CHE TUTTI SAPPIANO: STA BRUCIANDO IL PARCO NAZIONALE DELL’ASPROMONTE.

Condivido anche qui, e invito tutti a farlo su qualunque social, il tragico appello dell’Associazione Guide Ufficiali del Parco Nazionale dell’Aspromonte: https://www.facebook.com/guideufficialiparcoaspromonte

CHE TUTTI SAPPIANO

Sta bruciando l’Aspromonte. Non sterpaglie o erba secca, l’Aspromonte selvaggio e quasi intatto, quello dei boschi antichi, degli alberi millenari e dall’altissimo pregio.

Bruciano la foresta di Acatti e la Valle Infernale, di recente divenuta patrimonio UNESCO. Brucia lo Zomaro e i boschi di Roccaforte, nuovi focolai si segnalano nell’area grecanica.

La conclusione di questo inferno è ancora lontana dall’essere raggiunta.

Mani criminali continuano ad appiccare fuochi e la lotta sembra impari.

Non stiamo parlando di qualche boschetto, buono per farci una passeggiatina e pubblicare un paio di foto su instagram, ma sono i boschi della zona a tutela integrale, dall’altissimo valore naturalistico per noi, per la Calabria, l’Italia e per tutto il mondo. È come se bruciassero i Bronzi di Riace e noi li potessimo vedere mentre il metallo si scioglie e cola sulle basi di marmo… anzi peggio, perché questo fuoco causerà gravi danni alle nostre vite nel prossimo e medio futuro. Chi brucia un bosco brucia un pezzo del presente e del futuro di tutti e molti non si stanno rendendo conto del danno ENORME, che stiamo subendo ed abbiamo subito.

Se non l’avessimo capito, la situazione è gravissima e quindi è bene che tutti sappiano che sta bruciando IL PARCO NAZIONALE DELL’ASPROMONTE.

Che siate maledetti, voi che bruciate e voi che non avete fatto ciò che sarebbe servito a fermarli. Criminali e complici dei criminali.

Che tutti sappiano che il disastro non si è ancora compiuto.

Che tutti sappiano che si sarebbe potuto evitare il peggio. Che tutti sappiano che chiederemo il conto di questo disastro.

Che tutti sappiano che i boschi più belli dell’Aspromonte sono quasi in cenere.

Che tutti sappiano che l’Aspromonte è in guerra e che non finirà quando il fuoco sarà spento.

Che tutti sappiano che non abbiamo più lacrime.

Che tutti sappiano.

Sigh

La pandemia del permafrost: nuove malattie mortali dai ghiacci dell’Artico?

Mentre l’Artico si surriscalda, un gruppo di scienziati sta valutando il rischio che possano ritornare malattie mortali dal lontano passato: si tratta di batteri e microbi che si sarebbero conservati negli strati di ghiaccio permanente, che è però sempre più a rischio di disgelo

La settimana scorsa in alcune parti del Circolo Polare Artico faceva più caldo di quanto ne abbia mai fatto nel Regno Unito. Inoltre i dati satellitari indicano che mentre l’aria nel nord-est della Siberia raggiungeva i torridi 38° C, la temperatura della superficie terrestre era ancora più alta, 45° C – allarmante. Questa ondata di caldo da record, legata, sia chiaro, al riscaldamento globale, arriva mentre il mondo intero è colpito dalla pandemia di Covid-19, un virus microscopico che ha ucciso mezzo milione di persone e paralizzato l’economia globale.

Le due crisi potrebbero essere meno distanti di quanto non sembri. L’Artico svolge un ruolo importante nella storia del cambiamento climatico. Non solo si sta surriscaldando almeno al doppio della velocità del resto del mondo, ma ciò che accade lì si ripercuote ovunque. L’innalzamento del livello del mare? È dovuto allo scioglimento dei ghiacciai. Il cambiamento climatico fuori controllo? A causa del metano e del carbonio immagazzinati nel permafrost.

Il ruolo che l’area può svolgere nel rilascio di malattie a lungo latenti è meno chiaro. Ne risulta una vera e propria trama di fantascienza che affascina i giornalisti ma si tratta di un campo piuttosto recente per un’adeguata ricerca scientifica.

