PARLIAMO DI ARMI CHIMICHE IN SIRIA

Parliamo di armi chimiche in Siria

E’ uscito un rapporto Opcw che non piacerà ai complottisti

14 Giugno 2018 alle 21:21

La Via del sarin

I resti di un razzo sparato dalle forze del regime nella città di Douma, nella regione di Ghouta. Foto LaPresse

Due giorni fa l’Opcw, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha pubblicato il suo ultimo rapporto sull’uso di armi chimiche in Siria. C’è scritto che nel marzo 2017 ci furono un attacco con l’agente nervino e uno con il cloro contro due villaggi nel centro del paese, vicino Hama. Pochi giorni dopo, il 4 aprile, ci fu l’attacco con una bomba al sarin contro il villaggio di Khan Shaykhun, vicino Idlib, che fece cento morti. I primi due passarono inosservati perché provocarono molti meno morti e meno documentati, il terzo causò una strage. Lo scriviamo per quei testoni che ancora credono che gli attacchi con le armi chimiche in Siria siano stati soltanto tre in otto anni di guerra civile, quelli coperti dalla grancassa dei media mondiali. Sono stati decine. Se si è parlato molto soltanto di quei tre attacchi è perché hanno colpito concentrazioni di esseri umani più dense e hanno fatto molte vittime, ma erano un fatto molto più comune di quanto si crede. E invece dopo ogni strage con le armi chimiche abbastanza grave da finire sui telegiornali ci tocca ascoltare qualche teoria del complotto che comincia con la domanda carica di insinuazioni: “Perché proprio adesso?”. Perché non vi siete accorti degli altri attacchi, quelli minori, eravate troppo distratti a seguire altro.

 

Questo rapporto è stato scritto dalla missione così detta Fact Finding dell’Opcw, che non ha il compito di attribuire una responsabilità (anche se le bombe furono sganciate da elicotteri, che soltanto il regime ha). La missione successiva dell’Opcw per capire chi è stato è stata bloccata da un veto della Russia al Consiglio di sicurezza. Chissà perché.

 

Fonte:

https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/06/14/news/parliamo-di-armi-chimiche-in-siria-200600/?paywall_canRead=true

Attacco Usa in Siria, Trump sconfessa la sua linea. Ma l’avvertimento preventivo alla Russia conferma l’intesa con Mosca

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Mondo
Il bombardamento della base aerea di Shayrat non rappresenta in sé un’escalation nella crisi siriana. Altrimenti metterebbe a rischio le intese che Mosca, Washington e Ankara hanno raggiunto per stabilire sul Paese, ormai in macerie, la loro personale area d’influenza. Se Russia e Cina sono state davvero informate dell’attacco, il bombardamento Usa alla base di Shayrat ha scopo puramente dimostrativo
“Quello che sto dicendo è rimanete fuori dalla Siria!”. Lo scriveva Donald Trump su twitter il 4 settembre del 2013, pochi giorni dopo l’attacco con armi chimiche nella zona di Ghouta, a Damasco, dove circa 1400 persone vennero uccise. Allora, per il presidente Barack Obama, era stata superata la linea rossa tracciata dall’ex segretario di Stato John Kerry. A quel tempo l’intervento americano non ci fu. Perché grazie alla mediazione russa si trovò un accordo per chiedere a Damasco di consegnare, sotto la supervisione di osservatori dell’Opac – l’organizzazione mondiale per la proibizione delle armi chimiche -, tutti i quantitativi di sarin stoccati nei magazzini. Quell’intesa segnò una nuova pagina per la crisi siriana che condusse l’amministrazione Obama verso un ruolo più defilato, in favore di una Russia maggiormente attiva nel contesto siriano.Con l’amministrazione Trump, che aveva criticato l’approccio di Obama nella questione mediorientale, è parso subito chiaro che gli Usa sposassero una linea non interventista, cercando con la Russia un’intesa per un coordinamento nella lotta al terrorismo. Una visione che aveva avuto risvolti politici, almeno a parole.

La settimana scorsa Nikki Haley, ambasciatrice Usa presso le Nazioni Unite, aveva affermato che “per gli Usa la rimozione di Assad non era più la priorità”. A fare da eco alle sue parole ci aveva pensato anche Rex Tillerson, segretario di Stato Usa che, durante una visita ad Ankara il 30 marzo scorso, aveva detto che “il destino di Assad sarebbe stato scelto dai siriani”.

Dichiarazioni in linea con la posizione del Cremlino che ha sempre ribadito il suo appoggio al governo di Damasco. Ed emergeva così il raggiungimento di una visione comune o almeno un cambio di rotta.

Non a caso il 7 marzo scorso ad Antalya, in Turchia, i tre capi di Stato maggiore di Usa, Turchia e Russia si erano riuniti per discutere della situazione intorno a Munbij, città siriana nel nord della Siria, dove le forze armate sostenute da questi tre paesi si erano scontrate. “C’è la volontà di creare un coordinamento efficace negli sforzi per eliminare ogni gruppo terroristico dalla Siria”, aveva dichiarato il primo ministro turco, Binali Hildirim.

