LA SCOMPARSA DI GINO STRADA COINCIDE CON IL PRIMO SALVATAGGIO DI 85 PERSONE

Dalla pagina Facebook dell’associazione ResQ – People saving people:

LA SCOMPARSA DI GINO STRADA COINCIDE CON IL PRIMO SALVATAGGIO DI 85 PERSONE ED E’ A LUI CHE DEDICHIAMO QUESTE VITE UMANE PER RINGRAZIARLO PER TUTTO CIO’ CHE HA FATTO.

Milano, 13 agosto 2021 – “Gino è stato una grande figura nell’ambito dell’aiuto umanitario e ha fatto cambiare molte cose grazie ad Emergency e tutto quello che ha fatto. Ha sempre sostenuto concretamente che non c’è essere umano preferito ad un altro, e l’ha dimostrato con i fatti. È stato un grande pacifista, ha sempre curato i feriti e condannato le guerre. Noi di RESQ abbiamo l’onore di avere tra di noi la figlia Cecilia Strada, che in questo momento non può essere lì affianco a lui perché si trova in mezzo al mare a salvare le persone come suo padre e sua madre hanno sempre fatto.La scomparsa di Gino Strada coincide con il primo salvataggio di 85 persone avvenuto oggi. Come ResQ dedichiamo a lui queste 85 vite umane, che porteremo in un luogo sicuro” afferma Luciano Scalettari, Presidente di ResQ.

Agitu e il prezzo dell’essere donna

Si rincorrono in queste ore le immagini di un sogno infranto e di un sorriso spezzato dall’ennesimo femminicidio. Agitu Ideo Gudeta, pastora di origine etiope era emigrata nel Trentino dove, recuperando  terreni abbandonati e razze rustiche autoctone, aveva dato vita all’Azienda Agricola Biologica ‘La Capra Felice’. Ieri è stata trovata uccisa nel suo appartamento. Reo confesso un suo dipendente, Adams Suleimani, ghanese, il quale ha raccontato di aver ucciso la donna a martellate per il mancato pagamento di una mensilità. Agitu è stata anche violentata mentre era agonizzante (fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/omicidio-di-agitu-ideo-gudeta-arrestato-un-dipendente-ghanese-ha-confessato_it_5fec2d4dc5b66809cb356f15 ).

Agitu Ideo

(Immagine tratta dall’articolo sopra)

Non possiamo parlare di un omicidio qualsiasi. L’uccisione di Agitu è un femminicidio. Agitu era una donna nera migrante che c’è l’aveva fatta: aveva coronato il suo sogno di diventare un’imprenditrice. Era sfuggita a diversi mostri: la guerra, la povertà, il razzismo. Ma non aveva fatto i conti con un altro mostro atavico che è il patriarcato. Perché se è vero che la fame può portare un uomo ad uccidere, per arrivare a commettere un delitto in modo così violento, il movente economico non può essere tutto. E poco importa se non è stato razzismo perché sia la vittima che il carnefice erano migranti stranieri. In realtà il razzismo ha diverse forme e non riguarda solo le etnie. Esistono il patriarcato e il sessismo secondo i quali una donna non può avere più successo o fortuna di un uomo, neanche a pari condizioni di partenza. Agitu Ideo Gudeta era una donna nera migrante ed Adams Suleimani è un uomo nero migrante. Ma la prima era un’imprenditrice e il secondo un dipendente. E’ questo il vero prezzo di questo delitto ed è questo ad aver fatto sì che la vita di questa donna, agli occhi dell’uomo, valesse quanto il suo stipendio, ovvero quanto la percepita distanza fra i due. Distanza che l’uomo ha voluto cancellare a suo modo, accanendosi contro la donna e violentandola nell’essenza stessa della sua femminilità mentre era ancora in vita. Non più una datrice di lavoro e un dipendente, non più quindi due esseri umani in una legittima relazione economica, ma solo una donna ed un uomo con l’illegittimo potere di quest’ultimo di disporre del corpo e della vita della prima. Agitu ha pagato con la sua vita il prezzo dell’essere una donna. Spero che la sua tragica e violenta morte faccia riflettere chi dice che non ha senso parlare di femminicidio, di violenza di genere, di patriarcato, di femminismo.

 

D. Q. 

 

Intervista a Carmen Ferrara, attivista non-binary e ricercatrice in formazione

 

Carmen Ferrara

Io: Ti definisci un’attivista per i diritti LGBTI non-binary. Ti va di spiegarci cosa significa?

