Baghdad 1991, la notte delle bombe

Da il manifesto

Edizione del 16 gennaio 2016

• aggiornata oggi alle 15:19

Guerre del golfo, 1991/2016. 25 anni fa iniziava Desert Storm. Dal 17 gennaio 1991 l’inviato del manifesto Stefano Chiarini – che poi ci ha dolorosamente lasciato nel 2007 – unico dei giornalisti italiani rimasti a Baghdad, trasmetteva sotto i raid dell’aviazione Usa e Nato, le sue corrispondenze che riproponiamo

Kuwait 1991

INVIATO A BAGHDAD (1991)

 

Sono le 2:30 di notte. Una improvvisa fiammata nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale irachena, seguita dal crepitio della contraerea, sveglia improvvisamente una città già al colmo della tensione. Tutti sanno di che cosa si tratta. La guerra è iniziata.

Il cielo si illumina a giorno sulla linea dell’orizzonte, oltre le palme e le luci limpidissime delle strade che conducono verso l’aeroporto in una delle notti più chiare di questa settimana di tensione,. Squadriglie di bombardieri americani arrivano da ogni direzione, invano inseguiti da una contraerea i cui proiettili scrivono strisce rosse e gialle nella notte come in una sorta di fuochi d’artificio tragici e mortali.

L’esplosione delle bombe e dei missili scuote il terreno sotto la capitale dell’Iraq e si sente chiaramente anche nei solidi rifugi dei grandi alberghi, come in quello Al Rashid dove è ospitata la stampa internazionale. Il rumore delle bombe e della contraerea è assordante per tutta la notte, dalle due e mezza fino a quasi alle sei.

Il fischio dell’aereo in picchiata

La gente si precipita, in preda al panico, nei rifugi lungo le scale dell’hotel Al Rashid immerso improvvisamente nel buio più assoluto. Fermi gli ascensori, interrotta l’erogazione dell’acqua e dell’elettricità. Alcuni ospiti dell’albergo sono in pigiama, ma la maggior parte ha preferito non andare neppure a dormire rimanendo a scrutare ansiosamente il cielo della prima notte dopo l’ultimatum, quella che tutti consideravano come la più pericolosa. Il fischio dell’aereo in picchiata è subito seguito da forti boati e da lingue di fuoco che si alzano dal ministero della difesa, dall’aeroporto, dalle centrali di comunicazione, dalla torre delle trasmissioni, tutti obiettivi colpiti pesantemente dai proiettili americani.

Il bombardamento ha un effetto devastante, decine e decine di incursioni a intervalli di 10–15 minuti dalle 2:30 fino all’alba. E poi ancora alle 5, a mezzogiorno e nel primo pomeriggio al calar della sera, verso le 17. Colpito in pieno il ministero della difesa, dove sarebbe rimasto gravemente ferito anche il ministro iracheno. Non si sa se seriamente o meno. Colpiti anche una raffineria nei pressi della città, il ministero dell’informazione, l’aeroporto e tutti i centri di comunicazione del paese con l’estero. Colpite anche zone civili della capitale.

Si ignora il numero delle vittime, ma dovrebbe essere piuttosto elevato. Oltre 400 gli attacchi aerei condotti dagli F15 americani e dagli aerei inglesi contro oltre 70 obiettivi iracheni. I missili Cruise sono partiti dalle navi ancorate al largo del Golfo e si sono diretti sui loro obiettivi. A Baghdad e nelle altre città dell’Iraq sono stati colpiti industrie, impianti militari e rampe missilistiche.

Nelle sale dell’Hotel Rashid, da diverse ore isolato dal resto del mondo, un funzionario del ministero dell’informazione tiene verso l’ora di pranzo una breve improvvisa conferenza stampa: sarebbero 14 gli aerei nemici abbattuti (americani, inglesi e sembra anche francesi). Poi il funzionario lancia un appello attraverso la radio perché la popolazione non faccia del male ai piloti eventualmente lanciatisi col paracadute.

Con l’arrivo del giorno la capitale irachena trattiene di nuovo il fiato e inizia il conto alla rovescia verso una sera e un’altra notte che potrebbero essere ancora più tragiche della precedente. Tutti sono rimasti a casa o nei pressi dei rifugi, pochissimi i passanti. Poi in serata, verso le 17, le sirene urlano di nuovo e tutti corrono nei rifugi dove passeranno questa ultima e interminabile notte.