 

Per decenni solo i russi hanno effettivamente analizzato se e per quanto tempo i microbi potrebbero sopravvivere nel permafrost, ma ora l’intera comunità scientifica ne sta prendendo atto.

 

Lo scorso novembre a Hannover, in Germania, scienziati provenienti da tutto il mondo e competenti in tutti i settori di studio essenziali, dalla climatologia alla geologia e virologia, si sono incontrati per il primo grande scambio di esperienze concentrandosi sulla minaccia di microbi rivitalizzati dal disgelo del permafrost.

 

LA SCOMPARSA DEL PERMAFROST

È qualsiasi materiale terrestre sottoposto a temperature pari o inferiori a 0 gradi centigradi per un periodo di due o più anni consecutivi. Il materiale terrestre può essere qualsiasi cosa: terreno organico, terreno minerale, sabbia, ghiaia. Il ghiaccio di un ghiacciaio o una banchisa può rientrare in questa definizione, ma gli specialisti del permafrost tendono a non includerlo.

Il permafrost, ha sottolineato il dottor Romanovsky a “Unearthed”, non si scioglie. Si disgela. All’interno vi è del ghiaccio ma una volta sciolto, il terreno rimane. Quando ciò accade, cessa di essere permafrost e ciò che era congelato ora non lo è più. Tale disgelo potrebbe portare al rilascio delle enormi riserve di gas serra di carbonio e metano del permafrost, uno dei punti di non ritorno che potrebbero preannunciare il precipitare del cambiamento climatico.

«In molte aree il permafrost si sta già disgelando dall’alto verso il basso», ha detto il dottor Romanovsky, spiegando che sebbene il permafrost più sotterraneo rimanga congelato tutto l’anno, vasti tratti del permafrost superiore, fino a mezzo metro di profondità, stanno subendo uno spostamento totemico. «Abbiamo osservato che nell’estremo nord dell’Artico canadese, dove le temperature del permafrost sono ancora intorno ai -14° C, si sta già disgelando dall’alto.

 

Ciò significa che parte del materiale che è stato congelato per migliaia di anni non è più ininterrottamente congelato.

 

Questo è uno sviluppo recente, solo degli ultimi 10 o 20 anni».

Le temperature in rapido aumento nell’area stanno aumentando la profondità dello strato attivo del permafrost, la parte, il più delle volte vicino alla superficie, che per i periodi dell’estate è composto d’acqua anziché ghiaccio. Il dottor Romanovsky ha affermato: «Quanto del permafrost si è già disgelato? Non molto, perché il processo è appena iniziato.L’aumento del livello attivo è iniziato negli anni ’90 mentre il disgelo a lungo termine del permafrost solo recentemente, negli ultimi 10 anni. Questo è solo l’inizio. Ma si velocizzerà con il passare del tempo e dovremmo aspettarci che il deterioramento del permafrost aumenti nei prossimi decenni».

 

LA VITA TROVA SEMPRE UN MODO PER FARSI STRADA

Il permafrost non ha bisogno di sciogliersi del tutto né tutto l’anno per permettere ai microrganismi congelati nel terreno di prendere vita o di raggiungere il talik, uno strato sopra il permafrost, raramente se non mai congelato. Tale strato attivo, sempre più grande e da più tempo attivo, diventa un nuovo habitat, dove «è sufficiente un aumento di acqua non congelata per attivare alcuni processi biologici».

Difatti, questi microbi, risvegliati dal loro lungo letargo, possono approfittarne per spostarsi verso i talik, dove è più difficile che si ricongelino. Dopo Romanovsky, la platea di Hannover ha successivamente ascoltato Jean Michel Claverie, un virologo dell’Università di Aix-Marseille, il quale lavora con sua moglie Chantal Abergel, rinomata esperta a pieno titolo.

 

«L’idea che i batteri possano sopravvivere a lungo penso che sia definitivamente accettata», ha detto il dottor Claverie a Unearthed.

 

«Il dibattito ormai è: per quanto tempo? Per un milione di anni? 500.000? 50.000? Ma, sì, ci sono documenti estremamente validi che affermano che si possono rivitalizzare i batteri dal permafrost più profondo».