C.F.: Certo. Io sono una persona non binaria, non colloco la mia identità di genere in maniera binaria, non sono un mix di maschile e femminile, rifiuto proprio di definirmi in relazione a questi parametri. Per convenzione e per una scelta politica utilizzo i pronomi femminili. Rispetto alla mia identità di attivista, innanzitutto ci tengo a dire che non si fa attivismo, ma si è attiviste. Quando ero al terzo anno di liceo mi sono innamorata della mia compagna di banco. Non ho fatto coming-out come lesbica, perché questo presupponeva che io fossi donna. Ho semplicemente detto di provare dei sentimenti per una ragazza. Provengo da un piccolo paese vesuviano e non avevo internet a casa, ma lo usavo a casa di amici. Tramite un sito di incontri ho scoperto l’esistenza di associazioni e ho iniziato a frequentare Antinoo Arcigay Napoli, ormai quasi dieci anni fa. Ho preso consapevolezza dei miei diritti e delle ingiustizie sociali, per cui è stato naturale iniziare ad impegnarmi attivamente.

Io: Rispetto al tuo percorso di studi, cosa ti ha spinto al punto da voler intraprendere un dottorato di ricerca nell’ambito degli studi di genere?

C.F.: Ho fatto un liceo delle scienze umane, che all’epoca di chiamava socio-psico-pedagogico. Per la mia famiglia era strano che dopo il liceo volessi fare l’Università perché provengo da un contesto umile. La mia famiglia non aveva possibilità economiche e mi sono mantenuta facendo vari lavori: il call center, la cameriera, le pulizie, la badante. Sapevo che studiare era un modo per migliorare la qualità della mia vita, per prendere le distanze da modalità violente che caratterizzavano l’ambiente in cui sono cresciuta e soprattutto per potermi difendere. Sia alla triennale che alla magistrale ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, volevo comprendere la società e imparare l’inglese per ampliare le mie opportunità. Durante la stesura della tesi mi sono approcciata alla ricerca e me ne sono appassionata. La prima è stata sui migranti LGBTI, la seconda è stata sulla pianificazione strategica delle politiche di inclusione a Malta. Dopo di che ho iniziato a collaborare con un think tank, spin-off dell’Università di Cambridge che si chiama GenPol- Gender & Policy Insights. Un dottorato in studi di genere mi sembrava la naturale evoluzione del mio percorso e quindi ho fatto domanda per un dottorato transdisciplinare dal titolo “Mind, Gender and Language” sempre alla Federico II di Napoli.

Io: Nel libro che hai pubblicato sottolinei l’importanza dell’intersezionalità, cos’è e perché è importante?

C.F.: L’intersezionalità è un concetto spesso abusato, ma se applicato con criterio consente di rendere visibili forme di oppressione che altrimenti sarebbero neutralizzate. Nel caso delle donne trans nere, ad esempio, è fondamentale adottare un approccio intersezionale per comprendere le discriminazioni che possono subire. Facciamo il caso che in un progetto per l’inclusione lavorativa delle persone trans e delle persone migranti i datori di lavoro accettino di assumere solo persone trans bianche e persone migranti cisgender. Cisgender, per intenderci, è il contrario di transgender. Come ci insegna Kimberlé Crenshaw, che è colei che ha teorizzato questo concetto, se una donna trans nera non viene assunta da nessuna azienda e per leggere l’accaduto si utilizza la lente dell’identità di genere, i datori di lavoro potranno dire che non hanno fatto alcuna discriminazione di genere, perché loro hanno assunto delle persone trans. Se guardiamo alla razza, loro diranno che non sono stati razzisti, perché hanno assunto persone migranti. Però non hanno assunto nessuna donna trans nera e questa discriminazione può essere vista solo se si osservano contestualmente le dimensioni del genere e della razza e il  loro punto di intersezione. Nelle pratiche politiche è importantissimo adottare un approccio intersezionale, perché non ci si può battere per i diritti delle persone LGBTI senza considerare le persone LGBTI migranti e/o disabili e, aggiungo, è controproducente impegnarsi per i diritti di una minoranza senza fare fronte comune.

Io: C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

C.F.: Sì, un altro aspetto importante da considerare è legato alla povertà, alla lotta di classe. E quando parlo di povertà ovviamente parlo di povertà economica, educativa, deprivazione materiale e affettiva. Noi che siamo meridionali lo sappiamo bene. In questo momento, tra le varie cose, mi sto occupando di una particolare forma di violenza di genere, che è la violenza domestica nelle relazioni con partner LGBTI ed è sconvolgente il numero di survivors senza fissa dimora, per cui non esistono servizi, né rifugi. Questo è un dato che come associazione conosciamo bene, ma supportare la ricerca vuol dire raccogliere dati e avere contezza di un fenomeno consente di fare pressione sul legislatore e di porre in essere politiche e servizi che tengano conto dei bisogni specifici.

Raccogliere informazioni è propedeutico alla creazione di una società più giusta. Poi credo sia importante che chiunque lo faccia (come te hai un blog, da poco ne ho aperto uno anch’io) per sensibilizzare in più ambiti possibili.
In conclusione vorrei dire che in questo momento di pandemia, è fondamentale più che mai non dimenticare tutte le persone che vivono ai margini, in spazi senza privacy e senza poter accedere ai paracaduti sociali, pensa alle sex workers senza cittadinanza.
Io sono senza dubbio una persona privilegiata sotto tanti punti di vista e, tra l’altro, posso dirti che oltre ai legami di sangue che lasciano il tempo che trovano se non coltivati, per molte persone queer come me la comunità diventa la tua famiglia. Quando sono stata a Malta per il periodo di ricerca etnografica non conoscevo nessuno, ma il fatto che fossi un’attivista mi ha fatto trovare lì una comunità che mi ha accolta come se mi conoscesse da sempre. Mi ritengo veramente una persona molto fortunata.

Migranti. Naufragio al largo della Tunisia: 34 cadaveri recuperati

 giovedì 11 giugno 2020

La maggior parte sono donne, una era incinta. Anche due bambini di 2-3 anni. Sul barcone sarebbero stati in 53, tutti sub-sahariani. Nessun superstite

Migranti in una foto d'archivio

Migranti in una foto d’archivio – Ansa

È salito a 34 il numero dei cadaveri recuperati dalla Marina tunisina nell’area del mare situata tra El Louza (Jebeniana) e Kraten al largo delle isole Kerkennah, teatro del naufragio di un barcone con 53 migranti subsahariani a bordo, partito da Sfax nella notte tra il 4 ed il 5 giugno e diretto verso le coste italiane. Lo rende noto il sito informativo tunisie numerique precisando che i corpi rinvenuti appartengono a 22 donne, 9 uomini, 3 bambini, di vari paesi dell’Africa sub-sahariana e un tunisino originario di Sfax, che sarebbe stato al timone del peschereccio affondato.

Unità della Marina militare e della Guardia costiera con l’ausilio dei sommozzatori delle forze armate e della protezione civile sono ancora al lavoro nel tratto di mare interessato dal naufragio alla ricerca di altri dispersi.

Martedì la Guardia costiera di Tunisi aveva recuperato 20 corpi, ma circolava già la notizia, riportata da media tunisini, che lo scorso fine settimana 53 persone avevano preso il largo nel tentativo di raggiungere l’Italia.

La maggior parte delle vittime sono donne, ha affermato il direttore della medicina legale presso l’ospedale universitario Habib Bourguiba Samir Maatoug. L’autopsia, le impronte digitali e altre indicazioni mostrano che 19 corpi su 22 appartengono adonne, che potrebbero essere della Costa d’Avorio. Altri due corpi appartengono a un bimbo e una bimba di età compresa tra 2 e 3 anni, anch’essi di paesi africani. Un altro corpo appartiene a un adulto tunisino di Dhraâ Ben Zied, delegazione di El Amra. Quest’ultimo è stato identificato dalla polizia tecnica. Potrebbe essere il capitano della barca. Una delle donne era incinta al momento del naufragio, ha precisato la stessa fonte. Mentre sono in corso i preparativi in attesa della sepoltura, i corpi recuperati vengono collocati nell’obitorio dell’ospedale.

Un’indagine è stata aperta per identificare gli organizzatori della traversata, ha riferito il portavoce della Corte Sfax Mourad Turki.

I migranti, tutti provenienti dai Paesi sub-sahariani, avevano lasciato la costa tunisina in direzione di Lampedusa. Le città della Tunisia meridionale, sia interne che costiere, sono uno dei principali punti di partenza per i migranti irregolari dal Paese del Maghreb. La maggior parte di coloro che si avventurano in mare sono giovani tunisini disoccupati che cercano un futuro migliore. Secondo le statistiche dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), 110.699 persone sono riuscite a attraversare il Mediterraneo in modo irregolare nel 2019 (6.000 in meno di un anno prima) e 1.283 sono morti nel tentativo.

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Fonte:

Tra Basilicata e Calabria migranti trattati come schiavi e chiamati “scimmie”

In Italia esistono gli schiavi
ù
BY  · GIU 11, 2020

Per gli agricoltori coinvolti nell’inchiesta “Demetra”, che ha portato al sequestro di 14 aziende tra Basilicata e Calabria, i braccianti stranieri che lavoravano con paghe da fame e senza alcuna protezione non erano uomini ma “scimmie”. E in quanto tali, per gli indagati, potevano bere l’acqua che si usa per l’irrigazione dei terreni agricoli direttamente dalle bottiglie nascoste dietro i cespugli, quelle che di solito vengono utilizzate per la pulizia dei canali. Sono raccapriccianti alcune delle intercettazioni registrate dalla guardia di finanza di Cosenza che ha smantellato due organizzazioni di “caporali” e organizzatori di matrimoni finti. “Non c’è un canale di acqua la vicino?” chiede il caporale Gennaro Aloe (finito in carcere) a Giuseppe Abruzzese, oggi ai domiciliari ma fino a ieri alla guida dei furgoni con cui i migranti venivano accompagnati nei campi. “Siccome mi ha telefonato Roberto – sono le parole di Aloe – che ai neri gli mancano un paio di bottiglie di acqua… Nel canale, gliele riempiamo nel canale. Se ci sono un paio di bottiglie vuote!.. Hai visto quelle che trovi quanto togli i cespugli. Vicino ai canali ci sono le bottiglie”.

Fonte:

https://raiawadunia.com/in-italia-esistono-gli-schiavi/

MIGRANTI ALLA DERIVA DISPERSI NEL MEDITERRANEO

Da
Mauro Biani
16 min · 

Deriva. La vignetta oggi in prima de la Repubblica

L'immagine può contenere: testo
Da
Salvamento Marítimo Humanitario
2 h · 

#Aitamari L ‘ equipaggio minimo dell’Aitamari sta curando il meglio possibile delle 43 persone salvate. Così si è svegliato oggi il Mediterraneo. Fortunatamente li abbiamo a bordo. Malta ci nega il porto sicuro o coordinare POS (porto sicuro). Noi chiediamo il rispetto della legislazione internazionale: porto sicuro ora!

#AitaMari L ‘ equipaggio minimo dell’AitaMari si sta prendendo cura delle 43 persone salvate al meglio possibile. È così che oggi il Mediterraneo è venuto. Fortunatamente li abbiamo a bordo. Malta ci nega un porto sicuro o coordinate POS (porto sicuro). Chiediamo il rispetto della legislazione internazionale: porto sicuro ora.

Da
Mediterranea Saving Humans
14 h ·

“Riteniamo che sia un obbligo assistere le persone in difficoltà e aiutarli anche se significa fare uno sforzo in questa situazione di crisi. Dobbiamo pensare alle persone più vulnerabili e a quelle più bisognose in questo momento”.

Intervista a Iñigo Mejango – presidente del Salvamento Marítimo Humanitario della #AitaMari impegnata in queste ore nel soccorso di un natante in difficoltà, realizzata da Claudia di Mediterranea Barcellona.

“We believe it is an obligation to assist people in difficulty and help them even if it means making an effort in this crisis situation. We must think about the most vulnerable and most needy people at the moment.”

Interview with Iñigo Mejango – president of the Salvamento Marítimo Humanitario of the #AitaMari engaged in these hours in the rescue of a boat in difficulty, made by Claudia of Mediterranea Barcellona.

Ancora un naufragio nel Mediterraneo: oltre 40 i morti, recuperati corpi di donne e bambini

Ancora un naufragio nel Mediterraneo: oltre 40 i morti, recuperati corpi di donne e bambini

6 ore fa

A dare notizia dell’ennesimo naufragio davanti le coste libiche Alarm Phone, l’Oim e l’Unhcr presenti in Libia. Cinque i corpi recuperati tra cui quelli di donne e bambini, dalle testimonianze dei superstiti oltre 40 persone mancherebbero all’appello. La nave Eleonore della Ong Mission LifeLine in attesa di un porto sicuro dopo il divieto d’ingresso di Italia e Malta

Si temono almeno una quarantina di morti nel naufragio avvenuto a largo delle coste libiche come confermato da Alarm Phone, dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dall’Unhcr in Libia. Cinque al momento i corpi recuperati tra cui quelli di donne e bambini.

A dare notizia della richiesta di soccorso era stata proprio la piattaforma di supporto alle operazioni di soccorso dei migranti Alarm Phone che ha riferito di essere stata contattata alle 3.30 di oggi martedì 27 agosto da un‘imbarcazione in difficoltà con a bordo circa 100 persone: «Erano partiti da Al Khums tre ore prima, urlavano e piangevano, dicendo che alcuni di loro erano già morti».

Alarm Phone@alarm_phone

Non siamo più riusciti a comunicare con la barca. Alle 6 di mattina un parente ci ha chiamati preoccupato per le persone a bordo. Teme che siano morti. Non sappiamo cosa sia successo a questo gruppo di . Speriamo che siano ancora vivi ma temiamo il peggio.

Alarm Phone@alarm_phone

Alle h.13.00 abbiamo parlato con le autorità della . Ci hanno detto di aver trovato il luogo del e circa 90 persone, molte delle quali sono morte, non sappiamo ancora quante. Queste morti sono tua responsabilità . Le tue politiche di deterrenza uccidono.

35 utenti ne stanno parlando

A intervenire sul luogo del naufragio sono stati i pescatori locali e secondo quando riferisce l’Unhcr in Libia anche la guardia costiera libica. Dalle testimonianze dei sopravvissuti, provenienti da Sudan, Egitto, Marocco Tunisia,si è appreso come riferisce l’Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati che circa 40 persone mancherebbero all’appello.

UNHCR Libya

@UNHCRLibya

🚨Happening now:
UNHCR partner IMC teams are at Al Khoms disembarkation point assisting some 60 refugees and migrants recently rescued at sea after their boat started sinking off Libyan coast.

Several bodies have been recovered & estimated 40 other persons are still missing.

64 utenti ne stanno parlando

“Questa rappresenta tristemente un’altra tragedia, come dimostrato dal fatto che in tanti hanno cercato di fuggire dalla Libia nei giorni scorsi. Oltre 460 persone a bordo di sei imbarcazioni sono state intercettate e riportate in Libia Sabato e Domenica” riferisce il team di Medici Senza Frontiere presente in Libia.

MSF Sea

@MSF_Sea

🔴 Dreadful reports of another off , east of https://twitter.com/alarm_phone/status/1166272017462640641 

Alarm Phone@alarm_phone

Yet another shipwreck? During the night, at around 3.30am, we were called by a boat off the coast of #Libya, with up to 100 people on board. They had left Al Khums about 3 hours earlier. They were in severe distress, crying and shouting, telling us that people had died already.

MSF Sea

@MSF_Sea

Sadly this represents yet another tragedy, occurring as many have attempted to flee by the sea over the past days.

Over 460 people on board 6 boats were intercepted and returned to on Saturday and Sunday, teams in the field reports.

25 utenti ne stanno parlando

Rimane invece in attesa di un porto di sicuro la nave Eleonore della Ong Mission Lifeline che nella giornata di ieri ha soccorso un gommone con 101 persone a bordo che stava affondando. Per la Ong tedesca dopo il divieto d’ingresso in Italia firmato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini si è aggiunto anche quello di Malta come riferisce la stessa Ong.

Seegezwitscher@seacoverage

Yesterday, the vessel saved around 100 people in the Sea. The rubber boat in distress was already deflating when the RHIB-crew arrived. The so-called Libyan Coastguard tried to intervene in the rescue. Eleonore is now heading north. The MMSI: 211 265 310