Un week-end senza sonno

Da venerdì notte è cominciato il primo week-end di bombardamenti e morte dall’inizio della guerra del Golfo. Un week-end che rimarrà impresso per sempre nella memoria degli abitanti di Baghdad e in quella dei giornalisti stranieri, una settantina in tutto, ancora in attesa di lasciare la capitale irachena. Al calar delle tenebre gli aerei americani,come ormai ogni notte, sono tornati a colpire una città immersa nel buio più assoluto, quasi spenta dall’oscuramento.

Una città apparentemente colta nel sonno ma dove invece nessuno oramai dorme, fin da mercoledì scorso. Ogni momento sembra sia quello che precede l’allarme e il sibilo osceno dalle bombe e dai missili che cadono sulla città. Non serve certo a tranquillizzare la gente di Baghdad il fatto che le sirene urlino solamente pochi secondi prima degli attacchi aerei o, assai spesso, persino dopo che sono cadute le prime bombe o i primi missili hanno colpito i loro obiettivi, in un fragore improvviso e violentissimo che lascia tutti senza fiato. Le notti di questo fine settimana sono state, come le precedenti, limpidissime e terse di paura. Strade vuote al calar della sera, con i rari passanti che si affrettano a prendere l’ultimo autobus o un taxi colto al volo prima che il sole scompaia completamente al di là delle palme lungo il fiume Tigri.

Baghdad è una città fantasma, stretta nell’attesa e nella paura ma anche orgogliosa di resistere alla gigantesca forza degli occidentali, nonostante la fortissima ed evidente disparità tecnologica nei confronti degli Stati uniti.

… nel buio assoluto

Questo è il senso dell’ultima conferenza stampa del ministro dell’informazione, Latif Jassim, apparso in divisa verde oliva come, per la prima volta dall’inizio della crisi, tutti i suoi collaboratori. La conferenza stampa si tiene nel buio di un androne, in piedi, mentre suonano le sirene e tutti si chiedono se faranno in tempo a tornare a casa o in albergo, nei rifugi.

Una conferenza stampa, nelle parole di questo ministro tra i più vicini al presidente Saddam Hussein, ben diversa da quelle che lungo questi interminabili cinque mesi hanno scandito l’evolversi della crisi. Facce tirate, barbe lunghe, occhi arrossati dal sonno, sia dei funzionari iracheni che dei giornalisti presenti. Il punto di vista di Baghdad, nelle parole di Jassin, è molto chiaro: nessun paese arabo ha mai osato sfidare gli Stati uniti e Israele e resistere con le proprie forze così a lungo. Quindi, avendo rotto questo tabù, insieme al mito della guerra lampo alimentato dagli Usa, e continuando a resistere, l’Iraq già si considera il vincitore di questo confronto, per avere insegnato al mondo arabo che è possibile dire no agli Stati uniti.

Poche parole, qualche domanda, poi, sempre al buio, il ministro, i funzionari e i giornalisti corrono affannati verso i rifugi. Cinque minuti dopo, il silenzio e il buio sono strappati dall’urlo delle sirene che annunciano un’altra incursione. E allora si scatena l’inferno. I protagonisti dei bombardamenti, gli aerei americani e inglesi, sono apparentemente assenti, sono su, nel cielo, invisibili. La loro presenza è avvertibile solo dallo scoppio delle bombe che cadono, grandi palle di fuoco che attraversano la notte, dal sibilo degli ordigni, dalle esplosioni,. E dalle distruzioni che lasciano sul loro cammino, dai mucchi di mattoni e terre che troviamo il giorno dopo al posto di edifici e costruzioni: dove sorgeva il centro postale di via Rashid, la torre per le telecomunicazioni che svettava altissima nel nuovo centro della città, segata da un missile Cruise, è caduta nella rosata luce del tramonto come una quercia spezzata. Il ministero della Difesa nella vecchia Baghdad, le zone di abitazione che sorgono alla periferia nord della città, dove i bombardamenti sono più martellanti, o nella centrale di Duran, costruita con tanta dedizione dagli italiani, è già distrutta, e chissà, potrebbe essere toccato, questo compito, ad altri connazionali.

