Iraq, iniziata la battaglia per Mosul. Timori per i civili

Bandiera Isis a Mosul – giugno 2014

17 ottobre 2016

Con l’inizio delle operazioni militari per riprendere la città irachena di Mosul dalle mani dello Stato islamico, Amnesty International ha chiesto che sia fatto ogni sforzo per proteggere i civili dalle conseguenze dei combattimenti e da possibili rappresaglie.

Domani, 18 ottobre, Amnesty International renderà noto un nuovo rapporto, intitolato “Uccisi per i crimini di Daesh: violazioni dei diritti umani contro gli sfollati iracheni ad opera delle milizie e delle forze governative”, nel quale documenta le gravi violazioni dei diritti umani – compresi crimini di guerra – commesse dalle milizie e dalle forze governative irachene contro i civili sfollati durante precedenti operazioni militari. Il rapporto evidenzia il rischio che violazioni del genere, persino su scala più ampia, possano aver luogo durante l’offensiva su Mosul.

“Le autorità irachene devono adottare misure concrete per evitare che si ripetano le gravi violazioni dei diritti umani commesse a Falluja e in altre parti dell’Iraq durante gli scontri tra le forze governative e lo Stato islamico” – ha dichiarato Philip Luther, del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

“Le istruzioni del primo ministro iracheno Haydar al-Abadi circa la ‘cautela’ e la ‘vigilanza’ da usare per proteggere i civili devono essere più che semplici parole. Le autorità irachene dovranno esercitare comando e controllo effettivi sulle milizie e assicurare che chi è stato implicato in passate violazioni dei diritti umani non prenda parte alle operazioni di Mosul. Tutte le parti in conflitto dovranno prendere ogni misura possibile per evitare vittime civili” – ha aggiunto Luther.

Le autorità irachene e curde che stanno coordinando le operazioni militari dovranno assicurare vie d’uscita sicure per i civili in fuga dai combattimenti.

“I civili in fuga dovranno anche essere protetti da attacchi per rappresaglia e ricevere riparo e assistenza umanitaria. Di fronte allo scenario che un milione di civili lasci Mosul e le zone limitrofe, la situazione potrebbe rapidamente trasformarsi in una catastrofe umanitaria. Lo Stato islamico dovrà lasciare i civili liberi di abbandonare la città, evitando di usarli come scudi umani” – ha concluso Luther.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/iraq-iniziata-la-battaglia-per-mosul-timori-per-i-civili

BAGHDAD, L’ENNESIMA STRAGE DEGLI INNOCENTI DIMENTICATI

downloadAlmeno 200 persone, tra cui 25 bambini, sono rimaste uccise ieri nella martoriata capitale irachena, Baghdad, a causa di una duplice esplosione in pieno centro. Si contano oltre 300 feriti tra i civili che in quelle ore affollavano la zona commerciale per fare acquisti in occasione di Eid al Futur, la festa per la fine del digiuno, paragonabile per importanza al Natale cristiano.

iraqattentatoL’ennesimo vile e brutale attentato contro civili inermi, prontamente rivendicato dai criminali dell’Isis. È il più sanguinoso atto di sangue dall’inizio dell’anno, in un Paese che da quasi trent’anni non conosce un solo giorno di pace. I bambini, le donne, i giovani e gli anziani iracheni sembrano non avere diritto di essere felici, nemmeno il giorno della vigilia. La mano criminale che si è allungata su Baghdad ha provocato una strage sanguinosa di proporzioni immani. Quelle vittime, quegli innocenti, non sono l’”effetto collaterale” di una guerra, la loro morte non deve apparire ai nostri occhi come un qualcosa di “normale” solo perché l’Iraq non è nuovo agli attentati. Tutti quegli esseri umani privati della loro vita, che si trovavano in quella zona per preparasi a un giorno che avrebbe dovuto essere di festa, meritano la stessa empatia e la stessa pietà che proviamo di fronte alle vittime di ogni azione disumana, di ogni atto terroristico.

L’Iraq ha pagato, dal 1991 a oggi, un tributo di sangue pesantissimo, con oltre 1 milione di morti, uccisi da una guerra infame con cui si “esportava la democrazia” e si puniva il dittatore Saddam per le sue malefatte e per le sue armi chimiche (mai trovate). Menzogne su menzogne che hanno portato alla distruzione di un Paese che è stato culla della civiltà mediorientale e mediterranea, che ha dato un contributo alle scienze, all’arte, alla letteratura impareggiabile e che oggi è ancora ostaggio della violenza che genera violenza, di ingiustizie che trascinano altre ingiustizie, di un orrore che sembra non avere mai fine.

attentato_baghdad.jpgL’Iraq è uno degli esempi più significativi delle conseguenze nefaste delle guerre, che distruggono interi Paesi, sterminano popoli inermi e creano l’humus ideale per il proliferare di organizzazioni e gruppi estremisti e terroristi. Non va dimenticato che criminali del calibro di Al Baghdady sono stati formati e istruiti al crimine proprio nelle carceri irachene.

