://www.corriere.it/esteri/20_agosto_05/beirut-esperto-esplosivi-la-nuvola-arancione-scoppi-ecco-perche-credo-ci-fossero-anche-armi-6da4a01e-d71b-11ea-93a6-dcb5dd8eef08.shtml?fbclid=IwAR3K-PRrr9vU7iWcStDtpcRkQ5pQ2FKsW6VFiue2C-oZrFgoi_2GDZ4OlcA

Sulle cause poi girano diverse ipotesi, anche da penne autorevoli, ma nessuna di queste finora  può essere definita per ora certa: né l’ipotesi di uno scoppio accidentale né quella di un attentato alla vigilia del pronunciamento del tribunale internazionale, dopo quindici anni di attesa e di depistaggi e sabotaggi, sull’assassinio del politico e imprenditore libanese Rafiq Hariri, avvenuto Il 14 febbraio 2005. Per questa strage (insieme all’ex premier rimasero uccise altre 21 persone) sono imputati quattro miliziani di Hezbollah rimasti latitanti dal giorno del rinvio a giudizio.Su queste tesi ha scritto un articolo Riccardo Cristiano:

https://formiche.net/2020/08/beirut-libano-11-settembre/?fbclid=IwAR2BmD0AsBIlHIitq53dgsy_pP-VgZgnRrTNK9ixOqPR3u__CC3lifTJhTc

Il presidente Trump pensa ad una bomba:

https://www.theguardian.com/world/video/2020/aug/05/donald-trump-claims-lebanon-explosion-looks-like-a-terrible-attack-video

Israele ed Hezbollah si accusano a vicenda:

https://www.huffingtonpost.it/entry/accuse-incrociate-di-sabotaggio-tra-israele-ed-hezbollah_it_5f2a53a0c5b68fbfc889696b

L’unica cosa certa finora è l’immensità di questa tragedia che ha colpito un popolo già duramente provato dalla pandemia, da una gravissima crisi economica e che ora rischia anche la carestia: l’esplosione ha distrutto i silos di grano che contenevano l’85% delle riserve di cereali del Libano (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/05/beirut-lesplosione-ha-distrutto-i-silos-di-grano-li-cera-85-delle-riserve-di-cereali-del-libano/5890923/). Il giornalista italiano, Lorenzo Forlani, presente a Beirut, ha provato, con un suo articolo su Il Fatto Quotidiano, a raccontare la disperazione in cui è precipitata la popolazione di Beirut. Al netto delle ipotesi rimangono, infatti, una città sventrata, il numero dei morti che sale di ora in ora, così come quello dei feriti e degli sfollati e,soprattutto, il dolore dei corpi martoriati.

Qui l’articolo di Lorenzo Forlani:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/05/beirut-devastata-dallesplosione-visi-insanguinati-urla-e-strade-scomparse-la-disperazione-di-una-citta-senza-pace/5890370/?fbclid=IwAR0iNH2eknawxDnKbkK1KgGfP1PZwfcZmsDtYZ7-cjS_2sG6_Eun0nW11zw

A ciò si aggiunge l’emergenza sanitari negli ospedali – di cui alcuni distrutti o danneggiati dall’esplosione – che non riescono a contenere il gran numero di feriti, come si legge in quest’ altro articolo di Forlani:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/05/beirut-dopo-lesplosione-ora-e-emergenza-sanitaria-negli-ospedali-dimessi-anche-i-pazienti-gravi-e-in-molti-fanno-rotta-verso-tripoli/5891079/?fbclid=IwAR0nONifKKyvulG7inSs9ETm18wVRsh7yialtbsoNgohOxHHV_d9qM6ca4U

Beirut, ospedali al collasso dopo l’esplosione: feriti curati nei corridoi e nei parcheggi: “Una catastrofe”

D. Q. 

 

 

What do you want to do ?

New mail

What do you want to do ?

New mail

What do you want to do ?

