Quei 900mila detenuti negli ex gulag di Stalin

di Damiano Aliprandi 12 ago 2016 14:35

Costretti ai lavori coatti nelle colonie penali siberiane. Nadja Tolokno, attivista e cantante russa del gruppo punk rock Pussy Riot ha creato la piattaforma ?Justice Zone? per una mobilitazione contro il sistema carcerario russo

Gelide oasi in cui sono costretti migliaia di alienati, obbligati ai lavori coatti con orari massacranti, paghe da fame e senza il permesso di coprirsi, a 30-40 gradi sotto zero, con indumenti caldi che non siano il cappotto poco imbottito fornito dai carcerieri. Parliamo delle famigerate colonie penali sparse in Siberia. Nella Russia di Putin, formalmente esistono solo sette carceri ordinarie, il resto dei detenuti – che sono oltre 900 mila – vengono dislocati in queste strutture ereditate dai Gulag staliniani.
La condizione delle detenute.
Sono circa 750 le colonie penali e le donne, secondo i dati dell’autorità penitenziaria di Mosca, rappresentano una minoranza di oltre 47 mila detenute, spedite in 46 colonie femminili. E le donne subiscono delle torture che ricordano descrizioni non molto diverse dai quadri dei gulag tratteggiati dal grande romanziere Aleksandr Sol?enicyn, rinchiuso nel 1950. Una delle testimoni è Nade?da Andreevna Tolokonnikova, anche nota come “Nadja Tolokno”, un’attivista e cantante russa, nonché membro del gruppo punk rock Pussy Riot, finita in galera per aver cantato per mezzo minuto un inno contro Putin sull’altare della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Quando è uscita dalla colonia ha deciso di intraprendere una battaglia di mobilitazione per il sistema carcerario russo. Con altre attiviste ha creato la piattaforma “Justice Zone”: la base per l’azione collettiva di persone accomunate dall’interesse per il destino di quelle detenute le cui vite si stanno sgretolando sotto il sistema penale russo. Molte sono le testimonianze. Una è di Kira Sagaydarova, attivista di Justice Zone che nel passato aveva vissuto il dramma dei gulag “moderni”. Questi sono solo alcuni degli episodi che Kira ha vissuto: “Per i primi sei mesi ti uccidono lentamente. Rizhov, direttore della zona industriale, vuole che i supervisori dei laboratori di cucito raggiungano una certa quota di produzione, ma i supervisori non raggiungono la quota finché le nuove ragazze non imparano a cucire. Perciò i supervisori le picchiano. Una volta ti picchiano, poi magari ti strappano i capelli, ti sbattono la testa contro la macchina per cucire o ti portano in una cella punitiva, dove ti prendono a botte e calci usando mani e piedi, oppure tolgono la cinghia dalla macchina per cucire e ti colpiscono con quella”. Dice, ancora: “I supervisori sono i responsabili della maggior parte delle violenze che avvengono nella colonia penale. Fanno quello che vogliono e dispongono a loro piacimento della vita delle persone. Mi hanno colpito sulla schiena con tutta la loro forza, o sulla testa, non fa differenza. Più volte sono crollata e ho pianto, e non riesco nemmeno a elencare tutte le cose che succedevano lì. A loro non importa nulla. C’è stato un periodo in cui ci versavano addosso acqua gelida in una cella punitiva ghiacciata in pieno inverno! ”
Le condizioni maschili e la famigerata “Aquila nera”.
Ma per gli uomini è ancora peggio. Una delle peggiori colonie penali, la numero 56, viene chiamata anche Aquila Nera: è una delle carceri di massima sicurezza per i condannati all’ergastolo. Per un quarto di secolo i detenuti non hanno mai messo piede fuori da questo luogo. Per il rifornimento d’acqua, il carcere è collegato con tubature ad un lago, mentre l’energia nelle celle e nei recinti elettrificati è garantita da una serie di generatori. Non esistendo il sistema fognario, gli ergastolani devono svuotare il loro secchio nell’ora d’aria giornaliera in un fosso su cui si affacciano tutti i cortili. I reclusi trascorrono 23 ore al giorno dentro la cella, e hanno diritto a trascorrere solo un’ora fuori ma all’interno di una sala scoperta, senza tetto. Sono costretti a dormire con la luce accesa e durante il giorno è proibito restare a letto. Nel resto delle colonie, formalmente, l’obiettivo della reclusione nei campi è quello di abbinare la rieducazione allo sconto della pena, secondo il principio – travisato dai nazisti – per cui il “lavoro rende liberi”. La realtà è che i detenuti sono costretti a turni asfissianti di lavoro e pulizie, in strutture che sono le stesse dai tempi di Stalin. E con salari miseri di 20 rubli al giorno, non più di 70 euro al mese. Il compenso serve a coprire i costi delle uniformi e del rancio quotidiano.
Il sistema giudiziario senza alcuna garanzia per l’imputato.
E se il sistema penitenziario russo è devastante, non è da meno nemmeno quello giudiziario. Secondo la denuncia di Amnesty International, diversi processi di alto profilo hanno messo in luce le profonde e diffuse carenze del sistema giudiziario penale della Russia, tra cui la mancanza di parità tra le parti, l’uso della tortura e altri maltrattamenti nel corso delle indagini, nonché l’incapacità di escludere in aula le prove inquinate dalla tortura, l’uso di testimoni segreti e di altre prove segrete, che la difesa non può contestare, oltre alla negazione del diritto a essere rappresentati da un avvocato di propria scelta. Il dato parla chiaro: meno dello 0,5 per cento dei processi si è concluso con l’assoluzione. Il caso di Svetlana Davydova è stato uno dei sempre più diffusi casi di presunto alto tradimento e spionaggio, categorie di reato definite in modo vago, introdotte da Putin nel 2012. Svetlana Davydova era stata arrestata il 21 gennaio dell’anno scorso per una telefonata fatta otto mesi prima all’ambasciata ucraina, in cui aveva avanzato il sospetto che alcuni soldati della sua città, Vjaz’ma, nella regione di Smolensk, fossero stati inviati a combattere in Ucraina orientale. L’avvocato nominato d’ufficio aveva dichiarato ai mezzi d’informazione che la donna aveva “confessato tutto” e si era rifiutata di ricorrere in appello contro la sua detenzione perché “tutte queste udienze e il clamore sui media [creavano] un inutile trauma psicologico ai suoi figli”. Il 1° febbraio 2015, due nuovi avvocati hanno preso il caso. Svetlana Davydova ha denunciato che il primo avvocato l’aveva convinta a dichiararsi colpevole per ridurre la sua probabile condanna da 20 a 12 anni. Il 3 febbraio è stata rilasciata; il 13 marzo, in contrasto con tutti gli altri casi di tradimento, il procedimento penale nei suoi confronti è stato archiviato. A settembre dell’anno scorso è iniziato il processo contro Nade?da Savcenko, cittadina ucraina e appartenente al battaglione volontario Aidar. È stata accusata di aver deliberatamente diretto il fuoco dell’artiglieria per uccidere due giornalisti russi durante il conflitto in Ucraina, nel giugno 2014. La donna ha insistito sul fatto che il caso era stato inventato e che le testimonianze contro di lei, tra cui quelle di diversi testimoni segreti, erano false. Il suo processo è stato caratterizzato da moltissimi vizi procedurali. Il 15 dicembre del 2016, il presidente Putin ha approvato una nuova legge in base alla quale la Corte costituzionale poteva dichiarare “inattuabili” le decisioni della Corte europea dei diritti umani e di altri tribunali internazionali, qualora “violassero” la “supremazia” della costituzione russa.

 

 

 

Fonte:

http://www.ildubbio.news/stories/giustizia_e_carcere/28760_quei_900mila_detenuti_negli_ex_gulag_di_stalin/

FOCUS UCRAINA / Il cuore dei neofascisti batte per la Russia

La mappa dell’estrema destra europea, dopo la Majdan

Intervista . Anton Shekhovtsov esperto di estrema destra dell’Europa orientale

Anton She­kho­v­tsov, visi­ting fel­low all’università di Vienna, è un esperto di for­ma­zioni di estrema destra dell’Europa orien­tale. Ha stu­diato in modo par­ti­co­lare il «sogno dell’impero euroa­sia­tico» di Ale­xan­der Dugin, filo­sofo russo, vero e pro­prio intel­let­tuale di rife­ri­mento di molte for­ma­zioni di estrema destra, soprat­tutto russe.

Nel con­flitto ucraino le forze neo­nazi hanno avuto un’importanza non da poco, tanto durante i giorni di Maj­dan, quanto dopo l’inizio della guerra. L’Ucraina è diven­tata un campo di bat­ta­glia dove atti­vi­sti di destra di tutta Europa, com­presi alcuni ita­liani, sono giunti per combattere.Neonazi ucraini

Qual­cuno ha scelto di stare con gli ucraini, altri con i filo­russi, in una ricom­po­si­zione della destra euro­pea che ha stor­dito alleanze ed equi­li­bri che dura­vano da anni. Di que­sto e della forza, attuale e poten­zial­mente futura, della destra in Ucraina ne abbiamo par­lato con She­kho­v­tsov, cer­cando anche di capire l’origine di alcuni feno­meni a cui abbiamo assi­stito in Ucraina.

Par­tiamo dalle for­ma­zioni di estrema destra ucraine: che forza hanno e quali sono i loro obiettivi

La forza attuale della destra in Ucraina dipende da alcuni fat­tori, per altro sto­rici. In primo luogo dalla forza del movi­mento pro­pria­mente di destra e in que­sto senso par­liamo di gruppi simili a Pravy Sek­tor, com­po­sto da con­ser­va­tori da un punto di vista sociale, di natura pro­le­ta­ria ma anche con un obiet­tivo che costi­tui­sce una sorta di idea circa la libe­ra­zione nazionale.

Que­sto era soprat­tutto vero negli anni 20 e durante la seconda guerra mon­diale. Dopo la seconda guerra mon­diale, i nazio­na­li­sti ucraini erano in esi­lio. Ma dopo l’indipendenza anche la destra ucraina è cam­biata, cam­biando anche la pro­pria nar­ra­zione. Oggi potremmo dire che è per certi versi in crisi per­ché rispetto ai risul­tati poli­tici del 2012, quando ave­vano 47 seggi in par­la­mento, hanno subito una scon­fitta elet­to­rale. Hanno fal­lito per­ché non sono riu­sciti ad entrare in par­la­mento come par­tito, ma solo con alcuni dei loro rap­pre­sen­tanti, attra­verso anche altri partiti.

E oggi sono cam­biati anche gli obiet­tivi: per Svo­boda ad esem­pio il nemico prin­ci­pale è il Crem­lino. Non tanto la Rus­sia o i russi, ma pro­prio Mosca, il cen­tro del potere russo. Putin, in pra­tica. Per altri gruppi di estrema destra, i nemici sono altri, oltre a Mosca. Ad esem­pio gli ame­ri­cani, gli ebrei. Que­sto soprat­tutto tra i gruppi più estremi, quelli dichia­ra­ta­mente neonazisti.

Che tipo di busi­ness, la guerra in Ucraina ha finito per favo­rire per que­sti gruppi di estrema destra, apparsi deci­sa­mente orga­niz­zati, basti pen­sare ai «battaglioni»?

I mem­bri dei gruppi di estrema destra e alcune pic­cole orga­niz­za­zioni hanno sem­pre agito in certi con­te­sti. Negli anni 90 ad esem­pio agi­vano come una sorta di mafia, con­trol­lando traf­fici e dando in cam­bio ser­vizi di sicurezza.

Non è cam­biato molto da allora, oggi gesti­scono certi busi­ness, dando in cam­bio ad esem­pio la sicu­rezza e il ser­vi­zio d’ordine nelle mani­fe­sta­zioni e non solo, a vari par­titi poli­tici. E lo fanno in cam­bio di soldi. E poi sono impie­gati in atti­vità che non sono facili da spie­gare spe­cie ad un euro­peo, ovvero i «seque­stri di atti­vità eco­no­mi­che» (ad esem­pio nei con­fronti di immigrati).

È una pra­tica che spesso è com­plessa, per quanto natu­ral­mente ille­gale, cui par­te­ci­pano spesso i gruppi di estrema destra. Non ho la con­ferma ma pare che un bat­ta­glione sia impie­gato per que­sto genere di atti­vità anche nelle regioni orien­tali, ovvia­mente nelle zone con­trol­late ancora da Kiev.