Gli iracheni nati dagli anni ’90 in poi non hanno vissuto un solo giorno di vita vera; le loro esistenze sono state scandite da bombe, esecuzioni, stupri, fughe di massa, torture. In Iraq è stato ucciso il Diritto internazionale e in nome di evidenti interessi economici internazionali, il Paese continua ad essere nelle mire di diversi attori internazionali. A pagare il prezzo più alto, inutile dirlo, sono sempre i più indifesi, coloro che si illudono che anche chi vive a Baghdad abbia ancora diritto a un giorno di Eid, un un giorno di festa.

L’Iraq è una ferita che ha segnato la mia generazione, così come il Vietnam ha segnato la generazione che ci ha preceduto.  Questo nuovo, terrificante attentato, aggiunge dolore al dolore, pietà per le vittime, pena profonda per i milioni di profughi che ogni notte sognano di tornare in un Paese che sembra non esistere più.

 

Fonte:

https://diariodisiria.com/2016/07/04/baghdad-lennesima-strage-degli-innocenti-dimenticati/

 

TRE GIORNI DI LUTTO IN IRAQ PER L’ATTENTATO IN CUI SONO MORTE 165 PERSONE

Il punto in cui è esplosa l’autobomba piazzata dai jihadisti del gruppo Stato islamico nel quartiere Karrada di Baghdad, in Iraq, il 3 luglio 2016. - Khalid al Mousily, Reuters/Contrasto
Il punto in cui è esplosa l’autobomba piazzata dai jihadisti del gruppo Stato islamico nel quartiere Karrada di Baghdad, in Iraq, il 3 luglio 2016. (Khalid al Mousily, Reuters/Contrasto)
Fonte: http://www.internazionale.it/notizie/2016/07/03/iraq-baghdad-attentato-is

4 luglio 2016


Tre giorni di lutto in Iraq per l’attentato in cui sono morte 165 persone.
I feriti sono circa 225. Un’autobomba è esplosa nel quartiere di Karrada, a Baghdad, sabato sera dopo il tramonto. La zona commerciale era affollata di persone che erano scese in strada dopo l’interruzione del digiuno del Ramadan. Un’altra bomba è esplosa poche ore dopo in un’area a maggioranza sciita nel nord della capitale, uccidendo altre cinque persone. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo Stato islamico.

Fonte:

http://www.internazionale.it/

Dino Frisullo

 

 

 

 

5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa


5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa

5 giugno 2016


Eh si ci manca. Come ci mancano De Andrè e Rino Gaetano, Monsignor Di Liegro e Amalia Rosselli, Alda Merini e Pier Paolo Pasolini. Come ci mancano nomi rimasti confinati in angoli remoti nella Storia di questo cazzo di Paese. Un Paese tanto bravo a dimenticare, rimuovere,a cui al massimo va una viuzza o un ricordo televisivo, ma solo se fa audience o se porta ad aumentare il consenso politico al leader di turno.

Compagni come Dino Frisullo, forse verranno ricordati diversamente quando saremo in un Paese diverso, quando vivremo in un contesto in cui saremo capaci di vergognarci del nostro egoismo, del nostro razzismo diffuso, dell’ignoranza che ha accompagnato le nostre vite. Se ne andava oggi nel 2003, in tempo per compiere i 51 anni, anni vissuti con intensità totale, con la stessa voracità delle sigarette fumate, degli articoli scritti, dei viaggi fatti senza risparmiarsi. Persona incasellabile: giornalista lo è stato ed a un livello che la mediocrità odierna poco conosce, militante antirazzista che non accettava mediazioni al ribasso, compromessi di bottega, doveri di partito. Kurdo fra i kurdi, in carcere come nei colori del Newroz, palestinese fra i palestinesi, in un corteo a Gerusalemme come in una piazza romana, migrante fra gli immigrati, all’occupazione della Pantanella come in una Piazza Navona orgogliosamente antirazzista.

Una vita senza respiro e senza lasciare respiro a chi gli stava intorno, fatta di discussioni interminabili, di vino buono e di cibo delle regioni che più lo avevano accolto, Puglia ed Umbria. Un sorriso contagioso come la capacità di squadernare la vita di chi con lui ha provato a cambiare il mondo, una determinazione pasticciona ed eternamente precaria, senza il bisogno di pensare al futuro come qualcosa di personale. Perché per Dino il futuro e il presente non potevano essere ridotti alla vita individuale. Ci manchi Dino, manca la tua caparbietà e il tuo radicalismo, la genialità arruffona e il tuo vivere prima che dichiararti, da comunista. E manca ancora un Paese capace di non dimenticarti, in cui prevalga la curiosità e la domanda profonda: “Chi c’era dietro quella foto? Perché c’è ancora chi lo ricorda con nostalgia e rabbia?”

Stefano Galieni

 

*

Dino Frisullo: una poesia

Chi era Dino Frisullo?

 

Dino Frisullo, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita per la lotta del popolo kurdo.

Qui di seguito una sua poesia

 

Livide d’improvviso le luci di montagna.

Ferma e dolente la luce delle stelle.

Ammutoliti i richiami degli uccelli.

Alle quattro del mattino

la luna piena chiede silenzio al mondo.

Poggia l’orecchio al suolo e ascolta.

Le prime bombe su Baghdad

vibrano dalla terra nelle viscere..

Dopo ogni scoppio la lunga eco

è u milione di cuori di madri all’unisono

è il loro respiro affannoso

che l’Eufrate porta al mare come un grido.