In this image from television via a nightscope, a cloud of smoke rises, at left, following a U.S.-led air strike attack on a target Thursday morning, March 20, 2003, near Baghdad. The U.S. used cruise missiles and precision-guided bombs during the attack. (AP Photo/APTN)
I bombardamenti Usa su Baghdad nel 2003

Lo spettacolo dei traccianti

Nella notte, ai rari passanti e ai giornalisti che si attardano nei piani alti dell’Hotel Rashid, loro riservato, dopo essere sfuggiti agli inflessibili addetti alla sicurezza che li vorrebbero nei rifugi, si mostra il terribile spettacolo della morte tecnologica. Gli aerei attraversano il cielo scurissimo, inquadrato dalle grandi vetrate delle stanze dell’albergo, come meteore invisibili, inseguiti dai colpi rossogialli e a forma di stella della contraerea. Di tanto in tanto un rumore diverso, un sibilo assordante, un’esplosione. I Cruise invece arrivano da fuori campo con una traiettoria geometrica parallela all’orizzonte. Dell’aviazione irachena non sembra esserci traccia. Distrutta al suolo, come sostengono gli americani, o tenuta di riserva per un eventuale attacco e non certo utilizzabile per una inutile e disperata difesa, come sostengono a Baghdad?

Ogni giorno i bombardamenti sono sempre più intensi e pesanti. Le incursioni in questo fine settimana sono iniziate ancor prima del calar della notte. Poi fino all’alba. Ognuno a circa mezz’ora di distanza dall’altra. Gli ordigni lanciati sulla città e sui suoi dintorni, laggiù verso la zona del canale dove vi sono molte installazioni militari, sembrano più pesanti del solito e le nuove esplosioni scuotono con tonfi sordi e ripetuti la città. L’intero orizzonte, al di là della torre della televisione e dell’hotel Melia Mansur, è illuminato a giorno dalle esplosioni e dai lampi.

Nel rifugio all’Hotel Rashid

Nei rifugi come quello dell’Hotel Rashid centinaia di persone, in un caldo soffocante, passano la notte dormendo sulla moquette illuminata a giorno dalle fredde luci al neon. Il rumore del generatore elettrico renderebbe a chiunque impossibile dormire. Ma pochi tentano davvero di farlo. Nonostante il rifugio del Rashid sia il posto più sicuro della città, grazie alle protezioni antiatomiche e antichimiche. Anche se non si capisce bene come, nel caso di una esplosione nucleare o dell’arrivo di gas, si potrebbe sopravvivere in questo sotterraneo senza l’acqua, che da mercoledì scorso, cioè dall’inizio dei bombardamenti, non raggiunge più l’albergo.

Alcuni anziani, uno dei quali sragiona a voce alta, sono stati sistemati su delle barelle e sono assistiti dal gentilissimo personale medico dell’albergo. Altri ospiti (l’uso di questo termine suscita sempre una certa apprensione e ilarità dopo la vicenda degli ostaggi) guardano la tv, che trasmette marce militari, informazioni di guerra, propaganda e appelli diretti non soltanto alla popolazione irachena ma anche alle masse arabe, perché scendano in campo a fianco dell’Iraq contro Israele e gli Stati uniti. Con il sottofondo metallico dell’impianto di condizionamento, dall’apparecchio televisivo, posto in un angolo del rifugio, si spande per i grandi stanzoni una delle canzoni più popolari di questi giorni: Baghdad, Baghdad, la più bella delle belle, l’amore è tutto, faremo del genere umano la culla della civiltà.… Suonano più o meno così le parole, nella traduzione inglese dell’anziano professore sfatto dal sonno sino a dimostrare vent’anni di più dei suoi 60 compiuti.

Pochi giornalisti frequentano però il rifugio, convinti che l’albergo non dovrebbe comunque essere colpito proprio per la presenza della stampa. Ma non è solo questo il motivo per cui si evita il rifugio. Il caldo, laggiù nei sotterranei, è soffocante, impossibile dormire, impossibile sapere cosa stia effettivamente accadendo. Molti preferiscono cenare insieme ad altri colleghi in questo o quell’ufficio coperti dal buio più assoluto dell’oscuramento, accompagnando il cibo con una buona bottiglia di vino. Un modo assai più efficace di esorcizzare quella paura che non puoi non sentire dentro di te quando si alza il rumore assordante della battaglia aerea e delle bombe che esplodendo scuotono edifici e finestre. E, soprattutto, non puoi non chiederti se potrai rivedere il giorno.

Silenzio sulle vittime civili

Mancano notizie attendibili sulle vittime di questa guerra. Gli Stati uniti e l’Occidente cercano di nasconderne il numero per evitare le polemiche che già sono esplose intorno alla guerra del Golfo. Le autorità locali da parte loro non sembrano da meno e non intendono fornire dati sull’«efficacia» dei bombardamenti né rilasciare notizie che potrebbero, a loro parere, demoralizzare l’opinione pubblica interna e quella araba. Certo, di vittime ve ne dovrebbero già essere state più di quanto non si creda, anche perché l’«operazione chirurgica», tanto ostentata nei primi giorni dei bombardamenti, sembra lasciar il passo a attacchi indiscriminati. Soprattutto fuori Baghdad e nelle periferie. Anche a pochi passi dallo stesso Hotel Rashid.
Sabato pomeriggio, verso le tre, un gruppo di giornalisti stava lasciando l’albergo distribuito su quattro taxi quando un tremendo boato, spentosi poi in un rovinio di calcinacci e pezzi di ferro, ha scosso l’intero edificio. Un aereo alleato ha pensato bene di lanciare un missile contro il piccolo corteo di auto che stava lasciando l’albergo, sbagliando – fortunatamente – la mira. Un obiettivo «chiaramente» militare. Viene da chiedersi cosa possa avvenire lontano dagli occhi della stampa. Laggiù in Kuwait, per esempio, dove missili Cruise e bombe si rovesciano senza sosta sulla città. O a Bassora, nel sud dell’Iraq, o nel lontano nord.

Dal confine giordano

Lasciando Baghdad verso il confine giordano lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è impressionante: aerei che attraversano il cielo, le lunghe colonne di fumo nero e intenso, lungo tutto l’orizzonte, a segnalare i luoghi dove una volta sorgevano fabbriche, uffici, abitazioni. Dirigendosi a tutta velocità verso la frontiera giordana su taxi dai costi proibitivi – e per questo del resto disposti a rischiare il tutto per tutto e portare i giornalisti stranieri fuori città, verso Amman – non c’è località, lungo le centinaia di chilometri che si percorrono, che non sia stata colpita: Abu Ghraib, Falluja, Ramadi, Ar Rutba. Ogni uscita dall’autostrada deserta è segnalata poco lontano, dopo quelle laggiù all’orizzonte, da alcune colonne di fumo. Aerei americani e della Nato sfrecciano nel cielo sopra l’unica strada di comunicazione con la Giordania, le auto si fermano improvvisamente nella notte, spegnendo i fari, finché laggiù all’orizzonte, verso la capitale, non si accendono i primi bagliori delle bombe che cadono sulla città.

Una sensazione di sollievo fortissima e primitiva: “Questa volta non è toccato a noi”, un sorso di vino o di birra e via di nuovo nella notte e nelle tenebre appena incrinate dalle luci di posizione. Tenere gli anabbaglianti o gli abbaglianti sarebbe troppo pericoloso. Via ancora, finché nel cielo stellato, stupendo come sempre in questi paese, non si sente di nuovo il rombo degli aerei. Le macchine si fermano di nuovo e c’è chi per maggiore sicurezza lascia le auto e si allontana verso i campi, per cercare protezione nel buio. Così per centinaia di chilometri, mentre in senso opposto si muovono colonne di mezzi militari diretti verso il fronte (…).