Membri del Russia National Unity

Mem­bri del Rus­sia Natio­nal Unity

In che modo in Ucraina sono coin­volti gruppi di estrema destra russi e non solo.

Come altre guerre, anche quella ucraina ha finito per atti­rare tanti atti­vi­sti di estrema destra, atti­rati dalla pos­si­bi­lità di com­bat­tere, avere armi, fare trai­ning e gua­da­gnarci qual­cosa in ter­mini eco­no­mici. Sap­piamo bene come que­ste situa­zioni eser­ci­tino fascino nei con­fronti dei mili­tanti di estrema destra, di tutta l’Europa, non solo quella orientale.

Lo saprete meglio di me, per molti espo­nenti dei gruppi di estrema destra ogni guerra è una sorta di sogno che si rea­lizza, una sorta di rea­liz­za­zione della loro volontà di vio­lenza. In ogni caso il più impor­tante gruppo coin­volto tra i filo­russi, tra i gruppi di estrema destra euro­peo, è russo e sono quelli del «Rus­sia Natio­nal Unity».

Si tratta di un’organizzazione non nuova, che esi­ste dall’inizio degli anni 90 in Rus­sia. In parte, a livello orga­niz­za­tivo ha una sua strut­tura di busi­ness e un strut­tura mili­tante, dichia­ra­ta­mente neo nazi­sta. Hanno par­te­ci­pato a vari con­flitti, come in Trans­ni­stria, in Cece­nia, dove hanno fatto bot­tino e incetta di armi e soldi e secondo le mie fonti hanno par­te­ci­pato al ten­tato colpo di Stato del 1993 a Mosca, ma in difesa del Par­la­mento, con­tro Eltsin.

E in seguito hanno par­te­ci­pato ad ogni con­flitto in cui sono riu­sciti a infi­larsi, per fare soldi, armi e trai­ning. Oggi sono il gruppo più forte pre­sente nell’Ucraina dell’est. Poi ci sono anche atti­vi­sti pro­ve­nienti dall’«Euroasian union», una sorta di gruppo gio­va­nile dell’organizzazione inter­na­zio­nale gui­data da Ale­xan­der Dugin. Uno dei loro mem­bri Ale­xan­der Pro­sel­kov è stato miste­rio­sa­mente ucciso in Ucraina. (Ale­xan­der Pro­sel­kov era stato nomi­nato mini­stro degli esteri della Repub­blica di Done­tsk da Pavel Guba­rev, quando Guba­rev era il gover­na­tore. Secondo i suoi com­mi­li­toni sarebbe stato ucciso da un kil­ler nelle regioni orien­tali dell’Ucraina, ndr). E poi ci sono molti sin­goli atti­vi­sti, cani sciolti, magari nean­che affi­liati ad un gruppo preciso.

Come giu­sti­fi­cano il fatto di com­bat­tere con­tro altri neo­na­zi­sti, come ad esem­pio i bat­ta­glioni com­po­sti dall’estrema destra ucraina e qual è la loro posi­zione rispetto a Putin.

Loro sono nazio­na­li­sti russi, com­bat­tono con­tro gli ucraini. Sia i mem­bri del «Rus­sia Natio­nal Unity» sia quelli legati a Dugin sono in oppo­si­zione com­pleta a Putin. Si sen­tono molto più radi­cali di Putin. Loro sono lì per com­bat­tere per qual­cosa che sognano per il dopo Putin, una rina­scita ancora più vistosa della Russia.

Loro pen­sano di poter pren­dere il potere in Rus­sia, dav­vero. Que­sta è una cosa in cui crede molto soprat­tutto Dugin. E stanno usando la loro par­te­ci­pa­zione a que­sto con­flitto soprat­tutto per aumen­tare il pro­prio potere in Rus­sia, dove fanno aper­ta­mente reclu­ta­mento per andare a com­bat­tere con­tro l’Ucraina.

Ma che potere effet­tivo hanno in Rus­sia que­sti gruppi?

Sono un gruppo mino­ri­ta­rio e negli ultimi tempi anche tra gli stu­diosi, hanno perso molto della rile­vanza che ave­vano avuto negli anni passati.

E invece nel Don­bass, in gene­rale, que­sti gruppi che tipo di potere e che influenza hanno? Per­ché sem­bra molto com­pli­cato capire, lato «filo­russi», chi comanda dav­vero, oltre ai tanti rumors che pro­ven­gono da quelle zone e non sem­pli­fi­cano le cose. Che infor­ma­zioni ha al riguardo?

È dav­vero com­pli­cato capire cosa suc­ceda in quella parte del paese, per­ché il ter­ri­to­rio occu­pato dalle forze sepa­ra­ti­sti, coa­diu­vato da forze russe, potremmo defi­nirlo diviso in tante aree coman­date da veri e pro­pri clan.

Tal­volta si tratta di indi­pen­den­ti­sti, tal­volta di cri­mi­nali, ma in gene­rale è un ter­ri­to­rio molto diviso e cao­tico, com­ple­ta­mente. Il che rende molto com­pli­cato capire se c’è qual­cosa di cen­tra­liz­zato o meno o com­pren­dere chi sta coman­dando in un dato territorio.

Ci sono troppi gruppi coin­volti ed è molto dif­fi­cile capire chi comanda, anche per­ché oltre a com­bat­tere con­tro l’esercito, tal­volta com­bat­tono anche tra di loro. La regione di Done­tsk è quella che appare più orga­niz­zata e centralizzata.

Chi ha di fatto pro­cla­mato la Repub­blica di Done­tsk, appar­tiene ad un’organizzazione sepa­ra­ti­sta che vive da tempo e che ha sem­pre avuto con­tatti con Mosca già dal 2005. Sono sepa­ra­ti­sti, filo­russi e orga­niz­zati. Si dice che già nel 2006 abbiano preso parte a trai­ning camp in Rus­sia orga­niz­zati dai ser­vizi di sicurezza.

Raduno di Svoboda
Raduno di Svoboda

Cosa è cam­biato nella destra euro­pea, dopo la crisi ucraina?

Con la guerra in Ucraina molti par­titi e gruppi di destra hanno dovuto rive­dere la pro­pria «poli­tica estera» e hanno dovuto pren­dere posi­zione. In realtà la destra ucraina ha perso molto con­senso europeo.

Ad esem­pio Svo­boda prima era appog­giata da alcuni gruppi che poi ne hanno preso le distanze, come il Front Natio­nal fran­cese, la destra austriaca, la stessa Job­bik o anche l’italiano Roberto Fiore e Forza Nuova (non a caso dal sito di Forza Nuova sono scom­parse le cro­na­che dei pre­ce­denti incon­tri con Svo­boda, al con­tra­rio di Casa Pound che invece sup­porta Kiev e in par­ti­co­lar modo Pravy Sek­tor ndr).

Devo aggiun­gere una cosa infine, per­so­nale: Svo­boda è molto più radi­cale a mio modo di vedere, nell’essere di estrema destra, rispetto a Pravy Sek­tor. Que­sti sono più inclu­sivi di Svo­boda. Pravy Sek­tor è soprat­tutto omo­fobo, men­tre Svo­boda è molto più chia­ra­mente neo­na­zi­sta e razzista.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/la-mappa-dellestrema-destra-europea-dopo-la-majdan/

 

Messina, che c’entra Peppino Impastato con i rosso-bruni?

 

Una inquietante sigla nazionalista, filo Assad e filo Putin, starebbe strumentalizzando il nome del militante di Dp ucciso da Cosa Nostra

di Ercole Olmi

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“L’Associazione di Promozione Sociale Peppino Impastato Messina e la nascente cellula messinese di Socialismo Patriottico hanno incontrato e portato solidarietà ai lavoratori del Birrificio Messina, ri-organizzatisi in cooperativa dopo le vicende legate ai licenziamenti ed alla dismissione della fabbrica degli ultimi anni”. E’ successo il 21 novembre scorso e ne dà notizia il sito di Socialismo patriottico con la foto ricordo dell’accaduto. Nel sito dell’organo ufficiale di Sp, Stato e Potenza, ci sono un paio di articoli del presidente di un’associazione Peppino Impastato, Sonny Foschino.

Socialismo patriottico? Qualcuno a Messina sta usando il nome di Peppino Impastato per un’operazione rosso-bruna? Cosa c’era di patriottico nella vita di Peppino Impastato, militante di Democrazia proletaria, organizzazione antistalinista, libertaria, pacifista e internazionalista?

Lo chiedo proprio a Sonny Foschino su fb che prima mi strapazza un po’, nega, poi dice che ci sarebbe un equivoco, poi minaccia di chiamare Ingroia, dice che mi rovinerà, dice di non avere paura di me e di aver già querelato Crocetta un paio di volte. Poi decide di rilasciare la seguente importante dichiarazione: “Il gruppo APS Peppino Impastato messina è un collettivo che lavora autonomamente e che non ha nulla a che spartire con l’associazione che presiedo”.

Sì, ma ci sono quegli articoli su Stato e Potenza? “Si, li pubblica e non vedo nulla di male in questo. Non sono tesserato a stato e potenza ma ciò non mi preclude il diritto di divulgare i miei articoli. Mi attacchi sui contenuto eventualmente, non sulla testata”.

Retitfico anch’io: qualcuno, non Foschino, sta strumentalizzando il nome di Peppino Impastato? Ma che cosa è “Socialismo patriottico”? A scorrere il sito sembra una sigla filo russa (con buona pace del patriottismo) con un programma militaresco, xenofobo, omofobo, familista, nuclearista, con l’ossessione della famiglia naturale, della solidarietà a tipetti tutto pepe come Bashar Al-Assad e il “compagno Kim Jon-Un” e soprattutto per la ratifica dei trattati commerciali con Putin.

Fate un lungo respiro, servitevi un cordiale, perché stiamo per sciorinare alcuni punti del programma di Socialismo patriottico: “Collaborazione con i BRICS e richiesta di ingresso nella SCO. Completamento del progetto italo-russo “South Stream” e avviamento di piani coordinati Eni-Gazprom per l’esplorazione e l’analisi geologica del sottosuolo nazionale, delle conformazioni montuose, dei bacini e degli arcipelaghi del territorio nazionale. Costruzione o completamento dei grandi collegamenti viari: Ponte sullo Stretto di Messina, Autostrada Due Mari, ristrutturazione dell’Autostrada del Sole, potenziamento della viabilità nelle due Isole maggiori. Completamento e sviluppo della rete TAV e della altre reti ferroviarie nazionali. Ritorno pianificato e compatibile all’energia nucleare per abbattere l’emissione di CO2. Istituzionalizzazione dei sindacati. Revisione delle politiche di accoglienza in base alle esigenze strutturali del paese. Aiutare economicamente le famiglie naturali che desiderano figli. Lotta serrata al commercio e al consumo di narcotici e all’abuso di alcoolici. Riconoscimento dell’unione tra uomo e donna come unico nucleo familiare istituzionale. Scioglimento delle società segrete e delle sette religiose in contrasto con gli interessi nazionali. Sgombero immediato delle occupazioni abusive a scopo associativo e politico. Aumento dei finanziamenti per la Difesa. Incremento dell’impiego di Polizia e Carabinieri nelle strade, trasferendo alcuni loro compiti burocratici agli uffici civili. Espulsione dei clandestini entro 24 ore verso il Paese di provenienza salvo comprovato impedimento. Intensificazione della collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all’immigrazione clandestina con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo. Espulsione e sconto della pena nei Paesi d’origine dei cittadini extracomunitari, dopo la condanna per reati superiori ad 1 anno. Carcere riabilitativo attraverso forme di lavoro socialmente utile alla comunità per pene inferiori ad anni 2. Ergastolo ostativo per i reati di estrema gravità (alto tradimento, attività mafiosa, terrorismo, genocidio e pedofilia)”.

Di Stato e Potenza s’è parlato a lungo, nel recentissimo passato, per certe sue collusioni con pezzi del Pdci, con gli ambienti siriani, con organizzazioni dichiaratamente di estrema destra come Zenit (sospettata di antisemitismo) e Casapound (ora in tandem con il leghista Borghezio) con le quali ha dato vita a manifestazioni “antimperialiste” a sostegno di Gheddafi o Assad.

Cosa c’entra tutto questo con Peppino Impastato che si batteva contro lo sfruttamento di classe che è lo stesso nei paesi Brics e in Occidente?