New mail

Perché non marciscano i diritti: 21 maggio 2020, sciopero degli invisibili

Dal profilo Facebook di 
Aboubakar Soumahoro

 

Questo fiume di esseri umani è la dimostrazione che nelle campagne mancano i diritti, non le braccia. Abbiamo osato scioperare per sfidare la politica del cinismo, per sfidare i ricatti, i soprusi e per dimostrare che a marcire sono i diritti dei lavoratori. Questo è solo l’inizio. #nonsonoinvisibile #fermiamoicarrelli

Oggi noi braccianti lottiamo anche per i piccoli produttori, la filiera corta, i gruppi di acquisto solidale e per tutti quelli che lottano silenziosamente e solitariamente, come noi, contro lo strapotere dei Giganti del cibo. #nonsonoinvisibile #fermiamoicarrelli

L'immagine può contenere: una o più persone, cielo, nuvola e spazio all'aperto

Tutti i braccianti di Borgo Mezzanone, di Torretta Antonacci e del resto dell’Italia, un fiume di esseri umani, uniti nella marcia della dignità. “Volevano braccia e sono arrivati uomini”. Se i Diritti sono per pochi diventano privilegi. #nonsonoinvisibile #fermiamoicarrelli

L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi, spazio all'aperto e testo
L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi, nuvola, cielo, spazio all'aperto e natura
L'immagine può contenere: 3 persone, persone in piedi e spazio all'aperto

25 aprile: la resistenza continua

25 aprile: liberiamoci dai padroni della salute

Data evento
Luogo
Radiondarossa

Fonte:

https://www.ondarossa.info/iniziative/2020/04/25-aprile-liberiamoci-padroni-della


Dal profilo Facebook di

 

ROSSA ha aggiunto un’immagine del profilo temporanea.

LA RESISTENZA CONTINUA
Si avvicina il 25 aprile ma, a causa della grave crisi sanitaria che stiamo affrontando, ci troveremo nella condizione di doverlo festeggiare a distanza.
In questa data così importante per la nostra storia, che qualche sciacall* vorrebbe trasformare in una festa generica per tutt* i/le cadut*, noi non dimentichiamo affatto cosa ha rappresentato il fascismo per l’Italia e per il mondo. Non dimentichiamo il sangue versato da* partigian* affinché fossimo tutt* finalmente liberi dall’oppressione nazi-fascista.
Stiamo attraversando un momento difficile nel quale la crisi si abbatte con ancora più forza sulle fasce deboli della popolazione e in cui l’odio e l’egoismo potrebbero prendere il sopravvento. Le misure statali si stanno dimostrando inefficaci e, dopo decenni di tagli indiscriminati e precarietà diffusa, ci propinano solo decreti fumosi e intempestivi mentre concedono una pericolosa discrezionalità alle forze dell’ordine. Per quanto ci riguarda il responsabile di questo stato delle cose è il capitalismo che crea disuguaglianze.
In questo 25 aprile “quarantenato”, come compagne e compagni del Municipio X, vogliamo promuovere azioni per ricordare la vittoriosa guerra di Liberazione e continuare nell’opera di costruzione di reti di solidarietà dal basso. Infatti, per la costruzione di un domani migliore, sono la libertà e la giustizia sociale che mossero la Resistenza ad indicarci la via: “Andrà tutto bene se nessun* sarà lasciat* indietro”.
Per questo invitiamo tutt* ad utilizzare lo sticker che accompagna questo messaggio, per i profili dei nostri social network. Restiamo uman* e fieramente antifascist*
Avanti Uniti

foto di ROSSA.

Mezzogiorno: un No forte da chi è stato lasciato solo

Il voto del Sud. Basta resistere, è tempo di attuare la Costituzione

Pochi se l’aspettavano: è dal nostro Sud, impoverito, marginale, umiliato, imbrogliato dagli annunci miracolosi, proprio da questa terra che da troppi anni soffre una possente ondata migratoria, che è arrivato un No forte, alla controriforma renziana.

Mentre i ceti medio residuali, sopravvissuti alla crisi, hanno votato in massa per il Si, nel timore di perdere qualche beneficio e qualche risparmio in banca, i giovani, sottopagati, disoccupati, inoccupati, hanno detto No a Renzi. Non crediamo più alle tue chiacchiere, ci sentiamo presi in giro dalle tue notizie strabilianti sull’occupazione che cresce, il reddito che aumenta e il futuro radioso che si avvicina. Proprio lui, il rottamatore è stato rottamato dai giovani, secondo il famoso motto evangelico: chi di spada ferisce, di spada perisce.