Dorme Khawla la principessina

sulla corona di plastica preme un cuscino sua madre

si chiede se dovrà premere più forte

quando giungerà l’onda d’urto della bomba.

Dopo gli scoppi il tuono immenso

non è il mar rosso che s’innalza a spezzare la portaerei una ad una,

non è il deserto che si leva

a spazzare i blindati con fiato rovene di sabia:

è il fragore di milioni di ruote

carri carretti motocicli in fuga

kurdi arabi povera gente stracci

danni correlati.

Nelle basi sibillano i video.

Sono limitati i computer dei signori della guerra.

Non registreranno il respiro il palpito il pianto.

Non avvertono il terrore e l’ira del mondo.

Non sentiranno aprirsi le acque del Mar Rosso.

 

Dino Frisullo 20 marzo 2003

 

 

Fonte:

http://www.deapress.com/culture/caffe-letterario/15024-dino-frisullo-una-poesia-.html

 

 

Leggi anche qui:

Dino Frisullo: 20.03 2003. Le bombe su Bagdad:

 

http://www.peacelink.it/pace/a/37926.html

 

Baghdad 1991, la notte delle bombe

Da il manifesto

Edizione del 16 gennaio 2016

• aggiornata oggi alle 15:19

Guerre del golfo, 1991/2016. 25 anni fa iniziava Desert Storm. Dal 17 gennaio 1991 l’inviato del manifesto Stefano Chiarini – che poi ci ha dolorosamente lasciato nel 2007 – unico dei giornalisti italiani rimasti a Baghdad, trasmetteva sotto i raid dell’aviazione Usa e Nato, le sue corrispondenze che riproponiamo

Kuwait 1991

INVIATO A BAGHDAD (1991)

 

Sono le 2:30 di notte. Una improvvisa fiammata nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale irachena, seguita dal crepitio della contraerea, sveglia improvvisamente una città già al colmo della tensione. Tutti sanno di che cosa si tratta. La guerra è iniziata.

Il cielo si illumina a giorno sulla linea dell’orizzonte, oltre le palme e le luci limpidissime delle strade che conducono verso l’aeroporto in una delle notti più chiare di questa settimana di tensione,. Squadriglie di bombardieri americani arrivano da ogni direzione, invano inseguiti da una contraerea i cui proiettili scrivono strisce rosse e gialle nella notte come in una sorta di fuochi d’artificio tragici e mortali.

L’esplosione delle bombe e dei missili scuote il terreno sotto la capitale dell’Iraq e si sente chiaramente anche nei solidi rifugi dei grandi alberghi, come in quello Al Rashid dove è ospitata la stampa internazionale. Il rumore delle bombe e della contraerea è assordante per tutta la notte, dalle due e mezza fino a quasi alle sei.

Il fischio dell’aereo in picchiata

La gente si precipita, in preda al panico, nei rifugi lungo le scale dell’hotel Al Rashid immerso improvvisamente nel buio più assoluto. Fermi gli ascensori, interrotta l’erogazione dell’acqua e dell’elettricità. Alcuni ospiti dell’albergo sono in pigiama, ma la maggior parte ha preferito non andare neppure a dormire rimanendo a scrutare ansiosamente il cielo della prima notte dopo l’ultimatum, quella che tutti consideravano come la più pericolosa. Il fischio dell’aereo in picchiata è subito seguito da forti boati e da lingue di fuoco che si alzano dal ministero della difesa, dall’aeroporto, dalle centrali di comunicazione, dalla torre delle trasmissioni, tutti obiettivi colpiti pesantemente dai proiettili americani.

Il bombardamento ha un effetto devastante, decine e decine di incursioni a intervalli di 10–15 minuti dalle 2:30 fino all’alba. E poi ancora alle 5, a mezzogiorno e nel primo pomeriggio al calar della sera, verso le 17. Colpito in pieno il ministero della difesa, dove sarebbe rimasto gravemente ferito anche il ministro iracheno. Non si sa se seriamente o meno. Colpiti anche una raffineria nei pressi della città, il ministero dell’informazione, l’aeroporto e tutti i centri di comunicazione del paese con l’estero. Colpite anche zone civili della capitale.

Si ignora il numero delle vittime, ma dovrebbe essere piuttosto elevato. Oltre 400 gli attacchi aerei condotti dagli F15 americani e dagli aerei inglesi contro oltre 70 obiettivi iracheni. I missili Cruise sono partiti dalle navi ancorate al largo del Golfo e si sono diretti sui loro obiettivi. A Baghdad e nelle altre città dell’Iraq sono stati colpiti industrie, impianti militari e rampe missilistiche.

Nelle sale dell’Hotel Rashid, da diverse ore isolato dal resto del mondo, un funzionario del ministero dell’informazione tiene verso l’ora di pranzo una breve improvvisa conferenza stampa: sarebbero 14 gli aerei nemici abbattuti (americani, inglesi e sembra anche francesi). Poi il funzionario lancia un appello attraverso la radio perché la popolazione non faccia del male ai piloti eventualmente lanciatisi col paracadute.