Video incorporato

STOP ALLE ONG DEI CIELI, L’ITALIA BLOCCA GLI AEREI CHE AVVISTANO I MIGRANTI

Stop alle ong dei cieli, l’Italia blocca gli aerei che avvistano i migranti

Stop alle ong dei cieli, l'Italia blocca gli aerei che avvistano i migranti

L’Enac nega il permesso di decollo a Moonbird e Colibrì, i due velivoli che segnalano la posizione dei gommoni ai soccorritori. “Possono essere usati solo per attività ricreative”. Ma la Sea-Watch attacca: “Non vogliono testimoni”

di MARCO MENSURATI (A BORDO DELLA MARE JONIO) E FABIO TONACCI

L’Italia tarpa le ali alle vedette volanti. Da quasi un mese, Moonbird e Colibrì, i due aerei leggeri delle ong che sorvolano il Mediterraneo per avvistare i gommoni dei migranti, non possono decollare da Lampedusa né da altri scali del nostro Paese. “Le norme nazionali impongono che quei velivoli possano essere usati solo per attività ricreative e non professionali”, sostiene infatti l’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile. Qualche sorvolo riescono ancora a farlo, ma con grande difficoltà, e partendo da aeroporti più lontani, in altri Stati. Dopo la desertificazione di un pezzo di mare davanti alla Libia a colpi di decreti sicurezza, si rischia dunque la desertificazione del cielo.

Chiunque abbia partecipato a missioni di Search and Rescue sulle navi delle ong (ieri la tedesca Lifeline ha soccorso un centinaio di migranti a 31 miglia dalla costa libica, sa  quanto sia importante avere due occhi che scrutano dall’alto. È il modo più efficace, talvolta l’unico, per individuare i gommoni e segnalarne tempestivamente la posizione ai soccorritori. Le coordinate sono trasmesse via radio dall’equipaggio di Moobird (un Cirrus Sr22 che vola per la no profit svizzera Humanitarian Pilote Initiative, in collaborazione con la ong tedesca Sea-Watch) e di Colibrì (un Mcr-4S a elica costato 130.000 euro ai francesi di Pilotes Volontaires). Secondo un’inchiesta del Giornale, dal primo gennaio agli inizi di giugno Colibrì e Moonbird hanno accumulato 78 missioni, 54 delle quali partite dallo scalo di Lampedusa. L’aeroporto a loro interdetto.

“Colibrì – sostengono i tecnici dell’Enac – non è un aeromobile certificato secondo standard di sicurezza noti ed è in possesso di un permesso di volo speciale che non gode di un riconoscimento per condurre operazioni su alto mare. È stato inoltre oggetto di modifiche significative di cui non abbiamo tracciabilità. Quelle di Search and Rescue sono operazioni professionali che richiedono un regime autorizzativo, non compatibile con gli aeromobili di costruzione amatoriale”. Moonbird presenta caratteristiche simili a quelle di Colibrì. “Ha chiesto di venire a Lampedusa, siamo in attesa di ricevere documenti e motivazioni”.

Stop alle ong dei cieli, l'Italia blocca gli aerei che avvistano i migranti

 Il velivolo Colibrì di Pilotes Volontaires

Rilievi respinti dalla Sea-Watch, forte di un parere legale di uno studio di esperti di aviazione che smonta l’approccio dell’Enac. “Ci viene da pensare che dietro a queste complicazioni burocratiche – dice Giorgia Linardi, responsabile di Sea-Watch Italia – ci sia la volontà politica di fermare le attività di ricognizione. Evidentemente dà fastidio che gli occhi della società civile siano tanto in mare quanto in aria”.

La desertificazione del cielo, in atto in queste ore, completa un processo già in corso da mesi nel Mediterraneo centrale. Ancora ieri i volontari di Mediterranea a bordo della Mare Jonio hanno potuto raccontare come nelle sole ultime 24 ore, a fronte di almeno sei casi conclamati di gommoni in distress – avaria grave – le autorità competenti, cioè la cosiddetta guardia costiera libica (coordinata come noto dalla Marina italiana), non abbiano emesso nemmeno un allarme Navtext, come invece sarebbe prassi. Una scelta perfettamente coerente con quanto da tempo fanno i comandi militari e i centri di coordinamento europei che non rilanciano le segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà, come sarebbe invece loro dovere fare, ma interloquiscono direttamente ed esclusivamente con le autorità libiche. Una collaborazione – quella tra Ue e forze di Tripoli – che viene comunque sempre smentita, anche perché i respingimenti (di questo si tratterebbe a tutti gli effetti) sono considerati una seria violazione delle norme internazionali.

Non solo. Le autorità di Tripoli sembrerebbero aver attivato attraverso l’utilizzo di droni, una sorta di schermatura magnetica – Mediterranea parla apertamente di “jamming militare” – che manda in tilt le strumentazioni di bordo appena superato il 12° parallelo, quello che segna il confine tra Tunisia e Libia. Una mossa, l’ennesima, per non avere testimoni.

 

 

Fonte:

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/08/26/news/stop_alle_ong_dei_cieli_l_italia_blocca_gli_aerei_che_avvistano_i_migranti-234418481/?fbclid=IwAR0y96dcK3vrChhYYZzfES3lDn2x5JkkQ6B3YMv-REd71Za-Cz9CB2OTP58

L’UNICA ROTTA DELLA OCEAN VIKING E’ QUELLA DELL’UMANITA’ ❤️

Dal profilo Facebook di
6 h · 

L’unica rotta della #OceanViking è quella dell’umanità ❤️
Abbiamo a bordo da 13 giorni 356 sopravvissuti che hanno già sofferto abbastanza. Uomini, donne e bambini che non possono essere lasciati in mezzo al mare.
Chiediamo di poter sbarcare subito in un porto sicuro.
Aiutateci a diffondere in tutti i modi possibili il nostro messaggio: #apriteiporti #apriteicuori❤️

Ringraziamo Mauro Biani pagina per la sua illustrazione.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Ani Montes Mier: la capomissione della Open Arms

Anabel detta Ani Montes Mier è la capomissione di Open Arms e oggi rilascia un’intervista ad Alessandra Ziniti su Repubblica per parlare della situazione della nave di Sea Eye dopo dieci giorni di stallo al largo di Lampedusa. Dopo Pia Klemp e Carola Rackete, le comandanti della Iuventa e della Sea-Watch, tocca alla trentunenne ex bagnina asturiana, un passato di studi di storia e filosofia, da quattro anni ormai a bordo delle navi di Open Arms. La giovane volontaria si è trasformata in una decisa capomissione, una vera donna di mare con i suoi capelli biondi diventati azzurri e le braccia piene di tatuaggi.

Quattro anni fa è salita a bordo per la prima volta da semplice volontaria. E non è più scesa. 
«La mia vita è cambiata per sempre. Significa che non posso, né voglio tornare alla mia vecchia vita. Da quando ho conosciuto la vita reale. ho realizzato tutti i privilegi che ho avuto. È difficile decostruire il tuo mondo, a scuola non te lo insegnano, ma è la cosa migliore che mi sia capitata. Aiutare le persone in stato di necessità è quello che ogni essere umano deve fare. Preferisco invecchiare con la chiara coscienza di aver fatto la cosa giusta. Non importa cosa può accadermi se loro sono in salvo».

À Punt NTC@apuntnoticies

Són imatges de l’, quan fa una setmana des del rescat de les primeres 55 persones migrants al Mediterrani. Demanen a Pedro Sánchez que facilite l’activació del mecanisme de repartiment europeu, que pot permetre el desembarcament a Itàlia o Malta.

📽FONT: @openarms_fund

Video incorporato

À Punt NTC@apuntnoticies

“La política no pot estar per damunt de la humanitat”, ha denunciat Anabel Montes Mier (@Ani_vegan), cap de missió de l’. Fa set dies que 121 persones estan a bord del vaixell, a l’espera de desembarcar en un port segur.

📽FONT: @openarms_fund

Video incorporato
Visualizza altri Tweet di À Punt NTC

In Italia lei e il comandante Marc Reig siete già indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza privata. Sa di rischiare? 
«È troppo facile provare che noi non siamo in contatto con nessun trafficante. È la ragione per cui stiamo ancora lavorando, perché non esiste alcuna prova. Una bugia più volte detta non diventa verità solo perché viene detta».

anabel montes mier

Come Carola, anche i suoi profili social sono presi di mira, con insulti e minacce. 
«Ho cose più importanti da fare che leggere i commenti di persone che scrivono da un posto con una cena, una doccia calda, un letto, di cose di cui non sanno nulla. Non ho tempo da perdere, devo portare a terra questa gente. Aiutateci».

ani montes mier 1

A chi vuole rivolgersi? 
«Tutti sanno quali sono i porti sicuri più vicini, Lampedusa e Malta. Ma io voglio fare un altro tipo di appello: non chiedo solo un porto sicuro dal punto di vista giuridico,ma anche dal punto di vista umano. La solidarietà non muore mai. Io non la lascerò morire».

 

 

Fonte:

https://www.nextquotidiano.it/ani-montes-mier-open-arms/