Dobbiamo ammettere che questo referendum confermativo della C.R.R. (Contro-Riforma-Renziana) ci ha dato un risultato insperato. Innanzitutto perché ha messo in moto energie democratiche sopite, ha dato nuova vita ad una associazione prestigiosa, ma che viveva aggrappata ad un glorioso passato, come l’Anpi, ha fatto riscoprire a tanti il valore ed i valori della Costituzione. Per questo dovremmo dire «Grazie Renzi». Ma, anche perché grazie al suo delirio di onnipotenza, con questo risultato inizia la fase discendente della sua parabola. Di contro, Renzi ha spaccato il paese come nessun altro era riuscito a fare proprio sulla nostra Carta fondamentale ed ha fatto emergere una profonda divisione politico-culturale tra ceti medi e proletariato marginale e, soprattutto, tra Nord e Sud, tra chi è vittima dell’economia della paura e chi non ha più niente da perdere.

Detto questo, dobbiamo fare una riflessione seria e responsabile: non è possibile continuare a giocare in difesa. In questi ultimi cinque anni abbiamo perso importanti diritti sociali perché non abbiamo fatto altro che resistere, resistere, resistere. Ed un giorno, anche per la nostra amata Costituzione, potrebbe non bastare una eroica resistenza. Dobbiamo da domani prendere l’iniziativa per attuarla. Un calendario di iniziative perché i valori fondanti, dal diritto ad un lavoro degno e ad un reddito di cittadinanza, al rifiuto della guerra di ogni tipo, siano finalmente praticati.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/mezzogiorno-un-no-forte-da-chi-e-stato-lasciato-solo/

 

La spinta sociale del No al referendum

No Renzi Day. A Roma in migliaia hanno partecipato al primo corteo del «No sociale» al voto del 4 dicembre. Il «No» può vincere con l’opposizione al Jobs Act, alla «Buona Scuola» e ai bonus di Renzi

Roma 22 ottobre 2016, corteo No Renzi Day

Nella campagna referendaria per il voto sulla riforma costituzionale del 4 dicembre la manifestazione del «No Renzi Day» che si è tenuta a Roma, all’indomani della sciopero generale dei sindacati di base, ha aperto un nuovo capitolo. I 40 mila che hanno sfilato, secondo gli organizzatori, da piazza San Giovanni a Campo de’ Fiori hanno voluto dimostrare che la consultazione referendaria non è solo uno scontro nel Pd, tra la minoranza della «ditta» di Bersani, il battitore libero D’Alema e la maggioranza del «rottamatore» Renzi.

L’obiettivo del corteo era rappresentare l’esistenza di un popolo del «No sociale», in carne ed ossa, che si muove in un campo politico più largo a sinistra e fuori dal «centro-sinistra» di vecchio o futuribile conio. Un «No sociale» che si aggiunge a quello basato sui contenuti costituzionali della contesa e si basa sull’opposizione al Jobs Act, alla «Buona Scuola» o alle politiche dei bonus con le quali il governo Renzi ha supplito all’incapacità di riformare il Welfare o rilanciare la domanda interna. A questa idea si ispirerà un’altra manifestazione convocata il 27 novembre dai movimenti sociali a Roma: «C’è chi dice No». Una prospettiva evocata anche dagli studenti che hanno manifestato il 7 ottobre scorso contro la «Buona Scuola».
Ogni corteo ha la sua scenografia che va interpretata. Quello di ieri era composta da spezzoni rappresentativi di vertenze lavorative, ad esempio la Natuzzi, o di posizioni politiche. In coda c’erano i partiti della sinistra, da Rifondazione al partito comunista dei lavoratori e altre sigle che si richiamano al comunismo. La maggioranza dei manifestanti era composta dagli iscritti all’Usb, con sfoggio di bandiere e striscioni dei settori pubblici e privati. C’erano i movimenti sociali e sindacati (la casa con Asia-Cub), i Sans Papiers e rifugiati (Cispm), ad esempio. Centinaia di migranti – lavoratori, rifugiati – hanno sfilato per ore con cartelli sulla libertà di movimento e i diritti fondamentali, dietro uno striscione con lo slogan «Schiavi Mai» e parole di condanna contro tutte le forme di precarietà, dai voucher al lavoro nero. Sullo striscione dei rifugiati somali, la richiesta del permesso di soggiorno era accompagnata da quella al welfare e al lavoro. Una rappresentazione efficace di quello che gli organizzatori del «No sociale» intendono per «socializzazione» della consultazione referendaria.