Con l’arrivo del giorno la capitale irachena trattiene di nuovo il fiato e inizia il conto alla rovescia verso una sera e un’altra notte che potrebbero essere ancora più tragiche della precedente. Tutti sono rimasti a casa o nei pressi dei rifugi, pochissimi i passanti. Poi in serata, verso le 17, le sirene urlano di nuovo e tutti corrono nei rifugi dove passeranno questa ultima e interminabile notte.

Un week-end senza sonno

Da venerdì notte è cominciato il primo week-end di bombardamenti e morte dall’inizio della guerra del Golfo. Un week-end che rimarrà impresso per sempre nella memoria degli abitanti di Baghdad e in quella dei giornalisti stranieri, una settantina in tutto, ancora in attesa di lasciare la capitale irachena. Al calar delle tenebre gli aerei americani,come ormai ogni notte, sono tornati a colpire una città immersa nel buio più assoluto, quasi spenta dall’oscuramento.

Una città apparentemente colta nel sonno ma dove invece nessuno oramai dorme, fin da mercoledì scorso. Ogni momento sembra sia quello che precede l’allarme e il sibilo osceno dalle bombe e dai missili che cadono sulla città. Non serve certo a tranquillizzare la gente di Baghdad il fatto che le sirene urlino solamente pochi secondi prima degli attacchi aerei o, assai spesso, persino dopo che sono cadute le prime bombe o i primi missili hanno colpito i loro obiettivi, in un fragore improvviso e violentissimo che lascia tutti senza fiato. Le notti di questo fine settimana sono state, come le precedenti, limpidissime e terse di paura. Strade vuote al calar della sera, con i rari passanti che si affrettano a prendere l’ultimo autobus o un taxi colto al volo prima che il sole scompaia completamente al di là delle palme lungo il fiume Tigri.

Baghdad è una città fantasma, stretta nell’attesa e nella paura ma anche orgogliosa di resistere alla gigantesca forza degli occidentali, nonostante la fortissima ed evidente disparità tecnologica nei confronti degli Stati uniti.

… nel buio assoluto

Questo è il senso dell’ultima conferenza stampa del ministro dell’informazione, Latif Jassim, apparso in divisa verde oliva come, per la prima volta dall’inizio della crisi, tutti i suoi collaboratori. La conferenza stampa si tiene nel buio di un androne, in piedi, mentre suonano le sirene e tutti si chiedono se faranno in tempo a tornare a casa o in albergo, nei rifugi.

Una conferenza stampa, nelle parole di questo ministro tra i più vicini al presidente Saddam Hussein, ben diversa da quelle che lungo questi interminabili cinque mesi hanno scandito l’evolversi della crisi. Facce tirate, barbe lunghe, occhi arrossati dal sonno, sia dei funzionari iracheni che dei giornalisti presenti. Il punto di vista di Baghdad, nelle parole di Jassin, è molto chiaro: nessun paese arabo ha mai osato sfidare gli Stati uniti e Israele e resistere con le proprie forze così a lungo. Quindi, avendo rotto questo tabù, insieme al mito della guerra lampo alimentato dagli Usa, e continuando a resistere, l’Iraq già si considera il vincitore di questo confronto, per avere insegnato al mondo arabo che è possibile dire no agli Stati uniti.

Poche parole, qualche domanda, poi, sempre al buio, il ministro, i funzionari e i giornalisti corrono affannati verso i rifugi. Cinque minuti dopo, il silenzio e il buio sono strappati dall’urlo delle sirene che annunciano un’altra incursione. E allora si scatena l’inferno. I protagonisti dei bombardamenti, gli aerei americani e inglesi, sono apparentemente assenti, sono su, nel cielo, invisibili. La loro presenza è avvertibile solo dallo scoppio delle bombe che cadono, grandi palle di fuoco che attraversano la notte, dal sibilo degli ordigni, dalle esplosioni,. E dalle distruzioni che lasciano sul loro cammino, dai mucchi di mattoni e terre che troviamo il giorno dopo al posto di edifici e costruzioni: dove sorgeva il centro postale di via Rashid, la torre per le telecomunicazioni che svettava altissima nel nuovo centro della città, segata da un missile Cruise, è caduta nella rosata luce del tramonto come una quercia spezzata. Il ministero della Difesa nella vecchia Baghdad, le zone di abitazione che sorgono alla periferia nord della città, dove i bombardamenti sono più martellanti, o nella centrale di Duran, costruita con tanta dedizione dagli italiani, è già distrutta, e chissà, potrebbe essere toccato, questo compito, ad altri connazionali.

In this image from television via a nightscope, a cloud of smoke rises, at left, following a U.S.-led air strike attack on a target Thursday morning, March 20, 2003, near Baghdad. The U.S. used cruise missiles and precision-guided bombs during the attack. (AP Photo/APTN)
I bombardamenti Usa su Baghdad nel 2003

Lo spettacolo dei traccianti

Nella notte, ai rari passanti e ai giornalisti che si attardano nei piani alti dell’Hotel Rashid, loro riservato, dopo essere sfuggiti agli inflessibili addetti alla sicurezza che li vorrebbero nei rifugi, si mostra il terribile spettacolo della morte tecnologica. Gli aerei attraversano il cielo scurissimo, inquadrato dalle grandi vetrate delle stanze dell’albergo, come meteore invisibili, inseguiti dai colpi rossogialli e a forma di stella della contraerea. Di tanto in tanto un rumore diverso, un sibilo assordante, un’esplosione. I Cruise invece arrivano da fuori campo con una traiettoria geometrica parallela all’orizzonte. Dell’aviazione irachena non sembra esserci traccia. Distrutta al suolo, come sostengono gli americani, o tenuta di riserva per un eventuale attacco e non certo utilizzabile per una inutile e disperata difesa, come sostengono a Baghdad?