Fonte:

GAZA, LUGLIO 2014: UMANITA’ DOVE SEI? – PARTE PRIMA

Se le “democrazie” di tutto il mondo – compreso lo stato italiano – forniscono a Israele armi di distruzione di massa; se i media mainstream gridano allo scandalo di centinaia di razzi lanciati – che per fortuna non hanno fatto vittime ( e spero non ne faranno) – e chiamano terroristi i palestinesi, di cui la maggior parte donne e bambini, ammazzati come mosche; se i coloni israeliani si godono lo spettacolo dei bombardamenti seduti come a un cinema all’aperto e applaudendo a ogni esplosione; se Israele continua a fare vittime innocenti, dov’è l’umanità? Negli oltre cento martiri palestinesi di questi giorni.

D. Q.

 

Qui la foto che ritrae i coloni di Sderot mentre vanno al “cinema”:

“[…] gli abitanti di Sderot, nel sud di Israele, ieri notte hanno portato le loro sedie in cima alla collina che sovrasta la Striscia di Gaza per godersi lo spettacolo “cinematografico” dei bombardamenti: secondo il giornalista Allan Sorensen, che ha postato la foto su Twitter, gli spettatori applaudivano a al suono di ogni esplosione.”

sderot cinema

Fonte: Nena News

 

Qui un articolo de il manifesto sulle armi fornite a Israele:

Ecco il contributo dell’Italia ai raid dell’aviazione di Tel Aviv

— Manlio Dinucci,

Armi. La cooperazione sancita da una legge del 2005. Coinvolte le forze armate all’interno di un vincolo di segretezza

I cac­cia­bom­bar­dieri che mar­tel­lano Gaza sono F-16 e F-15 for­niti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed eli­cot­teri da guerra), insieme a migliaia di mis­sili e bombe a guida satel­li­tare e laser.

Come docu­menta il Ser­vi­zio di ricerca del Con­gresso Usa (11 aprile 2014), Washing­ton si è impe­gnato a for­nire a Israele, nel 2009–2018, un aiuto mili­tare di 30 miliardi di dol­lari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo svi­luppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washing­ton di una sorta di cassa con­ti­nua per l’acquisto di armi sta­tu­ni­tensi, tra cui sono pre­vi­sti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inol­tre usare, in caso di neces­sità, le potenti armi stoc­cate nel «Depo­sito Usa di emer­genza in Israele». Al con­fronto, l’armamento pale­sti­nese equi­vale a quello di chi, inqua­drato da un tira­tore scelto nel mirino tele­sco­pico di un fucile di pre­ci­sione, cerca di difen­dersi lan­cian­do­gli il razzo di un fuoco artificiale.

Un con­si­stente aiuto mili­tare a Israele viene anche dalle mag­giori potenze euro­pee. La Ger­ma­nia gli ha for­nito 5 sot­to­ma­rini Dol­phin (di cui due rega­lati) e tra poco ne con­se­gnerà un sesto. I sot­to­ma­rini sono stati modi­fi­cati per lan­ciare mis­sili da cro­ciera nucleari a lungo rag­gio, i Popeye Turbo deri­vati da quelli Usa, che pos­sono col­pire un obiet­tivo a 1500 km. L’Italia sta for­nendo a Israele i primi dei 30 veli­voli M-346 da adde­stra­mento avan­zato, costruiti da Ale­nia Aer­mac­chi (Fin­mec­ca­nica), che pos­sono essere usati anche come cac­cia per l’attacco al suolo in ope­ra­zioni bel­li­che reali.

La for­ni­tura dei cac­cia M-346 costi­tui­sce solo una pic­cola parte della coo­pe­ra­zione mili­tare italo-israeliana, isti­tu­zio­na­liz­zata dalla Legge n. 94 del 17 mag­gio 2005. Essa coin­volge le forze armate e l’industria mili­tare del nostro paese in atti­vità di cui nes­suno (nep­pure in par­la­mento) viene messo a cono­scenza. La legge sta­bi­li­sce infatti che tali atti­vità sono «sog­gette all’accordo sulla sicu­rezza» e quindi segrete. Poi­ché Israele pos­siede armi nucleari, alte tec­no­lo­gie ita­liane pos­sono essere segre­ta­mente uti­liz­zate per poten­ziare le capa­cità di attacco dei vet­tori nucleari israe­liani. Pos­sono essere anche usate per ren­dere ancora più letali le armi «con­ven­zio­nali» usate dalla forze armate israe­liane con­tro i palestinesi.