Alla testa del corteo, aperto dallo striscione «No alla controriforma, no al governo Renzi», è stato ripetuto instancabilmente il nome di Abd Elsalam, l’operaio e delegato sindacale Usb ucciso da un tir durante una manifestazione sindacale a Piacenza il 14 settembre scorso. Piazza San Giovanni è stata ribattezzata alla sua memoria, per le 36 ore dell’«acampada». Un’enorme striscione è rimasto appeso a un lampione, sopra i gazebo dove si sono svolti i dibattiti sul referendum costituzionale, sul lavoro autonomo e un’assemblea con i lavoratori della logistica. «Il suo nome significa “servitore della pace” – è stato detto dal camion in testa al corteo – Abd Elsalam è stato ucciso mentre lottava per i diritti del lavoro degli altri». Una storia, tragica ed esemplare del cambiamento in atto dei valori e della composizione sociale, e nazionale, della forza lavoro, anche nel settore della logistica.

L’impegno del coordinamento per il «No sociale» è portare la critica della riforma costituzionale nei luoghi di lavoro. Per loro il «No» può vincere se esiste una comprensione larga e popolare delle sue ragioni. La sfida è difficile. A disposizione di Renzi ci sono media e Tv per creare il consenso. La strategia del «No sociale» è al momento incoraggiata dai sondaggi, come quello dell’Ipsos, che ha registrato negli ultimi giorni un distacco di 8 punti percentuali dal «Sì». La strada è lunga e la si vuole percorrere «dal basso». Una strategia che venerdì scorso ha permesso ai sindacati di base (Usb, Adl e Si Cobas, Unicobas e Usi, Cub trasporti Lazio) di mobilitare 1,3 milioni di lavoratori che hanno aderito al loro sciopero generale.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/la-spinta-sociale-del-no-al-referendum/

Piacenza, tir si lancia su picchetto davanti alla Gls: ucciso un operaio

Questa notte, durante un picchetto indetto dall’Usb davanti alla Gls di Piacenza, un operaio è stato travolto e ucciso da un tir che ha forzato appositamente il blocco indetto dai lavoratori. Secondo testimoni presenti sul posto, l’uomo alla guida del mezzo sarebbe stato incitato da un addetto molto vicino all’azienda. A Roma alle 15 è stata convocato un presidio sotto il Ministero del Lavoro.

Questa notte a Piacenza si stava svolgendo un picchetto di lavoratori dell’Usb davanti alla Gls di Piacenza. Il blocco a un certo punto è stato forzato da un tir, che si è lanciato sugli operai che stavano lì davanti: un uomo di 53 anni è stato così ucciso davanti ai suoi colleghi. Un fatto gravissimo, soprattutto perché sembra che l’uomo alla guida del mezzo fosse stato incitato da un addetto vicino all’azienda, che lo spronava a partire e a investire il picchetto di lavoratori. Per denunciare il gravissimo fatto accaduto, i lavoratori hanno convocato una conferenza stampa alle 11 davanti il magazzino: intanto il presidio continua a diventare sempre più grande, con numerose persone che stanno arrivando a portare la loro solidarietà agli operai. Anche a Roma è stato lanciato un presidio sotto il Ministero del Lavoro alle 15 e probabilmente altri appuntamenti si aggiungeranno nel corso della giornata. Pubblichiamo qui di seguito il comunicato dell’Usb in merito a quando accaduto questa notte.

UN LAVORATORE DELL’USB DURANTE UN PICCHETTO E’ STATO ASSASSINATO ALLA GLS DI PIACENZA.

PIACENZA 14 settembre ore 23.45 si muore per lottare si muore per i diritti.

“Ammazzateci tutti” è il grido dei lavoratori della logistica di Piacenza.

Un nostro compagno, un nostro fratello è stato assassinato durante il presidio e lo sciopero dei lavoratori della SEAM, ditta in appalto della GLS questa notte davanti ai magazzini dell’azienda.