La coppia utilizza virus a Dna (di cui ne riparleremo a breve) recuperati dal permafrost nei pressi del fiume Kolyma nella Siberia nord-orientale e infetta l’ameba per determinare in sicurezza se funzionano ancora come dovrebbero. La dottoressa Abergel ha dichiarato: «Questa è una prova del principio che stiamo eseguendo in laboratorio. Siamo in grado di rivitalizzare i virus da antichi campioni di permafrost. Finora non siamo stati in grado di raggiungere i 30.000 anni, ma in futuro potremmo arrivarci».

 

 

La regione russa della Kolyma (fonte:commons.wikimedia.org)

 

 

LA WATCHLIST

Quindi quali sono le malattie latenti studiate? C’è davvero una pandemia del permafrost che dovremmo temere? Gli scienziati non sono sicuri.

Secondo Abergel e Claverie, i virus a Dna rappresentano il principale motivo di preoccupazione. Essendo più resistenti dei virus a Rna, è più probabile che emergano relativamente intatti dal loro stato congelato. «I virus a Rna sembrano essere molto più fragili, normalmente non dovrebbero essere in grado di sopravvivere così a lungo. Invece i virus a Dna essendo chimicamente più stabili risultano più robusti per questo tipo di processo», ha affermato Claverie.

«Nessuno ha mai provato a rivitalizzare i virus a Rna dal permafrost perché non infettano l’ameba o altre specie, ad esempio. E l’unico modo per valutare la sopravvivenza dei virus è utilizzare gli organismi ospiti». Ciò comporterebbe che è estremamente improbabile che i batteri dell’influenza spagnola, che come Covid-19 è un virus a Rna, trovati nei cimiteri dell’Alaska del nord, saltino fuori dal ghiaccio.

 

Il virus a Dna più noto, a cui fa riferimento il lavoro dei coniugi virologi, è il vaiolo, la malattia più mortale della storia moderna, ma che è stata sradicata a seguito delle vaccinazioni.

 

Il dottor Claverie è in gran parte scettico rispetto alla minaccia di malattie batteriche rivitalizzate, come la peste, per esempio, perché «uccideranno un paio di persone ma ora disponiamo di antibiotici». Forse l’epidemia più nota di una malattia artica è stata quella della varietà batterica dell’antrace. Ma l’episodio del 2016 febbrilmente riportato, che ha ucciso migliaia di renne in Siberia e infettato circa una dozzina di persone, potrebbe non essere emerso dal permafrost, secondo un recente studio.

Romanovsky e i suoi colleghi ritengono che l’epidemia sia stata così grave perché il governo russo ha modificato la sua politica sulla vaccinazione degli animali, che ha poi annullato. La dottoressa Brigitta Evengård, a capo della realizzazione dello storico evento di Hannover, è stata decisamente meno pronta a escludere la minaccia dei batteri congelati. Lei considera l’emergente crisi di resistenza agli antibiotici come un moltiplicatore di rischio.

Dopo essere tornata da una breve pausa dall’esercizio della medicina, quando i medici svedesi sono stati chiamati a sostenere gli sforzi per far fronte alla Covid-19, a “Unearthed” ha affermato: «Il mio peggior scenario? Quello che sta già succedendo di tanto in tanto, solo qualche anno fa vi è stato un focolaio in Madagascar. La Pasteurella pestis, ossia la peste, resistente agli antibiotici».

Sebbene abbia ammesso che il rischio di insorgenza di malattie resistenti agli antibiotici sia basso, non è impossibile. «La resistenza pandemica agli antibiotici ucciderà ogni anno più della pandemia di coronavirus». E per quanto riguarda le possibili pandemie dall’Artico? «In base alle nostre conoscenze, le due che potrebbero emergere dal permafrost sono l’antrace e il vaiolo, ma oltre a questi è un vaso di Pandora».

 

TROVARE UN ORGANISMO OSPITE

Una volta scongelati, questi microbi del permafrost devono trovare un ospite per sopravvivere. Ma hanno un problema: non ci sono molte persone che vivono nella zona e quelli che ci vivono, spesso si tratta di abitanti di villaggi indigeni, non sono in frequente contatto con estranei, il che significa che la diffusione dell’infezione sarebbe presumibilmente limitata.