Sul profilo fb del capo di Sp, il reggiano Bonilauri, spicca una citazione di Costanzo Preve, ex filosofo di sinistra poi divenuto maestro rossobruno di personaggi ambigui come il “marxista” Diego Fusaro che ogni tanto abbindola anche circoli di sprovveduti a sinistra: «I centri sociali sono la guardia gratuita del ceto intellettuale di sinistra. La loro cultura è inesistente, trattandosi di ghetti consentiti e foraggiati dalla Sinistra Politicamente Corretta (SPC), che li può sempre usare come potenziale guardia plebea.
Privi di qualsiasi ragion d’essere storica, costoro, composti di semianalfabeti, intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume e dallo spinellamento di gruppo, hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro e della paranoia del fascismo esterno sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci. Ma il paranoico non è un interlocutore.
Anche l’interesse per i migranti è un pretesto, perché essi li vivono come un raddoppiamento mimetico della loro marginalità». Stefano Bonilauri, è indicato sul web come veterano delle delegazioni italiane a Damasco per omaggiare il dittatore Assad. Il gruppo è in ottimi rapporti, oltre che con il Partito Nazional Socialista Siriano, con i governi di Iran e Corea del Nord, nonché con il Partito Comunista della Federazione Russa ed altre formazioni staliniste.

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Siamo sicuri che Peppino Impastato sarebbe stato un alfiere di questo tipo di socialismo nazionale?

Sonny Foschino, leader messinese dell’associazione, poliedrica figura di musicista, letterato e politico, collaboratore di Stato e Potenza, dice anche di essere un leader politico: “Peppino Impastato avrebbe sorriso vedendo i sorrisi, gli abbracci, la gioia che ha trasudato il corteo del 9 maggio 2014. Più di mille e duecento, secondo le stime, i giovani che hanno invaso Piazza Antonello. In testa una presenza importante: quella dell’istituto nautico Caio Duilio. Poi AUT, la corrente di pensiero che si ispira a Peppino Impastato, donnAUT e i ragazzi del progetto AULA AUT ormai presente in numerosi istituti di Messina e Provincia e da poco presente anche su Palermo. Gruppi di attivisti del movimento AUT stanno iniziando a formarsi anche su Catania, Roma, Reggio Calabria, Bologna e Forlì”.

Aut, la corrente di pensiero? A cosa pensa Aut? “Il Movimento Studentesco Aut – Unione degli Studenti Messina è un coordinamento di studenti messinesi in collaborazione con il sindacato studentesco Unione degli Studenti. E’ totalmente apartitico ed è politico solo nell’accezzione [la doppia z dev’essere uno sfizio patriottico, ndr] più antica e vera del termine: Diamo un servizio alla comunità tutta, mettendoci al servizio degli studenti. Ogni studente, di qualsivoglia posizione politica è bene accetto.La collaborazione con l’Uds nazionale consegna al movimento il carattere di sindacato studentesco, in grado di portare avanti battaglie legali contro ingiustizie quotidiane all’interno delle scuole…”.

Nè di destra, né di sinistra, dunque. Proprio come ogni esperienza rosso-bruna prescrive. Anche Sp ha una vera fissa su questo: “L’apertura della sezione si pone l’obiettivo di fornire un punto di riferimento per tutti i soggetti che rifiutano la dicotomia liberale destra-sinistra – recita un comunicato della sezione di Terni – garantendo una credibile alternativa al sistema anti-popolare e anti-nazionale, che condanna l’Italia ad essere un’appendice dell’offensiva ultra-liberista che Stati Uniti e Unione Europea stanno sferrando contro le potenze emergenti e il mondo in via di sviluppo… Famiglia, lavoro e militanza, sono le fondamenta su cui si regge la vita pubblica/privata del nostro militante”, recita la dichiarazione di apertura di una sezione ternana scimmiottando altre trinità del genere (da diopatriafamiglia a credereobbedirecombattere, c’è solo l’imbarazzo della scelta).

La sezione è stata intitolata all’Operaio Ternano Luigi Trastulli, ucciso dalla polizia nel 1949 mentre contestava la Nato e la guerra e ora ucciso di nuovo da questa operazione inquietante, ambigua da gente che rivendica niente meno che la vittoria della Grande Guerra e la trimurti “Patria, Popolo, Lavoro”.

 

Che cosa succede a Terni, Messina e altrove? Si tratta di un gruppo di “socialconfusi” che vivono nell’eterno presente globale, incapaci di decodificare quello che gli accade intorno? E’ la punta dell’iceberg di un’operazione di ricerca della legittimazione come molte esperienze nazimao o rossobrune hanno tentato negli anni (da Rinascita, organo della Sinistra nazionale, alla rivista Indipendenza)? E’ qualcuno che vivacchia con qualche finanziamento di ambasciate e partiti fratelli? E’ ancora peggio?

Il complottismo lo lasciamo ai professionisti di questa corrente di pensiero. Per ora poniamo solo domande a chiunque abbia a che fare con questi personaggi, ad esempio l’Uds che potrebbe capire se il proprio nodo messinese sia coerente con lo spirito che anima il sindacato studentesco, così come ha dovuto fare il Pdci nazionale a Terni in occasione di una manifestazione di fascisti filo Assad a cui presero parte anche militanti cossuttiani al seguito di Sp. Questi ultimi ci rimasero male a sentirsi maltrattati e se la cavarono con queste parole: “E’ opportuno ribadire, inoltre, che, almeno nella fase dei primi diciotto mesi di guerra in Siria, aver preso parte ad eventi pubblici ai quali contemporaneamente hanno preso parte (per proprio conto ed indipendentemente dal contesto) anche persone o sigle riconducibili al mondo della destra radicale, si è reso POLITICAMENTE NECESSARIO per evitare che la questione siriana (da noi trattata e sostenuta sin dall’estate del 2011) fosse lasciata nelle mani di una sola parte politica, con tutte le scontate conseguenze sia in termini di immagine internazionale per il governo siriano che in termini di credibilità per l’ambiente social-comunista, resosi in gran parte responsabile di gravissime omissioni e latitanze sul tema della politica internazionale, quando non di vere e proprie “complicità” politiche e/o morali con gli aggressori imperialisti (vedasi l’assalto all’Ambasciata Libica a Roma del 23/2/2011)”.

Davvero Peppino Impastato si sarebbe mobilitato per il Ponte di Messina, uno degli affari cruciali per Cosa Nostra, e per dittatori osceni come Assad, Gheddafi, Putin. Osceni come Obama e Renzi.

Rosso bruni: c’è un luogo del mondo, in questa epoca, dove se ne possono incontrare: è il Donbass, crocevia (oltre che di sincere aspirazioni internazionaliste) di tardive nostalgie campiste e di gesta pugnaci di soggetti di Forza Nuova, dei loro camerati francesi di Troiseme Voie, del Movimento sociale europeo e, come rivelava domenica il Fatto quotidiano, perfino di ammiratori di Salvini che hanno deciso di fare la guerra guerreggiata. E’ nella lettura delle vicende ucraine che tra i rosso-bruni si fa avanti la tesi dell’inattualità della dicotomia fascismo/antifascismo. Con buona pace dei carovanieri in buona fede che da molto tempo sono costretti a prendere nota della presenza nel Donbass di personaggi francesi, spagnoli, padani e italiani legati a doppio filo ai gruppi neofascisti.

statopotenza

Prima di chiudere l’articolo l’ennesima precisazione di Foschini: “Io non minaccio nessuno! Sono abituato alle cose concrete. Come insegnava Peppino! Scriva scriva, è chiaro che alle sue dichiarazioni seguiranno le mie… È questa non è una minaccia, ma una constatazione. La saluto! HASTA la victoria! Siempre!”. Oddio! E adesso che c’entra il Che?

 

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2014/12/01/messina-che-centra-peppino-impastato-con-i-rosso-bruni/

 

Dietro i soldi di Putin al Front National spunta anche CasaPound

di redazione

Ultima modifica il Mercoledì, 26 Novembre 2014 16:35

 

 

Riguardano anche l’Italia gli scoop della giornalista francese Marine Turchi, che ha scoperto che una banca russa vicina a Vladimir Putin presterà al Front National 9 milioni di euro da investire nella prossima campagna elettorale.

Come spesso capita quando si parla di estrema destra e neofascisti, spuntano fiumi di quattrini, affaristi e alleanze spregiudicate. Meno di un mese fa, ricorda Daniele Ranieri sul Foglio, Turchi si era occupata del “congresso europeo” del Fn cui hanno partecipato le delegazioni dei neonazisti di Alba dorata. “Les Italiens de CasaPound” figurano addirittura come “co-organizzatori” del consesso. Il gruppo italiano dei “fascisti del terzo millennio”, secondo Turchi sarebbe “al servizio di Frederic Chatillon”, consigliere ufficioso di Marine Le Pen che si è trasferito a Roma e gestisce una società di comunicazione, la Riwal France, che ha sede anche a Roma. Riwal si occupa di “realizzare campagne pubblicitarie”. Il congresso di Parigi, dove è intervenuto parlato anche il presidente Gianluca Iannone, leader di CasaPound – è stato “il punto culminante di un tour promozionale per fare conoscere CasaPound in Francia.

Nel luglio 2012, Chatillon, oggi trait d’union tra CasaPound e il Front national, incassava finanziamenti da parte del governo siriano del presidente Bashar el Assad, cui CasaPound non mancò di manifestare solidarietà nel bel mezzo della guerra civile e dello scontro sull’uso delle armi chimiche da parte del regime. La Riwal di Chatillon, ha scritto Turchi, prendeva “tra i centomila e i centocinquantamila euro l’anno dall’ambasciata siriana a Parigi”, “per la promozione del paese”.

Marine Turchi è ormai la bestia nera del Fn, come sottolinea opportunamente Ranieri, al punto che le viene negato l’accesso agli eventi di partito con le scuse più improbabili. Per solidarietà, molti giornalisti delle maggiori testate francesi hanno disertato gli stessi eventi. Intanto il tesoriere del Front, Wallerand de Saint-Just (ritratto da Mediapart mentre fa il saluto fascista) ha ammesso di aver chiesto il soccorso economico di una banca vicina a putin Putin perché “qui in Europa nessuno ci avrebbe prestato un centesimo”. Inutile aggiungere che il Front national ha posizioni filorusse e sostiene il presidente Putin con sintonia perfetta: dall’elogio dei “valori tradizionali” alla guerra civile in Ucraina. All’inizio del mese scorso, il Front aveva partecipato con la Lega (il cui segretario da tempo si produce in elogi sperticati a Putin) e CasaPound al Forum nazionale russo organizzato dagli ultranazionalisti di Rodina. «Vogliamo costruire un movimento che unisca tutte le forze nazionaliste d’Europa e sostenga la battaglia in difesa dei valori tradizionali, sia sul piano ideale che su quello dell’azione», hanno detto i camerati russi in quell’occasione.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/dietro-i-soldi-di-putin-al-front-nacional-spunta-anche-casa-pound

Intervista al fascista italiano Andrea Palmeri, arruolato nelle milizie del Donbass

Avevo già pubblicato alcuni articoli sui fascisti filorussi in Ucraina spacciati per antifascisti da molti “compagni”:

https://www.peruninformazionelibera.blog/fascisti-italiani-ucraina-donetsk-come-kiev/

https://www.peruninformazionelibera.blog/ucraina-altro-che-compagni-la-repubblica-di-donetsk-e-lombra-nera-di-aleksander-dugin/

Aggiungo ora altre informazioni. Qui un articolo di un mese fa tratto dal blog di Germano Monti:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/09/09/fascisti-su-marte-no-nel-donbass-con-i-filo-russi/

Ma ancor più vi invito a leggere la seguente intervista tratta dal sito internet dei RIM- Giovani Italo-Russi di Irina Osipova, leader del movimento, al fascista italiano Andrea Palmeri, in questo momento arruolato nelle milizie del Donbass. In quest’intervista l’ideologia fascista è rivendicata apertamente da entrambi tanto che si fa cenno, tra le altre cose, all’ammirazione di Pavel Gubarev (neonazista per informazioni sul quale rimando ai primi due link citati sopra) nei confronti di Palmeri perchè sarebbe “un vero fascista italiano”. L’intervistato passa dalle lodi al fascismo, alla Russia e a Putin a discorsi contro l’immigrazione e gli omosessuali. Ecco l’intervista integrale:

Intervista esclusiva con il volontario italiano nel Donbass — Andrea Palmeri

palmieri3Эксклюзивное интервью для движения РИМ Российско-Итальянская Молодёжь с Андреа Пальмери, отца трех с половиной летнего сына, единственного итальянского добровольца на данный момент, приехавшего на Донбасс сражаться за свободу жителей региона, чтобы «остановить американский империализм и бойню невинных людей». Чтобы прочитать русскую версию интервью, необходимо нажать СЮДА bottorusso

Intervista esclusiva per moviemento RIM Giovani-Italo Russi ad Andrea Palmeri, padre del figlio di tre anni e mezzo, e l’unico volontario italiano in questo momento arruolato nelle milizie del Donbass a lottare per la liberà degli abitanti della regione per «fermare l’imperialismo americano e il massacro di gente innocente»

  •  Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto di lasciare l’Italia e di arruolarsi nella difesa del Donbass?