Il gravissimo fatto è l’epilogo di una serata di gravi tensioni, la USB aveva indetto una assemblea dei lavoratori per discutere del mancato rispetto degli accordi sottoscritti sulle assunzioni dei precari a tempo determinato. Di fronte al comportamento dell’azienda i lavoratori, che erano rimasti in presidio davanti ai cancelli, hanno iniziato lo sciopero immediato. Proprio durante l’azione di sciopero, un lavoratore, padre di 5 figli e impiegato nell’azienda dal 2003, è stato assassinato, sotto lo sguardo degli agenti di polizia da un camion in corsa che ha forzato il blocco.

Questo assassinio è la tragica conferma della insostenibile condizione che i lavoratori della logistica stanno vivendo da troppo tempo. L’USB si impegna alla massima denuncia dell’accaduto: violenza, ricatti, minacce, assenza di diritti e di stabilità sono la norma inaccettabile in questo settore.

Oggi 15 settembre alle ore 11.00 conferenza stampa davanti al magazzino di Piacenza.

Prosegue comunque il presidio dei lavoratori che si è formato dopo la tragedia e si sta arricchendo sempre più con l’arrivo di altri lavoratori degli stabilimenti vicini.

 

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/piacenza-tir-si-lancia-su-picchetto-davanti-alla-gls-ucciso-un-operaio

MESSICO: LA POLIZIA UCCIDE I MAESTRI IN LOTTA. APPELLO SOLIDALE CONTRO LA REPRESSIONE.

Notizia scritta il 21/06/16 alle 13:44. Ultimo aggiornamento: 22/06/16 alle: 09:06

MESSICO: LA POLIZIA UCCIDE I MAESTRI IN LOTTA. APPELLO SOLIDALE CONTRO LA REPRESSIONE.

Clb1voSWMAAwcrYSale il bilancio dei maestri uccisi dagli spari della polizia domenica 19 giugno 2016 a Asuncion de Nochixtlan, stato di Oaxaca, Messico. Il bilancio ufficiale delle vittime dell’operazione repressiva per rimuovere le barricate di maestri, studenti e movimenti sociali in lotta è salito a nove maestri, e un giornalista: 10 morti, quindi, che diventano almeno 12 secondo altre fonti, come TeleSur.  Ci sono poi 32 desaparecidos, 28 arrestati e decine di feriti. La protesta non riguarda solo  Oaxaca, teatro, nel 2006, anche della straordinaria esperienza della APPO, l’assemblea popolare dei popoli di Oaxaca, rimasta in piazza con 80mila maestri in lotta sgomberati con violenza nel giugno di dieci anni fa: arresti si segnalano anche nel Chipilango, Michocan e a Città del Messico.

Lavoratrici e lavoratori dell’educazione, assieme alla centrale sindacale CNTE, sono in lotta ormai dallo scorso 15 maggio contro la riforma dell’istruzione voluta dal presidente Enrique Pena Nieto, che prevede – tra molte altre cose, tutte in senso ultraprivatistico – un test governativo unico per gli insegnanti, in base al quale verranno assunti o non assunti, pagati o non pagati, inseriti in organico a pieno orario o per pochi giorni. Per i maestri, gli studenti e i movimenti sociali, non è una riforma educativa, ma una controriforma del lavoro, schiacciata sul servilismo al potere, sul liberismo e sulla ricattabilità perenne. A rischio sarebbe almeno il 60% del corpo docente, senza alcun riferimento a educazione e formazione.

Clicca qui per l’approfondimento sulle motivazioni della lotta di lavoratori/trici dell’educazione in Messico: una protesta che non nasce oggi.

Dopo la mattanza di due giorni fa a Nochixtlan, ora è stato annunciato un incontro domani tra il sindacato e Osorio Chong, il segretario di stato di Pena Nieto. Intanto a Oaxaca le realtà sociali in lotta, con la solidarietà di una larga ClXcJxHVYAA5iqGparte dei movimenti messicani, tra cui il chiapaneco EZLN, hanno diffuso un’ “allerta umanitaria” per le violenze della polizia, sorpresa da numerosi video e immagini a sparare sulla folla, anche con agenti in borghese. Una scena che ricorda da vicino altri massacri, come quella di , del 26 settembre 2014, con l’uccisione e la sparizione, targata polizia, narcos e politici, di 43 studenti normalisti della scuola rurale di .

