SIRIA, “ASSAD E ISIS HANNO USATO ARMI CHIMICHE IN ALMENO TRE ATTACHI”

Siria, “Assad e Isis hanno usato armi chimiche in almeno tre attacchi”

L’accusa arriva da team composto di investigatori della Nazioni unite e dell’OPCW (Organizzazione per la proibizione della armi chimiche). Il 30 agosto il Consiglio di sicurezza discuterà il dossier
di Shady Hamadi | 25 agosto 2016

 

Nonostante Assad abbia sempre negato l’uso di armi chimiche, il governo siriano le ha utilizzate per due volte. Ma Damasco non è stata la sola averle utilizzate, perché anche l’autoproclamato Califfato ha fatto uso del gas mostarda. A metterlo nero su bianco è un team composto da investigatori di Nazioni Unite e Opcw (Organizzazione per la proibizione della armi chimiche), che ha stilato un dossier sull’uso delle armi chimiche durante la guerra in Siria, analizzando nove casi. Solo in tre le responsabilità sono state attribuite, mentre negli altri sei non si arrivati a nessuna conclusione. I risultati del team, fortemente richiesto da Mosca e formato dall’Onu, saranno discussi dal Consiglio di sicurezza il 30 agosto.

Secondo il report il governo siriano ha lanciato armi chimiche su due villaggi nella provincia di Idlib: a Talmenes il 21 aprile del 2014 e Sarmin il 16 marzo del 2015. In entrambi gli attacchi gli elicotteri siriani hanno lanciato sulle abitazioni “un congegno” che nel primo caso ha le “caratteristiche del cloro”. L’Isis è invece accusato di avere adoperato il gas mostarda nell’attacco alla città di Marea, a nord di Aleppo, il 21 agosto 2015.

A seguito delle conclusioni della commissione, l’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite Samantha Power ha chiesto al Consiglio di adottare “azioni forti e rapide” contro i responsabili. In particolare ha accusato il governo siriano di violare la risoluzione varata a settembre 2013 dal Consiglio che impone il divieto – riportato nel capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite -, dell’uso di “qualsiasi arma chimica da parte di chiunque nella Repubblica araba siriana”. Allora, infatti, il governo di Damasco accettò un piano per lo smaltimento delle armi chimiche che ebbe l’effetto di scongiurare un intervento militare americano, in risposta alla strage condotta con armi chimiche che provocò la morte di 1400 persone nella capitale, nella Ghouta orientale.

Fra dicembre 2015 e agosto 2016, il team di investigatori ha ricevuto più di 130 segnalazioni da stati membri delle Nazioni Unite sull’uso di armi chimiche in Siria: 13 sarin, 12 gas mostarda, 4 gas nervino, 41 cloro e gli altri 61 con altre agenti chimici tossici. In passato, la Russia, che sostiene il governo di Damasco, ha bloccato l’attuazione di sanzioni o altre azioni del consiglio contro il governo di Assad, anche se è stata proprio il governo di Mosca a volere la commissione d’inchiesta.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/25/siria-assad-e-isis-hanno-usato-armi-chimiche-in-almeno-tre-attacchi/2995360/

Chimica e mostri

20 agosto 2014 – 22:08cape-ray

Nonostante le celebrazioni di successo del Pentagono per il completamento delle operazioni a bordo della Cape Ray, il presidente Obama avrebbe imposto la “completa eliminazione” dell’arsenale Chimico Siriano, in pratica, gli americani hanno fatto finora solo la metà del lavoro [ndr.: come abbiamo più volte ribadito dando voce al mondo scientifico Greco].

Nessuno, tranne i 64 esperti a bordo della Cape Ray, sa cosa esattamente è accaduto in acque internazionali al largo della costa di Creta.

La posizione è scelta dagli Stati Uniti per evitare di dover rispondere alla domanda più importante: cosa succede ai residui del processo di Idrolisi ?

La massa complessiva dei residui è stimata in circa dieci volte quella iniziale, i residui sono meno pericolosi della loro composizione iniziale, ma comunque ugualmente tossici.