 

Premetto che la scelta di andare a combattere nel Donbass non è stata una scelta di impulso, ma ho meditato a lungo, essendo padre di un fantastico bimbo di 3 anni e mezzo. Io sono sempre stato affascinato dalla Russia, ho studiato il russo e lo parlo abbastanza correttamente, sono stato sposato con una cittadina russa, la madre di mio figlio. Insomma, un filo sentimentale mi lega alla vostra patria. Ho seguito la vicenda ucraina sin dal nascere e già dalle prime proteste ho avuto la sensazione che tutto fosse pilotato e gestito da agenti esterni, americani per essere precisi. Tutto era fatto per attaccare la Russia, per provocarla e per costringerla ad entrare in guerra, cosa che non è avvenuta per la lungimiranza di chi governa la Federazione Russa, perché ciò avrebbe portato a mio parere la guerra in tutta Europa e la guerra è sempre una cosa negativa da evitare. Poi l’esercito ucraino ha cominciato a bombardare il proprio popolo, donne e bambini e questa non è una guerra civile perché una guerra civile la combattono due fazioni non la si combatte contro la popolazione civile. Questo si chiama massacro! Ho deciso di andare per fare la mia piccolissima parte, cioé quello che un singolo puo fare. Convinto che questa fosse la guerra di tutti gli uomini liberi europei, secondo me qui non c’entrano fascismo o comunismo, l’importante è fermare l’imperialismo americano e il massacro di gente innocente.

  • Paverl Gubarev, l’ex governatore dell’autoproclamata Repubblica Popolare del Donetsk ha scritto sul suo profilo di Facebook parlando di te: “Un mese fa un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia”. Sicuramente sai che i termini fascista e fascismo nel mondo russo vengono interpretati diversamente dal loro significato originario, ed associati nella coscienza collettiva esclusivamente a dei crimini commessi dai nazisti durante la Seconda Guerra mondiale nelle terre russe. Cosa significa per te essere quindi un “vero fascista”? Quali sono le battaglie di coloro che si rifanno all’ideologia fascista in Italia?

palmieri2Certo lo so che il termine fascista in russo ha una connotazione solamente negativa, ma lo comprendo innanzitutto perché con la Guerra Patriottica i russi hanno combattuto il nazismo e poi perché non si conosce il fascismo italiano. Anzi, io sono convinto che il fascismo italiano da un punto di vista dottrinale ha molti più punti in comune con il socialismo di Lenin che con  l’ideologia nazionalsocialista. Comunque questi sono schemi e riferimenti di almeno 70 anni fa. Siamo in un mondo moderno. Secondo me questi schemi sono antiquati e da queste ideologie bisognerebbe solo prendere i valori, ma nemmeno tutti. Quindi per me non ha senso parlare di fascismo o comunismo oggi se non in chiave storica. Mi ha fatto piacere che Gubarev si sia ricordato della mia presenza, perché seguendolo su facebook lo stimo e mi piace la sua impostazione ideologica. Le battaglie di un fascista di oggi, premettendo che come ti ho detto siamo nel 2014, dovrebbero essere l’amore e la difesa della Patria, sovrattutto da ingerenze esterne, la difesa della famiglia, il rispetto della tradizione e della religione. Tutte cose che avvengono nella  Russia di oggi e non mi dite che Putin sia fascista!!! Invece in Unione Europea si assiste ad un immigrazione di massa incontrollata, che sta distruggendo la nostra cultura e le nostre tradizioni con il beneplacito dei nostri governanti. Abbiamo governi come quello italiano tanto per parlare di una situazione a me nota che non hanno sovranità né economica, né militare, né politica. La sovranità che non ha nemmeno l’Unione Europea che è appiattita ai voleri e agli obblighi impostoli dall’America. Ecco, queste sono cose su cui bisogna combattere. La distruzione dei valori tradizionali  come la famiglia con la propaganda omosessuale per esempio o con tutte quelle ventate di libertinaggio in ogni campo, dal sociale al privato che con l’idea di eguaglianza e di buonismo stanno distruggendo l’Europa. Ecco, questo va combattuto. Vedo la nostra Europa, per fare un paragone, come l’Impero Romano pochi anni prima di crollare. Queste, ti ripeto, non sono battaglie fasciste ma dovrebbero essere battaglie di tutti. In Russia si difende la famiglia, si difendono i valori tradizionali e religiosi di tutti e si combatte l’egemonia mondialista americana. Non mi sembra che in Russia siano fascisti. In italia è di pochi giorni fa la contestazione alle Sentinelle in piedi — pacifici cittadini che difendevano la famiglia da questo oscurantismo omosessuale e che sono stati tacciati di essere fascisti. Contestazione permessa e incoraggiata dai nostri politici libertari, che da voi, giustamente, non sarebbe stata permessa.

Palmieri

  •  Come sei stato accolto dal popolo il quale sei venuto a difendere?

Il popolo mi ha accolto con simpatia. Sono l’unico italiano e i russi, perché qui in Donbass vivono russi, hanno molta simpatia per gli italiani, amano la nostra terra ,la nostra musica e la nostra cucina. E logicamente, mi ringrazia per il fatto di essere venuto a combattere per la loro libertà.

  • E’ stato difficile imparare la lingua russa per parlare con gli abitanti locali e miliziani?

Il russo è una lingua molto difficile, io lo parlo abbastanza anche se non sono ancora in grado di capire sempre e tutto soprattutto quando parlano veloce, ma la mia conoscenza del russo è sufficiente per capire e farmi capire. Anche se devo ancora migliorare la mia conoscenza, spero con il tempo di parlarlo sempre in maniera migliore.

  • Spesso i movimenti ucraini nazionalisti come Pravyi Sektor e perfino il governo attuale di Kiev vengono definiti come “fascisti”. Credi che sia una definizione giusta?

Pravyi Sektor per me e un’incognita. Io capisco la lotta contro un governo corrotto quale era quello del presidente Ianukovich, poi vuoi per i finanziamenti americani, la loro protesta è sfociata prevalentemente in un odio antirusso e da qui hanno sposato un «iconografia» nazionalsocialista. Sono nazionalisti, amano l’Ucraina ma non riesco a capire questo odio verso i russi e comunque sono convinto che sono stati usati come pedine dai potenti che ora governano in Ucraina la tristemente famosa junta. La junta di Kiev per me non è fascista, viene cosi addidata perché come detto prima questa parola in russo ha una forte carica negativa. In Ucraina comandano oligarchi che fanno i loro interessi a scapito di del  proprio popolo e sono gestiti da gruppi di potere americani, che hanno finanziato in chiave antirussa la protesta di Maidan. Sono i soliti che ora gestiscono la junta ed i primi responsabili della tragedia del popolo del Donbass

  •  Lunedì parti sul fronte, come credi che debba essere strutturato il futuro delle terre del Sud-Est una volta finiti gli scontri militari?

La struttura delle terre dell Sud-Est è cosa assai complicata e non posso esprimermi. L’importante, io penso, che già si sta delineando la formazione di un nuovo stato un’entità sicuramente vicina a Mosca, ma con la sua indipendenza. E’ importante però che a tutti i cittadini di lingua russa che rimarranno fuori da questo nuovo stato vengano riconosciuti i diritti e non discriminati altrimenti non so cosa succederà.

  •  Ringrazio per l’occasione offerta per questa intervisa. Tutte le risposte erano molto corpose di contenuto ed interessanti. Infine, naturalmente viene spontaneo chiedere -Dove pensi di continuare la tua vita futura una volta tornato dal fronte?

Bella domanda, penso proprio  in Italia, ma se avrò qualche buona ragione per rimanerci potrei restare pure qui, ma ancora non mi pongo questo problema!

Irina Osipova

Fonte:

http://rodnoirim.org/andreapalmeridonbassITA/

 

UCRAINA: Altro che “compagni”. La Repubblica di Donetsk e l’ombra nera di Aleksandr Dugin

Posted 13 agosto 2014
di Jacopo Custodi

Aleksandr Dugin e il leader di Jobbik, il partito neofascista ungherese.

La Repubblica Popolare di Donetsk è stata fondata il 7 aprile 2014 dai separatisti ucraini filo-russi in lotta contro il governo centrale di Kiev ed è oggi la loro principale roccaforte; insieme alla vicina Repubblica Popolare di Lugansk forma la Repubblica Federale di Nuova Russia (Novorossiya), stato che non è riconosciuto internazionalmente.

I separatisti sono stati identificati più volte da vari esponenti (non solo italiani) di sinistra come dei “partigiani”, degli “antifascisti”, in lotta contro il governo di destra di Kiev.

L’ideologia politica che sta alla base della Repubblica di Donetsk è però molto lontana da questa descrizione, ad esempio l’attuale Governatore del Popolo della Repubblica Popolare di Donetsk, Pavel Gubarev, ha iniziato la sua carriera politica nell’organizzazione neonazista “Unione Nazionale Russa” e non sembra affatto aver abbandonato la sua anima neofascista. Al congresso del nuovo partito da lui fondato il 14 maggio, Nuova Russia, con l’obiettivo di rappresentare l’anima politica delle Repubbliche Popolari, erano presenti come relatori lo scrittore russo “nazi-stalinista” Alexander Prokhanov e il filosofo dell’estrema destra Alexander Dugin.

Prokhanov è editore di “Zavtra”, un giornale della destra imperialista russa, e nel 1999 invitò David Duke, leader del Ku-Klux-Klan a visitare la Federazione Russa. Oltre ad essere vicino al governatore Pavel Gubarev, Prokhanov ha avuto ottime parole anche per il primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk Alexander Borodai, definendolo un “vero nazionalista russo bianco”. I due si conoscevano da tempo: Borodai, che è un cittadino russo, fino all’inverno scorso scriveva su “Zavtra”.

Nella stessa rivista scriveva anche Igor Strelkov, l’attuale Comandante della Milizia Popolare del Donbass (l’esercito di Donetsk), un soldato russo che aveva precedentemente combattuto in Transnistria, Bosnia e Cecenia e che ha alle spalle una militanza in organizzazioni monarchiche.

Ma rapporti ancora più stretti esistono tra la Repubblica Popolare di Donetsk e Aleksandr Dugin, anch’esso presente al congresso fondativo del partito Nuova Russia e vicinissimo agli attuali leader di Donetsk fin da prima dello scoppio del conflitto. I suoi articoli vengono pubblicati frequentemente sul sito del partito, che lo considera il suo punto di riferimento ideologico.

Dugin, che è stato di recente in Italia invitato ad una conferenza organizzata da una associazione legata alla Lega Nord, fu uno dei fondatori del Partito Nazional-Bolscevico (quello con la bandiera nazista e la falce e il martello neri al posto della svastica) ma se ne staccò poi da destra, accusando l’altro fondatore, Eduard Limonov, di essere troppo filo-occidentale. In un suo famoso articolo del 1997 dal titolo “Fascismo immenso e rosso”, Dugin sosteneva la necessità per la Russia di “un fascismo originale, reale, radicalmente rivoluzionario”. Oggi ritiene che la Russia dovrebbe tornare ad avere una politica più marcatamente imperialista.

Sono stati tracciati brevemente i profili dei leader più importanti, ovvero il Governatore del Popolo, il Primo Ministro e il Capo dell’esercito, e dei loro riferimenti politici, ma la lista potrebbe continuare, citando ad esempio Aleksandr Matyushin, che fu in prima fila durante le occupazioni degli edifici pubblici di Dontsek allo scoppio del conflitto e oggi gestisce i rapporti della Repubblica Popolare con la Russia e la Bielorussia, grazie ai suoi rapporti di lunga data con Dugin. Durante un comizio pubblico disse ai manifestanti:

“In Europa c’è la sodomia, ci sono matrimoni tra persone dello stesso sesso, c’è una piena degradazione della società. L’Europa sta arretrando di fronte all’Islam e nel continente il nome più diffuso tra i neonati è Mohamed. [Gli europei] si preoccupano troppo dei diritti umani e hanno paura di offendere qualcuno. Per questo gli islamici si fanno sempre più arroganti. Anche da noi sarà così. L’Europa ci cancellerà, rischiamo di essere invasi dall’Islam, che si sta già sviluppando in Crimea. Io sono a favore del nazionalismo russo, e dell’amore per il mio popolo”.