Un nuovo massacro, quindi, quello di Nochixtlan, che vede per protagonista ancora una volta Enrique Pena Nieto, del PRI, oggi presidente dello Stato ma governatore ai tempi dei massacri di San Salvador Atenco, nello stato di Città del Messico, nel 2006, anche lì con morti, feriti e desaparecidos nelle proteste contro la decisione di ampliare un aeroporto.

Abbiamo raggiunto Federico Mastrogiovanni, giornalista indipendente che vive a Città del Messico, per aggiornamenti. Ascolta o scarica l’intervista [Download

Clicca qui per il nostro articolo su quanto accaduto a Nochixtlan di lunedì 20 giugno 2016.

APPELLO SOLIDALE – Da Mexiconosurge:

‪#‎MexicoNosUrge‬ AL FIANCO DEI MAESTRI E DELLE MAESTRE DELLA CNTE IN MESSICO

“Fondamento dell’accordo. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella DichiarazioneUniversale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo.”
Art. 1 trattato di libero commercio tra il Messico e l’UnioneEuropea

Un anno dopo siamo ancora qui a dire #MexicoNosUrge

Dopo gli omicidi del foto giornalista Rubén Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, della studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e di altre due donne che si trovavano con loro, Mile Virginia Martin e Alejandra Negrete, avvenuti a Città del Messico venerdì 31 luglio 2015, l’appello ‪#‎MéxicoNosUrge‬ volle rompere il silenzio. Perché non si può rimanere in silenzio di fronte alle violenza nei confronti di chi vuole denunciare la situazione che subiscono milioni di persone in un Paese, il Messico, che l’Italia e l’Unione Europea riconoscono soltanto come importante socio commerciale. Rimanere in silenzio sarebbe una forma di complicità.

Un anno dopo, nel giugno del 2016, torniamo a urlare che #MéxicoNosUrge, dopo che domenica 19 giugno nello Stato di Oaxaca abbiamo assistito al massacro di 10 cittadini. La Polizia Federale è tornata a reprimere la lotta degna dei maestri e delle maestre del sindacato CNTE che lottano contro la riforma educativa. Pistole, fucili di precesione e cecchini hanno operato assieme alla polizia in assetto anti-sommossa, per sgomberare uno dei tanti blocchi stradali che dal 15 maggio batte il tempo della resistenza contro la svendita e la distruzione della scuola pubblica messicana. A maggio avevamo celebrato il decimo anniversario dalla nascita dell’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca, figlia dello sgombero violento di un presidio di maestre e maestri della CNTE nella capitale dello stato di Oaxaca. Negli ultimi mesi sono a decine gli arresti “politici” che colpiscono aderenti della CNTE e simpatizzanti. Già a dicembre 2015, in Chiapas, due maestri sono stati uccisi dalla Polizia durante gli scontri.

Nel maggio del 2016 sono stati ricordati,anche, i dieci anni dal massacro di San Salvador Atenco. Una Commissione Civile di Osservazione dei Diritti Umani -i cui componenti erano cittadini europei- nel giugno del 2006 ha presentato al Parlamento Europeo un rapporto sui fatti e sulle gravi violazioni dei diritti umani in relazione allo sgombero forzato di una comunità per costruire il nuovo aeroporto di Città del Messico in una zona ejidal (cioè di proprietà collettiva) dello Stato del Messico.

La mattanza di Nochixtlan inauguara una nuova fase nello schema repressivo messicano: la polizia spara sulla folla uccidendo e la stessa polizia si rivendica di aver usato armi da fuoco. Non era mai successo prima.

Negli ultimi dieci anni, infatti, la situazione si è fatta se possibile ancora più grave, con decine di migliaia di sparizioni forzate, violenza sistematica contro chi vuole difendere e promuovere i diritti umani, contro attivisti dei movimenti sociali e contro i giornalisti e fotografi che documentano la condizione di violenza strutturale scelta come forma di“politica attiva” dai governi di Felipe Calderón, prima, e di Enrique Peña Nieto (che nel 2006 era governatore dello Stato del Messico durante i fatti di Atenco), ora.

Tra gli attivisti e giornalisti minacciati e perseguitati ci sono anche cittadini italiani ed europei; tra le vittime ci sono anche cittadini italiani ed europei (come il finlandese Jyri Antero Jaakkola,assassinato dai paramilitari nello stato del Oaxaca nel 2010).

In questo panorama di violenza diffusa e repressione contro i civili ricordiamo la sparizione forzata dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa,avvenuta la notte del 26 settembre del 2014 nella città di Iguala, stato del Guerrero, in cui sono coinvolti la polizia municipale di Iguala ed elementi dell’esercito messicano.

Il 30 giugno 2014 l’esercito messicano, con un ordine scritto dall’Alto Comando Militare, fucilava 22 ragazzi in un’esecuzione extragiudiziale, una delle tante esecuzioni extragiudiziali portate a termine dall’esercito che ha l’ordine di “abbattere” civili considerati delinquenti senza alcun diritto ad avere un processo.
L’ONU ha recentemente spiegato come in Messico la tortura sia un metodo utilizzato in maniera sistematica negli interrogatori da tutte le forze di sicurezza.

Tutto questo accade nel silenzio della cosiddetta “comunità internazionale” e l’Unione Europea di fatto si disinteressa dei crimini dello stato messicano, continuando a mantenere relazioni commerciali con uno Stato che viola costantemente i diritti umani.

Tra il 2007 e il 2016 in Messico ci sono stati più di 164mila omicidi di civili. Negli stessi anni in Afghanistan e in Iraq si sono contate circa 104mila vittime. Il numero di persone sparite dal 2006 ad oggi, basandosi su dati conservativi del governo messicano, supera le 30mila persone. Organizzazioni dei diritti umani dicono che se oggi venisse fatto un conto di morti e desaparecidos i numeri andrebbero verso il raddopio.

A fronte di tutto questo l’indifferenza dei grandi mezzi di comunicazione internazionali è impressionante e complice.

Per tutto questo, #MexicoNosUrge e non possiamo rimanere in silenzio.

Chiediamo che il Parlamento Europeo esprima la sua preoccupazione rispetto alla grave crisi dei diritti umani che vive il Messico,in particolare per le costanti aggressioni ai giornalisti e difensori dei diritti umani.

Chiediamo all’Italia e all’Unione Europea che si sospendano tutte le relazioni (politiche e commerciali) con il Messico fino a quando non si farà luce sui gravi casi di omicidio, violenza e sparizione forzata di persone. I paesi dell’Unione Europea devono applicare l’embargo agli investimenti in Messico e chiudere le loro Ambasciate, così come si è fatto nel caso di altri paesi che non osservano l’obbligo del rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita dei propri cittadini.

Italia, giugno 2016

Per aderire scrivere a [email protected]
Seguiteci su www.facebook.com/mexiconosurge

Fonte:

RIO DE JANEIRO: OLIMPIADI 2016, VIOLENZA DELLA POLIZIA, LO STATO DI CALAMITA’ PUBBLICA E L’OSPEDALE DEGLI ORRORI

RIO DE JANEIRO. L’OSPEDALE DEGLI ORRORI
[guarda il video in HD – assista em HD]
Un’ispezione della Procura trova un deposito con più di 60 cadaveri, 34 dei quali di neonati, nel fatiscente obitorio e in un container dell’ospedale pubblico Rocha Faria di Rio de Janeiro. Alcuni cadaveri sono risultati abbandonati fin dal 2011. Sono queste le strutture sanitarie che hanno subito e subiranno i tagli imposti dal DECRETO DI CALAMITÀ PUBBLICA [leggi: https://www.facebook.com/carlinho.utopia/posts/1064025123688012] del governo dello stato per poter assicurare lo svolgimento delle Olimpiadi.

Fonte: http://g1.globo.com/…/ministerio-publico-encontra-63-corpos…

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
Articoli, reportages, video e film raccolti in ordine sparso e tradotti in italiano
http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews
seguici anche sulla pagina Facebook:
https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia

OLIMPIADI RIO 2016: (STATO DI) CALAMITÀ PUBBLICA

Decreto 45.692 del 17 giugno 2016
ART.1° – VIENE DECRETATO LO STATO DI CALAMITÀ PUBBLICA IN RAGIONE DELLA GRAVE CRISI FINANZIARIA DELLO STATO DI RIO DE JANEIRO, CHE IMPEDISCE L’ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI ASSUNTI IN DECORRENZA DELLA REALIZZAZIONE DEI GIOCHI OLIMPICI E PARALIMPICI DI RIO 2016.