Ma secondo molti analisti questo coordinamento aveva come scopo quello di creare per ogni potenza aree d’influenza sotto l’ombrello della lotta al terrorismo. Solo due giorni dopo, il 9 marzo, centinaia di marines sono entrati in Siria per combattere contro lo Stato Islamico a fianco delle ‘Forze democratiche siriane’, una formazione predominata dai curdi e sostenuta da Washington. Mentre la Turchia, in quegli stessi giorni, intensificava la sua operazione “scudo dell’Eufrate” per creare una zona cuscinetto nel nord della Siria.

Ma dopo l’attacco chimico a Khain Sheikhun il 4 aprile scorso, l’approccio americano in Siria sembra cambiare drasticamente. “Quello che ho visto ieri su bambini e neonati ha avuto un grande impatto su di me. Quello che è successo ieri è inaccettabile. Su Assad ho cambiato idea”, ha detto Trump il giorno dopo in conferenza stampa con re Abdullah II di Giordania.

Dopo l’attacco con 59 missili che ha colpito la base di Shayrat, il portavoce del Pentagono ha riferito che “i russi erano stati informati dei piani Usa per minimizzare i rischi per il personale russo e siriano presente nella base aerea”. Mentre il presidente cinese Xi Jinping, scrive la stampa, è avvisato personalmente da Trump durante il meeting in Florida.

Se Russia e Cina sono state davvero informate dell’attacco, allora il bombardamentoUsa alla base di Shayrat ha scopo puramente dimostrativo. Motivato dal desiderio di riaffermare il ruolo di Washington sullo scacchiere internazionale. Per la Cina rappresenta invece un segnale di imprevedibilità di Trump che continua a alzare i toni contro la Nord Corea, sostenuta da Pechino. Quindi Pyongyang potrebbe non essere più immune a rappresaglie Usa. Ma la cosa più importante dell’avvertimento preventivo a Cina e Russia è che l’attacco della notte scorsa non rappresenta un’escalation della crisi siriana. Perché in quel caso a rimetterci sarebbero le varie potenze che hanno raggiunto alcune intese per stabilire sul Paese, ormai in macerie, la loro personale area d’influenza.

Fonte:

ATTACCO CHIMICO IN SIRIA: IL DIARIO DI MEDICI SENZA FRONTIERE E UNA PETIZIONE

Attacco chimico in Siria, il diario
di Medici senza Frontiere:
«Portate l’atropina, serve aiuto»

Minuto per minuto così le squadre della ong hanno soccorso i feriti dopo il raid di martedì. Il racconto del capo missione italiano

(Foto Ap)(Foto Ap)

«Sono in Siria da un anno e tre mesi. E un attacco di quest’entità io non l’ho mai visto». Massimiliano Rebaudengo, 43 anni, è capo missione di Medici Senza Frontiere in Siria. Parla al telefono. Racconta una giornata — martedì 4 aprile 2017 — in cui sono morte 75 persone a Khan Sheikhoun, nel nord della Siria. Nomi e date che chi ha visto non dimenticherà mai. «Un attacco chimico di cui va attribuita la responsabilità» per le Nazioni Unite. «Una strage di bambini» per politici e giornali. Ma nel racconto dei dottori non c’è spazio per la retorica del dolore o per il linguaggio diplomatico. In guerra a parlare per prime sono le cifre. Numeri che vanno a braccetto con i nomi dei gas usati per sterminare i civili: sarin, agenti neurotossici, cloro, ammoniaca. «Quando nei nostri ospedali arrivano dieci feriti parliamo di mass casualty (afflusso massiccio di vittime, ndr). Martedì è stato diverso. Solo il nostro staff medico ha visto 92 pazienti». Si parte da qui. Poi, Rebaudengo inizia la cronaca.

Ore 8:30

I dottori di Msf dell’ospedale di Athmeh sono stati avvertiti via telefono che c’è stato un attacco. Nella conversazione, le fonti avvertono che molto probabilmente sono state usate armi chimiche contro i civili. Non è la prima volta che accade. Lo staff di Msf che si trova sul campo— «tutti uomini, tutti siriani» — ha già visto e trattato pazienti intossicati dai gas delle armi chimiche. Solo una settimana prima, un ortopedico è morto durante il trasporto dopo essersi intossicato curando un paziente a Latamneh colpita da un raid con gli elicotteri. Passano pochi minuti e lo staff capisce che questa volta è diverso. O, meglio, non è diverso. «È più grave». Da Gaziantep, al confine tra Siria e Turchia, viene coordinata la missione. In meno di due ore dall’attacco — che è iniziato alle 6:50 — cinque medici e tre équipe si mettono in movimento per raggiungere gli ospedali nella zona dell’attacco. Si deve decidere in fretta, non c’è spazio per le incertezze. Chi va dove? «Tre medici partono per l’ospedale più grande al confine con la Turchia, quello di Bab el Hawa, una squadra viene inviata all’Atmeh Charity dove si trova tutt’ora e un terzo team va all’ospedale di Hass, più piccolo degli altri». Il protocollo è sempre il solito, anche in un contesto del genere. Si viaggia sulle ambulanze e sui minivan, mantenendo costantemente il contatto radio con chi coordina la missione. Prima di partire si forniscono le coordinate dell’itinerario. Ma al di là delle regole e delle procedure, chi sale in auto sa molto bene che rischia di morire in qualsiasi momento. «In questa guerra che dura da sei anni, i nostri medici, le nostre ambulanze, i nostri convogli umanitari e i nostri ospedali sono diventati un target militare come un altro».