La coo­pe­ra­zione mili­tare italo-israeliana si è inten­si­fi­cata quando il 2 dicem­bre 2008, tre set­ti­mane prima dell’operazione israe­liana «Piombo fuso» a Gaza, la Nato ha rati­fi­cato il «Pro­gramma di coo­pe­ra­zione indi­vi­duale» con Israele. Esso com­prende: scam­bio di infor­ma­zioni tra i ser­vizi di intel­li­gence, con­nes­sione di Israele al sistema elet­tro­nico Nato, coo­pe­ra­zione nel set­tore degli arma­menti, aumento delle eser­ci­ta­zioni mili­tari con­giunte.
In tale qua­dro rien­tra la «Blue Flag», la più grande eser­ci­ta­zione di guerra aerea mai svol­tasi in Israele, cui hanno par­te­ci­pato nel novem­bre 2013 Stati uniti, Ita­lia e Gre­cia. La «Blue Flag» è ser­vita a inte­grare nella Nato le forze aeree israe­liane, che ave­vano prima effet­tuato eser­ci­ta­zioni con­giunte solo con sin­goli paesi dell’Alleanza, come quelle a Deci­mo­mannu con l’aeronautica ita­liana. Le forze aeree israe­liane, sot­to­li­nea il gene­rale Ami­kam Nor­kin, stanno spe­ri­men­tando nuove pro­ce­dure per poten­ziare la pro­pria capa­cità, «accre­scendo di dieci volte il numero di obiet­tivi che ven­gono indi­vi­duati e distrutti». Ciò che sta facendo in que­sto momento a Gaza, gra­zie anche al con­tri­buto italiano.

Fonte:

http://ilmanifesto.info/ecco-il-contributo-dellitalia-ai-raid-dellaviazione-di-tel-aviv/

 

Qui gli ultimi aggiornamenti da Nena News:

11 lug 2014
by Redazione

Israele intima a 100mila gazawi residenti a Beit Lahiya e Beit Hanoun di lasciare le proprie case. Abbas fa lo stesso appello: “Negoziati falliti”. Obama si offre come mediatore

 

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Giorno 3 – giovedì 1o luglio

Giorno 2 – mercoledì 9 luglio

Giorno 1 – martedì 8 luglio

 

dalla redazione

AGGIORNAMENTO ore 18 – ONU: “L’ATTACCO ISRAELIANO POTREBBE VIOLARE IL DIRITTO INTERNAZIONALE”

Secondo l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’operazione israeliana in corso contro Gaza solleva dubbi sul rispetto del diritto internazionale, il diritto internazionale umanitario e quello di guerra. La portavoce, Ravina Shamdasani, ha detto che l’ufficio ha ricevuto rapporti su “numerose vittime civili, compresi bambini, dovuti al bombardamento di case. Tali rapporti sollevano dubbi sul rispetto da parte israeliana del diritto internazionale”. La Shamdasani ha aggiunto che gli attacchi alle case sono una violazione del diritto di guerra a meno che non siano usate per fini militari, ma che “in caso di dubbio, se l’edificio è normalmente utilizzato per fini civili, come abitazione, non può essere considerato un target legittimo”.

 

AGGIORNAMENTO ore 17.30 – COLPITA LA MOSCHEA DI ZEITOUN

La moschea del quartiere di Zeitoun è stata colpita dall’aviazione israeliana dopo la preghiera del venerdì. Almeno sette i feriti.

 

AGGIORNAMENTO ore 15.15 – HAMAS MINACCIA: “COLPIREMO L’AEROPORTO DI TEL AVIV”

Le Brigate Al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno emesso un comunicato diretto alle compagnie aeree internazionali, nel quale avvertono dell’intenzione di colpire con i missili l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, perché sede della base aerea militare n. 27.  ”Decliniamo ogni responsabilità legale e etica per danni ai vostri passeggeri o ai vostri aerei da e per il suddetto aeroporto”, si legge nel comunicato. Secondo l’Autorità israeliana per gli aeroporti, le attività dello scalo sono state sospese per 10 minuti dopo l’allarme lanciato da una sirena di emergenza, ma tutti i voli programmati sono partiti e arrivati senza problemi.