Per quanto riguarda invece la Costituzione della Repubblica Popolare di Donetsk, adottata il 14 maggio 2014, è molto eloquente nel confermare i legami ideologici con l’estrema destra russa. L’articolo 31.3 vieta ogni possibile forma di unione “perversa” tra persone dello stesso sesso, che verrà perseguitata. L’articolo 9.2 dichiara che la fede ortodossa professata dalla Chiesa Ortodossa Russa (Patriarcato di Mosca) è la religione di stato. L’articolo 6.5 dichiara che tutte le autorità politiche della Repubblica dovranno rispettare i valori tradizionali religiosi, sociali e culturali del “Mondo Russo”. Gli articoli 3 e 12.2 sanciscono il diritto alla vita fin dal momento del concepimento, implicando in tale modo il divieto all’aborto.

Comprendere il carattere reazionario e neofascista delle Repubbliche Popolari non significa negare lo spostamento a destra del governo di Kiev, né i suoi legami coi movimenti neofascisti ucraini. Significa invece comprendere – per citare un gruppo ucraino di sinistra – l’allarmante situazione che vede nazionalisti di estrema destra e spesso anche apertamente neonazisti presenti in entrambe le parti del conflitto. E’ questo, secondo loro, il fattore principale che ostacola una soluzione politica della crisi.

@JacopoCustodi

 

 

 

Fonte:

http://www.eastjournal.net/ucraina-altro-che-compagni-la-repubblica-di-donetsk-e-lombra-nera-di-aleksandr-dugin/46773

 

Fascisti italiani in Ucraina, a Donetsk come a Kiev

 

 

fascisti a donetsk

 

giugno 11, 2014

 

Dopo i numerosi articoli che nelle scorse settimane hanno fatto luce sulla presenza di fascisti italiani in Ucraina tra i gruppi armati neonazisti che sostengono e compongono il governo di Kiev, si ricordi in proposito il caso di Francesco Fontana, il 10 giugno RaiNews ha dato notizia dell’arrivo di un gruppo di volontari italiani a Donetsk per combattere le truppe di Kiev. La notizia è stata ripresa anche da altre testate italiane.

 

 

 

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/A-Donetsk-sono-arrivati-volontari-italiani-per-combattere-le-truppe-di-Kiev-9480d2a5-99e6-48d2-b884-36cad0c80999.html?refresh_ce

 


RaiNews indica questi volontari come “membri dell’organizzazione antifascista italiana Millennium” ed afferma che “sono giunti a Donetsk dove saranno inquadrati nelle milizie paramilitari filorusse comandate dal sedicente comandante in capo delle forze armate della Repubblica Popolare di Donetsk, Igor Strelkov.”
Stando all’articolo la notizia sarebbe stata lanciata dal portale russo Lifenes.ru, che avrebbe citato la pagina di Pavel Gubarev, Governatore del popolo della Repubblica di Donetsk.
Secondo quanto riportato da RaiNews, Gubarev afferma “che gli italiani «hanno espresso la volontà di sostenere la Repubblica Popolare di Donetsk nella sua resistenza contro le autorità di Kiev che conducono le operazioni militari contro il proprio popolo nel Sud-Est dell’Ucraina». Gli italiani saranno messi a disposizione del comandante in capo Igor Strelkov e intendono anche attivare un canale per la raccolta in Italia e l’invio a Donbass degli aiuti umanitari.”
L’articolo si chiude riportando che “Il sindaco popolare di Donetsk Pavel Gubarev ha confermato inoltre la presenza dei volontari russi e polacchi in diverse formazioni militari dei separatisti. Sempre secondo Gubarev, in breve i separatisti intendono costituire delle vere e proprie formazioni militari, una sorta di brigate internazionali composte da volontari stranieri, con la partecipazione di italiani, spagnoli, francesi e canadesi.”

 

Chi sono questi volontari?

 

L’articolo di RaiNews è corredato da una foto in cui tre persone tengono una bandiera tricolore italiana in cui campeggia, al centro, una stella rossa. Sullo sfondo una grande scritta “Новороссия” (Nuova Russia), che sovrasta, su una sagoma, la bandiera dell’omonimo Stato nella quale è rappresentata una croce di Sant’Andrea nei colori bianco, rosso e blu.

 

Lo Stato Federale della Nuova Russia è una confederazione nata ufficialmente il 24 maggio scorso in seguito ad un accordo tra le repubbliche di Donetsk e Lugansk, autoproclamatesi indipendenti dall’Ucraina nello scorso Aprile. Stessa bandiera e stesso nome ha il Partito della Nuova Russia, fondato circa un mese fa, di orientamento separatista e Pro-Russo, nonché fortemente influenzato dall’eurasiatismo del fascista russo Aleksandr Dugin, già ideologo del Partito Nazionalbolscevico russo. È proprio il Partito della Nuova Russia ad aver preparato e deciso la nascita del nuovo stato federale, la cui creazione è stata infatti dichiarata durante il primo congresso del partito il 22 maggio scorso, al quale era presente anche Dugin. Il termine Nuova Russia è ripreso dal nome della regione storica che coincide con i territori a nord del Mar Nero che, nel corso del XIX secolo, l’Impero Russo conquistò sottraendoli all’Impero Ottomano. Pavel Gubarev, il Governatore del Popolo della Repubblica di Donetsk che avrebbe accolto i volontari italiani, è anche leader del Partito della Nuova Russia. Gubarev ha militato in passato nel Partito Socialista Progressista d’Ucraina, ma anche nella formazione neonazista Unità Nazionale Russa (Русское Национальное Единство).

 

Ma in questo calderone di nazionalismo russo, neonazismo ed eurasiatismo, cosa c’entrano il tricolore con la stella rossa, un’organizzazione “antifascista” italiana e le “brigate internazionali”?

 

L’organizzazione italiana “Millennium” che ha inviato volontari a Donetsk non è certo antifascista. Il gruppo “Millennium” dichiara sul proprio sito di non essere “né neofascista né antifascista”. Infatti non sono neofascisti, sono nazisti.
“Millennium” ha organizzato assieme al Gruppo Alpha, organizzazione giovanile neonazista degli Hammerskin di Lealtà e Azione, un convegno al Politecnico di Milano il 17 gennaio scorso. In tale occasione 200 compagni intervenuti per fermare l’iniziativa neonazista vennero caricari dalla polizia davanti al Politecnico.
Ma non è tutto. Il gruppo “Millennium” è legato alla rivista “Eurasia” il cui direttore è il noto neofascista Claudio Mutti implicato nello stragismo nero.
Questi volontari italiani sono quindi membri di un gruppo che condivide l’eurasiatismo del fascista russo Aleksandr Dugin e il nazionalismo del Partito della Nuova Russia.
La matrice nazista del gruppo “Millennium” è ancora più chiara se si va a leggere il suo manifesto politico: “I Popoli, depauperati da ogni sovranità e potere decisionale, rendono ogni autorità alle minoranze che dirigono gli affari mondiali secondo il proprio interesse. Culture e religioni muoiono esangui sugli altari dei simulacri postmoderni. La nuova legge è il Caos.
In questo contesto Millennium afferma la propria azione ordinatrice. Millennium si identifica nel ruolo del partito rivoluzionario europeo, impegnato nella liberazione dell’Europa dal giogo unipolare e nell’edificazione di un paradigma culturale europeo. All’entropia incipiente, Millennium contrappone le leggi risorte della Giustizia, della Tradizione e della Comunità.”

 

Non ci è dato sapere se in questo caso è RaiNews ad aver giocato con la fantasia, tirando fuori sedicenti “organizzazioni antifasciste” e addirittura le “Brigate internazionali”, o se siano i neonazisti di “Millennium” a voler creare ulteriore confusione utilizzando simboli e parole d’ordine tipiche dell’antifascismo. Probabilmente sono entrambe le cose.

 

Tuttavia è chiaro che il gruppo “Millennium” fa parte di quella corrente rosso-bruna ed eurasiatista di chiara matrice nazista e che i suoi volontari a Donetsk sono dunque nazisti. La stessa corrente in cui si colloca il Partito della Nuova Russia, fautore dello Stato Federale della Nuova Russia.

 

Si deve quindi fare chiarezza sulla situazione in Ucraina, smascherando i gruppi neofascisti che agiscono nel conflitto. Bisogna rendersi conto che anche a Donetsk come a Kiev i fascisti sono al governo, strumento delle potenze imperialiste che si contendono l’Ucraina.

Il caso dei volontari del gruppo nazista “Millennium” mostra quanto sia urgente riaprire un dibattito serio sulla situazione in Ucraina. Quanto accade oggi in Ucraina ci mostra cosa può accadere quando la classe lavoratrice è ridotta in ginocchio, divisa e disorientata, in questo caso da decenni di capitalismo di stato e da venti anni di capitalismo selvaggio. Per questo è importante chiarire le posizioni in un dibattito che rifiuti la propaganda delle potenze in campo e che metta al centro l’internazionalismo, coscenti che solo la forza dell’unità di classe che rompe le frontiere imposte dagli stati può fermare la guerra e può abbattere i regimi fascisti che oggi si fronteggiano in Ucraina.

 

 

Fonte:

http://collettivoanarchico.noblogs.org/post/2014/06/11/fascisti-italiani-in-ucraina-a-donetsk-come-a-kiev/

Imperialismi e Ucraina

di Vincent Présumey

Le interpretazioni e i commenti predominanti sugli avvenimenti in Ucraina si distribuiscono spesso su due fronti: per gli uni, l’“imperialismo” è l’“Occidente” e aggredisce “la Russia”; per gli altri, viceversa, l’Occidente è colui che libera ed è democratico e se, in minor misura, impiegano il termine, l’imperialismo sarebbe russo.

Qualunque analisi seria dovrebbe invece partire dal fatto che esistono diversi imperialismi, preoccupandosi al tempo stesso di definire quello di cui si parla. Naturalmente, se non si procede unilinearmente, occorre dilungarsi un po’ di più: è il prezzo della ricerca seria.

 

Imperialismo

 

Quello di “imperialismo“ è un termine con significati che variano. Quello che sembra attualmente più pertinente è quello che ne fa una forma del capitalismo e dello Stato capitalista. Da questo angolo di visuale, e senza soffermarci troppo su questo, il famoso libretto su L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo, scritto da Lenin nel 1916, può fornire un efficace punto di partenza. Vi si enumerano cinque criteri: la concentrazione del capitale, la fusione del capitale bancario e di quello industriale nel capitale finanziario, il posto centrale dell’esportazione dei capitali, la formazione di trust mondiali e il completamento della spartizione territoriale del globo tra grandi potenze. Parla anche di “reazione su tutta la linea, soprattutto rispetto alle aspirazioni democratiche e nazionali non risolte e che la borghesia non può più risolvere nella fase imperialista, “epoca di guerre e rivoluzioni”. Quest’ultimo punto è importante nel caso ucraino, perché lì c’è una questione democratica e nazionale di primo piano, che si sviluppa in problema geopolitico europeo.

Questi elementi dell’imperialismo, soprattutto l’ultimo sulla spartizione territoriale, implicano un rapporto di fondo con lo Stato, che rimanda di fatto alla natura del rapporto sociale capitalistico. Questo rapporto fondamentale era stato colto in maniera più globale, prima di Lenin, da Nikolaj Bucharin, che parlava di “trust capitalistici di Stato”, ed era stato tra l’altro descritto in maniera notevole, da angolazioni diverse, da Rosa Luxemburg ne L’accumulazione del capitale.

Il modo di produzione capitalistico si riproduce di per sé una volta costituitosi, ma lo Stato non è qualcosa di estraneo rispetto a questa riproduzione. Gli Stati ne costituiscono componenti indispensabili, per conservare il predominio del capitale sui lavoratori, l’esproprio permanente della massa umana rispetto alla terra e ai mezzi di produzione, la continuità dei rapporti di mercato (rispetto dei contratti, pagamento dei debiti) e, di più, la concorrenza, leale o meno, con gli altri trust e gli altri Stati, che si riproduce quale che sia lo stadio di interpenetrazione mondiale dei diversi capitali. Quando il capitale perviene allo stadio “imperialista” di concentrazione e mondializzazione, gli Stati svolgono un ruolo fondamentale nel processo. Vi sono dunque Stati capitalistici che diventano imperialisti, e tra di essi esiste una gerarchia, con altri Stati che, pur volendo, non raggiungono quello stadio e sono più o meno dominati dai primi e dal loro capitale interno. Essendo il pianeta completamente ripartito ormai da oltre un secolo, gli spazi costano.

 

Gli imperialismi: Stati Uniti, Germania, Francia

 

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’imperialismo nordamericano (gli Stati Uniti) è dominante, pur non essendo l’unico né essendolo mai stato.

La principale struttura militare di dominazione messa in piedi dagli USA è la NATO. Con il pretesto della “lotta al comunismo” la Nato ha innanzitutto consentito agli Stati Uniti di istituzionalizzare e perpetuare la sottomissione militare e quindi politica delle altre potenze imperialiste europee, Inghilterra e Francia, poi, a partire dal 1955 e dal suo reinserimento nel concerto delle potenze, la Germania, con la presenza militare in quel paese (come in Giappone), la preponderanza nucleare e la direzione del comando integrato della NATO, che garantisce la dominazione. È noto che l’imperialismo francese sotto De Gaulle aveva cercato di contestare quel dispositivo, pur continuando a parteciparvi regolarmente. Se si capisce questo ruolo della NATO, si capisce anche che questa non poteva sparire con la scomparsa dell’Urss, che era servita da pretesto per la sua creazione. Il suo mantenimento e la sua espansione in Europa centrale e orientale tengono sotto tiro la Russia, ma puntano anche a tenere a bada l’imperialismo tedesco, proprio nel momento in cui UE ed euro sono praticamente diventate le forme del predominio continentale e della preponderanza di quest’ultimo.

I crimini dell’11 settembre 2011 hanno permesso all’imperialismo nordamericano di portare avanti un’offensiva mondiale che lo ha di fatto, a medio termine (su scala del decennio 2000), seriamente “affaticato” e indebolito, ma che ha anche avviato l’accerchiamento della Russia, con l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, con le basi in Asia centrale e, sul continente europeo, il precedente intervento in Kosovo, il sistema di missili antimissili destinati a neutralizzare il potenziale offensivo-difensivo della Russia (nel nucleare, qualsiasi difensiva è offensiva), raddoppiando l’estensione della NATO e coprendo quella dell’UE, rendendo anche qui manifesto l’obiettivo del contenimento della Germania. A partire dalla metà del 2000, gli USA procedono apertamente verso l’estensione della NATO all’Ucraina. la Moldavia e la Georgia.

Quest’aggressività ha suscitato l’opposizione russa e una prima guerra si è verificata in Georgia nel 2008. Causata da una provocazione ispirata dai servizi USA, essa ha visto una vera e propria invasione della Georgia da parte dell’esercito russo, e la mediazione dell’imperialismo francese dava soddisfazione a Mosca, con la copertura della retorica “occidentale”, quanto al controllo dell’Abcasia e dell’Ossezia meridionale. Questo episodio ha stabilito un equilibrio precario e temporaneo. Ucraina e Georgia non rientravano nella NATO, ingresso cui si era opposta la Germania, ma la Polonia rientrava nel dispositivo “antimissili”. Le lotte di fazioni oligarchiche in Ucraina, connesse alle alleanze e alle bustarelle delle potenze straniere al paese, non potevano non pesare sulla conservazione o il crollo di quel fragile equilibrio.

Maggio 2008 vuol dire anche il fallimento di Lehman Brothers e l’aprirsi della crisi finanziaria mondiale e, poco dopo, l’elezione di Obama. L’indebolimento e lo squilibrio dell’imperialismo nordamericano sono andati crescendo, incluso con la nuova irruzione di importanti movimenti sociali in terra statunitense. Vi hanno contribuito anche gli avvii di rivoluzioni in diversi paesi arabi a partire dal 2011. La situazione è sfociata di recente in importanti sviluppi. La velleità di una grande ostentazione militare in Siria a fine agosto-inizio settembre 2013 (appoggiata a fondo e addirittura scavalcata dall’imperialismo francese, per sue specifiche motivazioni di vecchia potenza mediterranea e africana) si è sgonfiata, in condizioni di eccezionale gravità per la Casa Bianca. È il presidente Putin che ha tirato fuori il presidente Obama dal vicolo cieco che lo avrebbe portato alla sua sconfessione da parte del Congresso. In seguito a questo, gli Stati Uniti siglavano l’accordo con l’Iran (la cui prima vittima è il popolo siriano, che non hanno mai appoggiato contro Bashar al-Assad). Il tutto, entro una strategia globale in cui l’accerchiamento della Cina è diventata la preoccupazione principale, esplicitamente dichiarata, dell’esecutivo USA, nella speranza, non irrealistica, di contrapporre Russia e Cina.

Questi sono richiami indispensabili: è impossibile analizzare una crisi come quella dell’Ucraina senza inserirla nel quadro dei rapporti di forza mondiali, in cui la lotta di classe è il fattore principale, anche se spesso sotterraneo. Sono state soprattutto la resistenza della classe operaia americana e le “rivoluzioni arabe” a determinare l’indebolimento e le esitazioni dell’imperialismo nordamericano, e anche la profonda divisione dei suoi esponenti politici, che si riflette fin nell’apparato di Stato, in quello militare, e quindi nella NATO, e in alcuni servizi diplomatici; una divisione tra quelli che vogliono gradatamente ritirarsi e quelli che vorrebbero riprendere mano libera per provocazioni e avventure, e combinazione di entrambe.

Allo stesso modo, gli sviluppi che conosce l’Ucraina dal novembre 2013 non si riescono assolutamente a capire se non si prende atto della realtà dell’“inopinata” e “inattesa” sollevazione popolare (come sempre lo sono le sollevazioni popolari).

Questi sviluppi erano inattesi per l’imperialismo americano, diviso tra quelli che vogliono sfruttarli e quelli che ne temono le conseguenze. Di qui l’aver “surfato” tra emissari ufficiali autoproclamati (ad esempio, il repubblicano McCain) e, a partire da metà gennaio quando fallisce il tentativo di schiacciare le masse con lo stato d’emergenza, l’appoggio al governo che si installa al posto del presidente Yanukovyč. Ma non è stato un colpo di Stato della CIA ad aver prodotto questo insediamento, che tra l’altro non ha soddisfatto del tutto la folla di Maidan, che ha subito manifestato clamorosa disapprovazione per la maggior parte dei membri del nuovo governo. In questa questione, non vediamo l’imperialismo americano prendere l’iniziativa, ma inseguire gli avvenimenti con l’intenzione palese di recuperarli, il che non significa evidentemente che non abbia sul posto le sue spie, i suoi mercenari, ecc. Per combattere l’imperialismo occorre capire in che condizione si trovi.

Alla vigilia della fuga di Yanukovyč, i ministri degli Esteri tedesco, francese e polacco avevano imposto la firma di un accordo per un governo di unità nazionale tra lui e i tre partiti autoproclamatisi esponenti di “Maidan”: quello di Tymošenko e Yacenjuk, quello del puglie Klyčko e quello di Svoboda. Non era quella la linea dell’imperialismo americano, che riteneva si dovesse subito puntare sulla caduta di Yanukovyč e che era molto irritato dalla politica della UE, vale a dire dalla politica tedesca, come è emerso agli occhi dell’opinione pubblica da una conversazione registrata e divulgata dai servizi russi, in cui la diplomatica Victoria Nuland, vicesegretaria di Stato USA, esclamava “Fuck the UE” [“Vada a farsi fottere l’UE”]. L’episodio è stato massicciamente utilizzato per dimostrare la manipolazione americana degli avvenimenti ucraini, mentre dimostra soprattutto le contraddizioni tra Stati Uniti e Germania, e la pubblicazione rivela piuttosto la volontà russa di sfruttarle.

Yanukovyč ha deciso di scappare da Kiev, pensando di ritornarvi, nella notte seguita a quell’intesa, mentre gli scontri armati si intensificavano nel centro della città e il suo stesso partito, il Partito delle Regioni, vedeva i suoi dignitari esigerne la partenza per salvare la propria pelle e le proprie prebende. Di colpo, il governo messo in piedi altro non era che il governo di unità nazionale previsto con Yanukovyč, ma senza di lui. Non è minimamente l’espressione del movimento Maidan, la cui sola vittoria è la fuga di Yanukovyč. Questo governo coinvolge solo fazioni acquistate dagli imperialismi occidentali, non fazioni filorusse (Julija Tymošenko, che fa il doppio gioco, ne è d’altronde diventata l’oppositrice). Dunque, si rimettono sul tappeto l’associazione dell’Ucraina all’UE, i suoi legami con la NATO, come quelli della Moldavia, enclave tra Ucraina e Romania, rompendo il precario equilibrio del 2008: ed è questo che l’imperialismo russo rifiuta.

L’analisi della politica delle potenze imperialiste presuppone che si distinguano fatti e dichiarazioni. Per quanto riguarda i fatti, Obama ha reso noto a più riprese che non si ritiene pensabile qualunque intervento militare. E invece gli agenti e i mercenari convergono verso l’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno gesticolato parecchio a proposito della Crimea, ma non avevano la minima intenzione di fare alcunché, tanto più che quest’annessione non cambia i rapporti di forza militari e marittimi nel Mar Nero. Il 17 aprile, hanno firmato un accordo con la Russia e la Germania (quest’ultima sotto copertura dell’UE) e imposto al governo di Kiev un accordo che, di fatto, consentiva la prosecuzione dell’installazione di paramilitari legati alla Russia nelle prefetture e negli oblast [suddivisione amministrativa degli Stati slavi più o meno equivalente a regione, o provincia, o area] del Donbass e di Lugansk. Se un rapporto di forza esiste tra Stati Uniti, Germania e Russia, riguarda la spartizione delle zone di influenza in Ucraina. Ho già dettagliatamente commentato questo accordo chiave del 17 aprile in un mio articolo del 5 maggio.

I conflitti e le contraddizioni interimperialiste “occidentali” svolgono un ruolo importante nei loro atteggiamenti reali verso l’Ucraina. È evidente che la contraddizione principale contrappone Stati Uniti e Germania e per la Germania significa una vera e propria sfida, una scelta politica tra l’allinearsi agli Stati Uniti, oppure un’alleanza russa, perlomeno una politica più autonoma rispetto agli Stati Uniti e alla NATO, che sostengono naturalmente Schröder e Schmidt, e che rappresenta di fatto il ministro degli Esteri SPD del governo di coalizione, Stermeier. La fonte o il principale avallo delle voci su “chi ha sparato su Maidan”, fa peraltro risaltare questo ruolo della Germania o di determinati settori tedeschi. Sembrerebbe infatti che la maggioranza del padronato industriale e finanziario tedesco sia su una linea “continentale” di stretta collaborazione con Putin. Le divisioni si ripercuotono sui posizionamenti della Polonia, dei Paesi baltici, dell’Ungheria, della Romania e della Bulgaria.

Gli Stati Uniti utilizzano questa pressione sulla Germania in favore del Trattato di libero scambio transatlantico. Su questo argomento, tuttavia, loro stessi sono divisi: Obama non ha acquisito l’appoggio del Congresso. La crisi di dominazione nordamericana è senz’altro sistemica e, invece di feticizzare ogni loro progetto come complotto malefico la cui attuazione avrebbe conseguenze apocalittiche, sarebbe meglio analizzare concretamente, anche qui, le condizioni reali dell’oggetto reale “imperialismo nordamericano”.

Quanto alla Francia, che non può avere qui la sua zona d’influenza, gesticola e si associa alle manovre, in realtà molto limitate, della NATO nel Mar Nero. Anche nei confronti dell’imperialismo francese, per combatterlo occorre tener conto e delle dichiarazioni e dei fatti. Ad esempio, la visita di François Hollande in Azerbaigian, Armenia e Georgia è stata, fin dall’inizio, o un atto “coraggioso” contro la cattiva Russia o, viceversa, un atto “di aggressione” contro la povera Russia accerchiata (sono le due versioni simmetriche dei discorsi che prevalgono). Ma è proprio in quel viaggio che si è confermata l’intenzione francese di vendere un numero rilevante di navi da guerra Mistral alla Russia (compresi dispositivi di trasmissione high tech), il cui significato in termini di forza d’urto è perlomeno altrettanto forte dell’invio di qualche fregata in Mar Nero nel quadro della NATO: Washington ha vivamente protestato, e Parigi ha vivamente risposto a Washington replicando anche sul piano siriano con la “rivelazione” di altri impieghi di armi chimiche da parte di Bashar al-Assad, per denunciare la “codardia” USA. Anche l’imperialismo francese cerca di giocare la sua carta, e questa per il momento passa per un fruttuoso commercio di armamenti con la Russia. Combattere l’imperialismo presuppone, ancora una volta, che si tenga conto sia delle ostentazioni verbali, sia dei fatti concreti, specie se si tratta del “nostro” imperialismo.

 

Gli imperialismi: Russia

 

E la Russia?

Sommariamente: l’imperialismo Russo viene fuori direttamente dalla burocrazia staliniana, la quale a sua volta deriva dal fallimento storico della rivoluzione socialista europea, l’obiettivo per cui si era costituito il vecchio movimento operaio, fallito nel 1914: nonostante questo, la rivoluzione esplodeva in Russia nel 1917. Facciamo notare – ed ha la sua importanza – che l’Ucraina sovietica, le cui frontiere vanno fino al Donbass e a Lugansk incluso, fu il risultato e una conquista di quella rivoluzione. L’apparato di Stato (la burocrazia) si è autonomizzato rispetto alla classe operaia, riflettendo in particolare il ritorno dello sciovinismo dominante grande-russo nei confronti dei georgiani, dei tatari e degli ucraini. A partire dal 1923, sfuggiva completamente a qualsiasi controllo della classe operaia. A partire dal 1929, sotto il nome di “collettivizzazione” e di “pianificazione”, effettuava l’esproprio dei contadini e generalizzava il lavoro salariato. Nella seconda metà degli anni Trenta stermina fisicamente i residui delle organizzazioni della classe operaia che avevano fatto la rivoluzione del 1917, Partito bolscevico in testa, di cui il PCUS non era la continuazione ma la negazione tramite sterminio. In quel sistema sociale, i rapporti mercantili, che affiorano da tutti i pori, vengono sostituiti dal controllo dello Stato chiamato in modo fittizio “socialismo”. Con la perestrojka questi rapporti trionfano e, per preservare ed estendere i propri privilegi di fronte a un rinascente movimento operaio e alle aspirazioni democratiche, i burocrati si costituiscono un capitale privato. Il processo si compie sotto El’cin con un generalizzato saccheggio predatorio.

Nel corso degli anni, questa fase di accumulazione privata con saccheggi e messa all’asta dei beni di Stato vede svilupparsi la crisi implosiva di questo Stato, cominciata con l’esplosione dell’URSS e l’indipendenza delle ex Repubbliche sovietiche nel 1991. Probabile sbocco di questa crisi era il formarsi di un capitalismo di secondo piano, commerciale e largamente infeudato all’imperialismo nordamericano. Alla fine degli anni Novanta, tuttavia, la resistenza vitale della classe operaia, espressa materialmente dai picchetti di minatori calati a Mosca proprio nel momento in cui crollavano i corsi della recentissima Borsa di Mosca, ha evidenziato i pericoli di fondo per l’ordine capitalista della semicolonizzazione del paese. Quel che gli Stati Uniti avevano rinunciato a fare in Europa occidentale dopo la Seconda Guerra mondiale, dopo averci pensato (piano Morgenthau di deindustrializzazione della Germania, lasciato alla fine cadere in favore del Piano Marshall), si rivela al di là delle loro forze anche nel caso della Russia.

La svolta da El’cin a Putin, dall’alcolista al pugile, si situa in quel momento. Putin però non esprime la resistenza del popolo russo all’asservimento, ma la piena e integrale restaurazione di un capitalismo russo sfuggito al predominio imperialista, essendo imperialista a propria volta. Il suo consolidamento avviene sulla base della sconfitta dei movimenti sociali e nazionali della fine degli anni Novanta: si tratta del barbaro schiacciamento del popolo ceceno (e della promozione di uno strato di “askari caucasici” che collaborano con il potere russo), e della rimessa in riga della classe operaia con un nuovo codice del lavoro che atomizza i lavoratori e mette fuori legge la maggior parte degli scioperi. L’elemento chiave del nuovo consolidamento di El’cin al servizio del capitale è l’assenza di partiti, e anche di strutture sindacali nazionali autonome e non legate allo Stato, che rappresentino, legittimamente o anche in modo deformato, la classe operaia. Quest’assenza è l’eredità conservata dello stalinismo incarnata dalla persistenza dei vecchi “sindacati” ufficiali. Su queste basi Putin è riuscito, tramite l’arresto simbolico di vari oligarchi come Federovskij e alla fine Chodorkovskij, a concludere la strutturazione dello strato capitalista dominante, come strato sia indipendente dal capitale straniero, sia posto su un piano di relativa parità nei confronti del centro dello Stato in base alla stabilizzazione delle leggi e dei contratti – cosa che non impedisce, anzi al contrario, di avere propri conti in Svizzera, alle Bahamas, a Cipro (fino al gennaio 2013), propri operatori finanziari a Londra, e proprie ville in Costa Azzurra.

Gli attacchi agli operai sferrati da Putin negli anni 1999-2003 hanno del resto fatto della Russia uno Stato per certi aspetti molto più “commercializzato” (rispetto ad esempio a quel che resta dei servizi sociali, della Sanità e dell’Istruzione) di parecchie altre ex repubbliche sovietiche tra cui l’Ucraina, dove il permanere di fazioni oligarchiche negli anni di El’cin in Russia è andato di pari passo con una minore realizzazione delle privatizzazioni e commercializzazioni, soprattutto nella parte orientale del paese. È così, ad esempio, che era preferibile, finora, essere minatore nel Donbass ucraino (regione di Donetsk) che non nella vicina zona russa (regione di Rostov-sul-Don), dove la disoccupazione di massa è peggiore che in Ucraina e dove le miniere non sono più sovvenzionate dallo Stato oligarchico…

Il fatto che un capitalismo russo si affermi come indipendente dall’imperialismo nordamericano dominante, come l’affermarsi del capitalismo imperialista cinese oggi più potente di quello russo, e come in generale l’ascesa di potenze capitaliste regionali a vocazione imperialista, i cosiddetti “BRICS” (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), non vuol dire assolutamente che si tratti di fenomeni progressisti, se non per lo sviluppo della classe operaia che generano – e si noterà al riguardo che quest’ultimo aspetto è proprio quello che è stato assente nella Russia e nell’ex URSS passate per la deindustrializzazione.

Totalmente legati al modo capitalistico di produzione nello stadio imperialista, questi nuovi sviluppi sono portatori di guerra. Feticizzare il rapporto sociale capitalistico nella forma di uno Stato, di un popolo o di una cultura considerati “abominevoli” – quelli ad esempio “occidentali” o degli “anglosassoni”- apre la strada non alla rivoluzione emancipatrice ma allo sciovinismo, alla sant’alleanza, al razzismo e alla guerra imperialista.

Le caratteristiche sommarie dell’imperialismo elencate da Lenin, sopra richiamate, si ritrovano tutte nel caso russo contemporaneo, compreso il punto chiave dell’esportazione dei capitali e della ricerca di campi d’investimento per questi ultimi, precisando in oltre che la finanziarizzazione è immediatamente spinta al parossismo, a immagine del capitalismo come realtà mondiale. La peculiarità del capitalismo “putiniano” negli anni 2000 è quella di basarsi sull’esportazione di energia e di materie prime, intorno a due imprese, Rosneff e, al primo posto, Gazprom, che è direttamente il “trust” di Stato del petrolio (creato nel 1954) convertito in impresa petrolifera mondiale, che associa capitali europei e soprattutto interessi tedeschi, simboleggiati dal seggio occupato dall’ex cancelliere tedesco Schröder. Così come per Yukos [prima impresa petrolifera russa, sottratta a Chodorkovskij e confluita in Rosneff]. Queste caratteristiche esportatrici fanno dell’imperialismo russo un imperialismo di secondo piano, abbastanza largamente dipendente dai prezzi mondiali, che erano in rialzo negli anni 2000. La dipendenza rafforza l’incidenza relativa delle componenti militari e politiche nella sua equazione specifica.

La crisi mondiale apertasi dal 2008 accentua per l’imperialismo russo la necessità di passare a una nuova fase, in cui un settore industriale produca maggior plusvalore in loco, una transizione cui lavora il potere russo in vista di sviluppare i settori militare, delle infrastrutture e dei trasporti. I cantieri legati ai Giochi Olimpici di Sochi illustrano questa intenzione. Questo imperialismo, non giovane ma “resuscitato”, è altrettanto “marcescente” dei suoi rivali, non può avere sbocchi e soprattutto campi sufficienti di investimenti propri al di fuori di una proiezione politico-militare. È stretto e soffocato dall’imperialismo nord-americano, anch’esso non particolarmente in forma, e sorretto dalla sua forza militare come stampella della preservazione del suo predominio economico.

Di seguito riassumo le principali tappe di questo accerchiamento.

Dal 2008-2010, la reazione russa consiste soprattutto nel cercare di costituirsi una zona di investimenti che aggreghi alla Russia varie ex repubbliche sovietiche, in una “unione euroasiana” con l’Ucraina, il Kazakistan, la Bielorussia, l’Armenia. Il presidente dittatore eternamente rieletto del Kazakistan, Nazarbaëv, che rappresenta la totale continuità dello Stato e del capitale (era primo segretario del PC kazako sotto Gorbačëv), svolge qui un ruolo chiave. L’unione doganale euroasiana, per imperialista che sia, è su scala mondiale un’impresa relativamente limitata, dal momento che non copre neppure il campo dell’ex Unione sovietica.

Altrettanto importanti sono dunque l’inserimento del capitale russo nei circuiti finanziari mondiali e, sul piano politico – con le conseguenze che questo comporta in materia di potenza e di soft power – il fatto che la Russia di Putin si ponga come fattore di ordine sociale e di reazione. In larga misura lo ha fatto, suo malgrado, rispetto all’indebolimento e alle esitazioni nordamericane. Un punto critico si è raggiunto nell’estate 2003. Il crollo della presidenza islamista in Egitto, causato dalla maggiore ondata di manifestazioni della storia, non era nei piani degli USA e si è assistito allora all’intrecciarsi di contatti inattesi tra militari egiziani, servizi sauditi e Russia. Come ho già ricordato, Obama ha cercato di reagire montando un vero e proprio pseudo-intervento contro Bashar al-Assad, intrappolandosi nelle sue stesse contraddizioni, da cui è stato Putin a tirarlo fuori. L’aiuto militare russo ha un ruolo importante nel progressivo schiacciamento militare del popolo siriano, ad oggi la principale vittoria controrivoluzionaria nei paesi arabi dal 2011. Putin si afferma come un pilastro dell’ordine mondiale, in proporzione al calo del credito degli USA, senza però disporre dei mezzi, più di qualsiasi altro imperialismo, per sostituirsi al ruolo del gendarme mondiale che gli Stati Uniti non riescono più a svolgere correttamente. Tuttavia, facendo questo, i suoi specifici interessi hanno ottenuto una bella promozione.

Se è ricorrente la denuncia della russofobia spesso palese e ridicola dei nostri mezzi di comunicazione di massa, soprattutto da qualche mese a questa parte, conviene rendersi conto di come essa comporti anche un misto di ostilità e di fascino che le imprime la sua tonalità isterica particolare, e che il fascino per l’ordine sociale, la disciplina, la presunta salvaguardia dei “valori” religiosi e familiari ha, nel regime di Putin, un’influenza crescente in larghi strati borghesi e piccolo borghesi dei paesi “occidentali”. È importante quindi spendere due parole sulle costruzioni ideologiche coltivate da questo potere, o meglio dai suoi think tanks e altre cerchie satelliti, perché, imitando i neoliberisti, Putin ha saputo costruire o attrarre a sé reti analoghe, a immagine della sfera culturale, mediatica e ideologica del neoliberismo negli Stati Uniti.

In partenza Putin è uno spento burocrate e un poliziotto privo di ideali, ben lontano dall’immagine del superuomo che gli hanno forgiato i suoi comunicatori. Al consolidamento dello Stato russo come Stato capitalista corrispondeva l’adesione ufficiale a una retorica neoconservatrice piuttosto ultraliberista, tendente a presentare la storia russa su una linea di continuità: tutti i dirigenti russi sono buoni per definizione, e i dissidenti del passato (non gli attuali) anche loro lo sono in quanto hanno spianato loro la strada; l’unico momento spiacevole della storia russa è la rivoluzione del 1917, la figura di Lenin è condannabile (non però le sue statue ieratiche di fattura staliniana, che fanno parte del patrimonio allo stesso titolo delle icone), quella di Trotski deve rimanere all’inferno, Stalin va bene e anche gli zar vanno bene. Questa visione della storia era stata promossa in occasione dell’850° anniversario di Mosca, nel 1997, con la denominazione di “sintesi rosso-bianca”, dalla rivista Zavtra di tendenza “eurasiana”, ed era quotata sia tra i monarchici sia nella cerchia del dirigente del PC russo Žuganov.  Anche i legami tra Stato e Chiesa ortodossa sono sulla stessa linea.

Il think tank politicamente più attivo e più produttivo al servizio dell’apparato di Putin è quello del teorico “euroasiano” Alexandre Dugin, che dispone di potenti sponsor fra i capitalisti del complesso militar-industriale ed è anche legato al presidente del Kazakistan, Nazarbaëv. Dugin, animatore di Pamjat, associazione di destra stalin-zarista nata sotto la perestrojka, poi co-dirigente del “Partito nazional-bolscevico” di Limonov, si avvicina a Putin come consigliere ufficioso fin dal 1999-2000. Il suo “euroasianismo” (che non è l’unica variante di questa corrente, ma attualmente la più influente) combina un po’ di salsa occultista-esoterica con concezioni geopolitiche e razziste basate sulla contrapposizione tra paesi della terra (la Russia) e paesi del mare, commercianti e predatori (gli anglosassoni): La sua concezione della società, capitalista e religiosa, privilegia le esperienze fasciste e naziste. Il nazismo era nel complesso una buona idea tranne il fatto che ha commesso un errore, quello di attaccare l’Unione Sovietica, potenza della terra, insieme agli anglosassoni. Quanto al genocidio degli ebrei, non era per niente un errore: l’antisemitismo esplicito è rientrato ed è una componente fondamentale di questa ideologia. Il ristabilimento delle potenze terrestri e tradizionaliste, con l’instaurazione di una forma corporativa e ben regolata di capitalismo, passa per la potenza russa e la sua assimilazione dei popoli della steppa, turco-mongoli. Oltre agli ebrei, cosmopoliti che ispirano la finanza e le potenze marittime anglosassoni, due popoli si trovano nel mirino degli “eurasiani” versione Dugin. I tatari, soprattutto quelli di Crimea, perché costituiscono un ostacolo all’allineamento dei popoli turco-mongoli e caucasici allo statuto degli harkis [in Italia diremmo ascari] della santa Russia: ebraizzanti, sarebbero dei”Kazari”. Poi gli Ucraini, che non esistono e hanno la faccia tosta di aspirare all’esistenza nazionale, e che vanno inseriti, nella loro maggioranza, nel complesso pan-russo, con quelli del Donbass che sono in realtà russi e quelli di Galizia che si possono lasciare ai polacchi e all’Unione Europea (questo apre la possibilità di un’intesa per spartirsi l’Ucraina con l’estrema destra ucraina). Queste laboriose costruzioni ideologiche russe sono state di recente oggetto di una massiccia pubblicazione in francese, dal titolo La quatrième théorie politique, con una prefazione di Alain Soral, che si presenta come il nazional-socialista francese.

Assumendo l’etichetta di “eurasiano” ci si riferisce a un’importante componente intellettuale dell’emigrazione bianca degli anni Venti e Trenta, quella che fin dal 1921, con Ustrialov, sosteneva che l’apparato del PC al potere sarebbe stato fatalmente indotto a russificarsi e a incarnare gli interessi nazionali, cosa che li ha portati a sostenere la NEP ma anche la collettivizzazione. Non si trattava di una corrente marginale, ma rappresentava un consistente settore della borghesia russa emigrata – di fatto, più o meno tutto quello che aveva potuto produrre come intellighenzia, al di fuori delle religioni e delle mistiche che avevano spesso del resto idee politiche vicine. Con l’“eurasismo”, l’oligarchia rappresentata da Putin, prodotta dalla burocrazia staliniana, realizza dunque una duplice operazione ideologica: giustifica i propri appetiti di dominazione e si assegna la discendenza diretta dalla vecchia borghesia, quella che la rivoluzione d’Ottobre aveva espropriato, quella dell’epoca degli zar.

Malgrado la sua natura di delirio ideologico, si tratta di una costruzione coerente, è non è marginale. C’è da temere che la frenetica denuncia dei “nazisti ucraini”, cioè i riferimenti fascisti e nazisti della parte della destra nazionalista ucraina cosiddetta “banderista” (di fatto compattata soprattutto da cinque decenni di regime staliniano durante i quali gli ucraini si sono fatti trattare da nazisti), non serva soprattutto a dissimulare l’emergere di un’ideologia di stampo vicino al nazismo, concepita volutamente in questo spirito, nell’ottica di giustificare le imprese imperialiste russe.

Considerare questa ideologia che – con adattamenti, tende a essere dominante nello Stato e nei mezzi di comunicazione russi di oggi – una semplice reazione alla pressione occidentale (cosa che fa, ad esempio, Jean-Marie Chauvier, che fornisce molte informazioni al riguardo, ma la giustifica come “una reazione muscolosa all’espansionismo occidentale”, in Le Monde Diplomatique di maggio 2014), sarebbe un “errore” dello stesso tipo di quelli degli storici revisionisti tedeschi, che cercarono di presentare il nazismo come una reazione al “comunismo” o al trattato di Versailles: in questo modo si passano sotto silenzio la natura imperialista della Russia e l’aspetto di fondo di giustificazioni ideologiche di questo imperialismo.

 

La distruzione dell’Ucraina, programma dell’Imperialismo:

“reazione su tutta la linea”

 

Per l’ideologia imperialista russa di prima del 1914, l’Ucraina non deve esistere, perché non ne ha motivo, esiste la piccola Russia o, per riprendere un’espressione anche questa resa popolare da Alexandre Dugin, bisogna farla a pezzi, costruendo sulle sue rovine una “Nuova Russia” che comprenda il Donbass, Lugansk, Odessa e la Transnistria. Il termine “Novorossija” è semplicemente zarista: indica le steppe del Sud strappate con la forza ai cosacchi zaporoghi, vale a dire agli ucraini, e ai tatari. Ora, questo termine è stato ripreso da Putin in persona nel suo discorso del 17 aprile e suonava come incoraggiamento ai paramilitari a spingersi verso Odessa, con le conseguenze ben note del 2 maggio scorso.

La distruzione dell’Ucraina che si fa passare fra i nostalgici che ancora si immaginano che l’URSS costruisca il socialismo come un modo per rifare l’URSS, in realtà approfondisce la controrivoluzione. L’Ucraina, come altri 13 Stati dell’Europa centrale e orientale, del Caucaso e dell’Asia centrale, è una repubblica sorta dall’ex URSS, altrettanto quanto la Russia, e i suoi confini sono il frutto della rivoluzione del 1917, e del suo sviluppo in rivoluzione contadina e nazionale ucraina che ha permesso ai rossi di sconfiggere i bianchi. Sono questi confini del 1920 che Putin ha dichiarato assurdi, imposti alla vecchia Russia, quella del tempo degli zar. Mettere in piedi repubbliche posticce paramilitari nel Donbass e a Lugansk è in assoluto un’impresa controrivoluzionaria, che si colloca completamente nella prospettiva imperialista “eurasiana”, quella per cui il decoro “sovietico” serve solo a valorizzare gli stendardi zaristi, i nastri di San-Giorgio, le insegne dei Cento Neri e la società che a questo corrisponde.

La distruzione dell’Ucraina significa la “reazione su tutta la linea” nell’accezione di Lenin nel 1916, ed è il terreno di possibile intesa tra imperialismi russo, americano e tedesco. È con questo che si scontra la nazione ucraina, con al suo centro la classe operaia, come tendono a dimostrare gli sviluppi recenti nel Donbass, che contrappongono in modo crescente i minatori ai paramilitari “anti-Maidan”. Se le parole internazionalismo proletario” devono rinnovare il proprio significato originario mettendosi al tempo stesso in sintonia con il XXI secolo, si deve cominciare dalla solidarietà con la nazione ucraina in lotta per la propria sovranità democratica e la propria unità.

(24 maggio 2014. Traduzione di Titti Pierini).

Fonte:

http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1788:imperialismi-e-ucraina&catid=57:imperialismi&Itemid=73

 

RUSSIA: Il nastro di San Giorgio e l’invenzione della tradizione

86923233 GEORGIEVSKAYA LENTA S ORDENOM

 

«Tradizioni che ci appaiono, o si pretendono, antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta». Così scriveva nel 1983 lo storico Eric Hobsbawm nel suo L’invenzione della tradizione, a proposito di casi quali il tartan dei clan scozzesi. Tali tradizioni inventate sono fondamentali per il consolidamento di un’identità di gruppo nei processi di costruzione della nazione e dello stato (nation-building e state-building) come “comunità immaginate“, nel termine usato da Benedict Anderson.

Tale è anche il caso del nastro di San Giorgio, la georgevaskaya lenta: il nastro nero e arancione nato ai tempi dello zar (fu creato dalla zarina Caterina dopo la prima guerra di Crimea, quella del 1769) e i cui colori probabilmente richiamano lo stemma imperiale dei Romanov, l’aquila nera su sfondo oro. Abolito dai bolscevichi, fu riesumato negli anni ’90 e volutamente confuso con la medaglia sovietica dagli stessi colori, quell’Ordine della Gloria “per la vittoria sulla Germania nella Grande Guerra Patriottica del 1941-45″ (За победу над Германией) conferita a tutti i reduci del fronte orientale al termine del conflitto. Oggi, il nastro di San Giorgio sta acquisendo sempre più valore di un simbolo nazionalista russo, e la sua ricezione negli altri stati post-sovietici sta cambiando.

La stessa celebrazione del Giorno della Vittoria è una “tradizione inventata” in una doppia sequenza trentennale, spiega Adrien Fauve, ricercatore dell’area post-sovietica a SciencesPo Parigi. ”Il 9 maggio, Giorno della Vittoria, è un elemento fondante della società russa e degli altri stati post-sovietici.”  La Russia infatti è solo uno degli stati successori dell’Unione sovietica, e su un piano di parità con gli altri, dall’Ucraina al Kazakhstan, i cui cittadini hanno partecipato allo sforzo bellico sul fronte orientale. Anche per questo motivo, alcuni elementi di legittimità del regime precedente, quali il Giorno della Vittoria, sono serviti da elemento di legittimazione per i nuovi stati indipendenti.

La sacralità della celebrazione del 9 maggio risale al periodo brezhneviano degli anni ’70, quando inizia ad essere celebrato il culto della forza incarnato nel sacrificio dei soldati e nell’eroismo della vittoria. Essa riceve poi nuovo slancio in Russia sotto Putin a partire dal 2005, sessantennale della vittoria, momento nel quale viene ripescato anche il nastro di San Giorgio quale simbolo patriottico. Da allora, il nastro di San Giorgio è distribuito e indossato liberamente dai civili come atto di commemorazione, secondo il motto “ricordiamo, ne siamo fieri!”.

In Kazakhstan, come in altri stati post-sovietici, la celebrazione del 9 maggio si trasforma oggi in una tradizione popolare e familiare di ricordo dei parenti caduti durante il conflitto; le coccarde arancio e nere, pur presenti su poster ed oggetti celebrativi ufficiali, non sono indossate dalla maggioranza dei convenuti. Dal 2014, poi, il governo kazako ha deciso di bandirne l’uso, per la connotazione nazionalista che hanno assunto a partire dagli eventi in Ucraina orientale: “il minimo segno materiale innesca una reazione di posizionamento politico”, continua Fauve. La stessa decisione è stata adottata dalle autorità bielorusse, secondo cui tale simbolo in Ucraina sarebbe attualmente utilizzato “da militanti e terroristi”

In Ucraina, gli stessi veterani del conflitto mondiale (i pochi ancora in vita) hanno contestato l’uso politicizzato del nastro di San Giorgio fatto da nazionalisti e separatisti filo-russi nell’est del paese, ricordando come lo sforzo bellico contro gli occupanti nazi-fascisti sia stato un’impresa comune dei diversi popoli sovietici, e non possa essere appropriato dalla sola Russia, come avvenuto nel momento in cui i membri della Duma russa hanno celebrato l’annessione della Crimea occupata indossando il nastro di San Giorgio.

Foto: liveinternet.ru

 

Fonte:

http://www.eastjournal.net/russia-il-nastro-di-san-giorgio-e-linvenzione-della-tradizione/42836#!prettyPhoto/0/