Tra Basilicata e Calabria migranti trattati come schiavi e chiamati “scimmie”

In Italia esistono gli schiavi
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BY  · GIU 11, 2020

Per gli agricoltori coinvolti nell’inchiesta “Demetra”, che ha portato al sequestro di 14 aziende tra Basilicata e Calabria, i braccianti stranieri che lavoravano con paghe da fame e senza alcuna protezione non erano uomini ma “scimmie”. E in quanto tali, per gli indagati, potevano bere l’acqua che si usa per l’irrigazione dei terreni agricoli direttamente dalle bottiglie nascoste dietro i cespugli, quelle che di solito vengono utilizzate per la pulizia dei canali. Sono raccapriccianti alcune delle intercettazioni registrate dalla guardia di finanza di Cosenza che ha smantellato due organizzazioni di “caporali” e organizzatori di matrimoni finti. “Non c’è un canale di acqua la vicino?” chiede il caporale Gennaro Aloe (finito in carcere) a Giuseppe Abruzzese, oggi ai domiciliari ma fino a ieri alla guida dei furgoni con cui i migranti venivano accompagnati nei campi. “Siccome mi ha telefonato Roberto – sono le parole di Aloe – che ai neri gli mancano un paio di bottiglie di acqua… Nel canale, gliele riempiamo nel canale. Se ci sono un paio di bottiglie vuote!.. Hai visto quelle che trovi quanto togli i cespugli. Vicino ai canali ci sono le bottiglie”.

Fonte:

https://raiawadunia.com/in-italia-esistono-gli-schiavi/

Usa, Manuel Ellis ucciso come George Floyd: un video incastra i poliziotti assassini

Manuel Ellis ucciso come George Floyd: un video incastra i poliziotti assassini

L’afroamericano era morto a marzo per asfissia dopo essere stato arrestato a Tacoma. Ora un filmato ha dimostrato la brutalità degli agenti. La sindaca: è stato un omicidio

Proteste per la brutalità della polizia

Proteste per la brutalità della polizia

globalist 6 giugno 2020

Tanti lo hanno detto: per una persona uccisa davanti alle telecamere (George Floyd) ci sono state tante altre vittime della polizia violenta morti dopo essere stati aggrediti e picchiati o colpiti dai poliziotti i cui casi non sono nemmeno mai stati aperti perché tutto risultava ‘regolare’.

Adesso anche nel caso di Manuel Ellis, l’afroamericano di 33 anni ucciso nel marzo scorso a Tacoma durante l’arresto, spunta un video che inchioda gli agenti del dipartimento di polizia della città dello stato di Washington alle loro responsabilità. Nel video, diffuso dal Tacoma Action Collective, infatti si vedono gli agenti che picchiano Ellis dopo averlo schiacciato a terra e ammanettato sul ciglio di una strada.
La sindaca di Tacoma, Victoria Woodards, che ha chiesto il licenziamento dei quattro agenti coinvolti sottolineando che il video diffuso conferma quello che i medici legali della contea hanno reso noto nei giorni scorsi, stabilendo che la morte di Ellis, avvenuta per asfissia, è stato un omicidio.
“Questa sera la famiglia ha chiesto perché ci vuole sempre un video per far convincere la gente che la vita di una persona nera è stata tolta in modo ingiusto? come donna afroamericana non ho bisogno di un video per credere”, ha detto Woodards chiedendo al procuratore distrettuale di procedere velocemente nei confronti degli agenti coinvolti. “Mentre guardavo il video diventavo sempre più arrabbiata e delusa”, ha aggiunto la sindaca.
I medici legali del Pierce County Medical Examiner’s Office hanno reso noto che Ellis, che aveva gravi problemi di tossicodipendenza, aveva delle sostanze stupefacenti nel suo sistema al momento della morte, ma  hanno stabilito che non sono state queste a provocarla. L’ufficio del medical examiner – che ha pubblicato il suo rapporto mentre anche nelle strade di Tacoma si sta protestando – ha quindi definito la morte come omicidio.
All’epoca dei fatti, gli agenti avevano detto che Ellis era in preda ad una sorta di delirio violento ed aveva attaccato i due poliziotti che erano intervenuti che hanno quindi chiamato rinforzi cercando di calmarlo. I quattro agenti coinvolti – due bianchi, un afroamericano ed un asiatico – erano stati sospesi dal servizio subito dopo i fatti, ma prima della pubblicazione dei risultati dell’autopsia erano rientrati in dipartimento. Il governatore Jay Inslee ha annunciato che lo stato avvierà un’inchiesta indipendente sulla morte di Ellis.
“La più triste realtà è che George Floyd è qui a Tacoma, ed il suo nome è Manny”, ha detto il legale della famiglia di Ellis”, affermando che nel video si sente Ellis gridare “non riesco a respirare”, I can’t breath, come fece Floyd. Intanto, il sindacato della polizia di Tacoma ha diffuso una dura nota in cui attacca la sindaca per aver parlato basandosi su “un breve, sfocato video di Twitter” e sottolineato che “ora è il momento per i fatti e non i teatrini: quello che è successo a George Floyd nelle mani della polizia è sbagliato, gli agenti di Tacoma non hanno assassinato Mr Ellis”.
 

Nick Knudsen 🇺🇸 #DemCast@DemWrite

On March 3rd, died at the hands of four Tacoma police officers.

Thursday, Manuel’s death was ruled a homicide. The cause: hypoxia — a lack of oxygen reaching body tissues — due to physical restraint.

New video has emerged:

Video incorporato
Fonte:

L’Osservatorio Disagio Abitativo sull’emergenza rifiuti nell’area della ex Polveriera di Ciccarello

Venerdì, 30 Agosto 2019 10:56

L'Osservatorio Disagio Abitativo sull'emergenza rifiuti nell'area della ex Polveriera di Ciccarello

La tutela dell’ambiente e il rispetto per le persone non hanno nessuna connotazione etnica ma rammarica dover leggere sulla stampa come la frustrazione di alcuni cittadini del quartiere Ciccarello venga riproposta, senza alcuna esitazione, con toni di tipo razziale. È ben comprensibile il malcontento delle persone che vivono a Reggio, in zone sommerse dai rifiuti e dall’assenza delle piú elementari regole del vivere civile, ma dare una spiegazione etnica, additando solo un gruppo di cittadini, come la causa di ogni male è fuorviante, quanto inutile.

L’abbandono dei rifiuti per strada è un fenomeno che non ha etnia né classe sociale ma soprattutto colpisce la salute di tutti, indistintamente. È un fatto molto grave che si verifica in tutti i quartieri della città ad opera di moltissimi cittadini, appartenenti a tutti i gruppi sociali e non ad uno solo.

Nell’area della baraccopoli dell’ex Polveriera di Ciccarello, poco meno di 20 famiglie convivono con rifiuti di ogni tipo, soprattutto prodotti dalla demolizione delle baracche operata dal Comune . Sono soprattutto queste famiglie, insieme alle associazioni dell’Osservatorio sul disagio abitativo, a denunciare e a pretendere una bonifica del territorio, insieme alla sistemazione abitativa delle stesse famiglie.

Non c’è alcun dubbio che il conflitto su basi etniche non sia utile a risolvere il problema comune del deturpamento ambientale e del disagio sociale, ma serve ad alimentarlo ulteriormente e a nascondere la gran parte delle responsabilità.

La collaborazione per la diffusione del senso del bene comune che non implichi l’odio per categorie sociali o etniche, insieme alle lotte per la trasparenza e la giustizia sociale, garantirebbero, di certo, un miglioramento socio-ambientale per tutti.