AGGIORNAMENTO ORE 14.10: LE REAZIONI INTERNAZIONALI

OIC: L’organizzazione per la Cooperazione islamica ha condannato i continui raid israeliani su Gaza e ha esortato il  Consiglio di Sicurezza dell’Onu a impegnarsi per il cessate-il-fuoco.

TURCHIA: Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan avverte Tel Aviv: “Fermate l’oppressione, altrimenti la distensione dei rapporti tra Turchia e Israele non sarà possibile”.

Le relazioni tra i due Paesi erano precipitate ai minimi storici nel 2010, in seguito al blitz delle forze speciali israeliane sula Mavi Marmara, una delle navi della Freedom Flotilla che tentava in maniera pacifica di rompere il blocco su Gaza. Nell’assalto, avvenuto in acque internazionali, erano stati uccisi nove attivisti turchi. L’azione aveva provocato l’espulsione l’ambasciatore israeliano, la richiesta di scuse formali, di un risarcimento per le vittime e della fine dell’embargo sulla Striscia.

Lo crisi diplomatica tra i due Paesi, trasformatasi in uno stallo delle relazioni, è durata oltre un anno e la svolta, che dovrebbe portare a una normalizzazione, è arrivata con l’intervento del presidente Usa, Barack Obama.

Ieri Erdogan, candidato per le presidenziali di agosto, ha detto che sebbene le prime due condizioni – scuse e risarcimento – siano state soddisfatte, l’operazione militare contro Gaza mostra che Israele non ha intenzione di soddisfare la terza condizione posta da Ankara, cioè la fine dell’embargo. Condizione che comunque Tel Aviv non sembrava affatto intenzionata a soddisfare.  Nena News

 

AGGIORNAMENTO ORE 13.15: L’Egitto ha chiuso il valico di Rafah dopo appena un giorno di apertura durante il quale sono riuscite a passare soltanto 11 persone. Nei raid israeliani sono stati feriti 600 palestinesi e il Cairo aveva aperto il valico ieri per consentire ai feriti gravi di curarsi in Egitto.

 

AGGIORNAMENTO ORE 13.00: LE REAZIONI INTERNAZIONALI

EGITTO: Oggi il Cairo ha stigmatizzato l’attacco israeliano a Gaza, parlando di “oppressive politiche di punizione collettiva” con un impiego “eccessivo e non necessario della forza militare” che sta provocando la “morte di innocenti”.

Una critica che arriva dopo il rifiuto egiziano di mediare una cessate-il-fuoco tra Tel Aviv e Hamas, che aveva fatto sperare in una fine delle violenze. L’intervento egiziano era stato richiesto da Abbas che ieri ha dovuto arrendersi di fronte al diniego del Cairo.

Il ministero egiziano degli Esteri ha rivolto un appello alla cosiddetta comunità internazionale per il raggiungimento di quella tregua che però il Cairo non ha voluto mediare, come accaduto nel 2012 per la precedente campagna militare contro Gaza denominata ‘Pilastri di difesa’.

Da allora la situazione in Egitto è molto cambiata. Il golpe del 3 luglio dell’anno scorso ha portato al potere il generale Abdel Fattah al-Sisi, nemicoga giurato dei Fratelli Musulmani legati ad Hamas. Soltanto ieri l’Egitto ha aperto il valico di Rafah, l’unica via di fuga oltre a Erez controllato dagli israeliani, per consentire il passaggio dei feriti più gravi. Nena News

 

AGGIORNAMENTO ORE 12.00: Sono 11 le vittime della quarta notte consecutiva di raid israeliani sulla Striscia di Gaza, tra cui cinque membri della famiglia Ghannam la cui casa, a Rafah, è stata rasa al suolo. L’offensiva denominata ‘Barriera Protettiva’ sinora ha fatto cento morti tra i palestinesi intrappolati in questo piccolo lembo di terra e circa la metà sono donne e bambini. È la più grande operazione militare israeliana contro Hamas a Gaza dal 2012: sono stati colpiti 1.090 obiettivi, mentre i razzi lanciati dalla Striscia sarebbero 407 e altri 118 sono stati intercettati dal sistema di difesa israeliano Iron Dome, secondo quanto riferito dalle Forze armate israeliane.