L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza la Sig.ra Catherine Ashton, ed il Presidente Barroso, entrambi dell’Unione europea, continuano a rassicurare … ma chi gli crede ??

Rob Malone, che lavora nella agenzia Edgewood Chemical & Biological Center degli Stati Uniti è uno dei 64 specialisti di armi chimiche che sono stati inviati nel Mediterraneo a bordo della Cape Ray, a sorpresa lo scorso gennaio dichiarò:

rob_malone«… il risultato di questo processo di neutralizzazione (l’Idrolisi) creerà circa 1,5 milioni di litri di un “emissario” tossico che deve essere smaltito, ma che non può essere utilizzato come arma chimica.

L’inattivazione chimica è ottenuta attraverso l’uso di sostanze tra cui l’acqua, la candeggina e idrossido di sodio. Queste sostanze sono contenute in 220 serbatoi da 25.000 litri, circa ciascuno.

Gli effluenti sono simili ad altri composti pericolosi e tossici che generano alcuni processi industriali. C’è un mercato commerciale a livello mondiale per lo smaltimento di tali rifiuti».

Ma la destinazione di tali residui non la conosce nessuno, l’unica cosa che sappiamo per ora, sulla base di comunicazioni ufficiali, è che la Germania si è impegnata ad accettare quantitativi di agenti dell’Iprite inattivati per l’ulteriore lavorazione nella fabbrica di Munster, mentre gran parte degli altri residui si tratteranno in un impianto a Port Arthur, in Texas, che è stato già usato in passato per la distruzione americana di armi chimiche.

Questo riguarda comunque l’Iprite ed il Methylphosphonyl Difluoride (DF) sostanza chimica di base del Sarin … che dire delle decine di tonnellate del gas VX, enormemente più letale del Sarin che presumibilmente era in possesso di Assad ?

E’ stato scelto il processo di Idrolisi per il semplice motivo che altri trattamenti (ad esempio la Pirolisi ovvero la “combustione” in assenza di ossigeno) richiederebbero anni, per tali quantità.

Gli scienziati di 14 paesi avevano lanciato l’allarme su possibili perdite in mare. Riusciremo mai sapere che cosa esattamente è accaduto nel Mediterraneo, in acque internazionali ad ovest di Creta ?

Liberamente tradotto da : fonte

 

 

Tratto da http://www.sosmediterraneo.org/chimica-mostri/

ARMI SIRIANE, I PARTICOLARI DALL’INTERNO DELLA CAPE RAY

La nave è arrivata stamattina nel porto di Gioia Tauro, commissioni difesa di Camera e Senato in missione a Reggio. Il sindaco di San Ferdinando: «Non so che sostanze verranno trasbordate ma, anche se sono sempre stato contrario a questa operazione, darò il massimo supporto»

Il terminal di Gioia Il terminal di Gioia

GIOIA TAURO «Anche se sono sempre stato contrario a questa operazione darò il massimo supporto che mi deriva dall’essere sindaco fermo restando tute le riserve dal punto di vista politico. È stata una decisione imposta dall’alto senza rispetto per la volontà della popolazione. Malgrado abbia fatto richiesta non so che tipo di sostanze verranno trasbordate». È con parole durissime che il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi ha commentato l’insediamento del Centro di Monitoraggio e Controllo, presieduto dal prefetto Claudio Sammartino, che nei prossimi giorni coordinerà le operazioni di trasbordo di container degli agenti chimici provenienti dalla Siria dalla nave Ark Futura alla Cape Ray che avranno inizio domani mattina. Alla riunione interverranno anche i rappresentanti del ministero degli Affari Esteri, attesi nel primo pomeriggio a Reggio Calabria, nonché tecnici dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale e ispettori dell’Opac. Nel frattempo è già arrivata in porto la nave statunitense Cape Ray. L’unità navale, partita dal porto spagnolo di Rota, imbarcherà domani il carico di armi e sostanze chimiche requisito al regime siriano di Assad e, attualmente, in rotta verso la Calabria a bordo del cargo danese Ark Futura.