«Il vero pericolo non è di per sé il disgelo del permafrost», ha affermato il dottor Claverie,«è che gli uomini, soprattutto i russi, stanno iniziando a sfruttare le regioni artiche e stanno realizzando grandi fori da cui estrarre strati di permafrost che risalgono a un milione di anni». «Questa è la ricetta per un disastro perché mettiamo in contatto uomini e virus, quando quest’ultimo è fresco. Cosa succede quando i virus vengono rilasciati dal permafrost in natura? Si riversano nel fiume. Sono esposti all’ossigeno, che è dannoso per i virus. Sono esposti alla luce, che è altresì dannoso. E quindi se non trovano rapidamente un ospite non resteranno rivitalizzati a lungo».

 

Quindi è come se il permafrost fosse l’oceano e i microbi gli squali. Non andare a fare surf quando ci sono gli squali nell’acqua e dovrebbe andare tutto bene.

 

La dottoressa Abergel ha dichiarato: «Se [i virus] entrano in contatto con un adeguato organismo ospite, si riattiveranno. Quindi se metti un essere umano in un posto con virus congelati associati alla pandemia, quegli uomini potrebbero essere infettati e replicare il virus, iniziando una nuova pandemia».

Ma come ha sottolineato la dottoressa Evengård, gli uomini non sono gli unici potenziali ospiti là fuori. «Con i cambiamenti climatici, vediamo la migrazione degli animali. Noi individui, tendiamo a stare nelle nostre case se ci troviamo relativamente bene. Tuttavia supponiamo che siate vicino alla costa del Bangladesh, in tal caso potreste già iniziare a spostarvi verso l’entroterra. La più grande migrazione di rifugiati climatici è ancora nei loro paesi d’origine. Ma gli animali si muovono».

La dottoressa ha sottolineato che i cambiamenti climatici hanno portato il flusso dell’ecosistema globale a muoversi ed è quasi impossibile dire come andranno le cose.

 

Le alci e le lepri, ad esempio, stanno migrando verso nord mentre la vegetazione affiora e poi ovviamente ci sono uccelli e pesci e i loro flussi migratori che a volte attraversano il globo.

 

«Questi animali possono portare i microrganismi in aree incontaminate», ha detto la dottoressa Evengård, “e accadranno cose che semplicemente non possiamo prevedere. Si può dire che l’Artico è spazioso e poco popolato, ma ci sono persone che vanno e vengono, sì, i minatori, e ci sono microrganismi che vengono con animali e che risalgono persino dalla terra. La dinamica in corso è nuova». L’esperienza del Coronavirus «ha appena rafforzato la mia convinzione che quello che sto facendo è assolutamente importante», ha detto.

«Non sono sorpresa, non si tratta di sapere se questo sarebbe successo ma quando sarebbe successo. L’unico vero nemico è la nostra ignoranza, alla quale non stiamo provvedendo. Abbiamo tutte queste conoscenze, non è poi una novità. Questo è il processo dinamico nel quale stiamo entrando con l’era del cambiamento climatico. Dovremmo essere più preparati, invece siamo seduti qui, paralizzati dalla paura […] Questo è un avvertimento da parte della natura e succederà ancora e ancora e ancora, ne sono certa».

 

Articolo originariamente pubblicato su Unearthed.

Traduzione dall’inglese di Giulia Musumeci per DINAMOpress

Foto di copertina di Sarah N da Pixabay

 

 

Fonte:

https://www.dinamopress.it/news/la-pandemia-del-permafrost-nuove-malattie-mortali-dai-ghiacci-dellartico/

Talmente presi dal Coronavirus, non ci stiamo preoccupando di queste terribili notizie (per noi e per il Pianeta)

Talmente presi dal Coronavirus, non ci stiamo preoccupando di queste terribili notizie (per noi e per il Pianeta)

Il Coronavirus è, inevitabilmente, l’argomento sulla bocca di tutti in questi giorni. Una situazione che si sta cercando di gestire, ma che di fatto ci sta facendo sottovalutare altri problemi molto seri che, una volta conclusa l’emergenza virus, ci troveremo comunque a dover affrontare.

Smettiamo per un attimo di pensare al Coronavirus, ai contagiati, a chi si trova in quarantena, ai supermercati svuotati e alle tante conseguenze di questa emergenza che sta vivendo il nostro paese. Prima o poi, tutto questo finirà ma, nel frattempo, l’attenzione verso altri gravi questioni che riguardano il nostro pianeta e tutti noi è un po’ troppo calata.

Mentre cerchiamo di isolare questo nuovo virus, cosa accade (di altro) nel mondo? La crisi climatica e sociale che stiamo vivendo è la più grande sfida che abbiamo mai affrontato. La vita sulla Terra è a rischio. Ma tutto questo non fa rumore. Il Coranavirus ci spaventa perché si amplificata in men che non si dica la percezione del rischio.

Per queste drammatiche situazioni, però, di cui siamo in gran parte a conoscenza da tempo, dalla guerra in Siria allo scioglimento dei ghiacci, dall’invasione di cavallette alla deforestazione selvaggia, non c’è (e non c’è stata) nessuna corsa verso possibili soluzioni reali.

Ma solo negazione, indifferenza. O, peggio, rassegnazione.

Invasione di cavallette

Invasione locuste Africa

©FAO

In varie zone del mondo, dall’Africa all’Asia, è in corso una vera e propria invasione di cavallette, una situazione senza precedenti che, ovviamente, sta creando gravi danni. Questi insetti, infatti, stanno devastando i raccolti e di conseguenza creando danni economici oltre che mettendo seriamente a rischio l’approvvigionamento alimentare di zone del pianeta già a rischio fame.

L’Antartide si scioglie

antartide senza neve

L’Antartide si sta sciogliendo di fronte agli occhi di tutto il mondo. Vi abbiamo mostrato le immagini incredibili di quanto sta accadendo nella terra dei ghiacci, riprese sia dai satelliti che dai ricercatori sulla terraferma. Lo scioglimento rapido dei ghiacciai è causato da temperature ben al di sopra dello zero, un fenomeno che l’Antartide fino a poco tempo fa non conosceva ma che ora, purtroppo, è sempre più comune.

L’ultimo record è stato di ben 20 gradi, con i i ricercatori della base del professor Escudero, dell’Istituto cileno antartico, che hanno filmato uno spettrale e preoccupante paesaggio senza neve.

Leggi anche:

L’Artico si scioglie

artico buchi permafrost

© Miriam Jones, U.S. Geological Survey

Anche l’Artico è ormai irriconoscibile, il permafrost si sta sciogliendo a causa del riscaldamento globale ma siamo alle prese anche con un altro problema: la possibilità che il metano intrappolato sotto i ghiacci, con la sua mole 25 volte più dannosa della CO2, possa fuoriuscire a breve.

Caldo record

Ce ne siamo accorti tutti, fa tanto, troppo caldo, per essere ancora inverno. E i dati parlano chiaro: gennaio è stato il più caldo di sempre e anche febbraio non è da meno. Sembra che a breve torneranno freddo e neve, ma nel frattempo si sono verificati diversi problemi: le api sono state scombussolate da questo clima pazzo, le processionarie sono tornate a farsi vive in anticipo e anche le colture sono a rischio. Una situazione generale decisamente preoccupante. Senza contare che nei prossimi giorni le temperature subiranno un brusco calo e si attendono pioggia e neve.

Alberi abbattuti e disboscamento

Deforestazione Amazzonia

Continua indisturbata la strage di alberi in tutto il mondo. Anche nelle nostre città vengono abbattuti come se niente fosse, per fare spazio a nuove costruzioni e infrastrutture, senza considerare i danni ambientali e che il disboscamento è un problema da prendere seriamente in considerazione dato che iniziano a scarseggiare, o ad essere sempre più “poveri”, i polmoni verdi in diverse parti del pianeta.

Inquinamento

Smog infelicità

E’ calata l’attenzione anche verso un problema diffuso un po’ ovunque, Italia compresa, quello dell’inquinamento. Le centraline continuano a segnalare qualità dell’aria pessima in diverse città e, nel frattempo, in zone rosse come Taranto e la terra dei Fuochi si continua a morire per gli effetti di una situazione di inquinamento insostenibile e trascurata per anni.

I bambini siriani muoiono sotto le bombe o di freddo

papa siria 3

Le immagini e le notizie che provengono dalla Siria sono devastanti: i bambini muoiono sotto le bombe anche quando sono a scuola, altri invece li porta via il freddo mentre sono tra le braccia dei propri genitori all’interno dei campi per rifugiati. Vi abbiamo parlato anche di quel papà che si è inventato un gioco per far ridere la sua bambina mentre scoppiano le bombe.

Massacro di delfini

delfini baia taiji

©RicO’Barry’sDolphinProject/Facebook

Continua proprio in questi giorni il crudele massacro di delfini nella Baia di Taiji. Si parla, solo nelle ultime ore, di 55 delfini massacrati, compreso un cucciolo strappato alla sua mamma. Una situazione terribile e una tradizione dura a morire che da anni gli animalisti cercano di fermare ma senza successo.

Leggi anche:

Il coronavirus ha drasticamente ridotto le emissioni inquinanti della Cina

 

Fonte:

https://www.greenme.it/informarsi/ambiente/terribili-notizie-ambiente/?fbclid=IwAR0GGBhNH9Q4mHVo5CPRDRG3XIqSmkpIwkbWH1qjqxXj6Ke7NnbbaEcdeNA

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Cosa c’entra il Muos con la nuova guerra fredda per il controllo dell’Artico?

 

L’Artico, anche grazie all’azione del surriscaldamento globale che ha aperto nuove rotte e fatto affiorare nuovi giacimenti, è il nuovo terreno su cui si giocherà la prossima Guerra Fredda (già in corso).
 
Appare incredibile come il capitalismo riesca a trarre profitti e vantaggi commerciali anche dalle stesse catastrofi che ha causato.
 
Lo scioglimento dei ghiacci è l’effetto diretto dei cambiamenti climatici e questo potrebbe portare un enorme vantaggio agli stati che per primi riusciranno a “colonizzare” l’Artico.
 
“The Arctic is open for business” ci avverte in questo articolo National Geographic
 
 
Qualcuno se n’è accorto in anticipo. Parliamo degli Stati Uniti, guidati da un’amministrazione che continua a essere tra le più “negazioniste” in riferimento ai cambiamenti climatici.
 Cosa c’entra il Muos con la nuova guerra fredda per il controllo dell’Artico?

Cosa c’entra tutto questo col Muos?

 
Semplice, il sistema satellitare è l’unico che in questo momento riesce a garantire comunicazioni stabili con l’Artico.
 
Tutte le operazioni in quel territorio infatti sono possibili solo grazie a questa tecnologia.
 
Non ci credete? Date un’occhiata allo spot della Lockheed Martin sul Muos risalente al 2014:
 

 
“Activity in the arctic is growing as the polar sheet cap recedes. More people, shipping, exploration and search and rescue expose the need for secure communications to protect the region. However, getting satellite communications signal is extremely difficult. But not anymore”.
 
L’attività nell’Artico sta crescendo man mano che il mantello polare si ritira. Sempre più persone, spedizioni, esplorazioni e ricerche richiedono la necessità di comunicazioni sicure per proteggere la regione.
 
Tuttavia, ottenere il segnale di comunicazione satellitare è estremamente difficile.
 
Ma ora non più.
Fonte:

L’AMAZZONIA STA BRUCIANDO

L’Amazzonia sta andando a fuoco e il fumo si vede dallo spazio

Sono settimane che l’Amazzonia sta bruciando, mentre le politiche locali hanno intensificato la deforestazione. Lunedì, il fumo ha oscurato San Paolo.

Di Madeleine Gregory
21 agosto 2019, 11:34am

IMMAGINE A SINISTRA: NATIONAL OCEANIC AND ATMOSPHERIC ADMINISTRATION, IMMAGINE A DESTRA: ALBERTO SHIGUEMATSU

A metà della giornata di lunedì il cielo sopra San Paolo, in Brasile, è diventato buio.

La città, come altre parti degli stati federati del Brasile Mato Grosso e Paraná, è stata oscurata da una coltre di fumo causata dagli incendi che stanno divorando l’Amazzonia, stando alle testate locali.

All’inizio di questo mese, l’Amazonas (il più grande degli stati del Brasile) ha dichiarato lo stato di emergenza per via del numero sempre maggiore di incendi forestali, ha riportato Euro News. La stagione degli incendi nell’Amazzonia è solo all’inizio—va da agosto a ottobre, e raggiunge il suo picco a metà settembre—, ma il fumo è già così tanto che si può vedere dallo spazio.

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La settimana scorsa, la NASA ha pubblicato alcune immagini satellitari, che mostrano la distribuzione degli incendi e del fumo in Brasile. Citando il Global Fire Emissions Database, la NASA ha sottolineato che, per quanto i livelli degli incendi attuali siano leggermente sotto la media rispetto agli ultimi 15 anni, sono decisamente più alti della norma in alcuni stati, tipo Amazonas e Rondônia.

“Lo stato di Amazonas, in particolare, ha visto un’attività d’incendi ben sopra la media durante agosto,” ha detto Mark Parrington, uno scienziato che si occupa di emissioni legate agli incendi al Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine.

Stando a Parrington, le fiamme in Amazzonia rilasciano una media di 500-600 tonnellate di diossido di carbonio nel corso di un anno intero. Nel 2019, per ora, hanno già prodotto 200 tonnellate di gas serra. Stando al Global Fire Emissions Database, sono stati individuati 8.668 incendi nell’Amazonas fino a questo lunedì. Questo numero supera i dati degli anni passati ed è solo di poco inferiore al record del 2016 di 8.836.

Tramite le immagini satellitari si è potuto tracciare il moto di spostamento del fumo, che ha completamente saturato l’aria a San Paolo. Gustavo Faleiros, che lavora per il notiziario ambientalista InfoAmazonia, ha detto via mail che la qualità dell’aria è persino peggiore in campagna che in città.

“Chi abita in campagna ha iniziato a lamentarsi del fumo dovuto agli incendi, perché l’aria lì prima era pulita e nel frattempo la città è piena di fumo e cenere,” ha detto Alberto Shiguematsu, un abitante di San Paolo che sta pubblicando aggiornamenti su Twitter.

Stando a Shiguematsu, il cielo è diventato “molto scuro” intorno alle 15:15 di lunedì pomeriggio. Ha detto che nei 10 anni vissuti a San Paolo non aveva mai visto una cosa del genere. Magari leggeva sui giornali che c’era un incendio nell’Amazzonia, ma non avrebbe mai pensato che lo avrebbe colpito personalmente.

“Il fumo che arriva fin qui, a San Paolo, a migliaia di chilometri di distanza? Sono senza parole,” ha detto.

La notizia di questi incendi arriva nel mezzo di un’operazione di deforestazione estesa voluta dal presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, che ha scatenato non poche proteste localmente e molta preoccupazione a livello internazionale. Se il fumo dovuto agli incendi è una minaccia concreta per la salute degli abitanti della zona, un numero di incendi maggiore è anche un fattore di stress in più sulla foresta pluviale dell’Amazzonia come intero ecosistema.

In passato, l’umidità dell’Amazzonia l’ha protetta da incendi massicci, ma la siccità, la deforestazione e l’agricoltura potrebbero rendere gli incendi così frequenti da alterare completamente il paesaggio, ha avvertito uno studio nel 2014. Stando a un post di InfoAmazonia, l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile prevede che le precipitazioni piovose nell’Amazzonia centrale e settentrionale saranno il 40 o 50 percento sotto la norma nei prossimi tre mesi.

“C’è una relazione diretta tra l’aumento degli incendi e la deforestazione,” ha scritto Faleiros in un post. “Dei 10 comuni che hanno registrato gli incendi più consistenti nel 2019, sette sono anche nella lista di comuni con il numero più alto di avvisi di deforestazione.”

Questo articolo è apparso originariamente su VICE US.

Fonte:

https://www.vice.com/it/article/d3avvm/incendi-in-amazzonia-foresta-brasile-fumo-san-paolo?utm_campaign=sharebutton&fbclid=IwAR14prUMCLF0f02c8V9S24YsVegiqKzLlqPYI89xpe1rH48GKTvuP3art-Q

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