Nonostante le dichiarazioni di Tel Aviv che parla di attacchi mirati, nel mirino dell’aviazione israeliana non ci sono soltanto basi di Hamas e della Jihad islamica, o gli edifici pubblici, ma le case di decine di famiglie di gazawi. Oltre 300 abitazioni private sono state distrutte o danneggiate e circa duemila persone sono rimaste senza casa.

Durante la notte la marina israeliana ha puntato i suoi cannoni sul porto di Gaza City, colpendo anche l’Arca di Gaza, l’imbarcazione già bruciata lo scorso aprile che avrebbero dovuto compiere un viaggio simbolico nel Mediterraneo per rompere l’embargo israeliano.

 

porto

 

L’allerta è alta per il timore di un’offensiva di terra. Israele ha schierato i suoi carri armati al confine, ha richiamato almeno 40.000 riservisti  e ieri ha bombardato il versante palestinese del valico di Erez. Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas, ha accusato di codardia gli israeliani, dicendo che un’offensiva di terra sarebbe un errore. In una dichiarazione separata, il braccio armato del movimento islamico che governa Gaza dal 2007, le Brigate al-Qassam, ha di fatto minacciato di rapire soldati israeliani: “Un’offensiva via terra sarebbe un’opportunità per i prigionieri palestinesi”.

TERRITORI OCCUPATI

C’è rabbia nei Territori Occupati per la sorte dei palestinesi di Gaza. Ieri sera Betlemme una marcia di solidarietà è finita in scontri con i soldati israeliani: almeno nove i feriti tra i palestinesi, tra cui un ragazzo colpito da un proiettile al piede. Intanto, nel secondo venerdì di Ramadan, le autorità israeliane hanno limitato l’accesso alla moschea di al-Aqsa. Nena News

 

AGGIORNAMENTO ORE 9.30: Un razzo sparato dalla Striscia di Gaza ha colpito una stazione di rifornimento nei pressi di Ashdod, stamattina, 28 chilometri dal nord di Gaza, provocando un’esplosione in cui sono rimaste ferite tre persone, di cui una in maniera grave, secondo quanto riferito da fonti israeliane.

Nella Striscia, invece, il bilancio delle vittime continua ad aumentare. Secondo il portavoce del Servizio di emergenza di Gaza, Ashraf al-Qudra, sono circa 95 i gazawi uccisi da quando è iniziata l’operazione ‘Barriera Protettiva’ quattro giorni fa.

AGGIORNAMENTO ORE 9.00: Due razzi sono stati lanciati dal Libano, dall’area di Hasbaya, alle 6.30 di stamattina e sono caduti nei pressi dell’insediamento di Kfar Yuval, senza provocare danni, secondo quanto riferito dalle Forze armate israeliane che hanno risposto con l’artiglieria.

 

Gerusalemme, 11 luglio 2014, Nena News – L’offensiva via terra si avvicina. La tragedia che soffoca Gaza potrebbe intensificarsi ancora di più: con una serie di sms il governo di Tel Aviv ha intimato a 100mila gazawi residenti nel nord della Striscia, a Beit Lahiya, Beit Hanoun e Abasan al-Saghira, di lasciare le proprie case. Il presidente dell’ANP Abbas – dopo aver annunciato il fallimento di ogni tentativo di dialogo anche attraverso la mediazione parziale dell’Egitto – ha fatto appello alla popolazione perché se ne vada nel timore di una carneficina.

Israele ha richiamato 20.000 riservisti e stanotte è entrata in azione la marina israeliana che ha lanciato almeno due missili verso il porto di Gaza City. In fiamme anche Arca di Gaza della FreedomFlotilla.

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Novanta palestinesi sono morti nei raid. Ogni tentativo diplomatico è fallito. Ieri, durante una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il Segretario Generale Ban Ki-moon ha lanciato un appello al cessate-il-fuoco, mentre il presidente Usa, Barack Obama ha parlato con il premier Netanyahu offrendosi come mediatore per un cessate-il-fuoco con Hamas. Negli ultimi giorni sono stati lanciati circa 550 razzi dalla Striscia di Gaza, mentre i raid israeliani sono stati oltre 800.

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