Ogni giorno i bombardamenti sono sempre più intensi e pesanti. Le incursioni in questo fine settimana sono iniziate ancor prima del calar della notte. Poi fino all’alba. Ognuno a circa mezz’ora di distanza dall’altra. Gli ordigni lanciati sulla città e sui suoi dintorni, laggiù verso la zona del canale dove vi sono molte installazioni militari, sembrano più pesanti del solito e le nuove esplosioni scuotono con tonfi sordi e ripetuti la città. L’intero orizzonte, al di là della torre della televisione e dell’hotel Melia Mansur, è illuminato a giorno dalle esplosioni e dai lampi.

Nel rifugio all’Hotel Rashid

Nei rifugi come quello dell’Hotel Rashid centinaia di persone, in un caldo soffocante, passano la notte dormendo sulla moquette illuminata a giorno dalle fredde luci al neon. Il rumore del generatore elettrico renderebbe a chiunque impossibile dormire. Ma pochi tentano davvero di farlo. Nonostante il rifugio del Rashid sia il posto più sicuro della città, grazie alle protezioni antiatomiche e antichimiche. Anche se non si capisce bene come, nel caso di una esplosione nucleare o dell’arrivo di gas, si potrebbe sopravvivere in questo sotterraneo senza l’acqua, che da mercoledì scorso, cioè dall’inizio dei bombardamenti, non raggiunge più l’albergo.

Alcuni anziani, uno dei quali sragiona a voce alta, sono stati sistemati su delle barelle e sono assistiti dal gentilissimo personale medico dell’albergo. Altri ospiti (l’uso di questo termine suscita sempre una certa apprensione e ilarità dopo la vicenda degli ostaggi) guardano la tv, che trasmette marce militari, informazioni di guerra, propaganda e appelli diretti non soltanto alla popolazione irachena ma anche alle masse arabe, perché scendano in campo a fianco dell’Iraq contro Israele e gli Stati uniti. Con il sottofondo metallico dell’impianto di condizionamento, dall’apparecchio televisivo, posto in un angolo del rifugio, si spande per i grandi stanzoni una delle canzoni più popolari di questi giorni: Baghdad, Baghdad, la più bella delle belle, l’amore è tutto, faremo del genere umano la culla della civiltà.… Suonano più o meno così le parole, nella traduzione inglese dell’anziano professore sfatto dal sonno sino a dimostrare vent’anni di più dei suoi 60 compiuti.

Pochi giornalisti frequentano però il rifugio, convinti che l’albergo non dovrebbe comunque essere colpito proprio per la presenza della stampa. Ma non è solo questo il motivo per cui si evita il rifugio. Il caldo, laggiù nei sotterranei, è soffocante, impossibile dormire, impossibile sapere cosa stia effettivamente accadendo. Molti preferiscono cenare insieme ad altri colleghi in questo o quell’ufficio coperti dal buio più assoluto dell’oscuramento, accompagnando il cibo con una buona bottiglia di vino. Un modo assai più efficace di esorcizzare quella paura che non puoi non sentire dentro di te quando si alza il rumore assordante della battaglia aerea e delle bombe che esplodendo scuotono edifici e finestre. E, soprattutto, non puoi non chiederti se potrai rivedere il giorno.

Silenzio sulle vittime civili

Mancano notizie attendibili sulle vittime di questa guerra. Gli Stati uniti e l’Occidente cercano di nasconderne il numero per evitare le polemiche che già sono esplose intorno alla guerra del Golfo. Le autorità locali da parte loro non sembrano da meno e non intendono fornire dati sull’«efficacia» dei bombardamenti né rilasciare notizie che potrebbero, a loro parere, demoralizzare l’opinione pubblica interna e quella araba. Certo, di vittime ve ne dovrebbero già essere state più di quanto non si creda, anche perché l’«operazione chirurgica», tanto ostentata nei primi giorni dei bombardamenti, sembra lasciar il passo a attacchi indiscriminati. Soprattutto fuori Baghdad e nelle periferie. Anche a pochi passi dallo stesso Hotel Rashid.
Sabato pomeriggio, verso le tre, un gruppo di giornalisti stava lasciando l’albergo distribuito su quattro taxi quando un tremendo boato, spentosi poi in un rovinio di calcinacci e pezzi di ferro, ha scosso l’intero edificio. Un aereo alleato ha pensato bene di lanciare un missile contro il piccolo corteo di auto che stava lasciando l’albergo, sbagliando – fortunatamente – la mira. Un obiettivo «chiaramente» militare. Viene da chiedersi cosa possa avvenire lontano dagli occhi della stampa. Laggiù in Kuwait, per esempio, dove missili Cruise e bombe si rovesciano senza sosta sulla città. O a Bassora, nel sud dell’Iraq, o nel lontano nord.

