Intervista ad autistic_red, ballerinə e attivistə

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Ciao, autistic_red. Grazie per aver accettato l’ intervista.

1) Tu sei statə diagnosticatə in età scolare o da adultə?

Ho ricevuto la diagnosi a 31 anni.

2) Una delle caratteristiche delle persone neuroatipiche è quella di avere solitamente delle stereotipie motorie. Questa particolarità influisce sulla tua professione di ballerinə?

Le stereotipie mi aiutano nella danza e la danza mi aiuta nelle mie stereotipie. Grazie alle stereotipie creo passi nuovi e grazie alla danza posso utilizzare le stereotipie, che per me sono fondamentali, per sfogarmi, autoregolarmi e concentrarmi a tempo di musica!

3) Qual è il tuo rapporto con i cambiamenti?

Vivo malissimo i cambiamenti, soprattutto quelli che per la maggior parte delle persone vengono visti come banali.  
Anche il cambio di una luce, il cambio di disposizione in una stanza, se non vengo avvisata, mi scatenano malessere e non riesco a concentrarmi. Arrivano emozioni sgradevoli e tutto sembra in disordine. Soprattutto i pensieri.

4) Da un po’ di anni viene usato un pezzo di puzzle blu come simbolo delle persone neurodivergenti ma che non è stato scelto da loro. Lu attivist3 autistic3, tra cui ci sei anche tu, scelgono invece di usare altri simboli, come l’infinito con i colori dell’arcobaleno. Ti va di spiegare l’origine e il significato di quest’ultimo?

Il simbolo dell’infinito con i colori dello spettro autistico si riferisce alle diversità che ci sono tra le persone autistiche. Proprio come lo spettro autistico sta ad indicare un’ infinita gamma di diversità fra tutte le persone nello spettro, nessuna di noi è uguale all’ altra. Invece il pezzo di puzzle blu, non scelto dalla comunità autistica, ci indica come persone con pezzi mancanti, persone tristi, persone fatte a pezzi, enigmi.

5) Tu ti definisci gender fluid/agender. Ti va di parlarci della tua identità di genere?

Io mi indentifico in primis come persona e questa per me è la cosa più importante. Spesso mi viene da utilizzare il maschile nei miei confronti, poche volte il femminile. Purtroppo, in questa società, sono costretta ad utilizzare il femminile in tante situazioni formali e la mia identità di genere non viene compresa. Preferisco usare il neutro nei miei confronti, quanto più è possibile. Ad esempio lo avrei voluto fare anche per questa intervista, ma ho sempre timore della reazione delle altre persone.

6) C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Vorrei che le persone si ricordassero che siamo tutti esseri umani diversi, sarebbe bello non aver timore di ascoltare chi viene reputato come ancora più diverso dagli altri da questa società.

Yoga della Risata e sordità: intervista a Lalla Laura Ribaldone, Teacher e Ambassador di YdR

Lalla Laura Ribaldone

LAURA LALLA RIBALDONE

TEACHER & AMBASSADOR

YOGA DELLA RISATA

1 – COME È AVVENUTA LA SCOPERTA DELLA TUA IPOACUSIA?

Sono nata sorda, essendo uscita dal grembo materno 1 mese prima della “data prevista” del parto. Ovviamente 52 anni fa non c’erano apparecchiature ospedaliere che prevedevano le disabilità dei nascituri.

La mia sordità è venuta fuori per un caso, circa, credo verso i due anni (da come mi è stato raccontato da nonna e mamma). Dormivo in un lettino-culla vicino a dove mia nonna stava cucinando e lei ha fatto cadere un qualcosa di pesante, tipo una padella o una pentola. Nonna ha pensato che mi fossi svegliata o spaventata dal forte rumore, invece dormivo beatamente. E da lì tramite vari esami audiometrici si è venuta a scoprire la mia sordità dell’80%, per cui porto le protesi acustiche che sono un aiuto a sentire le voci, i rumori.

2 – QUALI SONO LE DIFFICOLTÁ PRINCIPALI CHE VIVE QUOTIDIANAMENTE UNA PERSONA SORDA?

Le difficoltà sono davvero tante. In questi tempi sfidanti del Covid sono aumentati ancora di più i problemi. Ma andiamo per ordine.

In base alla mia esperienza di vita, ho provato emozioni negative, come da foto, in primis il bullismo a scuola quindi isolamento da parte degli altri bambini, inquanto non capivo i loro giochi, le loro parole e mi vedevano come una bambina strana, quindi non normale come loro e nello stesso tempo provavo molta rabbia e frustrazione, piangevo in continuazione, ero sempre triste e non provavo sentimenti né autostima. Quindi i bambini sordi, se non sono accettati dai loro compagni possono avere queste problematiche anche nella crescita adolescenziale se non si ha il supporto dei genitori, soprattutto se udenti in quanto spesso non accettano la disabilità del proprio figlio, (io grazie al cielo sono stata fortunata, anche se mio padre all’inizio ha fatto fatica ad accettare tutto questo ma grazie all’infinita pazienza di mia mamma che mi ha seguita passo per passo piano piano ha iniziato ad amarmi di un amore incondizionato nonostante i nostri caratteri molto simili). Infatti questi bambini sordi nati da genitori udenti vengono, se si può dire così, definiti “Sordi infelici” (mentre i sordi felici sono quelli nati da famiglie sorde).

Dopo le scuole, la maggior difficoltà è il lavoro, nonostante le “categorie protette” (non so se oggi si chiamano ancora così o se esiste una definizione diversa), in quanto spesso i lavoratori disabili vengono chiamati per lavori tipo centralinisti o portieri o simili. Quindi c’è una mancanza di comunicazione tra udente e sordo. Anche quando si è, ad esempio, in una comitiva di amici o colleghi a pranzo o a cena, o comunque in compagnia con persone udenti, spesso queste ultime non hanno la consapevolezza che c’è una o più persone che hanno problemi uditivi quindi parlano inconsapevolmente senza pensare di mettersi davanti alla persona sorda in modo tale che possa leggere il labiale.

Nell’ultimo anno e mezzo le difficoltà sono aumentate a causa del Covid con l’obbligo della mascherina. Purtroppo (e a volte è anche comprensibile) a causa della paura del contagio, chi fornisce servizi (negozi, uffici, ospedali, ecc.) si rifiuta di abbassare la mascherina, nonostante il distanziamento. In questo modo i sordi non possono leggere il labiale, e quindi si aumenta la rabbia, la frustrazione di non capire ciò che la persona udente dice.

Nonostante il decreto ministeriale, ancora oggi a distanza di un anno e mezzo, le difficoltà sono tante, ma veramente tantissime. E noi sordi abbiamo il diritto di vivere nella società come tutti gli esseri umani.

3 – DA QUALCHE ANNO SEI ENTRATA NEL MONDO DELLO YOGA DELLA RISATA. COME È AVVENTUTO IL TUO INCONTRO CON QUESTA AFFASCINANTE DISCIPLINA?

Ho scoperto lo Yoga della Risata nel 2016, ad una manifestazione sportiva del mio paese, Solero (in provincia di Alessandria). Stavo vivendo un periodo molto buio della mia vita, oltre che ciò che ho subito da bambina, nel mondo del lavoro con varie discriminazioni, la morte dei miei genitori ed infine il divorzio (ti allego poi la mia storia personale).

Ero in un tunnel senza speranza di vedere un lumicino, e mi son detta che dovevo comunque fare qualcosa. Avevo due chances: o andare dallo psicologo o provare questa esperienza di Yoga della Risata. E ho scelto la seconda opzione, mi son detta… Provo! Ho frequentato il club del mio paese, nonostante il mio forte scetticismo, ma ho cominciato, inizialmente a provare sollievo, un momento di liberazione, un momento di, come dire, di distrazione dai problemi. E puntualmente una volta la settimana andavo al club e ho notato un miglioramento in me, ma non mi bastava. Dopo qualche mese è capitato un leader training, ma non mi interessava portarlo in ambiti sociali o aprire un club, ma mi serviva una full immersion. Ed ecco che mi si sono spurgati via i sentimenti ed emozioni negativi, anche se le paure e le ansie erano ancora molto forti in me. Ma era un primo passo verso il benessere personale. Finchè l’anno dopo ho conosciuto Lara Lucaccioni (che poi diventerà la mia master e soprattutto il mio punto di riferimento della mia vita), e da lì è arrivata la mia vera rinascita come persona la quale sono ora.

4 – LA TUA ESPERIENZA DI VITA CI INSEGNA CHE YDR E SORDITÁ SONO UN CONNUBIO POSSIBILE. IN CHE MODO PORTI AVANTI LE TUE ATTIVITÁ IN QUESTO CAMPO?

Allora, dal il Teacher Training del 2017 a Reggio Calabria, ho sempre sentito come una mia missione di portare lo Yoga della Risata tra i sordi semplicemente per il motivo che se ce l’ho fatta io, anche le atre persone sorde possono farcela ad essere gioiosi nella vita, ad accettare la propria disabilità (e questo è molto importante per la propria autostima), e soprattutto a far capire alle persone udenti che siamo persone come loro, con una disabilità invisibile e visibile solo al momento della comunicazione. E non solo di portarla ai sordi ma insieme alle persone udenti per rendere migliore l’integrazione.

All’inizio non conoscendo la LIS (Lingua dei Segni Italiana), ho aperto una pagina facebook ,che esiste tuttora:

https://www.facebook.com/sentiamociridere

con video e slides per spiegare cosa è lo yoga della risata, i suoi benefici e vari esercizi. Ma dovevo assolutamente imparare questa meravigliosa lingua che è la LIS, che ho studiato in tre livelli. Ho portato, per ora, solo un progetto presso la ENS (Ente Nazionale Sordi) a Torino nel 2018.

E nel frattempo la domenica mattina conduco Skyperisata Video per Sordi alle 8.30.

Ai tempi del Covid ho condotto fino a qualche settimana fa le dirette Facebook in LIS scaricati anche su Youtube con buone visualizzazioni. Il mio sogno è quello di diventare interprete LIS per poter portare più progetti e perché no magari anche formare dei leader di Yoga della Risata sordi.

Nel frattempo ho conosciuto Silvia Martorelli, anche lei teacher e ambassador di Yoga della risata, autrice del progetto “Jonkey the Monkey, la maieutica della gioia”. E su questo progetto ha scritto un libro per bambini della scuola primaria.

E ho deciso di tradurlo in LIS per portarlo ai bambini come progetto:

#JONKEY4SPECIALKIDS

Dall’inizio 2019 ho letto più volte il libro di Silvia per immedesimarmi nel personaggio della simpatica scimmietta e degli altri animali del bosco, in quanto nella LIS esiste anche l’impersonamento. Poi son partita con le traduzioni scritte in LIS, in quanto come detto in precedenza, la lingua dei segni ha una sua grammatica, e come potete ben vedere dal mio pietoso libro (HO HO HA HA). In tarda primavera ho fatto prove su prove (e non vi so dire quante…) con i video puramente didattici, in quanto i bambini sordi hanno ancora poca dimestichezza con la lingua, così come per i bambini udenti delle scuole primarie con le parole e i numeri. Difficoltà…beh….tante… anche perché tante parole non esistono in LIS, quindi ricorrere ad un classificatore che sono segni che spiegano quella parola (ad esempio: aforisma non esiste in lis e viene tradotto come frase ad effetto). Per il corso tenuto da Silvia a Bussolengo a giugno ho girato due tipi di video: uno solo con la storia senza sessione, e l’altro con la sessione ma solo il primo capitolo. In quanto leggendo il libro sono sorti alcune difficoltà se si vuole dire così. È un po’ come fare le sessioni con i diversamente abili o pazienti di ospedali o anziani, cioè le sessioni fatte a misura per loro, e così lo è anche per i sordi. Quindi alcuni esercizi, giochi, meditazione e rilassamenti da modificare. Prima cosa NO ad esercizi con comandi vocali, con occhi bendati e rilassamenti guidati in quanto i sordi non possono sentire le voci. Vi cito alcuni esempi: il drago e la principessa verrà modificata facendolo al contrario, cioè cerchio verso l’esterno in modo che i sordi possano vedere il gioco. Il rilassamento a pag. 54 (energia della terra) invece di tenere gli occhi chiusi, prendere consapevolezza del proprio respiro e con gli occhi fissare un punto verso l’alto come se si osservasse intensamente una stella nel cielo.

Altro problema rilevante è la musica che è da provare in maniera diversa, e non ho ancora messo in atto la modalità, ma vorrei provare coi palloncini in mano e contro il petto mettendo la musica a palla in modo tale da poter sentire le vibrazioni della musica. Oppure provare con il drum circle di Stefano Ciceri che poi ne parleremo, ne verificheremo se esiste la possibilità di farlo.

Ad agosto ho fatto un lunghissimo viaggio di 1100 km in due giorni per andare da Silvia per la promo e dopo millle prove e con la collaborazione della sua splendida famiglia finalmente siamo riuscite a produrlo, per poi aggiungere delle pillole di quello che sarà poi il lavoro definitivo e che vedrete tra poco.

Detto questo credo molto in questo progetto in quanto mi son vista nel mio passato di bambina sorda protetizzata con episodi di bullismo, di ricerca di attenzioni da parte di altri bambini che, purtroppo, mi lasciavano in disparte per via della mia disabilità, le paure, le ansie, la paura di non farcela, tante cose non volevo farle perché ero certa di non raggiungere l’obiettivo. Ma grazie a Lara Lucaccioni con i suoi workshop e il teacher training di yoga della risata, oggi si sono sbloccate. E ancora oggi a 50 anni con i colleghi e qualche gruppo di amici… ma HO HO HA HA. E quindi con questo progetto far coinvolgere i bambini sordi e udenti per far sì che l’integrazione tra loro sia più serena e ridente possibile.

Intanto allego una slide che mi sta a cuore….

5 – ALTRO

Il mio cambiamento personale con lo Yoga della risata

Quali sono stati i cambiamenti della mia vita grazie allo Yoga della Risata?

Sono cambiate tantissime cose nella mia vita, proprio a causa della mia disabilità, la sordità congenita. In primis ho accettato la mia disabilità. In passato mi rifiutavo, mi sentivo estranea a me stessa ed agli altri, ero sempre arrabbiata col mondo intero. Quando mi son trovata sola, senza più una famiglia, senza un punto di riferimento nella mia vita, son crollata in basso in un pozzo senza fondo, e non vedevo la luce in fondo al tunnel, era sempre più buio, non avevo più voglia di vivere, se non solamente per il mio lavoro.

Lo yoga della Risata mi ha salvato la vita, ho imparato ad amarmi sempre di più, a trovare il mio sorriso. Con la certificazione da leader piano piano le mie emozioni negative si sono svaporate e con RidiAmaVivi e il Teacher Training tutte le mie paure e le mie ansie si sono definitivamente sbloccate dal mio corpo, dandomi il coraggio di buttarmi della vita, di avere più consapevolezza che nella vita, nonostante tutto, nonostante i propri limiti, tutto si può.

Ho notato meno fiati corti causati dallo stress e dalle paure, più coerenze cardiache hanno fatto sì che il mio corpo potesse prendere il suo ritmo naturale a livello di respirazione, di stabilità mentale e di pace interiore che non avevo mai conosciuto. E dopo tanto tempo anche di lasciarmi andare in campo sentimentale. Ho conosciuto, e sto conoscendo ancora oggi, emozioni straordinarie anche per le cose più piccole e che pensavo insignificanti. Provo maggior apprezzamento, maggior gratitudine e maggiore amorevolezza, emozioni vitali che fanno parte di me. Ogni mattina mi sveglio molto carica (anche se qualche volta svogliata, ma ci può stare, siamo umani), molto gioiosa e con la voglia di ridere e di vivere ogni giorno sempre di più.

Non mi fermo più al sorgere del problema, non mi arrovello più su di esso, ma cerco sempre di trovare vie traverse finchè l’universo me lo permette, altrimenti lo lascio lì un attimino, ben si sa “Solo l’Universo sa quando sarà il momento”, e per me questo è molto molto importante.

Oggi la risata è la mia vita, è cambiata anche la postura e il linguaggio del mio corpo, è cambiata la mia mentalità che da chiusa si è aperta al mondo. Ho una famiglia che amo tantissimo, la Laughter Family, in cui condividiamo, ci sentiamo in piena connessione e non avrei mai immaginato di provare un amore e un legame così grande e forte, ho imparato a vivere e a ragionare di più col cuore che non con la testa. E ho scoperto l’amore vero e proprio grazie al mio compagno Massimo che da un paio di anni sta al mio fianco, che mi supporta (e mi sopporta pure! Ho ho ha ha), e questo amore lo devo anche allo Yoga della Risata ed al mio club.

E oggi vivo con gioia!

Intervista a Martina Donna, attivista, scrittrice e blogger omodisabile

Martina Donna

Ho intervistato Martina Donna, attivista per i diritti lgbt+, scrittrice e blogger affetta da tetraparesi spastica dalla nascita, autrice del  romanzo IO SONO MARTINA una ragazza, una sedia a rotelle, un amore, un’avventura. Questo il suo profilo Instagram:
Ecco, di seguito, l’intervista:
  • Tu ti definisci omodisabile. Ti va di parlarmi di questo doppio canale con cui vivi la tua identità e il tuo attivismo?

Tante persone mi chiedono se penso di essere detentrice di due diversità e come mi sento. Penso di esserlo, ma usare la parola diversità oppure normalità non mi piace.  Mi domando invece: Che cos’è la diversità? Che cos’è la normalità? Semplice. Ognuno di noi può decidere che cosa considerare diverso oppure no, che cosa definire normale oppure no.  Non credo affatto di avere dei limiti o sfortune, a detta di alcuni. Sono convinta invece di possedere delle carte uniche e vincenti, che mi consentono di vivere una vita piena e appagante. Mi definisco attivista da quando sono stata nominata rappresentante della categoria e mi sento davvero onorata. Tutto ha avuto inizio quando mi è stato dato l’enorme privilegio di parlare sul palco del Milano Pride 2019. Amo interagire con le persone e essere attivista mi ha facilitato ulteriormente in questo. Il mio obbiettivo è raggiungere il cuore di chi lo desidera e dare così l’aiuto di cui si ha bisogno. Inoltre voglio lasciare una traccia positiva del mio passaggio su questa terra e fare il possibile per annullare pregiudizio e discriminazione.

  • Ti capita di subire discriminazioni? Se sì, avviene più spesso per la tua disabilità, per l’orientamento sessuale o in egual modo per entrambe le condizioni?

Sì, nella vita mi è capitato durante l’adolescenza. Gli anni della scuola, soprattutto le medie, sono stati anni difficili e duri. Venivo bullizzata a causa della mia disabilità, in quegli anni non era iniziato il mio processo  di accettazione e sono convinta che questo abbia facilitato gli atti di bullismo subiti. Riguardo il mio orientamento sessuale, invece, non ho subito alcun tipo di discriminazione. Piuttosto ho provato un totale senso di inclusione e accettazione all’interno dell’intera comunità LGBT+

  • Parlare della sessualità delle persone disabili è, purtroppo, un tabù diffuso. Disabilità e omosessualità insieme rappresentano un tabù nel tabù?

È un tabù sfortunatamente, non perché realmente lo sia, ma perché la nostra società è da sempre abituata a considerare questi due fattori tabù in quanto la persona con disabilità viene percepita ancora oggi come asessuata. Dunque essere anche omossessuali crea un ulteriore choc sociale. Uno dei miei obbiettivi come attivista è proprio quello di distruggere definitivamente questo tabù, perché non rispecchia la realtà, ma la distorce alimentando in maniera costante pregiudizio e discriminazione. I disabili fanno sesso, eccome se lo fanno! Hanno una sessualità normale, anzi a volte addirittura migliore di quella dei normodotati. Poi mi domando in ultimo quale diritto ha un normodotato di presumere o anche solo pensare che la persona con disabilità sia asessuata perché disabile? È perché non si pensa o si presume la stessa cosa per voi cari normodotati?

  • Nella società abilista ed eteronormata in cui viviamo, cosa potremmo fare per sensibilizzare sempre di più all’accettazione e valorizzazione dei corpi e delle sessualità non conformi?

Premetto che usare la parola abilista è discriminatorio verso tutte le persone disabili. Peraltro il termine abilismo è finalmente all’interno della Treccani. Perciò utilizzeremo la parola società normodotata, o ancora meglio nella società di persone non disabili. Per far sì che la sensibilizzazione funzioni è necessario interrompere la catena del pregiudizio mediante l’informazione. Dove non c’è informazione nascono i pregiudizi. È un circolo vizioso che deve essere spezzato. Bisogna ricordare come detto all’inizio che il diverso viene visto tale perché lo si vuole vedere in quel modo. Lo stesso vale per sessualità e corpi non conformi. La diversità, il problema, sta sempre negli occhi di chi vuole e continua a considerarlo come tale.

  • Quanto è importante, secondo te, l’intersezionalità delle lotte per i diritti umani?

L’intersezionatilità è importante ma non fondamentale. Ciò che conta a mio avviso sono le azioni compiute dal singolo individuo per portare a compimento l’obbiettivo prefissato. Possono esserci disabili eterosessuali, persone non disabili omosessuali oppure persone omodisabili come nel mio caso. Questo non rende diverso o meno importante l’impegno di tutti riguardo i diritti umani. Certo una persona con entrambe le cose può avere in alcuni casi una maggior apertura, ma non è affatto scontato.

  • Il sesso, nel senso di vivere anche fisicamente la sessualità, è un diritto? Perché?

Certamente! È un diritto e un bisogno per qualunque essere umano. I disabili sono persone con desideri e pulsioni eguali a quelle dei non disabili. Come già detto sopra. Per questo sarebbe fondamentale in Italia una legge che regolamenti la figura professionale dell’assistente sessuale, già regolamentata in Belgio, Svizzera, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia. Negli USA questa figura è un connubio tra terapeuta, sessuologa e assistente personale. In Italia viene spesso associata alla prostituzione, ma non è affatto così. L’assistente sessuale non può praticare sesso in modo completo con il proprio assistito. Tale figura professionale si occupa non solo dell’aspetto fisico ma soprattutto dell’aspetto emozionale, aiutando la persona che assiste a trovare una sua dimensione sessuale. Il disegno di legge fortemente voluto da Sergio Lo Giudice (PD) e dalla parlamentare Monica Cirinnà rimane fermo al 2014. È disumano negare la sessualità a chi ne sente il bisogno, solo perché disabile.

  • Qualche giorno fa ricorreva la Giornata Mondiale della Disabilità? Ritieni utili simili iniziative?

Sì, il 3 dicembre era proprio la Giornata Mondiale Per Persone Con Disabilità. Questa data è importantissima e il suo obbiettivo è quello di sensibilizzare sul tema della disabilità ma soprattutto sul tema dei diritti. Purtroppo esistono ancora molte discriminazioni verso le persone con disabilità e questa giornata contribuisce all’abbattimento di tali discriminazioni. È inoltre concepita in un’ottica di dignità umana, perciò ritengo che questa data non sia soltanto utile ma fondamentale.

  • In quanto donna, disabile e lesbica, ritieni che il ddl Zan in contrasto al’omolesbobitransfobia, alla misoginia e all’abilismo, qualora approvato, cambierebbe l’impegno collettivo verso una sempre maggiore inclusione di tutte le soggettività?

Anche la legge Zan a mio parere è di fondamentale importanza e nutro la speranza che venga approvata anche al Senato. Sono fiduciosa che potrebbe cambiare l’impegno collettivo, ma soprattutto contribuirebbe ad un’apertura mentale a livello sociale della quale abbiamo estremamente bisogno, per poter essere una società sempre più inclusiva e sempre meno predisposta ad un qualunque tipo di discriminazione e pregiudizio.

  • C ‘è qualcosa che vuoi aggiungere al termine di quest’intervista e/o lanciare un appello a chi la leggerà?

Siate sempre fieri di voi stessi e di ciò che fate. Non vergognatevi mai delle vostre scelte, non abbiate paura di chiedere ciò che ancora non conoscete o semplicemente vi incuriosisce. Andate oltre i vostri limiti e le vostre paure, solo così riusciremo a creare una società migliore e potremmo essere sempre un passo avanti. Fate sempre sentire il vostro grido al mondo.

D. Q.

 

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Disabilità ed abilismo: ne parlo con Elena e Chiara del blog “witty_wheels”

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bandiera del Disability Pride creata nel 2019 da Ann Magill

 

Ciao, Elena e Chiara. Vi ringrazio per aver accettato quest’intervista.

1)    Sui social vi fate chiamare witty_wheels e trattate i temi della disabilità e del contrasto all’abilismo. Com’è nato il vostro progetto?

Essendo sorelle ed entrambe disabili abbiamo sempre avuto il privilegio di poter discutere e decostruire insieme le nostre esperienze specifiche di persone in carrozzina, quindi abbiamo semplicemente pensato di cominciare a mettere per scritto i nostri pensieri e appunto esperienze. Il blog è nato nel 2015 parallelamente allo studio autonomo sui Disability Studies e sul lavoro di attivisti soprattutto inglesi e americani.

2)    Come spieghereste il termine abilismo a chi lo sentisse per la prima volta?

È il sistema di oppressione verso le persone disabili in cui tutti siamo immersi: comprende lo stigma, la discriminazione e la violenza. In soldoni è l’equivalente del razzismo, è strutturale quindi può avere mille forme. Il termine inglese è ableism, ed è una visione del mondo in cui avere un corpo-mente non disabile è valutato positivamente e in cui la disabilità è un difetto invece che un aspetto della varietà umana.

Qualche esempio per essere più concreti: quando completi estranei per strada danno i buffetti alle persone disabili (molestie abiliste) o quando chi seleziona il personale fa un colloquio a una persona disabile e non la assume per quel motivo. L’inaccessibilità di edifici, trasporti, eventi, eccetera. Il sistema dei servizi sociali che fa sì che sia più semplice trovare assistenza per le persone disabili in strutture chiuse o centri diurni che con servizi che permettano loro di vivere in modo indipendente all’interno della società (ad esempio l’assistenza personale).

3)    Oltre alle barriere architettoniche, quali altre difficoltà ricorrenti le persone disabili si trovano a dover fronteggiare quotidianamente?

Proviamo a fare un quadro in poche righe. Si può parlare di una vera e propria segregazione delle persone disabili. C’è il problema dell’accesso agli spazi e all’informazione, quindi anche delle barriere sensoriali, e ci sono molte limitazioni nell’accesso al trasporto pubblico. Poi in generale le persone disabili hanno bisogni specifici (software, carrozzine particolari, veicoli attrezzati, ausili di vario tipo) che spesso devono essere pagati di tasca propria. Questo si traduce in varie spese extra, infatti la disabilità è spessissimo un fattore di impoverimento. Le persone non autosufficienti poi hanno bisogno di assistenti personali che le aiutino nelle azioni quotidiane e – nella quasi totale ignoranza dell’opinione pubblica – i fondi non sono minimamente sufficienti e la maggior parte delle persone riceve poche ore di assistenza o è costretta a vivere in struttura con gravi limitazioni della libertà o a farsi assistere da familiari, amici o partner. A questo possono aggiungersi la discriminazione a scuola, al lavoro, nei luoghi di divertimento. I tassi di occupazione sono molto bassi per le persone disabili, ed è difficile accedere all’istruzione superiore sia per la scarsità di fondi per assumere assistenti sia per altri bisogni che non vengono soddisfatti dalle università. Anche le persone con le cosiddette “disabilità invisibili” faticano molto a vedersi riconosciuti i propri diritti e bisogni. Queste sono alcune delle difficoltà concrete, poi ovviamente la segregazione fa sì che siano ancora forti i pregiudizi di vario tipo verso le persone disabili, anche se in questo senso le cose stanno lentamente migliorando.

4)    Cosa s’intende per abilismo interiorizzato?

Le persone disabili ricevono dei messaggi forti e costanti dalla società, e possono finire per crederci. Ad esempio l’idea di essere un peso e un disturbo per i propri amici, familiari e partner, che porta le persone disabili a scusarsi perché magari sono più lente. O il pensare di non essere dei partner validi, e quindi di doversi “accontentare”, cosa che porta ad essere potenzialmente più vulnerabili agli abusi. Le difficoltà oggettive a realizzarsi nel lavoro o nello studio (a causa degli ostacoli sociali) possono portare a credere che non ci si riesca per cause intrinseche alla disabilità. Sono solo alcuni esempi di abilismo interiorizzato e se ne può uscire solo prendendo consapevolezza delle oppressioni intorno a noi e attraverso un confronto con altre persone disabili.

5)    Spesso si tende a voler “normalizzare” le persone disabili pensando che questo sia inclusione. Secondo voi, in che modo si potrebbe rendere visibile la disabilità per quello che è, cioè senza edulcorarla, riconoscendone l’intrinseca dignità?

Lasciando parlare le persone disabili: sembra banale, ma ancora non viene fatto a sufficienza. Troppo spesso infatti non vengono messe al centro le voci delle persone disabili sulle questioni che le riguardano. Quando le opinioni delle persone disabili verranno valutate di più potremo avere davvero un dibattito serio e consapevole. Anche la rappresentazione sui media fa tantissimo: finché le persone non disabili credono che la disabilità sia quella di libri come “Io prima di te” (largamente criticato dagli attivisti disabili) non possiamo evolverci più di tanto. Dobbiamo fare in modo che le persone disabili raccontino le proprie storie e essere scettici di chiunque parli al posto loro.

6)    Cosa s’intende con il termine inspiration porn?

Sono immagini o storie che oggettificano le persone disabili cercando di ispirare e motivare chi non è disabile, facendolo sentire fortunato: è una forma di rappresentazione problematica, ce n’è un sacco sui social, sulla stampa e in tv. Tipo la foto di un atleta con una protesi e la scritta “tu che scusa hai?”. Il messaggio implicito è che se può “fare cose” lui – una persona disabile che per forza dovrebbe passarsela peggio (!) – puoi farle anche tu spettatore non disabile. Oppure le notizie delle persone disabili che si laureano. Di solito queste storie non includono le parole della persona disabile e raramente criticano la mancanza di supporti sociali che ha reso eventualmente difficile laurearsi. O quando si parla di coppie in cui c’è una persona disabile e una no, descrivendo quest’ultima come eroica e invitando tutti a commuoversi su queste “coppie speciali”.

In questo modo si fanno passare come eventi eccezionali cose normali e quotidiane e si sottovalutano implicitamente le persone disabili. Non abbiamo bisogno di queste storie, abbiamo bisogno di vivere in pace le nostre vite senza che nessuno faccia diventare i nostri partner eroi sui giornali.

7)    Per le persone disabili è più importante il livello di autonomia personale o di autodeterminazione?

L’autodeterminazione è imprescindibile per ogni persona: per alcune persone disabili è determinata dalla presenza o meno dei giusti strumenti, che per qualcuno possono essere l’assistenza personale, per altri dei software specifici, carrozzine adatte alle proprie esigenze….

L’importante è non valutare l’autonomia (se intesa come il “poter fare le cose da soli”) ad ogni costo. Molte persone disabili fanno tutto da sole, anche a costo di metterci ore, faticando moltissimo, rifiutando aiuto anche quando ne hanno bisogno. Questo per cercare di sottrarsi allo stigma e al giudizio, perché la società spinge continuamente le persone disabili a sembrare il “meno disabili” possibile: ci sono un sacco di messaggi che riceviamo che possono portarci ad agire contro il nostro interesse e benessere.

8)    Quanto è indietro l’Italia, nell’assistenza ai disabili e nel superamento di barriere architettoniche, sensoriali e culturali, rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea?

Beh, dipende a quale paese ci riferiamo: non è certamente il paese peggiore in Europa. Noi abbiamo vissuto a Londra e lì vivere la città è di gran lunga più facile per chi come noi usa carrozzine elettriche (rispetto a gran parte delle città italiane). Per la nostra esperienza si può accedere alla maggior parte dei luoghi salvo delle eccezioni; mentre ad esempio nelle Marche dove viviamo è il contrario: i luoghi sono in gran parte inaccessibili salvo eccezioni. Qui è molto facile sentirsi ingabbiati. Inoltre in Inghilterra i fondi per assumere assistenti personali sono una realtà più consistente e consolidata, e questo fa una differenza enorme.

9)    Cosa mi dite riguardo a sessualità e vita di coppia nella condizione della disabilità?

C’è tanto da dire. C’è un pregiudizio ancora forte secondo cui chi sta, esce o fa sesso con una persona disabile è un eroe o un santo o si “accontenta”, si “sacrifica”.

Inoltre ci sono ancora tante persone attratte da una persona disabile, ma che oltre a farci sesso e stare con lei nel privato non ci uscirebbero pubblicamente, per paura delle reazioni esterne e perché una persona disabile non è il “trofeo” che la società si aspetta da loro. Dinamiche simili accadono alle persone grasse, trans o nere (soprattutto donne in coppie etero). Non si tratta dunque, ovviamente, di essere meno “desiderabili”, ma di avere appiccicato addosso uno stigma.

Inoltre gli ostacoli concreti di cui abbiamo parlato prima inficiano anche le relazioni: se non sei autosufficiente e non hai abbastanza ore di assistenza personale e agli appuntamenti ti deve portare tuo padre è super complicato. L’abilismo si fa sentire anche in ambito medico, in questo caso quando si parla di salute sessuale; esistono ancora i medici che si stupiscono che le persone disabili fanno sesso.

Servono tante cose: un’educazione sessuale davvero completa (per tutti); combattere la segregazione delle persone disabili e promuoverne le opportunità per partecipare alla società alla pari delle persone non disabili; promuovere il supporto alla pari tra persone disabili, dato che sono le altre persone disabili della community che ti danno i migliori consigli su cose molto pratiche e concrete come le posizioni, i sex toys (in particolare quando hai poca mobilità), il dating, l’abilismo nelle relazioni, il ruolo facilitatore degli assistenti personali.

Detto questo, crediamo anche che essere disabile, dati i giusti strumenti, possa contribuire a renderti più “sex positive”, considerando che viviamo in una società che ha problemi con il sesso.

Non essere autosufficienti e dipendere fisicamente da altre persone ti insegna a comunicare meglio, a farti meno “elucubrazioni” mentali e ad essere più assertivi, diretti e schietti. Inoltre la disabilità, introducendoti a marginalizzazioni di vario tipo, può insegnare ad essere più empatici verso le specificità altrui e tutto ciò che non è considerato “standard”. Può renderti più accorto e consapevole delle “red flags” (i segnali di allarme) nelle relazioni, e al tempo stesso più spontaneo. La disabilità può essere infatti un’occasione per essere più liberi dagli standard imposti, non farci dire cosa dobbiamo essere e pensare fuori dagli schemi. O almeno questa è la nostra esperienza.

10) Nel vostro blog e nelle vostre pagine social parlate anche di femminismo, tematiche Lgbt+ e antirazzismo. Quanto è importante, secondo voi, l’intersezionalità delle lotte per il riconoscimento e la salvaguardia dei diritti umani?

È fondamentale, la matrice dell’oppressione è comune. La liberazione è di tutti o di nessuno.

11) C’è qualcosa che volete aggiungere e/o lanciare un appello a chi leggerà quest’intervista?

Visto che siamo in un blog femminista, facciamo un appello alle realtà femministe 😀 perché parlino sempre di più di disabilità e contrasto all’abilismo, ascoltando le voci delle persone disabili e non dei professionisti non disabili. “Niente su di noi senza di noi”, come recita un motto del movimento di liberazione delle persone disabili.

Inoltre ricordiamoci che le molestie abiliste non sono l’unico tema di cui parlare in ambito femminista. L’assistenza personale ad esempio è un tema che riguarda fortemente l’autodeterminazione (se non hai assistenti sufficienti non sei libero neanche di alzarti dal letto, cucinarti quello che vuoi o uscire) e anche le dinamiche di potere (se sei dipendente da altri puoi trovarti più facilmente in dinamiche di abuso), temi prettamente femministi.

*

Vi ringrazio per la disponibilità e per il tempo che mi avete dedicato.

Donatella Quattrone

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CARTA COMUNE DEL DISABILITY PRIDE NETWORK

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CARTA COMUNE DEL DISABILITY PRIDE NETWORK

Storicamente la disabilità è spesso stata stigmatizzata, ingenerando paura, suscitando vergogna. In molti contesti, ancora oggi si guarda alle persone con disabilità esclusivamente come soggetti fragili, trascurandone, invece, le potenzialità che potrebbero renderli, in grado di apportare un reale contributo all’interno della collettività. Accogliere condizioni, situazioni ed esigenze differenti significa scardinare le coordinate che ancora oggi conducono all’esclusione delle persone considerate non conformi ai criteri di presunta normalità e facilmente esposte a situazioni di possibile multidiscriminazione in ragione delle loro condizioni biologiche, sociali e culturali. Il Disability Pride si propone come interlocutore che opera a livello internazionale al fine di incidere su un reale cambiamento culturale, e “garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità”, come ricorda la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità– (CRPD). Fintanto che le persone con disabilità verranno discriminate ed escluse, sentendo perciò di esistere senza partecipare, sarà necessario adoperarsi per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno esercizio dei diritti. Anche nei Paesi che possono vantare un quadro normativo avanzato, fintanto che ci si rapporterà alle persone con disabilità con atteggiamenti paternalistici e meramente assistenziali, avremo davanti una prova di carattere culturale, che dovremo affrontare e superare. Ecco perché bisogna promuovere a livello globale un rinnovamento culturale che si sviluppi lungo tre direttrici: inclusione, empowerment, esercizio dei diritti. Ecco perché è necessario comprendere che la disabilità non è altro che una mera condizione umana. È uno stato in cui ciascuno di noi, in uno o più momenti della propria vita, potrebbe incorrere, in modo permanente o temporaneo, se non altro in ragione dell’età. Per promuovere e rivendicare questo rinnovamento culturale le realtà che si riconoscono negli intenti del Disability Pride decidono di condividere i seguenti principi, impegnandosi a far sì che diventino obiettivi da realizzare:

1.- Sostenere e promuovere l’autodeterminazione delle persone con disabilità, rispettandone dignità, autonomia e indipendenza.

2.- Rispettare e promuovere il valore delle differenze tra gli individui.

3.- Sostenere e incentivare ricerca scientifica e innovazione tecnologica.

4.- Educare ad una cultura che non contempli la discriminazione.

5.- Sostenere e promuovere le pari opportunità, in particolare nei settori formativo e lavorativo, tra persone con e senza disabilità.

6.- Affermare il valore del contributo attivo delle persone con disabilità, valorizzandone attitudini e competenze.

7.- Incoraggiare il percorso evolutivo e le capacità dei bambini con disabilità, preservandone identità e potenziale evolutivo.

8.- Promuovere linguaggi e comportamenti in grado di superare stereotipi e pregiudizi riferiti alle persone con disabilità.

9.- Rivendicare, sostenere e promuovere l’accessibilità universale, in ogni sua declinazione, con particolare riguardo a oggetti, luoghi, linguaggi, saperi. Promuovere un turismo sostenibile per le persone con disabilità, con un’attenzione particolare al superamento delle barriere architettoniche, alla reale accessibilità ai mezzi pubblici, alle strutture alberghiere, ai luoghi di svago.

10.- Rendere realmente fruibile il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità. Senza discriminazione alcuna nei confronti delle diverse forme di disabilità.

Fonte:

http://disabilityprideitalia.org/wp-content/uploads/2020/05/Carta-Comune-Disability-Pride-Italia.pdf

Benessere sessuale e disabilità

 “Troppe volte il benessere sessuale, che è un diritto, viene negato alle persone con disabilità.
Come bisogna comportarsi quindi?”
Il dottor Laforgia ne accenna brevemente nel seguente video.

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Disabili, Onu all’Italia: “Stop alle mutilazioni genitali e ai trattamenti medici sui bambini intersessuali”

Disabili, Onu all’Italia: “Stop alle mutilazioni genitali e ai trattamenti medici sui bambini intersessuali”

 

Il rapporto delle Nazioni Unite sottolinea che il minore con disabilità ha diritto di scegliere la propria identità di genere. Per questo il Comitato ha manifestato la propria preoccupazione per i piccoli che subiscono questi trattamenti senza il proprio consenso libero e informato. Vengono anche segnalati vuoti normativi e punti da migliorare che vanno dalla salute all’educazione, dall’accessibilità all’inserimento lavorativo
Stop alle mutilazioni genitali e ai trattamenti medici sui bambini intersessuali che rischiano di compromettere la loro autodeterminazione e integrità fisica. Il monito arriva all’Italia dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che ha il compito di monitorare l’applicazione della Convenzione Onu sui diritti dei disabili a sette anni e mezzo dalla ratifica italiana del trattato. Il rapporto conclusivo pubblicato a inizio settembre e redatto dopo un confronto con il governo, restituisce il ritratto di un Paese che deve fare ancora molti passi in avanti per garantire diritti e integrazione alle persone diversamente abili. Il Comitato segnala mancanze e lacune, vuoti normativi e punti da migliorare che vanno dalla salute all’educazione e all’accessibilità, e tra questi una delle preoccupazioni è rivolta proprio ai bambini intersex, che non sono definibili esclusivamente come maschio o femmina.

Solitamente il problema è risolto con cure ormonali o interventi chirurgici irreversibili, che così però privano il bambino del diritto di scegliere la propria identità sessuale. Per questo il Comitato ha manifestato la propria preoccupazione per i minorenni che subiscono questi trattamenti senza il proprio consenso libero e informato, raccomandando l’Italia di vietare che i bambini vengano sottoposti “a trattamenti medici o chirurgici se questi non sono basati su documentazione scientifica”, garantendo invece la loro integrità fisica, l’autonomia e l’autodeterminazione, e fornendo un’adeguata consulenza e supporto alle famiglie con figli intersex. Ma la questione è solo una delle tante sottolineate nel rapporto, che menziona anche in positivo la collaborazione e il dialogo aperto con l’Italia, ricordando le misure adottate contro la violenza sulle donne e quella domestica.

Mancanza di organi consultivi  Molte di più però sono i “punti di demerito” e tra questi c’è la definizione stessa di disabile adottata in Italia, che varia da settore a settore, da regione a regione, “portando a disparità nell’accesso dei diritti”. Il Comitato esprime preoccupazione anche perché le persone disabili non vengono consultate su temi che le coinvolgono, e per il fatto che “l’Osservatorio nazionale sulle persone con disabilità non è un corpo consultivo permanente”. Perciò invita l’Italia a costituirne uno formato da rappresentanti diversamente abili che possano dare il proprio contributo allo sviluppo di leggi, programmi e politiche per l’integrazione.

Donne, bambini, migranti e detenuti con disabilità – All’Italia manca anche l’adozione di un’adeguata normativa, con tanto di sanzioni e provvedimenti, contro le discriminazioni di ogni genere. Per quanto riguarda le donne e i bambini con disabilità, sono richieste più attenzione e la consultazione dei rispettivi organi rappresentativi, oltre che una normativa contro la violenza fuori e all’interno delle mura domestiche. Per i minorenni in particolare, il Comitato sottolinea poi come in Italia il sistema di monitoraggio per la fascia di età dagli 0 ai 5 anni sia insufficiente ad analizzare il problema e si chiede inoltre, in generale, di realizzare campagne per la promozione delle capacità delle persone disabili e divulgare il loro esempio positivo contro gli stereotipi. L’Onu invita anche lo stato a dare un supporto alle famiglie che devono occuparsi a tempo pieno dei propri figli o famigliari disabili. Attenzione anche ai detenuti con disabilità, per i quali si chiedono alloggi adeguati e pari accesso ai servizi dei normodotati. Si invita inoltre l’Italia ad applicare le regole di un giusto processo anche alle persone con disabilità intellettive o psicosociali, e si chiede un report sulla situazione delle strutture psichiatriche o residenze per persone disabili. Anche per i migranti e i rifugiati con disabilità sono richieste misure adeguate affinché riescano ad accedere ai servizi al pari delle altre, e perché sia dato loro un supporto.

Accessibilità – Altra questione affrontata nel rapporto è quella dell’accessibilità, per cui si chiede di rafforzare il monitoraggio e gli interventi per rendere accessibili servizi d’emergenza, edifici e trasporti pubblici, ma anche parchi e aree verdi. In particolare poi, nel settore pubblico, compreso quello educativo, si suggerisce un piano di intervento che preveda guide, lettori e interpreti del linguaggio dei segni per rendere più accessibile la comunicazione negli enti statali. Le criticità sull’accessibilità però riguardano anche il settore giustizia, per cui il Comitato chiede al governo italiano, oltre a uno sforzo sulla comunicazione, la formazione di personale esperto sul diritto di tutte le persone disabili alla famiglia e al matrimonio, affinché possano avere gli stessi diritti senza discriminazioni. L’accessibilità infine riguarda anche il sistema di comunicazione e apprendimento, per cui è richiesto un maggiore sforzo per l’insegnamento del linguaggio Braille a tutte le persone non vedenti e la diffusione più capillare del linguaggio dei segni.

Indipendenza abitativa e integrazione nella comunità – Altre raccomandazioni riguardano l’indipendenza abitativa e l’integrazione nella società delle persone disabili. Secondo il Comitato l’Italia fa ancora troppo poco per promuovere l’indipendenza abitativa e spesso i fondi destinati alle istituzioni per la riabilitazione non vengono distribuiti ai servizi che potrebbero invece favorire l’emancipazione.

Educazione – Un capitolo a parte è rappresentato dall’educazione: secondo l’Onu in Italia non si fa abbastanza per monitorare e garantire la qualità dell’insegnamento e l’inclusione degli studenti disabili nelle scuole. Per questo al governo si raccomanda un piano con sufficienti risorse e una tabella di lavoro con degli obiettivi precisi per l’accompagnamento e il supporto degli alunni con disabilità, che preveda personale qualificato nel linguaggio dei segni dove richiesto e materiale di studio adeguato a garantire il loro apprendimento.

Lavoro e partecipazione alla vita pubblica – Grande preoccupazione è stata espressa dal Comitato Onu per “gli alti livelli di disoccupazione” dei disabili e le mancate iniziative per l’inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto per quanto riguarda le donne con disabilità. Anche in questo caso, il governo è stato invitato ad assicurare loro un lavoro con adeguato stipendio e a rimuovere gli ostacoli al raggiungimento dell’occupazione. Inoltre secondo il rapporto l’Italia non offrirebbe adeguati strumenti alle persone con disabilità mentale per esercitare il proprio diritto di voto, e proprio per questo chiede al governo di adottare misure che permettano di esercitare il diritto di voto anche a loro.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09/11/disabili-onu-allitalia-stop-alle-mutilazioni-genitali-e-ai-trattamenti-medici-sui-bambini-intersessuali/3023340/

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