Reggio Calabria, 30 agosto 2019

Osservatorio sul disagio abitativo

Un Mondo Di Mondi –Cristina Delfino – Giacomo Marino

CSOA Angelina Cartella

Società dei Territorialisti/e Onlus

Centro Sociale Nuvola Rossa

Comitato Solidarietà Migranti

Reggio Non Tace

Collettiva AutonoMia

 

 

Fonte:

https://www.calabriapost.net/politica/l-osservatorio-disagio-abitativo-sull-emergenza-rifiuti-nell-area-della-ex-polveriera-di-ciccarello?fbclid=IwAR2tHUVKIK21DYBuoXE8Us0fiNUzgR5ppc2bH-5lRnd4Byo4SVwfVnOsvWY#.XWkFtfpyqIs.facebook

LA LUNGA NOTTE DELLA CAPITANA CAROLA RACKETE. MOBILITAZIONE A ROMA.

Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3, a bordo della nave, il 27 giugno 2019. (Till Moritz Egen, Sea Watch)

La lunga notte della comandante 

“Idda si è messa in mente cose. Idda non è italiana, vero? Dicono che Idda vuole comandare. Ma io mi chiedo perché non li ha portati a Malta questi migranti”. Francesco avrà sessant’anni, fa l’autista per i turisti a Lampedusa e non si dà pace al pensiero che una donna si sia messa alla guida di una nave per condurla nel porto della sua isola. Ma è anche convinto che “Idda” porterà a termine quello che ha promesso. “Devono sbarcare prima o poi, stanotte o domani. Sbarcheranno”, assicura.

Al di là della banchina, al di là delle barchette turistiche in fila sul molo, al di là dei frangiflutti, c’è la nave umanitaria che batte bandiera olandese. È ferma dal mattino a un miglio dalla costa, all’entrata del porto. Si è spostata di parecchie miglia nelle ultime ore, non è in fonda, sembra come in balia della corrente. A qualche metro di distanza, una nave militare della guardia di finanza la sorveglia. Gli agenti hanno consegnato a Carola Rackete un avviso di garanzia.

Le accuse contro di lei sono favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione per non aver rispettato l’alt imposto dalla guardia di finanza il 26 giugno. “Idda”, come la chiama Francesco, è la comandate della SeaWatch 3 e sembra determinata a portare a terra i quaranta migranti che da diciassette giorni sono bloccati a bordo dell’imbarcazione che li ha soccorsi al largo della Libia per effetto del decreto sicurezza bis voluto dal ministro dell’interno Matteo Salvini.

Così all’una e mezza di notte, Rackete si mette al timone e decide di fare l’ultimo miglio, come aveva detto da giorni, se le autorità non fossero intervenute. “Abbiamo dichiarato lo stato di emergenza da sessanta ore, nessuno ci ha ascoltato, nessuno si è preso la responsabilità, ancora una volta sta a noi portare queste quaranta persone in salvo”, scrive su Twitter, poi comincia la manovra di avvicinamento al porto.

Le luci di Lampedusa si avvicinano. Punta la prua verso il molo e procede a una velocità molto bassa. La nave militare che ha il compito di sorvegliarla non è impreparata, intima l’alt come aveva fatto qualche giorno prima, ma la comandante tira dritto. Allora i militari le sbarrano la strada, senza riuscire a fermarla. La SeaWatch 3 entra lentamente nel porto commerciale. Sembra una piattaforma di luci che emerge dal buio della notte. La guardia di finanza fa cenno di accostare alla banchina. Nella manovra le due navi si urtano.

L’arresto
A terra c’è trambusto, tutti quelli che sono ancora svegli sull’isola corrono al molo. C’è Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa da poco diventato europarlamentare, c’è l’ex sindaca Giusi Nicolini, c’è il parroco don Carmelo, ci sono gli attivisti del Forum Lampedusa solidale, ci sono i valdesi di Mediterranean Hope e ci sono i turisti con gli smartphone alzati, i giornalisti e le telecamere. Se l’aspettavano tutti che “Idda” sarebbe alla fine arrivata a terra, che altri giorni non si potevano aspettare. C’era il rischio che qualcuno si buttasse in mare, vedendo l’isola così vicina e così incomprensibilmente inaccessibile. La nave tocca la banchina, sul molo scoppia un applauso, le persone si abbracciano.

“Ce l’abbiamo fatta”, dicono gli attivisti che per giorni hanno dormito sul sagrato della chiesa avvolti con coperte termiche per chiedere lo sbarco dei naufraghi. Il parroco grida: “Buon Natale, buon Natale”. Carola Rackete si affaccia dal ponte, alza le braccia al cielo per qualche minuto, poi torna all’interno del ponte di comando. È in quel momento, mentre in molti sono emozionati che si alzano le urla dell’ex senatrice della Lega Angela Maraventano. “Non li fate scendere, fanno commercio di carne umana, assassini, andatevene a casa vostra. Se scendono ci scappa il morto”, strilla Maraventano e dietro a lei un gruppo di persone che da giorni presidia il molo con lo striscione “Porti chiusi”.

A un’ora dall’attracco un lungo schieramento di polizia e agenti della guardia di finanza presidiano la nave, alcuni salgono a bordo, fino al ponte di comando e poco dopo ne escono portandosi via Carola Rackete, la comandante. La donna ha un’espressione austera, regale. La bloccano, prima che salga sulla macchina della guardia di finanza, guarda per terra. Sembra serena. Partono gli applausi, cominciano anche i fischi. Un gruppo di leghisti le urlano: “Zingara, vattene, mettitici ‘e manette”. Altri in siciliano le augurano lo stupro. “Le mogli vi devono stuprare questi clandestini”. Carola Rackete si infila in macchina e sparisce dietro le spalle di un poliziotto per riapparire dietro al finestrino, sempre assorta nei suoi pensieri.

“Ho provato un’emozione straordinaria”, si commuove Lillo Maggiore del Forum Lampedusa Solidale. “La cosa più straziante è stata vedere la comandante farsi arrestare per l’umanità”. Don Carmelo vorrebbe che i migranti fossero fatti scendere il prima possibile e invece dovrà aspettare l’alba prima di vedere il primo ragazzo mettere piede a terra: “È una storia che è durata fin troppo” e ora bisogna avere fiducia “che le autorità sappiano comprendere lo stato di necessità nella quale si è trovata la comandante”.

Ma le accuse a carico di Rackete sono gravi: c’è la violazione del codice della navigazione, “resistenza o violenza contro nave da guerra”. Saranno i magistrati a dover confermare i capi di imputazione. Su Rackete è aperta anche un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Se le accuse dovessero essere confermate, la comandante rischia pene sono molto severe: da tre a dieci anni di carcere per resistenza a nave da guerra, da cinque a quindici anni di reclusione e una multa di 15mila euro per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La comandante è trasferita nella caserma della guardia di finanza, poi all’hotspot per essere identificata e lasciare le impronte digitali. Dopo aver concluso tutti passaggi formali, Rackete esce dall’hotspot e incontra tutti i migranti, che nel frattempo sono stati portati nel centro di Contrada Imbriacola. I ragazzi, quando la vedono scortata dagli agenti, la salutano, battono le mani.

È l’alba, le case dei pescatori intorno alla spiaggia riflettono una luce rosa. Tutti sono scesi dalla nave e a poco a poco sono portati nell’hotspot con degli autobus. Scendono anche i cinque parlamentari – Riccardo Magi, Nicola Fratoianni, Graziano Delrio, Matteo Orfini e Davide Faraone – che avevano deciso di non lasciare la nave fino all’attracco. “Non dovrebbe succedere che dopo un soccorso le persone siano trattenute per così tanto tempo su una nave”, dice l’ex ministro dei trasporti Delrio, visibilmente provato dalle lunghe ore a bordo. “Queste non sono politiche migratorie, non ci si può confrontare in questo modo sulla vita delle persone”.