Tra le 10:30 e le 11:30 secondo le località

Lo staff raggiunge gli ospedali. Altro protocollo da seguire. «Si indossano le tute integrali, le maschere e i guanti rinforzati e solo allora si possono iniziare a visitare i pazienti che vanno prima spogliati e poi lavati». Il rischio contaminazione è altissimo. Basta un errore e il medico si trasforma in paziente. L’elenco dei feriti che arrivano da Khan Sheikhoun e visitati da Msf si allunga con il passare delle ore: «Diciassette a Bab el Hawa,8 ad Hass, 35 ad Atmeh». Lo screening dei sintomi è lungo. «Le pupille ristrette, gli occhi infiammati, l’incoscienza e l’incontinenza lasciano presupporre l’uso di un agente neurotossico che potrebbe essere Sarin». Bambini, donne, vecchi. I pazienti sono di tutte le età, nessuno viene risparmiato. «Mancanza di respiro, cianosi e odore di candeggina sulla pelle indicano l’uso di un agente soffocante come il gas clorino», è il primo report stilato dallo staff. Iniziano anche i primi decessi: «Quattro morti ad Hass, molti di più a Bab el Hawa, di Atmeh non si conoscono ancora le cifre». I sopravvissuti lottano per respirare, non riescono a raccontare nulla. I bambini che ce l’hanno fatta sono in stato di choc. Due infermieri di Bab el Hawa si contaminano. «In tutte le strutture mancano i farmaci, serve atropina, idrocortisone». Msf dona i medicinali che ha portato.

Ore 21:30

I medici sul campo riferiscono via telefono al team di Gaziantep le prime diagnosi. «I sintomi sono coerenti con l’esposizione ad agenti neurotossici come il sarin e ad agenti soffocanti come il gas cloro». Sono parole pesate con cura, che l’indomani verranno trasmesse nei comunicati stampa della ong. Ma non c’è tempo di fermarsi. La squadra all’Atmeh Charity rimane sul campo. Sono appena arrivati altri 35 pazienti, tutti in condizione critiche. Il lavoro da fare è appena iniziato. Intanto, sui telegiornali della sera passano le immagini dei piccoli corpi cianotici. Qualcuno si ferma a guardare. Qualcuno tira dritto o cambia canale. La Siria è lontana. O, almeno, così pare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte:

http://www.corriere.it/esteri/17_aprile_06/attacco-chimico-diario-un-medico-c387cde0-1a3f-11e7-988d-d7c20f1197f1.shtml

*

Il popolo siriano e l’Umanità hanno il medesimo destino!

on

:

A girl waves an opposition flag during an anti-government protest inside a 2nd century Roman amphitheater in the historic Syrian southern town of Bosra al-Sham, in Deraa

Abbiamo appena assistito in diretta all’ennesimo infame crimine di guerra del regime di Asad in Siria! E’ stato documentato e ha già fatto il giro del mondo; è chiaramente una  violazione delle norme internazionali: perciò è tempo di farla finita!

Le istituzioni internazionali si dimostrino finalmente garanti dei trattati internazionali di cui le Nazioni Unite sono depositarie!

L’attacco chimico avvenuto a Khan Sheikhun, in provincia di Idlib oggi 4 aprile 2017, è una ennesima provocazione del regime a tutta la Comunità delle Nazioni che si rifanno ai diritti dell’Uomo e della Donna e alle Convenzioni di Ginevra – firmate dopo la sconfitta del nazi-fascismo. Si tratta di un evidente crimine contro l’Umanità in cui sono stati uccisi decine e decine di civili innocenti e inermi, compresi tantissimi minori.

Come sempre il regime scommette sulla propria impunità. Damasco cerca di provocare maggiore sangue e più spirito di vendetta nella popolazione civile siriana, che ha già subito 6 anni di massacri indiscriminati.

Il ciclo macabro che Bashar al-Asad ha innescato nel 2011 doveva portare il suo regime a vincere la competizione dell’orrore, che lui stesso ha unilateralmente decretato. La popolazione civile con le sue proteste pacifiche e il suo spirito allegro ha invece scelto di percorrere il binario opposto, quello del riscatto sociale e culturale, prima che politico e militare. Questa riconquista della propria dignità di popolo è ciò  che ha spinto  tutti noi dal primo giorno a sostenere le istanze e lo spirito di rinnovamento profondo in Siria – voluto da tutti i settori oppressi della popolazione – e a scendere in piazza insieme ai siriani che stavano riconquistando la propria Libertà.

