Salperà il prossimo 14 settembre 2016 verso Gaza, AMAL (Speranza), la nave acquistata dalla Coalizione internazionale Freedom Flotilla, che per ora si trova a Barcelona.
Per discutere del progetto e dell’itinerario è stato organizzato un incontro il prossimo 2 settembre, a partire dalle 17:30, presso la Sala Ovale del Comune di Messina. Nel comunicato diramato, si legge anche la notizia che in tanti attivisti aspettavano: Estelle, l’imbarcazione sequestrata nella spedizione nel 2012, sarà restituita. A stabilirlo, con una sentenza che ha segnato la storia, è stata la Corte suprema.
Gli organizzatori, però, non vogliono abbassare la guardia sui fatti gravi che ancora accadono a Gaza: i cechi bombardamenti, anche sulla popolazione inerme, passano costantemente nel silenzio generale, inclusi i social network che normalmente sono invasi dai “Je suis”, dichiarazioni di solidarietà, di turno.
AMAL sarà in Italia a settembre, dunque, e la sua sua ultima tappa sarà proprio nella città di Messina. Ecco perché, in previsione di questo arrivo, il comitato messinese auspica “l’adesione ai principi della Freedom Flotilla da parte di tutte le organizzazioni democratiche a livello locale e nazionale”, ma anche “la promozione di dibattiti, letture di poesie, proiezione film, concerti a favore della Palestina e di Gaza su tutto il territorio nazionale”.
Al progetto hanno già aderito numerose associazioni, tra cui l’ARCI Thomas Sankara, il movimento Cambiamo Messina dal Basso, la Casa RossaR@PMessina, il Centro cultutrale islamico, la CGIL area Lavoro e Società, la Comunità palestinese cittadina, il Coordinamento siciliano di solidarietà con la Palestina, il CUB Gruppo Pari opportunità di CMdB, il Partito della Rifondazione comunista, Sangha dello Stretto, il partito SEL Sinistra italiana.
Gli organizzatori lanciano appelli affinché possano arrivare nuove adesioni. L’invito, infatti, è molto chiaro: il Gruppo chiama “a raccolta tutte le organizzazioni democratiche del paese e singoli Cittadini, per rompere il blocco che impedisce ai Palestinesi di Gaza qualsiasi contatto con il mondo”.
I principi che stanno alla base di Freedom Flotilla e che accomunano tutti i membri e i partecipanti sono innanzitutto quelli legati al credere nei diritti umani universali, nella libertà e nell’uguaglianza di tutti. La finalità è, si legge nel comunicato diramato, “ispirare e unire le comunità di tutto il mondo contro il blocco illegale e immorale di Gaza e agire uniti per porvi fine”. Oltre ad opporsi a qualsiasi forma di punizione collettiva e dichiarazione di colpa, il collettivo Freedom Flotilla respinge “qualsiasi forma di razzismo e discriminazione, inclusi antisemitismo e islamofobia”.
A voler segnare qualche tappa della storia del progetto, basti ricordare che nel 2008 le barche del Free Gaza Movement iniziarono i primi i tentativi via mare con lo scopo di cassare il blocco israeliano di Gaza che opprimeva e ancora opprime la popolazione palestinese e nega a essa il diritto alla libertà di movimento e di commercio. Qualche successo fu segnato: le prime imbarcazioni, infatti, furono in grado di arrivare cinque volte a Gaza e tornare indietro in Europa. La dura risposta di Israele non si fece attendere: tutte le barche salpate alla volta di Gaza, l’anno successivo, quindi nel 2009, furono non solo fermate, ma anche attaccate violentemente dalla marina israeliana, tanto da dover capitolare.
Questi eventi sono stati la spinta per la nascita di un coordinamento internazionale a cui partecipano attivisti provenienti da tutto il mondo: Italia, Spagna, Svezia, USA, Canada, Australia, Norvegia, Grecia. Nasce così la Coalizione internazionale della FreedomFlotilla.
Nel 2010, la Freedom Flotilla I fu attaccata e abbordata ancora dalla marina israeliana in acque inernazionali. A farne le spese, morendo, furono ben 10 attivisti che si trovavano a bordo della nave Mavi Marmara.
Nel 2011, la Freedom Flotilla II, insieme alla nave italiana “Stefano Chiarini“, tenta di partire dalla Grecia e dalla Turchia. Delle 12 imbarcazioni, solo tre riescono a partire verso Gaza e vengono attaccate dalla marina israeliana in acque internazionali. Le imbarcazioni vengono confiscate illegalmente da Israele.
Nel 2012, Estelle parte dalla Finlandia e fa sosta in ben 13 porti europei per sensibilizzare le popolazioni sulla grave crisi umanitaria causata dal blocco di Gaza. In Italia approda a La Spezia e poi da Napoli parte diretta a Gaza. Ancora una volta, viene attaccata dalla marina israeliana in acque internazionali e trainata al porto israeliano di Ashdod.
Nel biennio 2013-2014, inizia la campagna “commercio e non aiuti”. Viene costruita l’Arca di Gaza per trasportare prodotti dal porto verso gli acquirenti internazionali e incoraggiare il mondo a commerciare con i produttori di Gaza. Israele si sente minacciato e non si limita solo a sabotare il progetto, ma addirittura decide di bombardare l’Arca fino ad distruggerla.
Nel 2015, Marianne salpa da Messina verso Gaza e viene bloccata in acque internazionali dalla marina israeliana e le persone a bordo private della libertà. La Svezia, palesemente contraria al sequestro, protesta contro Israele per questa operazione che sembra contraria al diritto internazionale, chiedendo inoltre che il console svedese possa mettersi in contatto diretto con le persone detenute. Il Primo Ministro israeliano, una volta avvenuto l’ancoraggio, lancia pubblicamente un plauso alla sua marina militare per l’andamento dell’operazione. Tanto che i mass media leggono e interpretano positivamente tale comportamento. Ma gli attivisti denunciano una realtà differente. Infatti, sembrerebbe che dalle prime dichiarazioni rilasciate dai passeggeri liberati, supportate da un video (dove si sentono le scariche delle pistole elettriche taser, che provocano le grida di dolore delle persone colpite), emergerebbe una storia differente: quasi 40 militari a fronte di 18 tra passeggeri ed equipaggio sulla Marienne.
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