 

TRASPARENZA A BORDO

“Nella parte finale di questa operazione, da parte degli americani, c’è stata piena apertura nel farci vedere tutte le strutture interne, tutto l’impianto di processazione delle componenti chimiche di idrolisi. Se nella fase iniziale si è mancato in termini di comunicazione, con oggi si iniziano ad avere dettagli maggiori”. Sembrano confortati dalle informazioni ricevute e soddisfatti per “la massima trasparenza e disponibilità” mostrata dai militari che al porto di Gioia Tauro si preparano a ricevere a bordo della nave statunitense Cape Ray  l’arsenale chimico di Bashar al- Assad, i componenti delle commissioni difesa di Camera e Senato oggi in missione in Calabria per monitorare le operazioni di trasbordo degli agenti chimici dal cargo danese all’imbarcazione americana su cui verranno resi inoffensivi.  “Questa mattina – sintetizza il presidente della commissione Difesa della Camera, Massimo Artini – siamo stati accolti sulla Cape Ray in maniera molto trasparente. Siamo entrati nel ponte interno della nave e abbiamo potuto valutare anche le installazioni, che sono composte da un ingresso all’impianto di idrolisi, ermetico sia dalla parte aerea che dalla parte di suolo, quindi dall’impianto di idrolisi stesso”. Ma soprattutto, la delegazione di parlamentari che oggi ha avuto accesso alla nave americana – formata oltre che dal presidente Artini (Movimento 5 stelle), dai deputati Rosanna Scopelliti (Ncd), Paolo Alli (Ncd) e Marco Marcolin (Lega Nord) e dai senatori Carlo Lucherini (Pd) e Luis Alberto Orellana (Movimento 5 stelle) insieme al Direttore Centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione della Farnesina, Giovanni Brauzzi – sembra essere stata in grado di raccogliere ulteriori dettagli e informazioni sull’operazione che nelle prossime ore avrà come teatro lo scalo di Gioia Tauro, a partire dal materiale trattato.

 

SARIN E IPRITE

“Si tratta di precursori di gas Sarin e iprite. Inizialmente doveva esserci anche un precursore del Vx, che è stato messo sulla nave norvegese che è già in navigazione verso la Germania”, comunica Artini, rispondendo alle perplessità di alcuni dei sindaci della Piana che in mattinata, per bocca del primo cittadino di San Ferdinando Domenico Madafferi avevano fatto sapere “Malgrado sia stata  fatta richiesta non si sa che tipo di sostanze verranno trasbordate”. Non si tratta dunque di armi già innescate, ma della componentistica necessaria per fabbricarle. Materiale delicato e altamente instabile, che necessita dunque tutte le tutele del caso quando viene trasportato, manipolato o distrutto e che per la prima volta verrà trattato su una nave e non in un impianto di terraferma. Una questione che più di tutte ha fatto scendere sul piede di guerra ambientalisti, comitati come molti amministratori della Piana,  su cui i parlamentari hanno tentato di fare chiarezza.

 

UN’OPERAZIONE MAI TENTATA PRIMA

Stando ai trattati internazionali, avrebbe dovuto essere il Paese produttore o detentore a smaltirle, ma “è del tutto evidente – afferma Artini – che farlo in Siria non sarebbe stato né facile né opportuno. Basti pensare che il carico è stato per oltre un mese bloccato a Latakia perché non c’erano le condizioni di sicurezza per farlo muovere”. Una prima opzione valutata dall’Opac (organizzazione per la messa al bando delle armi chimiche) è stata l’Albania “ma alla fine – ammette il presidente della commissione difesa della Camera – non c’è stata disponibilità. Si è capito però che sarebbe stato inopportuno costruire un impianto di distruzione di agenti chimici ad hoc per lasciarlo inutilizzato. Quindi si è deciso di farlo, per la prima volta, a bordo di una nave”.  Un’operazione mai tentata, ma che può contare – assicurano deputati e senatori – sulle migliori tecnologie e  tecnici specializzati con oltre quindici anni di esperienza per lavorare in sicurezza. Nulla – chiariscono i parlamentari – verrà sversato in mare, perché anche l’acqua di scarto dell’idrolisi verrà stoccata per essere poi smaltita in Germania, Gran Bretagna e Norvegia”.

 

DETTAGLI SUL TRASBORDO A GIOIA TAURO

Un’operazione complessa, che dunque interesserà il territorio di Gioia Tauro solo per la parte relativa al trasbordo degli agenti chimici dal cargo danese, il cui attracco è previsto attorno alle quattro di questa notte, alla nave su cui poi verranno processati “ben oltre le acque internazionali”. Stando alle stime comunicate ai parlamentari, l’intera procedura dovrebbe durare non più di dieci ore, tuttavia in mattinata proprio sul punto il segretario dei portuali della Cgil, Salvatore La Rocca, aveva mostrato prudenza “generalmente in un’ora movimentiamo circa sessanta container, ma bisognerà capire come procedere per rispettare le massime condizioni di sicurezza”. In trenta fra i lavoratori del porto saranno impegnati nelle operazioni di scarico e carico dei container che – assicurano – non verranno stoccati sul molo, ma trasferiti direttamente da nave a nave.

 

“CONTINUEREMO A MONITORARE”

Concluse le operazioni in porto, la Cape Ray, scortata da pattugliatori di diversi Paesi, oltrepasserà le acque internazionali per dare il via alle operazioni di smaltimento in mare aperto, su rotte ancora ignote ai parlamentari. “Per come ce l’ha prospettata questa mattina il capitano, non essendo necessario che la nave sia ancorata, si cercherà la situazione climatica e di mare migliore, ma in ogni caso oltre 150 miglia dalla costa, quindi cinque volte oltre le acque internazionali”. Stando ai piani,  l’impianto – sotto osservazione dei tecnici Opac – dovrebbe riuscire a smaltire 25 tonnellate al giorno, dunque “in 60- 90 giorni di lavoro, calcolando quelli di inattività per mare mosso dovrebbero essere in grado di concludere le operazioni”, afferma Artini, che promette “questa nostra missione è un passaggio che non finisce qui – ha concluso Artini – ci sono altri 60 giorni in cui c’è da fare l’idrolisi in mare e sui quali abbiamo intenzione di vigilare”.

 

CHI PAGA?

Pochi dettagli arrivano invece sui costi dell’operazione. Se è confermato che la società che oggi gestisce il porto di Gioia Tauro riceverà un indennizzo del valore ancora non definito o comunicato, è il direttore generale e ministro plenipotenziario Brauzzi a comunicare che sarà in larga parte l’Italia a finanziarie l’operazione “abbiamo ottenuto che i costi venissero scontati dal contributo di due milioni di euro che l’Italia aveva già deciso di destinare al fondo internazionale per le missioni di pace. Era il minimo per non essere da meno di quello che hanno fatto gli altri Paesi”. Nessun costo invece dovrebbe ricadere sulle istituzioni locali, mentre toccherà sempre allo Stato sobbarcarsi le spese dell’enorme dispositivo di sicurezza dispiegato all’esterno del porto, come delle operazioni di comunicazione che porterà alla proiezione delle operazioni di trasporto in streaming in tre luoghi, fra cui la Prefettura di Reggio Calabria. “Di fronte al fatto di poter distruggere le armi chimiche,  per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, senza che si verifichi una situazione simile a quella dell’Iraq nel 92-93, anche se dovesse essere indennizzato in misura maggiore di un normale trasbordo, penso sia corretto farlo perché fa parte delle responsabilità di un Paese”. La  vicenda deve essere vissuta dalla Calabria “più che come una vessazione come un’opportunità” per Rosanna Scopelliti. “Inizialmente non c’è stato il giusto coinvolgimento ma dal momento in cui la situazione è stata denunciata vi è stata la massima cooperazione e trasparenza. Abbiamo la volontà di rassicurare i cittadini, noi comunque ci siamo, e tutto quello che si poteva fare è stato fatto. Magari – conclude Scopelliti – per le prossime volte è auspicabile un coinvolgimento maggiore fin dall’inizio”. (

Alessia Candito

[email protected]

 

 

 

Fonte:

http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/23265-armi-siriane,-la-cape-ray-%C3%A8-arrivata-nel-porto-di-gioia