Continua a leggere

foto di Il Resto del Carlinho Utopia.
Qui un appello di Amnesty International contro la violenza della polizia

Amnesty International Italia

RIO 2016

Non c’è posto per la violenza in questi giochi!

Leggi il testo dell’appello

«È sconvolgente vedere quanto a Rio e in altre città brasiliane gli omicidi ad opera della polizia continuino a ritmo quotidiano»

Atila Roque, direttore di Amnesty International Brasile

Approfondisci       Leggi il rapporto

Fonte:

Messina – Emergenza casa

Messina.Lavoro e diritto alla casa. Alle porte una serie di sfratti

L’emergenza casa corre. E non aspetta

SGB: storie di perdita di lavoro e casa che non possono diventare ordinarie

364 sfratti per morosità incolpevole nel 2014” Questi i dati, per altro incompleti, relativi solo alla provincia di Messina, diffusi dalla federazione provinciale di SGB Sindacato Generale di Base.

E francamente negli ultimi 2 anni non abbiamo riscontrato soluzioni politiche che facciano sperare in una diminuzione dei numeri .

Anzi, la situazione diventa sempre più allarmante per molte famiglie: si perde il lavoro, arriva la disoccupazione, niente reddito, non si riesce più a pagare l’affitto, arrivano lo sfratto e l’ufficiale giudiziario, il baratro per famiglie intere.

Numeri da vera e propria emergenza sociale anche nel nostro territorio, conseguenza di un attacco senza precedenti al Welfare nazionale, al diritto al lavoro, al diritto all’abitazione, dei tagli dei fondi per l’edilizia agevolata e per le case popolari.

Storie ormai sempre più ordinarie, che passano dal nostro sportello casa

Ve ne raccontiamo alcune…

C’è Stello, i nomi sono di fantasia, le situazioni purtroppo no, 50 anni, disoccupato, 5 figli di cui 2 minori, ogni tanto qualche lavoro saltuario in nero che gli permette di portare almeno il pane a tavola. Qualche anno fa la perdita del lavoro, non riescono più a pagare l’affitto ed ecco lo sfratto. Adesso esecutivo. Hanno fatto richiesta in deroga per una casa d’emergenza, hanno aderito al bando per la morosità incolpevole, nessuna risposta”.

Valeria, ex rappresentante commerciale. Arrivano la crisi e la fine del lavoro. Ed adesso lo sfratto. Esecutivo: per lei, il marito, il bimbo di 18 mesi e l’altro, maschietto o femminuccia, in arrivo. Ed ora? Anche qui tanta energia, ottimismo, speranza per il futuro e la solita trafila di domande senza risposta”.

Ed ancora, “la famiglia di Cettina, marito dializzato con pensione minima, moglie disoccupata, 3 figli a carico, di cui 2 minorenni, anche loro sfratto esecutivo forzato; la famiglia di Rosa, composta da madre disoccupata e figlio di 22 anni disabile con una pensione d’invalidità minima: da un anno vivono in un cantinato, costretti a far fronte anche alle minacce del padrone di casa”.

E la famiglia di Vittoria, entrambi i genitori invalidi, un figlio di 21 anni disoccupato e uno di 18 che studia. Tutti con un’unica piccola pensione d’invalidità e, ovviamente, lo sfratto esecutivo in corso”.

“Poi c’è Francesco che ha perso la casa in un incendio, disoccupato, e adesso ospite da un amico”.

C’è anche Giovanni, da anni malato di sclerosi multipla, anche lui ha perso il lavoro e adesso è anche sfrattato “.

“Ludovica, separata, tre figli a carico ed in più anche il fratello invalido che vive con lei, per adesso ospiti da un’amica.

Punte di un iceberg di un’emergenza che non può diventare ordinaria  

Questo il quadro, storie di grande dignità, forza ed ottimismo. Ma col baratro davanti. C’è bisogno di risposte immediate, purtroppo i tempi burocratici delle istituzioni non coincidono con i bisogni concreti .

L’emergenza corre e non aspetta !

Federazione Provinciale

Sindacato Generale di Base Messina

Fonte: