Fonte:
https://twitter.com/notav_info/status/1288787767028322304/photo/1
Avere una possibilità di sottrarsi alle imposizioni del sistema di vita patriarcale e di creare qualcosa di diverso: una vita piena, vissuta comunitariamente. Questo hanno fatto decine di donne a Jinwar nel Nord Est della Siria, dove, dal novembre 2018, esiste un villaggio di sole donne, costruito con materiali naturali ed ecosostenibili, puntando alla completa autosufficienza, grazie alle energie rinnovabili e alla produzione agricola. Ci sono il forno, l’accademia, la scuola ed ora anche un centro di salute e cura: Şifa Jin, che come Rete Jin e Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) intendiamo sostenere con il crowdfunding “Arte per Jinwar. Sosteniamo l’ecovillaggio delle donne, dove la vita è rivoluzione”. Una campagna di raccolta fondi della durata di sette mesi, supportata con entusiasmo già da una trentina di artist* che hanno donato al progetto opere grafiche, pittoriche e fotografiche e la loro forza creativa.
Jinwar ha vissuto momenti drammatici negli ultimi mesi. Il villaggio ha rischiato di essere evacuato dopo che la Turchia, nell’ottobre del 2019, ha invaso il Nord Est della Siria. Da subito però le abitanti hanno deciso di difendere il proprio progetto e la propria autodeterminazione, nonostante gli attacchi che da più parti sta subendo l’intera regione.
L’invasione della Turchia ha comportato saccheggi (anche in un ospedale, a Serakanye) in una regione in cui l’embargo dura già dal 2012. Nel cantone di Afrin, occupato nel gennaio 2018, tra rapimenti e violenze di mercenari jihadisti ed esercito turco, continua la resistenza guidata dalle donne. L’esercito turco prosegue la sua sporca guerra, incendiando campi agricoli e abitazioni nelle zone di confine, come in prossimità di Til Tamer, bloccando, in piena pandemia, l’acquedotto di Alouk, e privando delle risorse idriche milioni di persone nella provincia di Heseke. L’invasione turca ha inoltre rinvigorito l’ideologia jihadista, favorendo l’aumento di attentati.
In questo scenario, le donne di Jinwar stanno costruendo un’alternativa pratica e concreta. E lo stanno facendo con amore e bellezza, curando la vita giorno per giorno. L’arte, espressione della creatività, non può che affiancare il percorso di questa preziosa comunità. Anche noi, a distanza, speriamo che la bellezza trasmessa dalle persone creative coinvolte nel nostro crowdfunding ne generi altrettanta con un aiuto concreto al villaggio.
Ringraziamo Cisda per il supporto, chi ha messo a disposizione la propria arte e coloro che vorranno sostenere il crowdfunding, visitando la pagina:
Per info: [email protected]
JIN JIYAN AZADI
Rete Jin
Giugno 2020
Fonte:
https://retejin.org/arte-per-jinwar-sosteniamo-lecovillaggio-delle-donne-dove-la-vita-e-rivoluzione/
Questo fiume di esseri umani è la dimostrazione che nelle campagne mancano i diritti, non le braccia. Abbiamo osato scioperare per sfidare la politica del cinismo, per sfidare i ricatti, i soprusi e per dimostrare che a marcire sono i diritti dei lavoratori. Questo è solo l’inizio. #nonsonoinvisibile #fermiamoicarrelli
Oggi noi braccianti lottiamo anche per i piccoli produttori, la filiera corta, i gruppi di acquisto solidale e per tutti quelli che lottano silenziosamente e solitariamente, come noi, contro lo strapotere dei Giganti del cibo. #nonsonoinvisibile #fermiamoicarrelli
Tutti i braccianti di Borgo Mezzanone, di Torretta Antonacci e del resto dell’Italia, un fiume di esseri umani, uniti nella marcia della dignità. “Volevano braccia e sono arrivati uomini”. Se i Diritti sono per pochi diventano privilegi. #nonsonoinvisibile #fermiamoicarrelli
Fonte:
https://www.ondarossa.info/iniziative/2020/04/25-aprile-liberiamoci-padroni-della
LA RESISTENZA CONTINUA
Si avvicina il 25 aprile ma, a causa della grave crisi sanitaria che stiamo affrontando, ci troveremo nella condizione di doverlo festeggiare a distanza.
In questa data così importante per la nostra storia, che qualche sciacall* vorrebbe trasformare in una festa generica per tutt* i/le cadut*, noi non dimentichiamo affatto cosa ha rappresentato il fascismo per l’Italia e per il mondo. Non dimentichiamo il sangue versato da* partigian* affinché fossimo tutt* finalmente liberi dall’oppressione nazi-fascista.
Stiamo attraversando un momento difficile nel quale la crisi si abbatte con ancora più forza sulle fasce deboli della popolazione e in cui l’odio e l’egoismo potrebbero prendere il sopravvento. Le misure statali si stanno dimostrando inefficaci e, dopo decenni di tagli indiscriminati e precarietà diffusa, ci propinano solo decreti fumosi e intempestivi mentre concedono una pericolosa discrezionalità alle forze dell’ordine. Per quanto ci riguarda il responsabile di questo stato delle cose è il capitalismo che crea disuguaglianze.
In questo 25 aprile “quarantenato”, come compagne e compagni del Municipio X, vogliamo promuovere azioni per ricordare la vittoriosa guerra di Liberazione e continuare nell’opera di costruzione di reti di solidarietà dal basso. Infatti, per la costruzione di un domani migliore, sono la libertà e la giustizia sociale che mossero la Resistenza ad indicarci la via: “Andrà tutto bene se nessun* sarà lasciat* indietro”.
Per questo invitiamo tutt* ad utilizzare lo sticker che accompagna questo messaggio, per i profili dei nostri social network. Restiamo uman* e fieramente antifascist*
Avanti Uniti
VERSO IL 25 APRILE
Le limitazioni alla libertà di movimento di questi tempi, a volte davvero incomprensibili e comunque non più sopportabili, ci impediscono di realizzare quanto volevamo fare in questo 25 aprile: volevamo stare insieme, ballare, vedere le immagini che registrano i18 anni di storia del Cartella, 18 anni di occupazione, resistenza, mille cose fatte insieme. Insieme a* moltissim* che sono passati per questo posto, per poco o tanto tempo non importa, ma contribuendo a fare vivere questa esperienza. Che l’hanno supportata, sostenuta. Che l’hanno difesa. Rivedere i volti cari di chi non c’è più. Dobbiamo rimandare. Nell’attesa abbiamo ricevuto questo graditissimo regalo da TELEMULUNI. È un modo di stare insieme anche ai tempi del coronavirus e di tenere a mente che la RESISTENZA non è solo il ricordo rituale di un giorno l’anno.
Grazie a CiccioPunk e a tutt*. Ci rivedremo presto.
Magari il 25 aprile “Bella Ciao” cantiamola in strada, sotto casa, e non dal balcone.
😁E’ poca cosa ma cominciamo a riprenderci lo spazio pubblico!
E chi se lo aspettava un 25 aprile 2020 così! L’avevamo riempito di aspettative, di idee e di iniziative, perché per noi aveva anche il valore aggiunto di essere il diciottesimo anniversario di occupazione del nostro Centro Sociale “Angelina Cartella”. Quante ne ha viste e vissute il Cartella, quante persone sono passate da qui, anche se per poco tempo non importa, hanno comunque lasciato il loro segno, contribuendo ad arricchire e far crescere questa esperienza, facendola arrivare viva fino ad oggi, quell’oggi che ci trova a dover resistere in spazi di socialità sempre più asfittici e ristretti. Quante e quanti non ci sono più. Assenze importanti il cui ricordo risuona ancora tra queste mura più volte bruciate, le loro voci, le loro battute, i loro modi di dire nello stormire delle fronde del nostro parco. Avremmo voluto ricordarli in questo giorno: da Dino Frisullo, a Carletto Macrì, da Angelo Crea “il Bonzo”, a Ciccio Svelo, e come dimenticare Orazio Cartella, Claudio Modafferi “BUBBINGA”, Osvaldo Pieroni, Mimmo Martino, … Nicla! E tante altre persone, tante esistenze che hanno voluto incrociare il nostro percorso e condividere qualcosa.
Avremmo voluto ritrovarci attorno ad un po’ di musica, video e diapositive, un bicchiere di vino, per ricordare le mille iniziative messe in piedi, racconti belli, tristi o incazzati non importa, comunque ricordi delle tante volte che ci siamo dovuti stringere insieme a fronte di un compagno che ci lasciava, ad un attentato, ad una delle tante ingiustizie perpetrate sul nostro territorio o nel mondo, piccole o grandi, contro le quali ci siamo ribellati e abbiamo lottato… e qualche volta anche vinto: il Ponte sullo Stretto, il raddoppio dell’impianto di trattamento rifiuti a Pettogallico o dell’inceneritore di Gioia Tauro, la campagna per l’acqua bene comune, il ripristino degli 11 milioni di euro del Decreto Reggio al settore degli alloggi popolari. Ne abbiamo fatte di battaglie! magari con un po’ di arroganza, magari sbagliando qualcosa, ma ne abbiamo fatte, incrociando tante esistenze e tanti modi di pensare anche molto diversi dal nostro, ma le battaglie si fanno, si vincono o si perdono assieme. Tanti anche i personaggi noti che hanno attraversato il nostro spazio, da Jack Hirshman a Paul Connett, da Alex Zanotelli a Don Ciotti, da Giorgio Cremaschi a Zero Calcare e poi compagne e compagni storici come Marco Bersani, Silvia Baraldini, Renato Curcio, Barbara Balzerani… impossibile ricordare tutte e tutti. Senza dimenticare che la solidarietà internazionale ci ha fatti incontrare con delegazioni palestinesi, saharawi, cubane, curde o persone speciali come Blandine e Paul Sankara.
Sì, ci avrebbe fatto piacere questo 25 aprile 2020 avere tutte e tutti qui, al Cartella, a festeggiare con noi. Vuol dire solo che dovremo rimandare. Perché il CSOA è ancora qui con la voglia di fare ancora molta strada. Perché neanche i domiciliari imposti dall’emergenza coronavirus hanno fermato il nostro lavoro di supporto solidale, di denuncia, di mutualismo conflittuale. Di riflessione critica su un modello di sviluppo neoliberista che fa acqua da tutte le parti e ci ha portati sull’orlo del baratro. Critiche mai lesinate su una narrazione univoca della crisi sanitaria che non ci convince e approssima scenari molto tetri; su un grande fratello, sempre più invasivo e pervasivo, che sottrae sempre più diritti chiedendoci cieca obbedienza.
Altre grandi sfide ci attendono alla riapertura. Vorremmo affrontarle insieme.
ORA E SEMPRE RESISTENZA!
L’assemblea del Centro Sociale Occupato Autogestito “Angelina Cartella”
CARCERE Damiano Aliprandi 13 Apr 2020 21:00
A scatenare la violenza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sarebbe stata la protesta pacifica dei reclusi per i contagi da coronavirus, come confermato dal sindacato di polizia penitenziaria
L’ultima telefonata l’aveva ricevuta nella tarda mattinata del 6 aprile scorso, poi più nulla. Solo dopo alcuni giorni, la moglie di un altro detenuto l’aveva avvisata che suo marito non avrebbe effettuato nessuna chiamata perché non era in condizioni fisiche a causa delle numerose percosse subite. Ma non è un caso isolato. A seguito di una protesta avvenuta al carcere campano di Santa Maria Capua Vetere, ci sarebbero stati presunti pestaggi perpetrati nei confronti dei detenuti e, secondo alcune testimonianze, ne avrebbero fatto le spese anche coloro che non sarebbero stati parte attiva della protesta. Da ricordare che tale protesta (secondo i detenuti sarebbe consistita nelle battiture) è scaturita dalla circostanza che alcuni detenuti erano risultati positivi al covid 19. Ma non solo. La preoccupazione era rivolta al fatto che risultavano assenti le dotazioni di sicurezza anti contagio.
La prima denuncia presentata alla stazione dei carabinieri è stata fatta proprio dalla donna che non ha potuto più sentire telefonicamente suo marito. Alla querela ha allegato tre file audio WhatsApp dove diversi familiari denunciano presunte violenze subite dai detenuti ad opera del personale penitenziario del carcere. Diverse sono le testimonianze. La più emblematica consiste nel fatto che, in maniera singolare, il giorno dopo la rivolta e il presunto pestaggio, diversi detenuti non hanno avuto la possibilità di effettuare le videochiamate. Perché? Secondo i familiari sarebbero state evitate per non far vedere loro i segni delle presunte percosse. Diverse testimonianze coincidono perfettamente e ricostruiscono ciò che sarebbe avvenuto nella sezione coinvolta. Quasi trecento poliziotti a volto coperto e in tenuta antisommossa avrebbero fatto irruzione nel padiglione Nilo, sarebbero entrati nelle celle e avrebbero cominciato i pestaggi. Avrebbero picchiato chiunque, anche chi non ha preso parte alle agitazioni del fine settimana. Tra di loro anche un detenuto che dopo pochi giorni ha finito di scontare la pena.
A raccogliere subito la sua testimonianza è Pietro Ioia, il garante delle persone private della libertà del comune di Napoli. Per corroborare la sua testimonianza ha reso pubbliche le sue foto che mostrano ecchimosi su tutto il corpo, addirittura alla sua schiena sembra che ci sia il segno di uno scarpone. L’uomo ha prima fatto denuncia alla stazione dei carabinieri, ma tramite l’avvocato oggi presenterà un esposto direttamente in Procura. L’ex detenuto che è uscito dal carcere venerdì scorso, raggiunto da Il Dubbio, ammette che hanno inscenato delle proteste per i contagi da coronavirus, ma poi sembrava che tutto fosse stato chiarito. Infatti dopo le proteste è giunto il magistrato di sorveglianza che ha parlato con tutti loro. Hanno potuto raccontare i fatti, smentendo le ricostruzioni trapelate da alcuni sindacati di polizia che parlavano di una violenta rivolta. Ma sarebbe stata la quiete dopo la tempesta.
«Nel pomeriggio circa 300 agenti in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione nelle celle – racconta a Il Dubbio l’ex detenuto -, costringendoci ad uscire, dopo di che ci hanno denudati e colpiti a calci e manganellate». Ma non solo. «Per dimostrare la loro superiorità e durezza – racconta sempre l’ex detenuto – dopo le mazzate hanno preso i nostri rasoi dagli armadietti e ci hanno rasato la barba». L’uomo ha anche confermato che dopo i presunti pestaggi, erano state proibite di fare le videochiamate. Come se non bastasse – prosegue sempre l’ex detenuto – «gli agenti facevano la conta obbligandoci tutti a stare in piedi davanti alle brande e con le mani all’indietro, come se fossimo in una caserma».
Il garante regionale Samuele Ciambriello ha raccolto varie testimonianze, comprese quelle ottenute dall’associazione Antigone, e le ha portate all’attenzione non solo della Procura ma anche della magistratura di sorveglianza.
Fonte:
EMERGENZA CORONAVIRUS Damiano Aliprandi 13 Apr 2020 19:28
Sono oltre duecento gli operatori della Polizia penitenziari affetti da Covid-19 su tutto il territorio nazionale
Aumentano casi Covid 19 nel carcere bolognese de la Dozza. Oggi pomeriggio è pervenuto l’esito dei tamponi, a cui erano stati sottoposti una ventina di detenuti, con esito positivo per dieci di loro.
«Il dato assoluto è di per sé molto preoccupante, ma ciò che più allarma è la media di circa il 50% di positivi sugli ultimi tamponi effettuati», denuncia Gennarino De Fazio, per la Uilpa Polizia Penitenziaria nazionale che ha reso pubblica la notizia del dato relativo alla Casa Circondariale di Bologna.
«Dal carcere di Bologna proveniva il primo detenuto deceduto per Covid – ha aggiunto – e sono attualmente almeno dodici i ristretti ivi affetti da coronavirus, mentre altri ancora sono risultati positivi dopo essere stati trasferiti presso altri istituti. Non sappiamo se le proteste che hanno interessato il penitenziario il 9 e il 10 marzo scorsi possano aver avuto incidenza su quanto sta avvenendo, tuttavia, considerato anche che è passato oltre un mese, a noi pure questo sembra indicativo della sostanziale inefficacia con cui l’emergenza sanitaria viene affrontata dal Ministero della Giustizia e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria».
I focolai nelle carceri oramai non sembrano essere episodici, ma vengono registrati in differenti zone geografiche, da Bologna a Verona a Torino a Voghera, solo per citare alcuni istituti e non considerando i penitenziari dove il numero dei detenuti contagiati rimane relativamente contenuto. Il sindacalista della Uil pol pen sottolinea che sono ben oltre duecento, secondo le sue stime, gli operatori della Polizia penitenziari affetti da coronavirus su tutto il territorio nazionale.
Il carcere di Bologna ha visto un primo detenuto morto per coronavirus, già debilitato da numerose patologie e che si era visto – inizialmente – rigettare l’istanza per incompatibilità ambientale. Un carcere dove gli stessi agenti penitenziari hanno denunciato la mancata protezione individuale e si è scoperto che ci fu un ordine ben preciso – da parte dell’azienda sanitaria – per non indossare le mascherine per non spaventare i detenuti. Nel frattempo il leader sindacale De Fazio denuncia: «Continuiamo a pensare che sia indispensabile una svolta sistemica nella gestione carceraria e che questa non possa realizzarsi sotto l’attuale conduzione, per questo auspichiamo ancora che la responsabilità venga pro-tempore assunta direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri».
Fonte:
https://www.ildubbio.news/2020/04/13/ancora-contagi-carcere-10-nuovi-casi-bologna/
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Il servizio sulle violenze nelle carceri dopo le rivolte andato in onda questa mattina a Buongiorno regione Lombardia
BUONA PASQUA AI DETENUTI
Domani, su Rai tre, alle 7.30 Buongiorno Regione Lombardia trasmetterà un mio servizio con le testimonianze dei parenti dei detenuti che hanno partecipato (o di questo sono stati sommariamente accusati) alle rivolte di inizio marzo.
È un servizio cui tengo moltissimo, perché moltissimo è costato a chi ha accettato di denunciare. Non solo chi – come vedrete – ci ha messo la faccia (Alfonsina e Federica), ma anche chi ha scelto l’anonimato ed è stato costretto a rivivere dei momenti terribili, in cui non sapeva se il proprio marito, il proprio figlio, fossero vivi o morti chissà come nel chiuso di una cella.
Nelle rivolte di inizio marzo sono morti 14 detenuti. Abbiamo scoperto i loro nomi da poco; alcuni erano in attesa di giudizio (quindi innocenti fino a prova contraria), uno sarebbe dovuto uscire dopo due settimane. Si tratta per lo più di stranieri: chissà le loro famiglie – magari lontane, magari no – cosa avranno provato.
Di questa strage si è parlato poco e male. Dando per certo il fatto che questi si fossero strafatti di roba dando l’assalto alle infermerie. Una cosa che ha la stessa verosimiglianza del fatto che io sia un’attivista occulta della Lega nord. Eppure, tutti zitti.
No, non tutti. Per fortuna, ci sono i parenti dei detenuti; e i loro gruppi, in cui si passano le informazioni che lo Stato nega loro, in modo crudele e padronale. E poi le associazioni. Come Associazione Yairaiha Onlus, senza la quale non avrei raccolto alcuna testimonianza.
Il carcere è una realtà ristretta e amplificata al tempo stesso. Le rivolte dei detenuti sono state l’unico segno di lucidità e di vita, in una società che ormai delega a élite ultrarisicate anche la libertà di uscire di casa.
Loro sapevano che avrebbero pagato: eppure si sono ribellati. Eppure, si sono ribellati.
Franco (nome di fantasia), recluso nelle sezioni di alta sicurezza della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, è in attesa di giudizio e non sa ancora se il giudice lo riterrà colpevole o innocente. Si ammala qualche settimana prima di Pasqua. Picchi di febbre e problemi respiratori fanno pensare al peggio. Dopo qualche ora di monitoraggio viene “isolato” in infermeria per verificare l’evoluzione dei sintomi. I familiari riescono ancora a comunicare con lui tramite videochiamate ma hanno l’impressione che le cose stiano prendendo una brutta piega. Hanno paura, come tutti. Riescono a sapere tramite l’associazione Antigone e l’ufficio del garante dei detenuti che la situazione per ora è monitorata, ma si dovranno fare accertamenti specifici per capire il tipo di malessere. Qualche giorno dopo, la direzione sanitaria che opera in carcere avverte la famiglia che Franco è stato sottoposto a tampone da Covid-19 risultando positivo. Nel frattempo, sarebbe stato ricoverato presso la struttura ospedaliera napoletana del Cotugno.
La notizia in breve tempo si diffonde e arriva in carcere, Franco è il primo detenuto ammalato di Covid della regione, la seconda dopo la Lombardia per indici di sovraffollamento carcerario. La tensione sale all’interno dell’istituto. Il corpo detenuto teme il contagio e si sente sguarnito da ogni difesa: cosa si potrebbe fare per evitare di ammalarsi? Il carcere non è un luogo impermeabile: il distanziamento sociale è impraticabile, guanti e mascherine non ci sono e in istituto entrano ed escono moltissime persone. «Il carcere, essendo chiuso e isolato, è il luogo più riparato dal contagio della pandemia», sostiene invece il procuratore Gratteri. A oggi, i contagiati sono circa duecentotrenta (sessanta detenuti e centosettanta poliziotti).
Franco intanto è stato ricoverato. È il weekend che precede la settimana delle feste pasquali. Si avvicina l’orario di chiusura delle celle ma i detenuti di una sezione non vogliono rientrare. Inizia la protesta con una battitura e l’occupazione simbolica della sezione. La polizia penitenziaria denuncia che per impedirle l’accesso in sezione è stato riversato dell’olio bollente. La tensione in questa fase raggiunge facilmente stadi di acuzie e rapidi cali perché nessuno sa in verità come si uscirà dalla vicenda del virus. Chi ha il potere naviga a vista e chi non lo ha spesso sente di affogare.
Le proteste rientrano nel corso della stessa serata di domenica, dopo un primo intervento della penitenziaria. Sembra essere stato uno sfogo caduto nel vuoto. Bisogna che le cose sfumino da sé. Anche gli sforzi di chi in questi giorni sta tentando di stabilire un dialogo con le controparti, offrendo soluzioni per fronteggiare la devastante emergenza, si sgretolano di fronte al muro del Dap e del ministero.
A questo punto la storia cominciata con il contagio di Franco assume contorni inquietanti. Lunedì in carcere arriva la magistratura di sorveglianza e incontra i detenuti per i colloqui. Si constata che gli atti di insubordinazione che si sono verificati non hanno assunto i connotati di una vera rivolta (come quella ai primi di marzo nel carcere di Fuorni, Salerno). Secondo le testimonianze raccolte da Antigone e dall’ufficio del garante, si è verificata invece una fortissima rappresaglia da parte della polizia penitenziaria. Appena la magistratura di sorveglianza ha concluso il suo lavoro (tra le sue competenze c’è quella di monitorare lo stato, le garanzie e i diritti dei reclusi) quasi cento poliziotti a volto coperto e in tenuta antisommossa sono entrati in un padiglione e hanno cominciato i pestaggi all’interno delle “camere di pernottamento”. Probabilmente non sono gli stessi poliziotti in servizio presso l’istituto, anche perché picchiano chiunque, anche chi non ha preso parte alle agitazioni del fine settimana, anche qualche detenuto che dopo pochi giorni potrebbe uscire dal carcere con i segni del martirio sulla carne.
Le violenze si svolgono secondo modelli già visti: ad alcuni detenuti vengono tagliati barba e capelli, vengono spogliati e pestati con manganelli, pugni e calci su tutto il corpo. Il racconto di queste torture non sembra fermarsi, perché alcuni familiari sostengono che i pestaggi continuino anche ora. Nel corso di questa settimana, le famiglie, preoccupate per le violenze, hanno organizzano una manifestazione pacifica nei pressi del carcere. Ma all’interno si respira un’aria gelida e qualche agente continua il gioco al massacro psicologico: «Avete anche il coraggio di far venire le vostre famiglie? Non vi è bastato?».
In questo video un detenuto racconta, attraverso una telefonata, le violenze di questi giorni al carcere di Santa Maria Capua Vetere
Mattanze di questo tipo, in stile scuola Diaz, servono a (ri)stabilire un rapporto di dominio: svuotare il corpo di ogni difesa fisica e mentale, colpire la persona fino a suscitare un sentimento di vergogna verso se stessi. Di fronte al deflagrare di quest’energia cinetica bisogna essere nudi: è il modo migliore per rendere docile un corpo che ha mostrato segni di insubordinazione. In questi giorni sono stati presentati alcuni esposti alla Procura della Repubblica (solo Antigone ne ha già depositai tre, in diversi penitenziari del paese) che dovrà accertare cosa è successo nel carcere casertano.
La tensione nel frattempo, anche quella della polizia penitenziaria, si trasforma di continuo in atti di forza, soprattutto quando non si hanno direttive per fronteggiare la crisi. Il virus viaggia velocemente e la direzione sanitaria cerca di stargli dietro. È tuttavia difficile, perché i detenuti sono tanti e in alcune sezioni sono ammassati in clamoroso sovrannumero. Oggi i contagi nel carcere di Santa Maria sono arrivati a quattro e un intero piano di una sezione è stato isolato.
Se il sistema sta svelando un’altra falla, dopo gli ospedali e le case di cura, è anche vero che esiste una differenza tra il carcere e gli altri ambienti. Nei nosocomi e nelle RSA, finanche in alcune fabbriche (tutto pur di non interrompere le linee di produzione) si stanno predisponendo – dopo centinaia di morti tra pazienti, medici, infermieri e vigili del fuoco – misure di sicurezza per arginare il contagio. Nelle carceri si guarda il sistema implodere senza prendere alcuna decisione. La mattanza di Santa Maria ne è la dimostrazione e poiché il carcere è uno spazio di guerra, la possibilità di usare in ogni momento delle strategie per indebolire o neutralizzare una delle parti è all’ordine del giorno.
“Gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo (Mc 15,16-20)”. Adesso è necessario monitorare le persone che sono ancora recluse, per evitare che il massacro continui. (luigi romano)
Fonte:
Carissimo Salvatore, da tanto non ci sentivamo… C’eravamo persi di vista ognuno con la sua vita, la mia di insegnante di sostegno precaria alle prese con un lavoro che troppe volte mi sembra più grande di me, la tua di grande compagno impegnato da sempre nella lotta contro il carcere. Quello stesso carcere dove hai passato una bella fetta della tua vita. C’eravamo conosciuti anni or sono quando ancora non sapevo che piega avrebbe preso la mia vita. Era la prima volta che mi trovavo da sola fuori dalla mia città natale e avevo cominciato da poco ad acquisire una certa coscienza politica. E sei stato, insieme ai tuoi compagni di lotta, a insegnarmi a essere contro ogni forma di carcerazione. Oggi leggo della tua scomparsa dal profilo Facebook di Paolo Persichetti, tuo fraterno amico e da sempre compagni di lotte, anche lui conosciuto in quel periodo della mia vita. Leggo della tua improvvisa dipartita e mi rammarico di non essere più riuscita a incontrarti di persona dopo quella lontana primavera del 2013, a causa dei nostri diversi impegni. Ma più di tutto rimpiango di non aver ancora letto il tuo ultimo libro che mi mandasti tempo fa per email, chiedendomi di farti sapere cosa ne pensavo. Come sai, avevo letto altri tuoi libri e conoscevo il tuo blog. Spero mi perdonerai per questa mancanza. Cercherò di leggerlo al più presto: lo considero il tuo testamento.
Mi ricordo del tuo sorriso e della tua pacatezza.
Ciao, Salvo, noi che ti abbiamo conosciuto non ti dimenticheremo mai perché chi ha compagni non muore mai!
Un caro saluto a pugno chiuso!
Foto tratta dal profilo Facebook di Paolo Persichetti.
Qui il la copertina e il link del suo blog:
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Domani dalle ore 18:00 alle 21:00
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Torre Faro (Messina)
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Noi pensiamo che un futuro possa ancora esserci, che la via d’uscita all’impoverimento cui siamo stati spinti non stia in infrastrutture che servono a scappare più velocemente possibile dalla nostra terra. Noi vogliamo infrastrutture per restare. Per noi, il territorio non è un intralcio, ma uno spazio da vivere, attraversare, di cui godere. Noi pensiamo ad un grande progetto di sostenibilità. Noi pensiamo ad un territorio che possa ancora essere visitato, non devastato da un turismo mordi e fuggi che mortifica la bellezza dei nostri luoghi e che ci lascia più poveri di prima. Noi pensiamo ad una agricoltura responsabile e difesa dall’aggressività delle multinazionali. Noi pensiamo ad un grande progetto di bonifica dei nostri territori.
Gli altri annunciano manifestazioni. Noi le manifestazioni le facciamo, le abbiamo sempre fatte. In quella del 26 luglio ci saranno i territori che resistono, che vogliono decidere del proprio futuro. Il No Ponte è una lotta che ne contiene tante altre. E’ sempre stato così. Per il 26 luglio chiamiamo a raccolta gli abitanti dei luoghi interessati dall’opera, ma, al tempo stesso, chiediamo a tutti coloro che si battono in difesa del proprio territorio di farlo insieme a noi.
NO AL PONTE SULLO STRETTO
PER LE INFRASTRUTTURE E LA MESSA IN SICUREZZA DEI TERRITORI
CONTRO LE GRANDI OPERE INUTILI E LA DEVASTAZIONE AMBIENTALE
Hanno sottoscritto l’appello e aderito alla Manifestazione:
Movimento No Muos
Coordinamento No discarica Armicci Lentini
NoTriv Licata
Comitato Stop Veleni
Comitato Cittadino Salute e Ambiente – Scicli
Comitato NO FRANE
No Inceneritore del Mela
Associazione cinque-sei Terme Vigliatore
Comitato Nonsisvuotailsud
Puli-AMO Messina
Associazione Cameris
Magazzino di Mutuo Soccorso – Eolie
Fridays For Future Messina
Parliament Watch Italia
Arci Scambio Milazzo
Arci Scirocco
Laboratorio Territoriale
A Sud Sicilia
A Sud Onlus
CDCA – Centro Documentazione Conflitti Ambientali
Unione Degli Studenti – Messina
Cgil Messina
Or.S.A. Messina
Unione Inquilini Messina
Fronte Popolare Autorganizzato- SI Cobas Messina
COBAS lavoro privato – Messina
COBAS – Messina
Fiom-Cgil Messina
FISAC CGIL Messina
Non Una di Meno – Messina
Comitato IL SUD CONTA – Messina
Circolo Peppino Impastato PRC – Messina
CSC Nuvola Rossa
USB Federazione del Sociale – Reggio Calabria
Potere al Popolo Reggio Calabria
Comunità Resistente Piazzetta – CPO Colapesce
Potere al Popolo – Catania
Comitato Il Sud Conta – Catania
Comitato Il Sud Conta – Palermo
Comitato NoMuos Palermo
Potere al Popolo – Palermo
Cobas Palermo
Federazione Usb Palermo
Democrazia e Lavoro – Palermo
Riconquistiamo Tutto! Palermo
Sinistra Comune
Non una di meno – Palermo
Teatro Mediterraneo Occupato
Centro Sociale ExKarcere
Centro Sociale Anomalia
Studenti Autonomi Palermitani
Fajdda – Unione Giovanile Indipendentista
Antudo
La barca a vela Alex di #Mediterranea ha attraccato al porto di Lampedusa con 41 naufraghi a bordo. #SavingHumans
42 migranti soccorsi e l’equipaggio del veliero #Alex sono allo stremo delle forze. Richiediamo lo sbarco
L’imbarcazione #ALEX è stata trasferita al Molo Favaloro di #Lampedusa per consentire rifornimenti acqua a bordo e approdo traghetto turistico.
#ALEX è da più due ore ormeggiata al molo Commerciale di #Lampedusa: incredibilmente non sono state ancora attivate le procedure di sbarco. La gente a bordo sta male. Qualcuno da Roma intende gestire un #sequestrodipersona? #fateliscendere
Il veliero Alex approda a Lampedusa: il pianto liberatorio di un migrante
Gentile ministro Salvini, lei può rivendicare sanzioni contro chi infrange leggi, ma mi permetta fantozzianamente di rilevare con il massimo rispeto che impedire lo sbarco di 45 passeggeri di una barca di diciotto metri è un’assurdità. Lei sta perdendo la testa #conosservanza
Mediterranea Saving Humans ha ritwittato Mauro Biani
Mediterranea Saving Humans ha aggiunto,
Naufraghi ed equipaggio sono stremati. Le 41 persone salvate hanno bisogno di essere soccorse e curate. Stiamo vivendo una situazione surreale ed è un’inutile crudeltà prolungare l’attesa. #Fateliscendere, subito.
Alex #Mediterranea è entrata in porto per stato di necessità. Ora i naufraghi soccorsi vengano fatti sbarcare subito e curati. #fateliscendere
Alessandra Sciurba da Lampedusa: “Non avevamo altra scelta. Siamo stremati ma felici di aver portato in salvo queste persone”. #Mediterranea
++ @RescueMed attracca a Lampedusa senza ostacoli ++ @ila_solaini@Avvenire_Neihttps://www.avvenire.it/attualita/pagine/alan-kurdi-verso-lampedusa …
La Alex #Mediterranea ha attraccato nel porto a #Lampedusa
Fonte:
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