Dopo l’attentato alla metropolitana di San-Pietroburgo di ieri 5 aprile, in cui sono morti altri civili innocenti, il regime di Asad ha voluto nuovamente imporsi sulla scena come il dittatore capo. Fino a quando non verrà rimosso dal suo incarico il popolo siriano non avrà Pace, né ci sarà pace in Medio-Oriente.

Perciò noi firmatarie e firmatari pretendiamo dal governo italiano e dall’Unione Europea:

– la messa al bando di tutti i funzionari del regime siriano che lavorano ancora all’interno delle istituzioni internazionali;

– la presa di distanza tra le istituzioni internazionali e gli apparati di Stato in Siria in modo che gli aiuti umanitari possano essere distribuiti senza il ricatto delle milizie lealiste;

– la convocazione immediata di una Conferenza Siriana Permanente sotto l’egida ONU che lavori a una formula costituzionale per il Paese e che lo allontani definitivamente dalla dittatura mettendo al bando gli apparati di repressione.

Noi crediamo che il regime siriano cadrà da solo, senza necessità di un intervento militare straniero, dal momento in cui verrà messo al bando.

Nessuna interlocuzione d’ ora in poi! Diciamo al regime la verità: non sei gradito!

E’ finita ora.

Aderisci anche tu: scrivi con il nome esatto che vuoi che figuri a:

libertainsiria@yahoo.it 

oppure indicalo in commento al post:     sulla pagina fb:

Salomo Kilpatrick

Primi firmatari (in ordine alfabetico)

Yasmine Accardo, Italia
Martina Acone
Daniela Alberghini, Bologna
Amina S. Ali, New York, NY
Amer Al Rassas, Lebanon
Abdulhadi Altaleb
Wael Ammar, Italy
Filomena Annunziata, italia
Ruthanne Ashkar, Manchester, Michigan, USA
Nafeez Aurangzeb, Edmonton, Canada
Alice Azzalin
Marianna Barberio
Mariano Manuel Bartiromo
Farouk Belal, Washingon DC
Maria Bell, New Jersey, USA
Veronica Bellintani, Italy
Andy Berman Minnesota Chapter 27 Veterans for Peace
Pierluigi Blasioli
Alessia Borzacchiello
Sheryl Amal Brill, Canada
Toni Brodelle, House of Lords task group (Syria/refugees)
Anca Budeanu
Terry Burke, Minnesota, CISPOS
Michele Calenzo
Andrea Castelli
Marina Centonze, Italy
Chiara Cetrulo, Italy
Valentina Chiocchi
Giulia Cocca, Italy
Gizele Alves Costa, Brasile
Albina Bianca Maria Cotza
Sasha Crow, Founder (retired) Collateral Repair Project, Jordan
Amina Dachan, Italy
Asmae Dachan, Italy
Michelle Dean, Bristol
Maria De Chiara, Italia
Lorenzo Declich, Italy
Mauro Destefano
Camilla Dixon, Skellefteå, Sweden
Nurah El Assouad
Ofelia Epifanio
Beatrice Esposito, Italy
Ann Eveleth, Anti-War Committees in Solidarity w/ the Struggles for Self-Determination
Loretta Facchinetti, Italy
Samantha Falciatori, Italy
Darren Fenwick, Human Rights Activist, Lawyer
Roberta Ferrullo, Italy
Marinella Fiaschi
Tullio Florio, Napoli, Italy
Simona Fontana
Caricchia Francesca, Italy
Ghiloni Francesca
Raffaella Francesca, Italy
Sandra Friel, UK Ireland
Giuseppe Fuccella
Simone Galanti, Brasile
Cristina Gemmino
Francesca Ghiloni, Italia
Greta Giberti, Italy
Sheena Gleeson, Hackney, London
Deborah Green, Australia
Margaret Green, Newcastle, UK
Bronwen Griffiths, UK
Sami Haddad
Ina Hartgers, Almere, the Netherlands
Zubêr Hatia, Hampshire, UK
Daniel Hayeem, London
Jon Hillström, the Netherlands
Mikael Jungqvist, Sweden
Rami Kamal, USA
Michael Karadjis, Australia
Deidre Kellogg, Human2Human Compassion
Jim Kubik, Chicago suburbs, Illinois, USA
Alessandro Liberatoscioli
Sara Loudayi
Lodi Maria, Los Angeles
Noemi Martinelli
Rachida Mazarie, France
David McDonald, USA
Roberta Milani Italia
Silvia Moroni
Angela Musa, Sardegna
Fiammetta Mura, Italy
Ida Orlando, Italia
Leila Nachawati Rego, professor at Carlos III University
Siria Niviano
Giulia Njem
Rima Njem
Christa Rihani Ooms, the Netherlands
Valentina Pansanella
Giulia Paoli, Italy
Alfredo Pastore, Sesto Fiorentino
Genevieve Penny, Los Angeles, CA
Andrea Pettersson, Malmö Sweden
Eugenio Piccilli, Italy
Laura Piras
Donatella Quattrone
Regiana Queiroz
Claire Richards-Eljadi, Bristol, UK
Therese Rickman-Bull
Mary Rizzo, blogger “We Write What We Like”, Italy
Fouad Roueiha, Italy
Fabio Ruggiero,
Mobin Safi
Alex Salamone, Roehampton, London, UK
Fiorella Sarti, Italy
Alberto Savioli
Cheryl Seelhoff, Seattle, Washington, USA
Noemi Sirignano
Rosanna Sirignano, Italy\Germany
Lindsey Smith
Irene Tavani
David Turpin Jr., Antiwar Committees in Solidarity with Struggles for Self Determination
Ina Varfaj
Elisabetta Vespa
Johannes Waardenburg, the Netherlands
Kelly Warren, Oregon, USA
Joshka Wessels, Sweden
Sina Zekavat, New York, USA
Chiara Zimbili

Sigle/associazioni:

Comitato permanente per la Rivoluzione siriana

Rose di Damasco

Studenti Unior pro Rivoluzione siriana

Syria Solidarity International

IN INGLESE

The Syrian people and humanity have the same fate!

We have just witnessed live the umpteenth heinous war crime of the Assad regime in Syria! It has been documented and has already made news around the world; and it is clearly in violation of international humanitarian laws: the time has come for it to stop!

International institutions must finally demonstrate that they are guarantors of international treaties to which they are United Nations signatories!

The chemical attack in Khan Sheikun, in the province of Idlib today, 4 April 2017, is yet another provocation by the regime to the entire Community of Nations that declare the primacy of observance of human rights and are signatories of the Geneva Conventions – signed after the defeat of Nazism and Fascism. It is a clear crime against humanity in which scores of innocent and unarmed civilians, including many children, have been slaughtered.

As always, the regime is counting on their impunity. Damascus seeks to provoke more blood and the spirit of revenge in the Syrian civilian population, which has already undergone six years of indiscriminate massacres.

The macabre cycle that Bashar has triggered in 2011 was to bring his regime to win the competition of horror that he has unilaterally decreed. The civilian population with its peaceful protests, and its cheerful spirit instead chose to take the opposite track, that of social redemption and cultural renewal before political and military interests. This regaining of their dignity as a people, this is what has brought all of us from day one to support the demands and spirit of profound renewal in Syria – so ardently yearned for by all oppressed sectors of the population – and brought us to the streets along with Syrians who were reconquering their Liberty.

After yesterday’s attack on the subway in St. Petersburg , which killed more innocent civilians, the Assad regime sought to re-establish itself on the scene as the chief dictator. Until the moment he is removed from office, the Syrian people will not have peace, nor will there be peace in the Middle East.

Therefore we signatories demand from the Italian government and the European Union:

– the expulsion of all officials of the Syrian regime still working within international institutions;

– the distancing from the international institutions and state apparatuses in Syria so that humanitarian aid can be delivered without the blackmail of the loyalist militias;

– the immediate convocation of a Syrian Permanent Conference under the aegis of the UN that works to develop a constitutional formula for the country and that definitively will distance it from the dictatorship by dismantling the repressive apparatus.

We believe that the Syrian regime will fall by itself, without the need for a foreign military intervention, in the very same moment that it is rejected by the world.

No more dialogue from now on! Let us say the truth to the regime to its face: You are NOT welcome! Your time is up.

 

 

Fonte:

https://levocidellaliberta.com/2017/04/04/il-popolo-siriano-e-lumanita-hanno-il-medesimo-destino/

SIRIA, “ASSAD E ISIS HANNO USATO ARMI CHIMICHE IN ALMENO TRE ATTACHI”

Siria, “Assad e Isis hanno usato armi chimiche in almeno tre attacchi”

L’accusa arriva da team composto di investigatori della Nazioni unite e dell’OPCW (Organizzazione per la proibizione della armi chimiche). Il 30 agosto il Consiglio di sicurezza discuterà il dossier
di Shady Hamadi | 25 agosto 2016

 

Nonostante Assad abbia sempre negato l’uso di armi chimiche, il governo siriano le ha utilizzate per due volte. Ma Damasco non è stata la sola averle utilizzate, perché anche l’autoproclamato Califfato ha fatto uso del gas mostarda. A metterlo nero su bianco è un team composto da investigatori di Nazioni Unite e Opcw (Organizzazione per la proibizione della armi chimiche), che ha stilato un dossier sull’uso delle armi chimiche durante la guerra in Siria, analizzando nove casi. Solo in tre le responsabilità sono state attribuite, mentre negli altri sei non si arrivati a nessuna conclusione. I risultati del team, fortemente richiesto da Mosca e formato dall’Onu, saranno discussi dal Consiglio di sicurezza il 30 agosto.

Secondo il report il governo siriano ha lanciato armi chimiche su due villaggi nella provincia di Idlib: a Talmenes il 21 aprile del 2014 e Sarmin il 16 marzo del 2015. In entrambi gli attacchi gli elicotteri siriani hanno lanciato sulle abitazioni “un congegno” che nel primo caso ha le “caratteristiche del cloro”. L’Isis è invece accusato di avere adoperato il gas mostarda nell’attacco alla città di Marea, a nord di Aleppo, il 21 agosto 2015.

A seguito delle conclusioni della commissione, l’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite Samantha Power ha chiesto al Consiglio di adottare “azioni forti e rapide” contro i responsabili. In particolare ha accusato il governo siriano di violare la risoluzione varata a settembre 2013 dal Consiglio che impone il divieto – riportato nel capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite -, dell’uso di “qualsiasi arma chimica da parte di chiunque nella Repubblica araba siriana”. Allora, infatti, il governo di Damasco accettò un piano per lo smaltimento delle armi chimiche che ebbe l’effetto di scongiurare un intervento militare americano, in risposta alla strage condotta con armi chimiche che provocò la morte di 1400 persone nella capitale, nella Ghouta orientale.

Fra dicembre 2015 e agosto 2016, il team di investigatori ha ricevuto più di 130 segnalazioni da stati membri delle Nazioni Unite sull’uso di armi chimiche in Siria: 13 sarin, 12 gas mostarda, 4 gas nervino, 41 cloro e gli altri 61 con altre agenti chimici tossici. In passato, la Russia, che sostiene il governo di Damasco, ha bloccato l’attuazione di sanzioni o altre azioni del consiglio contro il governo di Assad, anche se è stata proprio il governo di Mosca a volere la commissione d’inchiesta.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/25/siria-assad-e-isis-hanno-usato-armi-chimiche-in-almeno-tre-attacchi/2995360/

Chimica e mostri

20 agosto 2014 – 22:08cape-ray

Nonostante le celebrazioni di successo del Pentagono per il completamento delle operazioni a bordo della Cape Ray, il presidente Obama avrebbe imposto la “completa eliminazione” dell’arsenale Chimico Siriano, in pratica, gli americani hanno fatto finora solo la metà del lavoro [ndr.: come abbiamo più volte ribadito dando voce al mondo scientifico Greco].

Nessuno, tranne i 64 esperti a bordo della Cape Ray, sa cosa esattamente è accaduto in acque internazionali al largo della costa di Creta.

La posizione è scelta dagli Stati Uniti per evitare di dover rispondere alla domanda più importante: cosa succede ai residui del processo di Idrolisi ?

La massa complessiva dei residui è stimata in circa dieci volte quella iniziale, i residui sono meno pericolosi della loro composizione iniziale, ma comunque ugualmente tossici.

L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza la Sig.ra Catherine Ashton, ed il Presidente Barroso, entrambi dell’Unione europea, continuano a rassicurare … ma chi gli crede ??

Rob Malone, che lavora nella agenzia Edgewood Chemical & Biological Center degli Stati Uniti è uno dei 64 specialisti di armi chimiche che sono stati inviati nel Mediterraneo a bordo della Cape Ray, a sorpresa lo scorso gennaio dichiarò:

rob_malone«… il risultato di questo processo di neutralizzazione (l’Idrolisi) creerà circa 1,5 milioni di litri di un “emissario” tossico che deve essere smaltito, ma che non può essere utilizzato come arma chimica.

L’inattivazione chimica è ottenuta attraverso l’uso di sostanze tra cui l’acqua, la candeggina e idrossido di sodio. Queste sostanze sono contenute in 220 serbatoi da 25.000 litri, circa ciascuno.

Gli effluenti sono simili ad altri composti pericolosi e tossici che generano alcuni processi industriali. C’è un mercato commerciale a livello mondiale per lo smaltimento di tali rifiuti».

Ma la destinazione di tali residui non la conosce nessuno, l’unica cosa che sappiamo per ora, sulla base di comunicazioni ufficiali, è che la Germania si è impegnata ad accettare quantitativi di agenti dell’Iprite inattivati per l’ulteriore lavorazione nella fabbrica di Munster, mentre gran parte degli altri residui si tratteranno in un impianto a Port Arthur, in Texas, che è stato già usato in passato per la distruzione americana di armi chimiche.

Questo riguarda comunque l’Iprite ed il Methylphosphonyl Difluoride (DF) sostanza chimica di base del Sarin … che dire delle decine di tonnellate del gas VX, enormemente più letale del Sarin che presumibilmente era in possesso di Assad ?

E’ stato scelto il processo di Idrolisi per il semplice motivo che altri trattamenti (ad esempio la Pirolisi ovvero la “combustione” in assenza di ossigeno) richiederebbero anni, per tali quantità.

Gli scienziati di 14 paesi avevano lanciato l’allarme su possibili perdite in mare. Riusciremo mai sapere che cosa esattamente è accaduto nel Mediterraneo, in acque internazionali ad ovest di Creta ?

Liberamente tradotto da : fonte

 

 

Tratto da http://www.sosmediterraneo.org/chimica-mostri/

ARMI SIRIANE, I PARTICOLARI DALL’INTERNO DELLA CAPE RAY

La nave è arrivata stamattina nel porto di Gioia Tauro, commissioni difesa di Camera e Senato in missione a Reggio. Il sindaco di San Ferdinando: «Non so che sostanze verranno trasbordate ma, anche se sono sempre stato contrario a questa operazione, darò il massimo supporto»

Il terminal di Gioia Il terminal di Gioia

GIOIA TAURO «Anche se sono sempre stato contrario a questa operazione darò il massimo supporto che mi deriva dall’essere sindaco fermo restando tute le riserve dal punto di vista politico. È stata una decisione imposta dall’alto senza rispetto per la volontà della popolazione. Malgrado abbia fatto richiesta non so che tipo di sostanze verranno trasbordate». È con parole durissime che il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi ha commentato l’insediamento del Centro di Monitoraggio e Controllo, presieduto dal prefetto Claudio Sammartino, che nei prossimi giorni coordinerà le operazioni di trasbordo di container degli agenti chimici provenienti dalla Siria dalla nave Ark Futura alla Cape Ray che avranno inizio domani mattina. Alla riunione interverranno anche i rappresentanti del ministero degli Affari Esteri, attesi nel primo pomeriggio a Reggio Calabria, nonché tecnici dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale e ispettori dell’Opac. Nel frattempo è già arrivata in porto la nave statunitense Cape Ray. L’unità navale, partita dal porto spagnolo di Rota, imbarcherà domani il carico di armi e sostanze chimiche requisito al regime siriano di Assad e, attualmente, in rotta verso la Calabria a bordo del cargo danese Ark Futura.

 

TRASPARENZA A BORDO

“Nella parte finale di questa operazione, da parte degli americani, c’è stata piena apertura nel farci vedere tutte le strutture interne, tutto l’impianto di processazione delle componenti chimiche di idrolisi. Se nella fase iniziale si è mancato in termini di comunicazione, con oggi si iniziano ad avere dettagli maggiori”. Sembrano confortati dalle informazioni ricevute e soddisfatti per “la massima trasparenza e disponibilità” mostrata dai militari che al porto di Gioia Tauro si preparano a ricevere a bordo della nave statunitense Cape Ray  l’arsenale chimico di Bashar al- Assad, i componenti delle commissioni difesa di Camera e Senato oggi in missione in Calabria per monitorare le operazioni di trasbordo degli agenti chimici dal cargo danese all’imbarcazione americana su cui verranno resi inoffensivi.  “Questa mattina – sintetizza il presidente della commissione Difesa della Camera, Massimo Artini – siamo stati accolti sulla Cape Ray in maniera molto trasparente. Siamo entrati nel ponte interno della nave e abbiamo potuto valutare anche le installazioni, che sono composte da un ingresso all’impianto di idrolisi, ermetico sia dalla parte aerea che dalla parte di suolo, quindi dall’impianto di idrolisi stesso”. Ma soprattutto, la delegazione di parlamentari che oggi ha avuto accesso alla nave americana – formata oltre che dal presidente Artini (Movimento 5 stelle), dai deputati Rosanna Scopelliti (Ncd), Paolo Alli (Ncd) e Marco Marcolin (Lega Nord) e dai senatori Carlo Lucherini (Pd) e Luis Alberto Orellana (Movimento 5 stelle) insieme al Direttore Centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione della Farnesina, Giovanni Brauzzi – sembra essere stata in grado di raccogliere ulteriori dettagli e informazioni sull’operazione che nelle prossime ore avrà come teatro lo scalo di Gioia Tauro, a partire dal materiale trattato.

 

SARIN E IPRITE

“Si tratta di precursori di gas Sarin e iprite. Inizialmente doveva esserci anche un precursore del Vx, che è stato messo sulla nave norvegese che è già in navigazione verso la Germania”, comunica Artini, rispondendo alle perplessità di alcuni dei sindaci della Piana che in mattinata, per bocca del primo cittadino di San Ferdinando Domenico Madafferi avevano fatto sapere “Malgrado sia stata  fatta richiesta non si sa che tipo di sostanze verranno trasbordate”. Non si tratta dunque di armi già innescate, ma della componentistica necessaria per fabbricarle. Materiale delicato e altamente instabile, che necessita dunque tutte le tutele del caso quando viene trasportato, manipolato o distrutto e che per la prima volta verrà trattato su una nave e non in un impianto di terraferma. Una questione che più di tutte ha fatto scendere sul piede di guerra ambientalisti, comitati come molti amministratori della Piana,  su cui i parlamentari hanno tentato di fare chiarezza.

 

UN’OPERAZIONE MAI TENTATA PRIMA

Stando ai trattati internazionali, avrebbe dovuto essere il Paese produttore o detentore a smaltirle, ma “è del tutto evidente – afferma Artini – che farlo in Siria non sarebbe stato né facile né opportuno. Basti pensare che il carico è stato per oltre un mese bloccato a Latakia perché non c’erano le condizioni di sicurezza per farlo muovere”. Una prima opzione valutata dall’Opac (organizzazione per la messa al bando delle armi chimiche) è stata l’Albania “ma alla fine – ammette il presidente della commissione difesa della Camera – non c’è stata disponibilità. Si è capito però che sarebbe stato inopportuno costruire un impianto di distruzione di agenti chimici ad hoc per lasciarlo inutilizzato. Quindi si è deciso di farlo, per la prima volta, a bordo di una nave”.  Un’operazione mai tentata, ma che può contare – assicurano deputati e senatori – sulle migliori tecnologie e  tecnici specializzati con oltre quindici anni di esperienza per lavorare in sicurezza. Nulla – chiariscono i parlamentari – verrà sversato in mare, perché anche l’acqua di scarto dell’idrolisi verrà stoccata per essere poi smaltita in Germania, Gran Bretagna e Norvegia”.

 

DETTAGLI SUL TRASBORDO A GIOIA TAURO

Un’operazione complessa, che dunque interesserà il territorio di Gioia Tauro solo per la parte relativa al trasbordo degli agenti chimici dal cargo danese, il cui attracco è previsto attorno alle quattro di questa notte, alla nave su cui poi verranno processati “ben oltre le acque internazionali”. Stando alle stime comunicate ai parlamentari, l’intera procedura dovrebbe durare non più di dieci ore, tuttavia in mattinata proprio sul punto il segretario dei portuali della Cgil, Salvatore La Rocca, aveva mostrato prudenza “generalmente in un’ora movimentiamo circa sessanta container, ma bisognerà capire come procedere per rispettare le massime condizioni di sicurezza”. In trenta fra i lavoratori del porto saranno impegnati nelle operazioni di scarico e carico dei container che – assicurano – non verranno stoccati sul molo, ma trasferiti direttamente da nave a nave.

 

“CONTINUEREMO A MONITORARE”

Concluse le operazioni in porto, la Cape Ray, scortata da pattugliatori di diversi Paesi, oltrepasserà le acque internazionali per dare il via alle operazioni di smaltimento in mare aperto, su rotte ancora ignote ai parlamentari. “Per come ce l’ha prospettata questa mattina il capitano, non essendo necessario che la nave sia ancorata, si cercherà la situazione climatica e di mare migliore, ma in ogni caso oltre 150 miglia dalla costa, quindi cinque volte oltre le acque internazionali”. Stando ai piani,  l’impianto – sotto osservazione dei tecnici Opac – dovrebbe riuscire a smaltire 25 tonnellate al giorno, dunque “in 60- 90 giorni di lavoro, calcolando quelli di inattività per mare mosso dovrebbero essere in grado di concludere le operazioni”, afferma Artini, che promette “questa nostra missione è un passaggio che non finisce qui – ha concluso Artini – ci sono altri 60 giorni in cui c’è da fare l’idrolisi in mare e sui quali abbiamo intenzione di vigilare”.

 

CHI PAGA?

Pochi dettagli arrivano invece sui costi dell’operazione. Se è confermato che la società che oggi gestisce il porto di Gioia Tauro riceverà un indennizzo del valore ancora non definito o comunicato, è il direttore generale e ministro plenipotenziario Brauzzi a comunicare che sarà in larga parte l’Italia a finanziarie l’operazione “abbiamo ottenuto che i costi venissero scontati dal contributo di due milioni di euro che l’Italia aveva già deciso di destinare al fondo internazionale per le missioni di pace. Era il minimo per non essere da meno di quello che hanno fatto gli altri Paesi”. Nessun costo invece dovrebbe ricadere sulle istituzioni locali, mentre toccherà sempre allo Stato sobbarcarsi le spese dell’enorme dispositivo di sicurezza dispiegato all’esterno del porto, come delle operazioni di comunicazione che porterà alla proiezione delle operazioni di trasporto in streaming in tre luoghi, fra cui la Prefettura di Reggio Calabria. “Di fronte al fatto di poter distruggere le armi chimiche,  per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, senza che si verifichi una situazione simile a quella dell’Iraq nel 92-93, anche se dovesse essere indennizzato in misura maggiore di un normale trasbordo, penso sia corretto farlo perché fa parte delle responsabilità di un Paese”. La  vicenda deve essere vissuta dalla Calabria “più che come una vessazione come un’opportunità” per Rosanna Scopelliti. “Inizialmente non c’è stato il giusto coinvolgimento ma dal momento in cui la situazione è stata denunciata vi è stata la massima cooperazione e trasparenza. Abbiamo la volontà di rassicurare i cittadini, noi comunque ci siamo, e tutto quello che si poteva fare è stato fatto. Magari – conclude Scopelliti – per le prossime volte è auspicabile un coinvolgimento maggiore fin dall’inizio”. (

Alessia Candito

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Fonte:

http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/23265-armi-siriane,-la-cape-ray-%C3%A8-arrivata-nel-porto-di-gioia