Matteo Orfini del Partito democratico è ancora più duro: “Resta la vergogna di aver tenuto per giorni senza alcuna ragione 42 persone su questa nave. La comandante ha svolto un lavoro difficilissimo in un momento di enorme tensione”. Per Magi l’imputazione di tentato naufragio è un’assurdità: “Mentre la SeaWatch aveva cominciato la manovra di attracco la motovedetta si è posizionata lungo la banchina, spostandosi via via per chiudere lo spazio”.

Il piazzale del molo commerciale lentamente si svuota, due soccorritrici ancora bordo si abbracciano. Una delle due scoppia in lacrime: “Come europei dovremmo vergognarci di quello che è successo in questi giorni, noi siamo stati costretti a fare quello che i governi non vogliono più fare”, dice Heidi Steder, un’olandese di 29 anni. “La nostra comandante è stata dipinta come una criminale per aver fatto il suo dovere e avere difeso la legge e ora invece dovrà subire un processo”. Dal porto sale un odore forte di gasolio e salsedine, i pescatori stanno tornando dalla pesca notturna, qualche anziano è sceso in strada e siede sui muretti del porto, le strade sono deserte. Il piazzale è diventato improvvisamente silenzioso, dopo il trambusto della notte, la nave sembra fluttuare sulla superficie del mare. È una visione rassicurante, ma eterea. Per “Idda” è cominciato il giorno più lungo: la procura di Agrigento ha disposto gli arresti domiciliari in attesa che si svolga il processo per direttissima.

Fonte:
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Free Carola: mobilitazione permanente

Dopo 17 giorni in mare, Carola Rackete, la comandante della Sea Watch, ha attraccato e portato in salvo i migranti soccorsi.

 

La rete Restiamo Umani e Mediterranea Saving Humans lancia per oggi (sabato 29 giugno) un presidio a Piazza dell’Esquilino alle ore 20.

 

Di seguito il testo di convocazione:

Rivolgiamo un appello a tutta la società civile e democratica di questa città, ai cittadini e alle cittadine, alle associazioni, al mondo della cultura e dello spettacolo, alla stampa, alle forze politiche e sindacali, a partecipare al presidio di solidarietà contro l’arresto della capitana della Sea Watch Carola Rackete, che si terrà questa sera a partire dalle ore 20 presso piazza dell’Esquilino.

E’ in corso un attacco senza precedenti da parte di questo Governo alle libertà fondamentali delle persone, al diritto alla solidarietà e alla cooperazione. Finalmente tiriamo un sospiro di sollievo per lo sbarco dei 40 migranti, ma rimaniamo sconcertati di fronte all’arresto immediato della Comandante, entrata in porto a Lampedusa sospinta dallo stato di necessità.

Le accuse formulate sono pesantissime e sembrano essere dettate unicamente da ragioni politiche. La chiusura dei porti è la causa del crescere del razzismo e dell’incomprensione. Difendiamo i diritti dei migranti, il diritto alla solidarietà!

Costruiamo tutt* insieme una piazza colorata e attraversata da molteplici voci che sappia dare una risposta di civiltà a questa barbarie e gridare con forza il nostro no al razzismo e alla discriminazione.

Vogliamo il rilascio immediato di Carola, la libertà di movimento per tutt* i/le migranti che sbarcano in Italia, il dissequestro immediato della nave Mare Jonio e il ritiro del Decreto Sicurezza Bis!

MOBILITAZIONE PERMANENTE

 

Fonte:

https://www.dinamopress.it/news/free-carola-mobilitazione-permanente/

Migranti, la fake news su Josepha: “Ma quale naufragio, ha lo smalto”. Non è vero, giornalisti a bordo spiegano perché

Migranti, la fake news su Josepha: “Ma quale naufragio, ha lo smalto”. Non è vero, giornalisti a bordo spiegano perché
In Rete sono centinaia i post pieni di odio all’indirizzo della migrante camerunense, salvata dalla ong Open Arms, corredati dalla sua foto con smalto rosso e braccialetti: “È un’attrice”. Ma Annalisa Camilli di Internazionale, che era sulla nave, spiega: “Applicato dalle volontarie di Open Arms per distrarla e farla parlare. Non lo aveva quando è stata soccorsa, serve dirlo?”
“Una naufraga con lo smalto”. Eccola, l’ultima fake news diventata virale sul web. Involontaria protagonista è Josepha, la naufraga salvata dalla ong Open Arms dopo 48 ore trascorse alla deriva in mare, aggrappata a un pezzo di legno. In Rete sono centinaia i post pieni di odio all’indirizzo della migrante camerunense, corredati dalla sua foto con smalto rosso e braccialetti. Da lì la montatura virale: “È un’attrice”, “Non c’è stato alcun naufragio”. Una montatura che acquista toni che vanno oltre le fake news, venati di razzismo.“Scappa dalla guerra ma si è pitturata le unghie. Inoltre le mani non hanno l’aspetto spugnoso tipico di chi resta in acqua per ore”, discetta un account su Twitter. La fake news corre tra un post e l’altro, tra un social e l’altro, si colora di complottismo. “Si è rifatta le unghie tra un naufragio e l’altro”, scrive qualcuno. “Funziona come Cocoon, dopo 48 ore in acqua sei più bella”, postano altri con cinismo.

La verità dietro quello scatto, la racconta Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale che era a bordo dell’Open Arms quando hanno soccorso Josepha: “Ha le unghie laccate perché nei quattro giorni di navigazione per raggiungere la Spagna le volontarie di Open Arms le hanno messo lo smalto per distrarla e farla parlare. Non aveva smalto quando è stata soccorsa, serve dirlo?”.

A riprova – e incredibilmente ce n’è bisogno – la foto del salvataggio della donna dove chiaramente non ha smalto, né braccialetti. Ma neanche questo placa l’odio in rete. “Sulla nave Open Arms ci si diletta con lo smalto”, ironizza qualcuno e subito sotto accusa finiscono i volontari di Open Arms ‘colpevoli’ di avere lo smalto a bordo e di aver regalato un attimo di umanità, di normalità e anche di legittima vanità alla migrante.

di | 23 luglio 2018
Fonte:

MANIFESTAZIONE A REGGIO CALABRIA PER SOUMAILA SACHO

foto di USB Federazione provinciale di Reggio Calabria.

23 giugno a Reggio Calabria per Soumaila Sacko!

  • sabato dalle ore 10:00 alle ore 13:00
  • Piazza Giuseppe De Nava, 89125 Reggio di Calabria RC, Italia

  • Organizzato da USB Federazione provinciale di Reggio Calabria

APPELLO

Verità e Giustizia per Soumaila Sacko

Tutti/tutte a Reggio Calabria Sabato 23 giugno per proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti

Vogliamo Verità e Giustizia: chiediamo insieme ai familiari che sia fatta piena luce sull’assassinio di Soumaila Sacko, bracciante e militante sindacale USB, come abbiamo chiesto quando abbiamo rifiutato senza indugio la notizia della reazione a un furto.

Vogliamo proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica: insieme ai lavoratori ed alle lavoratrici di qualsiasi provenienza geografica, alle associazioni e movimenti per la giustizia sociale e la solidarietà, ai disoccupati e precari, agli studenti, alle famiglie e alle persone che già in tutta Italia si sono mobilitate dopo questo tragico delitto, proseguiamo la lotta che stavamo conducendo assieme al nostro compagno e fratello Soumaila Sacko.

Vogliamo diritti e dignità per i lavoratori e le lavoratrici di tutta la filiera agricola: vogliamo e dobbiamo onorare la memoria di Soumaila, e come ci hanno chiesto di fare anche i suoi familiari,
rilanciamo la lotta dei dannati e delle dannate della terra, di chi si spezza la schiena per pochi euro al giorno e ha deciso di non chinare più la testa contro le prepotenze, i caporali e lo sfruttamento. Di chi lavora senza alcuna sicurezza, costretto ad accettarne qualsivoglia conseguenza.

Vogliamo diritti sociali per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne: viviamo spesso una condizione assimilabile alla schiavitù ed in condizioni di segregazione sociale, in non luoghi dove si produce l’annullamento delle persone che lo abitano e la privazione dei fondamentali diritti umani. Spesso non abbiamo elettricità, acqua e riscaldamento. Non abbiamo una casa, ma solo rifugi di fortuna. Siamo esclusi dalle società, siamo non-umani che vivono in non-luoghi. Siamo invisibili, salvo ridiventare visibili quando torniamo a lavorare nei campi e veniamo sfruttati e sfruttate. Rivendichiamo l’urgenza di un inserimento abitativo dignitoso.

Vogliamo la bonifica dell’area dell’Ex-Fornace “TRANQUILLA” riportata agli onori della cronaca dopo i fatti del 2 giugno 2018, considerata la discarica dei veleni più pericolosa d’Europa a
causa dell’interramento di 130mila tonnellate di rifiuti industriali tossici. Il processo si sta per chiudere con un nulla di fatto, mentre la gente del circondario continua ad ammalarsi e a morire di cancro. Lo chiediamo insieme agli abitanti delle comunità locali che spesso vengono ingannate da campagne strumentali e razziste mentre vivono sulla propria pelle le conseguenza della crisi economica e sociale.

Vogliamo sicurezza per le lavoratrici delle campagne: esse vivono doppiamente lo sfruttamento e la vulnerabilità sulla propria pelle in quanto lavoratrici braccianti e in quanto donne. Esattamente come
accadeva nel bracciantato della seconda parte dell’Ottocento negli USA nei confronti delle donne nere schiavizzate.
Non vogliamo la guerra tra poveri: rifiutiamo la guerra tra poveri che ci vorrebbe contrapposti ai cittadini e alle cittadine del comprensorio, agli italiani e alle italiane, agli abitanti e alle abitanti della Piana di Gioia Tauro. Rifiutiamo la contrapposizione non solo nel mondo dell’agricoltura ma anche, ad esempio, dei 400 licenziati del porto di Gioia Tauro. Siamo consapevoli che i nostri problemi non sono generati dall’altro, dal diverso, ma dalle politiche attuate dai diversi Governi, che ci vogliono contrapposti per distogliere la nostra attenzione dal vero nemico, da ciò che ci ha impoverito, resi privi di diritti e diseguali. Siamo esseri umani non sudditi e (R)Esistiamo.

Mandiamo un abbraccio ai nostri fratelli che lavorano nella logistica che il 23 giugno marceranno a Piacenza. A fianco dei compagni di Abd Elsalam, ucciso perché difendeva i diritti dei
suoi compagni contro i soprusi delle multinazionali della logistica. La lotta di noi sfruttati non ha confini, insieme diventiamo imbattibili.

Vogliamo manifestare con gli abitanti della Piana di Gioia Tauro e della Calabria tutta, che non ci stanno a essere etichettati come razzisti e che quotidianamente sono impegnati nel promuovere la
cultura del rispetto delle diversità, ma che ancora una volta vengono cancellati nella rappresentazione mediatica di un territorio che non corrisponde alla realtà.

Invitiamo tutti e tutte alla manifestazione di Sabato 23 giugno 2018 dalle ore 10.00 con partenza da Piazza De Nava (Reggio Calabria): per Soumaila Sacko e per proseguire la marcia per i
diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti e di tutti i lavoratori della terra.

#SoumailaSacko#Primaglisfruttati#Restiamoumani

Per adesione: [email protected]

USB (Unione Sindacale di Base) – Coordinamento Lavoratori agricoli USB – Associazione maliana di solidarietà – Potere al Popolo – Sinistra Anticapitalista – Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea – Partito Comunista Calabria – Fronte della Gioventù Comunista Calabria – Coalizione Internazionale Sans-Papiers Migranti e Rifugiati (Italia) – Movimento Migranti e Rifugiati – Associazione Ivoriani e West Africa – FuoriMercato Autogestione in Movimento – Associazione Rurale Italiana (ARI), membro del Coordinamento Europeo Via Campesina (ECVC) – Mimmo Lucano, Sindaco di Riace – Campagna LasciateCIEntrare – ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa) – Rete dei Comuni Solidali – Il Sud che sogna – Società dei territorialisti – Rete Restiamo Umani – Osservatorio sul disagio abitativo – SOS Rosarno – CoSMi (Comitato Solidarietà Migranti) – c.s.c. Nuvola Rossa – EquoSud – Ass. Yairaiha – Ass. Il Brigante Serra San Bruno – Ass. La Kasbah Cosenza – Ass. Magnolia – Ass. Ponti Pialesi – Ass. Un mondo di mondi – c.s.o.a Angelina Cartella – Spazio Autogestito Sparrow Cosenza – Sportello Sociale Autogestito Lamezia Terme – Comitato Piazza Piccola Cosenza – Comitato PrendoCasa Cosenza – CPOA Rialzo Cosenza – RASPA (Rete delle associazioni Sibaritide-Pollino per l’autotutela) – Comitato Verità Democrazia e Partecipazione Crotone – Rete Antirazzista Catanese – Arci provinciale Reggio Calabria – Arci provinciale Crotone – Circolo Arci “Il Barrio” – Circolo Arci “Gli spalatori di nuvole” – Circolo ARCI “Culture in… Movimento” – Legambiente Reggio Calabria – Collettiva AutonoMia – Non una di meno Reggio Calabria – Mani e Terra SCS Onlus – Cooperativa Agorà Kroton – Società Cooperativa Sankara – ReggioNonTace – Ciavula.it – Cobas telecomunicazioni Cosenza – Associazione dei Comuni della Locride – Francesca Danese, già Assessora alle Politiche Sociali, Salute, Casa ed Emergenza Abitativa del Comune di Roma – Circolo del Cinema “Cesare Zavattini” Reggio Calabria – Eleonora Forenza, Eurodeputata GUE/NGL – Progetto Diritti onlus – Transform Italia – Francesco Piobbichi, operatore sociale – Associazione “Il Viandante” – Collettivo studentesco Catanzaro – Gruppo Scuola Hospital(ity) School – Collettivo Mamadou Bolzano – Baobab Experience – A buon diritto

Fonte:

FINITA L’ODISSEA DELL’ACQUARIUS

Dal profilo Facebook di don Nandino Capovilla:

“BENVENUTI IN FAMIGLIA!” Come un’eco di preghiera, arriva da Valencia alla Cita una stessa invocazione: “All I have to say, thank you God!”- hanno cantato i sopravvissuti dell’Aquarius, stremati dalle violenze prima libiche e poi italiane, compiute “non in nostro nome”, in violazione di Trattati e Convenzioni Internazionali.

CHI RENDERA’ GIUSTIZIA A MADRE AFRICA, che dopo aver partorito l’umanità, continua ad essere da noi depredata “a casa loro”? Certamente non l’egoismo di popoli che si illudono di blindarsi in un sovranismo nazionalista e antievangelico. Sarà piuttosto la testimonianza quotidiana di comunità cristiane accoglienti a rispettare “il diritto alla speranza di chi non dovrà mai più essere lasciato in balìa delle onde dopo aver lasciato la sua terra affamato di pace e giustizia”(papa Francesco)

QUATTRO FIGLI IN UMANITA’ sono stati battezzati stamattina alla Cita e l’antichissima voce dal Cielo –“Tu sei mio figlio, l’amato!”- è risuonata a conferma della vocazione di comune appartenenza all’unica famiglia umana. Per questo, oggi e sempre e nonostante tutto, canteremo con gioia “BENVENUTI IN FAMIGLIA!”

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi
Fonte:

https://www.facebook.com/nandinocapovilla/posts/1835329236529470

 

L’intollerabile odissea forzata della Aquarius è terminata

La nave umanitaria approda a Valencia con i 630 naufraghi dopo otto giorni di mare

La Aquarius, nave di soccorso umanitario noleggiata da SOS MEDITERRANEE e gestita in partnership con Medici senza Frontiere, è entrata nel porto di Valencia in Spagna questa mattina, in convoglio con una nave della Guarda costiera italiana e con una nave militare italiana, per lo sbarco di 630 persone, soccorse nel Mediterraneo otto giorni prima.

Questi 630 tra uomini, donne e bambini sono fuggiti da un calvario inimmaginabile in Libia più di otto giorni fa: spinti su gommoni da trafficanti spietati, hanno trascorso ore terrificanti alla deriva, ammassati su imbarcazioni precarie, prima di essere finalmente soccorsi dalla Aquarius, da navi mercantili e da unità della Guardia costiera italiana, seguendo tutte la stessa legge non negoziabile: la legge del mare che obbliga ad assistere ogni singola persona in situazione di pericolo in mare.

Otto giorni dopo essere fuggite dall’inferno libico, queste 630 persone sono finalmente salve e al sicuro a terra, in Spagna, grazie alla Aquarius e al suo team di marinai professionisti, soccorritori volontari e operatori umanitari.

Il coraggio e la resilienza di questi 630 naufraghi, la professionalità e la profonda umanità dell’equipaggio della Aquarius devono essere elogiate, come lo straordinario supporto che SOS MEDITERRANEE ha ricevuto dalla società civile in Spagna e in tutta Europa.

La nave Aquarius è diventata il simbolo concreto per coloro che in Europa mettono i valori universali di rispetto per la vita umana, dignità e solidarietà prima di ogni altra considerazione.

Detto questo, i diversi ritardi dovuti alla chiusura dei porti italiani e poi l’Odissea forzata, pericolosa e degradante della nave Aquarius nel Mediterraneo devono necessariamente suonare come un campanello d’allarme per i leader europei.

Non è tollerabile per l’Europa che possa ripetersi una situazione come questa.

L’inerzia degli Stati europei è criminale. Si è tradotta in oltre 13.000 morti nel Mediterraneo dal 2014, quando i leader europei hanno detto «mai più» dopo la tragedia di Lampedusa. L’Europa porta questi morti sulla propria coscienza.

Le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate sul rispetto delle vite umane prima di ogni altra considerazione.

SOS MEDITERRANEE esorta una volta ancora tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad assumere le proprie responsabilità e a mettere il soccorso in mare al vertice delle loro agende politiche. Gli Stati membri dell’Unione europea devono immediatamente cooperare per elaborare un modello europeo di ricerca e soccorso per il Mediterraneo:

- le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate innanzitutto sul rispetto delle vite umane, prima di ogni altra considerazione, in conformità con il diritto marittimo internazionale e il diritto umanitario.

- le persone soccorse devono essere trattate con dignità e umanità a bordo delle navi di soccorso e ricevere tutte le cure che il loro stato di vulnerabilità richiede, fino a quando non è raggiunto un porto sicuro.

Alle autorità marittime competenti dovrebbe essere consentito di rispettare i loro obblighi di coordinamento e di ottimizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso.

Un numero sufficiente di navi di soccorso, adeguatamente attrezzate ed equipaggiate, deve essere dispiegato nel Mediterraneo, permettendo una copertura vasta della zona di soccorso.

Lo sbarco delle persone soccorse nel porto sicuro più vicino deve essere assicurato in tutti i casi, senza nessun ritardo, in accordo con i regolamenti marittimi.

SOS MEDITERRANEE invita a una larga mobilizzazione della società civile in Europa e nel Mediterraneo, per trasmettere questo messaggio alle autorità governative.

Salvare vite in pericolo è un obbligo morale e legale. Finché ci saranno persone che rischiano la propria vita in mare, SOS MEDITERRANEE continuerà la propria missione nelle acque internazionali, alle porte dell’Europa, per ricercare, soccorrere, proteggere e testimoniare.

Rassegna stampa: 
- Valencia si prepara ad accogliere l’Aquarius respinta dall’Italia, di Annalisa Camilli, Internazionale
- Aquarius, l’esperto Fulvio Vassallo Paleologo: “Illegale il respingimento collettivo di donne incinte e bambini, l’Italia rischia”, Repubblica.it

[ 17 giugno 2018 ]
Fonte:

 

Il Ban di Trump e la Guerra Santa del nerd canadese

31 gennaio 2017

Pubblicato da

di Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas

Anatole. L’ordine mondiale è scosso dal Ban di Trump, che impedisce l’ingresso negli Stati Uniti a i cittadini di Iran, Iraq, Libya, Somalia, Sudan, Syria and Yemen. Sulla prima pagina del New York Times tiene banco il conflitto istituzionale circa la nomina del nuovo Attorney General, in relazione alla legalità del Ban e dell’opportunità che i legali del Dipartimento della Giustizia lo dichiarino ammissibile. La nostra agenda ci porta, però, in Canada, a Quebec City, appresso ad una notizia che sta riscuotendo attenzione molto inferiore alla portata del fatto, di gravità pari, se non superiore a vari altri che abbiamo seguito e discusso. Si tratta dell’attentato alla moschea locale, nel corso del quale sono morte sparate sei persone e otto altre sono rimaste ferite. Il fatto, del quale si trova traccia soltanto nei tagli bassi delle testate di tutto il mondo, avrebbe di certo suscitato una diversa attenzione, qualora l’obiettivo fosse stato altro, cioè uno dei riferimenti dell’occidente libero e democratico e l’attentatore fosse stato un musulmano qualunque, uno di quelli che urlano “Allah Akbar”, per capirci, che poi hanno spesso e volentieri urlato altro, come s’è detto e ridetto. Gli elementi di interesse, almeno per noi, sono moltissimi. Prima di tutto il profilo di questo Alexandre Bissonnette, un vero freak da tutti i punti di vista, poi il fatto che questo episodio abbia luogo in Canada all’inizio dell’era Trump, in relazione alla posizione liberal che Trudeau ha assunto sulla questione dell’immigrazione, quindi, forse soprattutto, il tema della “Guerra Santa”, che, misteriosamente, non affiora a titoloni cubitali sulle prime pagine dei giornali. Anche limitandoci allo squallido teatrino di casa nostra viene soprattutto da domandarsi dove sia l’editoriale di Panebianco, dove siano i memi di Oriana che aveva previsto tutto e perché oggi la guerra santa non “la fa l’ACI” (lo so, ce lo devo mettere ogni volta, è un po’ un tormentone, ma fa troppo ride’). Inoltre, e questo è l’aspetto che ci ricollega a tutta la questione delle fake news, nelle prime ore seguenti l’attentato circolava nei mezzi d’informazione la notizia che l’autore dell’attentato fosse un marocchino non meglio identificato, di quelli che appunto urlano “Allah Akbar” prima di ammazzare la gente.

Lorenzo. Mettiamo due cose una dietro l’altra, concedendoci il tempo di fare quello che abbiamo fatto con Masharipov, Amri e tutta la compagnia. E ripetendo il mantra delle 36 ore, prima delle quali dire qualcosa di sensato è sostanzialmente inutile e dopo le quali è quasi del tutto inutile dire qualcosa, perché le idee e le emozioni sul fatto si sono già ampiamente formate. Primo: appiccico un po’ di cose su questo “allah akbar”, riguardo al cui uso e alla cui diffusione in quanto meme – lo ricordo anche qui – ho già abbondantemente dato (e quindi un knowledge base purchessia ce l’ho). Al centro commerciale di Monaco il 18enne tedesco-iraniano aveva urlato “sono tedesco, turchi di merda” ma un testimone giurava di averlo sentito urlare “allah akbar”. Chi sa il tedesco afferma che l’assassino avesse anche un certo accento del sud. Nell’agguato nella metropolitana, sempre a Monaco, uno squilibrato aveva urlato davvero “Allah Akbar” ma non era neanche lontanamente mai stato musulmano, né aveva mai avuto un legame famigliare con quel mondo. Non sappiamo se dimostrasse di avere un qualche accento particolare. Di Amri, l’assassino di Berlino abbattuto a Sesto S. Giovanni, si era detto che avesse urlato “allah akbar” ma invece poi fu confermato che aveva detto “poliziotti bastardi”. Questa volta un testimone afferma che l’attentatore aveva un forte accento del Quebec e urlava “allah akbar”. La nota sull’accento rende il testimone credibile. In più la cosa avviene in una moschea, un luogo dove è abbastanza facile che ci siano persone che “Allah Akbar” lo dicono un bel po’ di volte al giorno, poiché pregano. Ricordando poi un numero elevato di casi in cui l’espressione è stata usata per scopi che vanno dallo scherzo stupido al sarcasmo pesante, giungo a pensare che il Gemello abbia davvero urlato “Allah akbar”, per un suo qualche oscuro motivo. Ciò certifica definitivamente, se ce ne fosse bisogno, che il lanciare l’urlo “Allah Akbar” prima di un fatto violento non segnala assolutamente niente di rilevante al fine di stabilire le responsabilità ultime dell’atto, almeno dal punto di vista delle affiliazioni ideologiche, cosa che va tanto per la maggiore quando bisogna dire che siamo soldati crociati ecc. in stile Panebianco. Resta da capire, se l’ha fatto, perché Alexandre Bissonnette l’ha fatto. Ma diciamo che a questo punto ci può interessare il giusto, cioè niente. Però è da segnalare che a un certo punto ieri si è capito che questo killer con l’ISIS non c’entrava davvero una mazza e dunque i giornali online hanno iniziato a togliere dai titoli quell’”allah akbar” (sbagliando, secondo me, ma va bene). A quel punto c’è stato, come il commentatore di un pezzo di Repubblica, chi ha sollevato dubbi e paventato gombloddi. Arrivando tardi alla lettura del pezzo “Sikomoro” scrive: “Perchè non è stato scritto, come su tutti gli altri giornali, che gli attentatori gridavano Allah Akbar? Si vuole per caso nascondere qualcosa? Si vuole per caso influenzare l’opinione?”. La parola che trovo – ricordo che la usava Jaime intorno al 1988 – per definire tutto questo è “inquietante”.

Anatole. Tragicamente inquietante, ma la cosa che, per usare un’altra espressione del tempo, è ancora più flesciante è il rilievo che la notizia assume nell’opinione pubblica. Cioè, detto senza mezzi termini, appare confermato che se spari dentro una moschea e ammazzi sei persone non gliene frega letteralmente un cazzo a nessuno! E questo fatto sembrerebbe contraddire anche le tradizionali leggi del giornalismo, secondo le quali “cane morde uomo” dovrebbe interessare meno di “uomo morde cane”. Ora, volendo anche applicare questo criterio utterly incorrect alla situazione attuale, ma con trump al potere e i nazi alla casa bianca va di moda, senza meno un canadese bianco, pallidissimo anzi, con nome e cognome da film dei Cohen, per dire, che spara in una moschea dovrebbe essere “uomo morde cane”, stante l’agenda corrente, no? Eppure niente, non fa notizia. Il che dimostra che la forte polarizzazione ideologica ha smantellato le regole basilari dell’attenzione, la legge di mercato della comunicazione, a vantaggio di un meccanismo di allarme orientatissimo, e lo dico anche in senso proprio etimologico (occidentatissimo sarebbe il contrario, diciamo). Come dice Alessandro Lanni qua:

Una ventina d’anni fa, il giurista Cass Sunstein poneva la questione in questi termini: il web prima e i social network poi stanno peggiorando la qualità della democrazia perché ci fanno vivere dentro bolle ermetiche che escludono voci diverse da quelle che condividiamo. Se il filtro siamo noi, se siamo noi a scegliere la nostra dieta informativa tendenzialmente lasciamo fuori ciò che mette in crisi le nostre opinioni che diverranno man mano sempre più cristallizzate e granitiche. Il risultato è la polarizzazione e la radicalizzazione delle opinioni politiche, scrive Sunstein nel suo libro ormai classico Republic.com.

Il filtro informativo individuale opera in una direzione secondo la quale le notizie vere, quelle “uomo morde cane”, non fregano a nessuno, poiché obbligano a fare un ragionamento del tipo di quello che stiamo facendo noi da un anno, dunque a preoccuparsi di una situazione che stiamo contrastando con strumenti inadatti, con guerre sbagliate, eleggendo figure pericolosissime, in ragione dell’incapacità di identificare i problemi in ordine ai quali la situazione corrente si viene a determinare, tanto sul piano economico che su quello sociale, che ancora su quello culturale.

Lorenzo. Passo alla seconda che consiste nel ricordare che c’è un assassino solitario di massa occidentale dal profilo molto simile: Anders Behring Breivik. Ho letto un bel po’, ieri, su Bissonnette e noto, con crescente senso di inquietudine, che i tratti in comune sono fin troppi. Entrambi hanno un curriculum di destra molto “classico”, una destra stile Trump se si guarda agli Stati Uniti, e una destra nazionalista se l’attenzione cade sull’Europa, oggi soprattutto in Francia. Una destra che però guarda a Israele con una certa ammirazione: entrambi i profili ci raccontano questo (qui Bissonnette, qui Breivik). Anche nel caso di Bissonnette dire “nazista” o “neonazista” è un po’ riduttivo, non è proprio esattissimo. C’è quel quid di islamofobo e ultraliberistissimo che ci riconduce agli stereotipi di – chessà – un Salvini e di un Borghezio e financo di un Beppegrilllo. Insomma non un antisemita dichiarato, lo definirei un criptoantisemita in un certo senso. Uno che sul modello antisemita fonda un suo nazismo ufficialmente non-antisemita, stavolta islamofobo. Certamente c’è un aggiornamento del profilo, data l’età. Bessonnette, ad esempio, è il classico troll del cazzo che ti entra nella tua pagina normale, in cui dici cose belle, per disturbare e far perdere tempo alle persone brave.

Anatole. Da quello che si capisce si tratta comunque di uno di quei coglioni che ci vanno sotto alla propaganda di destra (estrema o no, è tutta uguale) sugli immigrati. Molto attivo sui siti xenofobi, grande fan della Le Pen, era stato anche a sentirla durante la sua visita in Quebec. È anche preparato quanto basta da sostenere gli argomenti classici della destra che ci circonda, grazie ad un curriculum di studi a cavallo tra Scienze Politiche e Antropologia, un tempo bastione dell’ultrasinistra, ma oggi, per ragioni che abbiamo più volte sottolineato (ad esempio qua), praticatissimo anche da quella destra che ha fatto benchmark sull’ultrasinistra (tipo Spencer, per capirci). Cioè, un matto sicuro, non meno lupo solitario degli altri, magari integrato in un sistema di relazioni labili e liquide, come avrebbe detto Bauman, attorno alle quali un’identità te la crei, certo, ma sempre molto da solo, in quella solitudine che, come abbiamo detto in tutte le salse, si consuma nella rete telematica, offrendo un’ombra di appartenenza a persone bisognose di attenzione. Di sicuro: «He was not a leader and was not affiliated with the groups we know», come ha spiegato François Deschamps, il job counselor di Carrefour Jeunesse, un’organizzazione che aiuta a trovare lavoro, ma anche attivista di Bienvenue aux Réfugiés, che ha avuto modo di tracciare l’attività di pubblicista anti-immigrazione dell’attentatore.

Lorenzo.  Sulla questione dell’estremismo di destra in Canada è uscito un bell’articolo, molto documentato sul Montreal Gazzette: “L’effetto Trump e la normalizzazione dell’odio in Quebec”. Vale la pena dargli una letta e visionare la tabella, molto esplicativa:
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Certo oggi i destrorsi operano in un contesto “garantito” a tutti gli effetti dalla presidenza americana. Cioè, c’è Steve Bannon nel Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti d’America, per dire. Non a caso Richard Spencer non ha perso l’occasione di trollare Trudeau a proposito del suo discorso ispirato a seguito della sparatoria alla moschea di Quebec City, rilanciando l’analogia con la Francia, anche in cerca di simpatie transoceaniche:

 

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Anatole. Il quadro in cui questi figuri operano oggi è molto diverso, ma non dissimile da quello che si ricostruisce attorno al classico attentatore islamico. Voglio dire che c’è un quadro di riferimento istituzionale rispetto al quale questi personaggi si sforzano di apparire conformi, l’ISIS per gli uni, gli USA di Trump, Bannon e Spencer per gli altri. Lo si poteva già vedere nel corso della campagna elettorale americana con i bersagli accesi dalla propaganda antiliberal, soprattutto nel formato del Pizzagate, di cui abbiamo già parlato qua. Il qualcunismo omicida non è più una semplice forma di appartenenza contro i valori liberal che stanno abbattendo le frontiere tra ciò che “la tradizione” (un costrutto ideologico folle, come sappiamo, una cosa mai esistita) ci ha consegnato come una cosa che ci appartiene e tutto quello che invece no e quindi deve restarsene fuori dal posto che identifichiamo come ”casa nostra”, anche se poi a casa nostra i siriani non ci vengono e non ne abbiamo mai visto uno manco per sbaglio. È quello che capita quando la destra nazi prende il potere, che i mezzi matti si sentono appartenenti ad una milizia che opera in un quadro di ”legalità”. lo si vedeva già all’indomani dell’elezione di Trump, con le migliaia di piccoli atti di bullismo rivoltante ai danni di ebrei, musulmani, neri, omosessuali, donne di ogni razza e ceto sociale, perpetrati da maschi bianchi, ritornati in pieno controllo di una prospettiva identitaria ”forte”. In sostanza, una cosa molto simile al fascismo.

Lorenzo. Esatto. Il modulo è quello del lupo solitario, forse ancor più di prima, perché oggi anche lo xenofobo fascista ha il suo quadro di riferimento ideale proiettato in uno scenario istituzionale.

Anatole. Penso che alla fine quello che abbiamo detto e ridetto, che cioè questa guerra santa la stanno combattendo un pugno di mezzi matti sobillati da altri mezzi matti (i Panebianco di tutto il mondo, per capirci) è una cosa vera. Quello che oggi è cambiato è che, come dici tu, alcuni di questi mezzi matti, della prima e della seconda categoria, sono oggi al potere in tutto il mondo. Ma non mi sembra un messaggio rassicurante sul quale concludere.

Lorenzo. Possiamo peggiorare la visione, rendendola ancora più fosca.

Anatole. Facciamolo.

Lorenzo. Ragioniamo anche un po’ sulla ricezione del fatto, voglio dire. L’altra volta dicevo delle vittime del Reina, che erano più o meno tutte di origine musulmana, tranne mi sembra due canadesi (dei quali non conosciamo l’appartenenza religiosa). Dicevo che c’è stato questo intitolarsi le vittime, questo parlare di crociate mentre, come dicevi all’inizio, oggi non vedo quest’ansia di intitolatura, anzi. Quindi, giusto per mettere un po’ le cose in chiaro, completerei – dopo aver citato l’articolo sul Canada – il ragionamento con questo progetto sulla mappatura dell’islamofobia negli Stati Uniti e quest’altro sull’islamofobia in Europa. Cioè, detta fuori dai denti: i nostri simpatici amici teorici del conflitto di civiltà, i crociati da poltrona in pantofole, hanno effettivamente contribuito ad elaborare un paradigma di crociato che trova riscontro nella società. Ma ciò facendo non hanno descritto una cosa che esiste come tale di per sé. Cioè, nessuno dei potenziali crociati è di per sé un crociato, così come nessuno dei potenziali estremisti del cosiddetto jihad islamico lo è in quanto è nato così o perché le sue condizioni di esistenza lo portano naturalmente a diventarlo. È il quadro ideologico di riferimento, elaborato dai nostri amici del conflitto di civiltà, quelli che la Guerra Santa “la fa l’ACI”, che offre un contesto all’interno del quale situare azioni come quelle sulle quali ragioniamo da più di un anno. Quindi, perlomeno, la prossima volta, evitino di parlare di timidezze e buonismi, di occidenti pavidi e altre idiozie, ché manca poco all’aperto incitamento all’odio razziale. E, quasi quasi, sembrano aver letto i manuali di Abu Mus’ab al-Suri (sistema vs organizzazione, del quale dicevamo l’altra volta). Qui, come abbiamo detto ormai fino alla noia, il tema sarebbe un altro, collegato, come abbiamo ripetuto alla nausea, al dramma identitario in cui sprofonda la piccolissima borghesia promossa dal debito e messa in ginocchio dalla crisi.

Anatole. A questo proposito abbiamo prodotto un congruo pregresso.

Lorenzo. Talmente congruo che, come alcuni nostri detrattori auspicano, ce la potremmo anche far finita.

Anatole. Sarei d’accordo con loro, se solo si alzasse ogni tanto mezza voce da qualche parte a far notare le cose che stiamo ripetendo. Personalmente avrei anche da fare, diciamo. Mi blinderei volentieri nel XII secolo, per dire.

Lorenzo. Eh, infatti, a chi lo dici. E vi sono segnali che dimostrano quanto ripetitivi stiamo diventando.

Anatole. Forse perché diciamo una cosa vera? Potrebbe anche darsi.

Lorenzo. La verità è ripetitiva, questo di sicuro. E noiosa.

Anatole. Infatti abbiamo chiuso questo pezzo in un’ora. Per noia.

Lorenzo. Speriamo che si sia capito il concetto.

Anatole. Io penso di sì. E sinceramente me la farei finita volentieri, se non temessi che  l’episodio di oggi potrebbe essere solo uno dei primi accenni di una cosa sinistra che sta per accadere. Non l’ho mai pensato fino ad ora, ma la strizza a questo punto sale per davvero. Non già la paura di una Guerra Santa, quanto piuttosto il terrore che questi qualcunisti, quelli di casa nostra soprattutto, abbiano trovato un’identità forte dietro la quale nascondere il loro microscopico cazzetto, ecco. Perché a questa cosa dell’allarme democratico non ci avevamo alla fine mai creduto davvero, diciamolo. Oggi forse un po’ di più ci crediamo, sinceramente. Leggendo questo, ad esempio, non mi viene da ridere. Ne mi tranquillizza questo, pur straordinario, capolavoro artistico:

 

capitan america

 

Lorenzo. No, neanche a me. Sì, c’è una certa strizza e anche una certa rabbia per come le cose sono state fatte deteriorare. Forse dobbiamo capire, nei prossimi tempi, se proprio siamo circondati, se le cose sono già andate avanti troppo, se c’è un rimedio.

Anatole. La Women’s March è il rimedio. L’unico vero. Forse. Speriamo. Perché il movimento femminista è l’unica forza capace di metterti in discussione per quello che sei, per come vivi davvero, invece che per quanto figo ti senti su un social network o dove che sia. In quest’epoca qualcunista è davvero un ancoraggio straordinario ad un piano di verità basata su scelte di vita, sincerità di quello che provi, coraggio di affrontare gli aspetti meno evidenti e più scomodi della realtà che ti disegni attorno. Per questa ragione è probabile che sia l’unica forza propulsiva di un rinnovamento democratico progressista, capace di demistificare i meccanismi di idealizzazione del quotidiano grazie ai quali la demagogia populista fa presa, ritraendo maschi disperati e miserabili come campioni dell’emancipazione di masse inascoltate, che in realtà non hanno niente da dire. Sono donne come Kamala Harris e Cecile Richards che devono stare davanti oggi, in America e in tutto il mondo, e tutti quelli che vogliono combattere questo orrore devono limitarsi a sostenerle.

Lorenzo. …. [sgrana gli occhi]

Anatole. …. [guarda altrove, un po’ come se questa cosa che ha appena detto non l’avesse detta lui]

Lorenzo. Si è riaccesa la luce della stanza. Proprio mi sono visto davanti questo libro di Valentina Fedele che indaga sui modelli maschili nel mondo islamico, specie nelle comunità di migranti maghrebine in Europa. “Islam e mascolinità”. Cose di cazzetti piccoli se vogliamo metterla così. Fuori dallo stupidario delle robe che girano, davvero.

Anatole. Ecco.

Lorenzo. Daje.

Anatole. Daje sì.

 

 

Fonte:

https://www.nazioneindiana.com/2017/01/31/ban-trump-la-guerra-santa-del-nerd-canadese/

La questione delle cose fasciste pubblicate dagli agenti che hanno ucciso Anis Amri

  • 24 dicembre 2016

Sulle pagine Facebook e Instagram di Cristian Movio e Luca Scatà, ora inaccessibili, sono state trovate cose di cui non andar fieri

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Luca Scatà e Cristian Movio sono i due agenti di polizia del commissariato di Sesto San Giovanni che venerdì mattina, nel corso di un normale controllo di documenti, hanno ucciso Anis Amri, l’uomo che ha guidato un camion attraverso un mercatino di Natale a Berlino lunedì 19 dicembre, uccidendo 12 persone. Amri, dopo essere stato fermato dai due agenti, ha tirato fuori una pistola e ha sparato, prima di essere ucciso: ha ferito alla spalla in modo non grave il 36enne Cristian Movio, capo pattuglia e agente con diversi anni di esperienza, ed è stato ucciso da un colpo al torace sparato da Luca Scatà, 29enne che da nove mesi lavorava come “agente in prova”.

Scatà e Movio sono stati molto celebrati per il loro lavoro e ringraziati pubblicamente dai loro superiori, dal ministro degli Interni Marco Minniti e dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Nel corso della giornata di ieri, tuttavia, hanno cominciato a girare online screenshot di alcuni loro post pubblicati su Facebook e Instagram, molti dei quali con riferimenti e frasi razziste o inneggianti al fascismo. In particolare sul profilo di Luca Scatà sono stati trovati tre diversi post che inneggiavano al fascismo e a Mussolini (in uno di questi si vede lo stesso Scatà fare il saluto romano), mentre sulla pagina Facebook di Movio sono stati trovati diversi post razzisti e contenuti del sito xenofobo “tuttiicriminidegliimmigrati.com”. I profili sui social network dei due agenti sono stati resi inaccessibili nel corso della giornata di venerdì, per ordine – dice la Stampa – del questore di Milano Antonio De Iesu, per «tutelare l’immagine dei nostri agenti». La decisione del ministro Minniti di diffondere i nomi di Scatà e Movio aveva ricevuto inizialmente qualche critica, per la possibilità che i due subissero ritorsioni.

Le foto pubblicate sui social network da Scatà e Movio:

Fonte:
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Dalla pagina Facebook Informazione Antifascista:

Ecco l'”eroe” che ieri a Milano ha sparato al tunisino sospettato di essere l’autore dell’attacco terrorista a Berlino.
Uno dei tipici prodotti delle caserme nostrane: ragazzini semianalfabeti con le sopracciglia ad ali di gabbiano, infarciti di fascismo, pregiudizi e sessismo da operetta.

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Caso Adama: la periferia prende il centro della scena

Francia. Le realtà di quartiere della periferia parigina si connettono, la morte del ragazzo diventa un caso nazionale e poi internazionale arrivando a mobilitare le realtà del Black Lives Matter americano. Il tam tam sui social network aumenta e risponde colpo su colpo alle intimidazioni istituzionali verso la famiglia Traoré ed in particolare verso Youssuf e Bagui, fratelli di Adama, e verso Assa, la sorella che più di tutti è il volto mediatico di questa lotta.

Il caso Adama poteva restare una delle numerosissime morti impunite delle banlieue francesi.

Negli ultimi decenni, dicono alcune stime non ufficiali, circa una dozzina di persone all’anno sono morte nei commissariati della république, in stragrande maggioranza immigrati di terza o quarta generazione originari dell’ex impero coloniale francese.

Si tratta di tragedie «normali», conseguenza del regime d’eccezione permanente che vige nelle periferie.

Poteva restare un nome tra tanti, e invece giorno dopo giorno sempre più persone sanno chi è Adama Traoré.

Le realtà di quartiere della periferia parigina si connettono, la morte del ragazzo diventa un caso nazionale e poi internazionale arrivando a mobilitare le realtà del Black Lives Matter americano.
Il tam tam sui social network aumenta e risponde colpo su colpo alle intimidazioni istituzionali verso la famiglia Traoré ed in particolare verso Youssuf e Bagui, fratelli di Adama, e verso Assa, la sorella che più di tutti è il volto mediatico di questa lotta.

Con una voce ferma e decisa, Assa ripete costantemente la domanda di verità e giustizia. Non si rappresenta come una rivoluzionaria, ma esige che la storia della sua famiglia, del suo quartiere, di tutti i soggetti «razzializzati» delle periferie francesi, non sia la storia di cittadini di serie B.
Assa scoperchia su giornali e televisioni le contraddizioni della «patria dei diritti umani». Sfrutta lo stesso sistema mediatico da sempre complice del silenziamento e della marginalizzazione delle periferie, ma ne ribalta le logiche: replica punto su punto ai tentativi di criminalizzazione, racconta le difficoltà dei quartieri popolari e delle persone che ci vivono, chiede che sia fatta chiarezza.

Ed è forse attorno a questa domanda di verità e giustizia che si sta innescando nell’esagono una fondamentale alleanza: quella tra il centro delle metropoli e le periferie, tra la sinistra «storica» ed i soggetti periferici da sempre in lotta contro un sistema che li mette agli ultimi posti nella catena dello sfruttamento.

Dopo l’enorme movimento contro la riforma del lavoro che ha segnato la prima metà dell’anno, la Francia si avvia in una campagna elettorale all’insegna del conservatorismo, del razzismo e dell’islamofobia. La mobilitazione in campo potrebbe diventare anche una risposta a questa torsione, un punto di riconnessione per resistere alla progressiva deriva verso destra dell’asse politico.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/caso-adama-la-periferia-prende-il-centro-della-scena/

 

Leggi anche qui:

adama

http://www.osservatoriorepressione.info/parigi-sosteniamo-la-famiglia-adama-traore-ucciso-dalla-polizia/