Dal confine giordano

Lasciando Baghdad verso il confine giordano lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è impressionante: aerei che attraversano il cielo, le lunghe colonne di fumo nero e intenso, lungo tutto l’orizzonte, a segnalare i luoghi dove una volta sorgevano fabbriche, uffici, abitazioni. Dirigendosi a tutta velocità verso la frontiera giordana su taxi dai costi proibitivi – e per questo del resto disposti a rischiare il tutto per tutto e portare i giornalisti stranieri fuori città, verso Amman – non c’è località, lungo le centinaia di chilometri che si percorrono, che non sia stata colpita: Abu Ghraib, Falluja, Ramadi, Ar Rutba. Ogni uscita dall’autostrada deserta è segnalata poco lontano, dopo quelle laggiù all’orizzonte, da alcune colonne di fumo. Aerei americani e della Nato sfrecciano nel cielo sopra l’unica strada di comunicazione con la Giordania, le auto si fermano improvvisamente nella notte, spegnendo i fari, finché laggiù all’orizzonte, verso la capitale, non si accendono i primi bagliori delle bombe che cadono sulla città.

Una sensazione di sollievo fortissima e primitiva: “Questa volta non è toccato a noi”, un sorso di vino o di birra e via di nuovo nella notte e nelle tenebre appena incrinate dalle luci di posizione. Tenere gli anabbaglianti o gli abbaglianti sarebbe troppo pericoloso. Via ancora, finché nel cielo stellato, stupendo come sempre in questi paese, non si sente di nuovo il rombo degli aerei. Le macchine si fermano di nuovo e c’è chi per maggiore sicurezza lascia le auto e si allontana verso i campi, per cercare protezione nel buio. Così per centinaia di chilometri, mentre in senso opposto si muovono colonne di mezzi militari diretti verso il fronte (…).

Fonte:

KURDISTAN: AGGIORNAMENTI AL 4° GIORNO DALL’INIZIO DELL’ATTACCO TURCO

Articoli tratti da http://www.uikionlus.com/
Sirrin e’ Liberato !

Sirrin e’ Liberato !

Dopo 27 giorni di combattimenti, YPG/YPJ/Burkan Al Firat hanno liberato l’importante e strategica città di ‪#‎Sarrin‬ a sud di Kobane. Segnalati ancora scontri a fuoco. Purtroppo s …

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I co-presidenti dell’HDP (Partito democratico dei popoli),del DBP (Partito democratico delle regioni,ex BDP),dell’ HDK (Congresso democratico dei popoli) e del DTK (Congresso democ …

3° giorno di operazioni dello Stato Turco

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KCK: La resistenza deve immediatamente aumentare

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La co-presidenza del Consiglio Esecutivo del KCK in una dichiarazione scritta prende posizione sugli attacchi aerei dell’esercito turco: “Alla fine del 2012 è iniziata di fatto una …

Erdogan all’attacco, In casa e fuori

Erdogan all’attacco, In casa e fuori

July 26, 2015

PALMIRA, QUELLA PRIGIONE ORA IN MANO ALL’ISIS DI CUI NESSUNO HA MAI PARLATO

Pochi luoghi al mondo concentrano in sé bellezza e tragedia come Palmira. Questa metafora esistenziale, se così possiamo definirla, accomunava tutta la Siria prima del 2011. Chi vi andava in vacanza, o chi veniva a contatto con questo Paese, rimaneva affascinato dalla bellezza di questa terra. Palmira era, ed è, il simbolo vivente e pulsante di quello che è riuscito molto bene al regime siriano in questo mezzo secolo: cercare con la bellezza della Siria di nascondere gli orrori della dittatura. Infatti, chi andava a Palmira si fermava ad ammirare i resti dell’antica città di Zenobia e non conosceva, perchè gli veniva nascosto, il significato che per i siriani aveva questa città. Palmira per i siriani significa due cose: radici (quelle visibili ancora oggi) e morte, la morte di decine di migliaia di siriani nel carcere di questa città.

palmira prigioneQuesta prigione è stata descritta da molti sopravvissuti come l’inferno in terra. Faraj Bayrakdar, poeta ed ex carcerato, in un suo libro, “I tradimenti della lingua e del silenzio”, ricorda quando era su di un autobus, insieme ad altri condannati, e il poliziotto annunciò che la loro destinazione sarebbe stata Palmira, alcuni detenuti cominciarono ad urlare: “Palmira no!”. Per la maggioranza dei carcerati, Palmira era il preludio della morte.

Bara Sarraj, arrestato il 5 marzo del 1984 e liberato 12 anni dopo, in un’intervista riguardo al suo libro “Da Tadmur (nome in arabo di Palmira) ad Harvard”, tentò di descrivere a parole cosa significasse per lui Palmira: “Il linguaggio non basta per descriverla. La paura era una sensazione interna che ti faceva sentire il cuore tra i piedi e non nel petto. La paura è lo sguardo sui volti delle persone, i loro occhi nervosi quando il momento della tortura si avvicina”.

Palmira è un luogo che dovrà essere consegnato al patrimonio della memoria, un esempio di come la crudeltà umana abbia raggiunto nuove vette proprio di fianco a turisti ignari che si scattavano foto tra le rovine a pochi km da questo macello a cielo aperto. Ma nella banalizzazione che si fa quotidianamente della Siria, forse tutto ciò è già consegnato al dimenticatoio.

Solo oggi, quando il nemico perfetto, l’Isis, (sorto dalle ceneri del Ba’th iracheno, dal malessere dei sunniti iracheni messi all’angolo dallo strapotere sciita in Iraq e dalle complicità di regimi arabi e stati occidentali) conquista questa città, il mondo accende i riflettori su Palmira con la stessa ipocrisia con cui li ha spenti mentre sapeva quello che succedeva.

Si invoca il salvataggio dei resti di Palmira dalla furia iconoclasta dell’Isis ma si dimentica il popolo. Come ha vissuto il popolo in questi quattro anni? Che fine farà la popolazione? I prigionieri del carcere dove sono?

Ancora una volta, si chiede di garantire prima di tutto la popolazione ma c’è la consapevolezza che non verrà fatto.

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/21/palmira-quella-prigione-ora-in-mano-allisis-di-cui-nessuno-ha-mai-parlato/1705506/

CHI HA SALVATO KOBANE

Le forze coinvolte nei combattimenti di terra – INFOGRAFICA

La città di Kobane, al confine tra Siria e Turchia, è stata assediata dalle milizie dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante il 16 settembre 2014. In pochi giorni l’ISIS conquista 350 tra villaggi e città limitrofe a Kobane, spingendo oltre 300.000 curdi a cercare un rifugio, principalmente in Turchia e Iraq.

Nelle settimane successive centinaia di guerriglieri Peshmerga, membri del PKK e quattro brigate del Free Syrian Army vengono in soccorso delle truppe del YPG e del YPJ, circondate dall’ISIS. Una coalizione internazionale guidata dagli Usa fornisce supporto aereo alle truppe di terra con raid mirati alle milizie jihadiste. Il 26 gennaio 2015 i curdi riconquistano la citta di Kobane. Allontanando – ma non eliminando – il pericolo ISIS.

Ecco quali sono le forze di fanteria coinvolte nei combattimenti di terra:

 

milizie - kobane - infografica di valerio evangelista - frontiere newsinfografica di Valerio Evangelista

 

Fonte:

http://frontierenews.it/chi-ha-salvato-kobane/

 

CON LA RESISTENZA DEL POPOLO PALESTINESE E CON LA RESISTENZA DELLE POPOLAZIONI KURDE-IRAKENE CONTRO GLI INVASORI

Dal blog di Germano Monti:

ypg_fsa_kobane

 

In piazza a Roma il 27 settembre :

Con la resistenza del popolo palestinese e con la resistenza delle popolazioni kurde – irakene contro gli invasori !

La guerra scatenata dallo Stato Sionista di Israele ha mietuto migliaia di vittime. Lo Stato di Israele, con la complicità attiva degli stati democratici, è il responsabile storico dell’oppressione del popolo palestinese.
Nonostante la tregua, continua il processo di colonizzazione, come testimoniano i recenti insediamenti in Cisgiordania, e Gaza rimane una prigione a cielo aperto per migliaia di palestinesi. Chiediamo la fine dell’assedio e dell’embargo a Gaza, lo smantellamento dei check point nella West Bank, la fine del processo di colonizzazione, la liberazione dei prigionieri palestinesi.
Le logiche belliche e gli interessi di regime dividono i Palestinesi, indeboliscono la loro resistenza, rendono impossibile la loro autodeterminazione.
Nel contesto mediorientale divampa la guerra e crescono le minacce verso tutti i popoli, le diverse componenti e minoranze religiose ed etniche. In Irak, alla storica oppressione imperialista si aggiungono l’invasione e i progetti neonazisti dell’Isis, che, usando strumentalmente il richiamo all’Islam, massacra donne, bambini e civili inermi. L’Isis, in convergenza fattuale con il  regime criminale di Al Assad, ha schiacciato nel sangue e nel terrore la pacifica rivoluzione del popolo siriano per la libertà, cominciata nel 2011. Perciò sosteniamo la resistenza delle popolazioni kurde e irakene per fermare i neonazisti dell’Isis.
Esprimiamo la nostra solidarietà con le persone di fede musulmana, denunciamo la campagna razzista di criminalizzazione da parte degli Stati occidentali verso i credenti musulmani, la cui stragrande maggioranza invece è fermamente contrapposta all’Isis.
Per una nuova solidarietà con il popolo palestinese e tutti i popoli oppressi dell’area che lottano per la libertà contro regimi tirannici e reazionari, dalla Tunisia all’Egitto ed alla Siria, i cui popoli sono fraternamente solidali con i Palestinesi! Per il diritto al ritorno dei profughi e in solidarietà con i rifugiati palestinesi di Yarmouk e degli altri campi assediati!
Sulla base di questi contenuti, rivolgiamo un appello a partecipare alla manifestazione in solidarietà con il popolo palestinese del 27 settembre a Roma ore 14,30 in Piazza della Repubblica.

Appello approvato alla riunione  del 13 settembre

primi firmatari :

Comitato romano di Solidarietà con il popolo siriano, La Comune, Campagna per Yarmouk, Rete Italiana di Solidarietà con il Popolo Kurdo, Germano Monti ( Freedom Flotilla), Fouad Roueiha ( giornalista )

Per adesioni :  [email protected] 

 

 

 

Fonte:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/09/21/con-la-resistenza-del-popolo-palestinese-e-con-la-resistenza-delle-popolazioni-kurde-irakene-contro-gli-invasori/

Dieci anni fa la morte di Enzo Baldoni

Un intervista alla moglie di Enzo Baldoni, Giusi Bonsignore, alla vigilia del decennale dall’uccisione del reporter in Iraq:

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10203007643884755&set=a.1058251209229.9467.1014337603&type=1&theater

La vignetta appena disegnata da Mauro Biani per ricordare il decennale:

https://www.facebook.com/ilmanifesto/photos/a.86900427984.101789.61480282984/10152822643897985/?type=1&theater

Un’altra di sette anni fa con l’immagine delle prime pagine di Libero che denigrarono il giornalista:

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10204596371335336&set=a.2131442211721.2132544.1415986360&type=1&theater

 

Qui le parole scritte da Vittorio Arrigoni sul suo blog per salutare Baldoni:

lettere mai pervenute (addio enzo)
27/08/2004
 

ho cercato un suo contatto,
ieri sera,
quel qualcosa in me che difficilmente riesco  ogni volta a decifrare.
Un’impulso magnetico da una parte dello spirito di cui conosco ben poco.
Oggi tutto sembrava tranquillo,
le notizie a lui riferite parlavano di cauto ottimismo.
tutti troppo esageratamente tranquilli, parsimoniosi,
per il destino di un uomo che rimaneva nelle mani di guerriglieri disposti a tutto.
allora ho iniziato anche oggi a provare un crepitio in quella parte dello spirito…
Quasi certo che l’avrebbe letta al suo ritorno, ieri ho inviato una lettera a Enzo Baldoni.
 Pensando che  magari mi avrebbe anche risposto.
Ero convinto che fosse fra uomini, ma mi sono enormemente sbagliato,
si trovava in un covo di  bestie.
Non bisogna mai confondere le bestie cogli uomini,
e come in iraq la maggior parte (ne sono certo) che combatte, che muore
cercando provviste per strada,
che sfila senz’armi incontro ai check point, che corre a difendere una
moschea o semplicemente la propria casa,
sono uomini di valore,
fra di essi si cela come in tutte le società,
e all’ennesima potenza nelle società distrutte dalla guerra,
la bestia sanguinaria.
Il marciume della violenza genera mostri, e dà potere a quei mostri che in
epoca di pace o sarebbe reclusa o sarebbe disoccupata.
Bisogna sempre distinguere i mostri dagli uomini vigorosi che cobattono  in
nome di ideali valorosi.
Valori come la pace, la libertà,
la compassione.

Non guardiamo ora alle gente d’iraq in maniera differente, con crescente
disprezzo, o foga di vendetta,
dobbiam esser certi,
che per primi loro si sentono in lutto.
Perchè chi l’ha conosciuto laggiù sa quali ideali muovevano il suo spirito,
e  l’iraq tutto sa di aver perso uno dei suoi primi alleati in questi dannati
giorni.

 
nonostante se ne sia andato,
c’è una parte di me che continuerà ad aspettare una sua risposta.

 
 
 
stralci dalla mia lettera per enzo-
 
 
“giovedì 26 agosto, ore 2255
-empatia sotto la kefia-
 
Enzo!
ti sento!
 
so che stai sorseggiando te alla menta,
mentre armi intorno a te e uomini scuri dalla barba incolta.
sembra che litighino con quella lingua di cui tu conosci solo qualche vocabolo.
ma è il loro modo di fare.
sciuccran,
sadik.
usa sharmuta!
 
Girano intorno a te…
…….
ti scrutano, e vogliono sapere tutto di te, di cosa pensi di questa dannata guerra, degli americani
e addirritura il perchè dei tuoi usi e costumi non ammessi nell’Islam.
 
Non cedere alla tentazione della paura,
quella magari di soddisfarli con tue risposte preordinate, non sincere.
……..
Riappropiati di tutto il tuo orgoglio, dei reali motivi perchè ti sei sentito di affrontare questo viaggio.
Io credo che tu sei laggiù perchè qui ti sentivi divorato dai crampi dell’ingiustizia.
Di quella specie che crea giornalisti manovali dal potere,
che producono manovrati notizie cinicamente artefatte,
qui nel nostro paese per creare favore nell’opinione pubblica  all’intervento armato in Iraq.
 
Ritrova l’inossidabile forza dei tuoi ideali,
sii uomo  di valore,
e nessuno fra questi che ti circondano ti potrà torcere un capello,
………..
 
Ti dico questo,
dopo aver trascorso infinite notti
coi mujaheddin palestinesi, che io rispetto
e che  alla fine  mi hanno concesso il loro rispetto.
 
ti scrivo questo anche se so che non potrai leggermi,
non per il momento almeno.
 
ma il mio pensiero empatico supera ogni confine e ogni prigionia,
mi ritroverai in uno specchio,
sarò nel tuo sguardo in me riflesso.
 
take care.
 
un amico invisibile per te soffre.
la tua irrequietudine.
 
your vik”
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Fonte: