MANIFESTAZIONE A REGGIO CALABRIA PER SOUMAILA SACHO

foto di USB Federazione provinciale di Reggio Calabria.

23 giugno a Reggio Calabria per Soumaila Sacko!

  • sabato dalle ore 10:00 alle ore 13:00
  • Piazza Giuseppe De Nava, 89125 Reggio di Calabria RC, Italia

  • Organizzato da USB Federazione provinciale di Reggio Calabria

APPELLO

Verità e Giustizia per Soumaila Sacko

Tutti/tutte a Reggio Calabria Sabato 23 giugno per proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti

Vogliamo Verità e Giustizia: chiediamo insieme ai familiari che sia fatta piena luce sull’assassinio di Soumaila Sacko, bracciante e militante sindacale USB, come abbiamo chiesto quando abbiamo rifiutato senza indugio la notizia della reazione a un furto.

Vogliamo proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica: insieme ai lavoratori ed alle lavoratrici di qualsiasi provenienza geografica, alle associazioni e movimenti per la giustizia sociale e la solidarietà, ai disoccupati e precari, agli studenti, alle famiglie e alle persone che già in tutta Italia si sono mobilitate dopo questo tragico delitto, proseguiamo la lotta che stavamo conducendo assieme al nostro compagno e fratello Soumaila Sacko.

Vogliamo diritti e dignità per i lavoratori e le lavoratrici di tutta la filiera agricola: vogliamo e dobbiamo onorare la memoria di Soumaila, e come ci hanno chiesto di fare anche i suoi familiari,
rilanciamo la lotta dei dannati e delle dannate della terra, di chi si spezza la schiena per pochi euro al giorno e ha deciso di non chinare più la testa contro le prepotenze, i caporali e lo sfruttamento. Di chi lavora senza alcuna sicurezza, costretto ad accettarne qualsivoglia conseguenza.

Vogliamo diritti sociali per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne: viviamo spesso una condizione assimilabile alla schiavitù ed in condizioni di segregazione sociale, in non luoghi dove si produce l’annullamento delle persone che lo abitano e la privazione dei fondamentali diritti umani. Spesso non abbiamo elettricità, acqua e riscaldamento. Non abbiamo una casa, ma solo rifugi di fortuna. Siamo esclusi dalle società, siamo non-umani che vivono in non-luoghi. Siamo invisibili, salvo ridiventare visibili quando torniamo a lavorare nei campi e veniamo sfruttati e sfruttate. Rivendichiamo l’urgenza di un inserimento abitativo dignitoso.

Vogliamo la bonifica dell’area dell’Ex-Fornace “TRANQUILLA” riportata agli onori della cronaca dopo i fatti del 2 giugno 2018, considerata la discarica dei veleni più pericolosa d’Europa a
causa dell’interramento di 130mila tonnellate di rifiuti industriali tossici. Il processo si sta per chiudere con un nulla di fatto, mentre la gente del circondario continua ad ammalarsi e a morire di cancro. Lo chiediamo insieme agli abitanti delle comunità locali che spesso vengono ingannate da campagne strumentali e razziste mentre vivono sulla propria pelle le conseguenza della crisi economica e sociale.

Vogliamo sicurezza per le lavoratrici delle campagne: esse vivono doppiamente lo sfruttamento e la vulnerabilità sulla propria pelle in quanto lavoratrici braccianti e in quanto donne. Esattamente come
accadeva nel bracciantato della seconda parte dell’Ottocento negli USA nei confronti delle donne nere schiavizzate.
Non vogliamo la guerra tra poveri: rifiutiamo la guerra tra poveri che ci vorrebbe contrapposti ai cittadini e alle cittadine del comprensorio, agli italiani e alle italiane, agli abitanti e alle abitanti della Piana di Gioia Tauro. Rifiutiamo la contrapposizione non solo nel mondo dell’agricoltura ma anche, ad esempio, dei 400 licenziati del porto di Gioia Tauro. Siamo consapevoli che i nostri problemi non sono generati dall’altro, dal diverso, ma dalle politiche attuate dai diversi Governi, che ci vogliono contrapposti per distogliere la nostra attenzione dal vero nemico, da ciò che ci ha impoverito, resi privi di diritti e diseguali. Siamo esseri umani non sudditi e (R)Esistiamo.

Mandiamo un abbraccio ai nostri fratelli che lavorano nella logistica che il 23 giugno marceranno a Piacenza. A fianco dei compagni di Abd Elsalam, ucciso perché difendeva i diritti dei
suoi compagni contro i soprusi delle multinazionali della logistica. La lotta di noi sfruttati non ha confini, insieme diventiamo imbattibili.

Vogliamo manifestare con gli abitanti della Piana di Gioia Tauro e della Calabria tutta, che non ci stanno a essere etichettati come razzisti e che quotidianamente sono impegnati nel promuovere la
cultura del rispetto delle diversità, ma che ancora una volta vengono cancellati nella rappresentazione mediatica di un territorio che non corrisponde alla realtà.

Invitiamo tutti e tutte alla manifestazione di Sabato 23 giugno 2018 dalle ore 10.00 con partenza da Piazza De Nava (Reggio Calabria): per Soumaila Sacko e per proseguire la marcia per i
diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti e di tutti i lavoratori della terra.

#SoumailaSacko#Primaglisfruttati#Restiamoumani

Per adesione: [email protected]

USB (Unione Sindacale di Base) – Coordinamento Lavoratori agricoli USB – Associazione maliana di solidarietà – Potere al Popolo – Sinistra Anticapitalista – Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea – Partito Comunista Calabria – Fronte della Gioventù Comunista Calabria – Coalizione Internazionale Sans-Papiers Migranti e Rifugiati (Italia) – Movimento Migranti e Rifugiati – Associazione Ivoriani e West Africa – FuoriMercato Autogestione in Movimento – Associazione Rurale Italiana (ARI), membro del Coordinamento Europeo Via Campesina (ECVC) – Mimmo Lucano, Sindaco di Riace – Campagna LasciateCIEntrare – ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa) – Rete dei Comuni Solidali – Il Sud che sogna – Società dei territorialisti – Rete Restiamo Umani – Osservatorio sul disagio abitativo – SOS Rosarno – CoSMi (Comitato Solidarietà Migranti) – c.s.c. Nuvola Rossa – EquoSud – Ass. Yairaiha – Ass. Il Brigante Serra San Bruno – Ass. La Kasbah Cosenza – Ass. Magnolia – Ass. Ponti Pialesi – Ass. Un mondo di mondi – c.s.o.a Angelina Cartella – Spazio Autogestito Sparrow Cosenza – Sportello Sociale Autogestito Lamezia Terme – Comitato Piazza Piccola Cosenza – Comitato PrendoCasa Cosenza – CPOA Rialzo Cosenza – RASPA (Rete delle associazioni Sibaritide-Pollino per l’autotutela) – Comitato Verità Democrazia e Partecipazione Crotone – Rete Antirazzista Catanese – Arci provinciale Reggio Calabria – Arci provinciale Crotone – Circolo Arci “Il Barrio” – Circolo Arci “Gli spalatori di nuvole” – Circolo ARCI “Culture in… Movimento” – Legambiente Reggio Calabria – Collettiva AutonoMia – Non una di meno Reggio Calabria – Mani e Terra SCS Onlus – Cooperativa Agorà Kroton – Società Cooperativa Sankara – ReggioNonTace – Ciavula.it – Cobas telecomunicazioni Cosenza – Associazione dei Comuni della Locride – Francesca Danese, già Assessora alle Politiche Sociali, Salute, Casa ed Emergenza Abitativa del Comune di Roma – Circolo del Cinema “Cesare Zavattini” Reggio Calabria – Eleonora Forenza, Eurodeputata GUE/NGL – Progetto Diritti onlus – Transform Italia – Francesco Piobbichi, operatore sociale – Associazione “Il Viandante” – Collettivo studentesco Catanzaro – Gruppo Scuola Hospital(ity) School – Collettivo Mamadou Bolzano – Baobab Experience – A buon diritto

Fonte:

I RIFIUTI TOSSICI INTERRATI E AFFONDATI IN CALABRIA

Originariamente pubblicato sul n. 1 – anno 1 del periodico di informazione giuridica Diritto21, a diffusione interna al dipartimento DiGiEC dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Di Giuseppe Chiodo:

 

I nuovi M(u)ostri che minacciano il Sud

Parte II: i rifiuti tossici interrati e affondati in Calabria

 

Le viscere della Calabria sono da tempo il cimitero di quantità sterminate di rifiuti tossici e radioattivi? Questo l’allarmante interrogativo che sembrerebbe emergere dal blocco di documenti recentemente declassificati dal Governo, su pressante richiesta dell’associazione ambientalista Greenpeace. Decine di dossier dei servizi segreti e verbali di audizioni di alcune commissioni parlamentari d’inchiesta, a fronte degli oltre 3000 ancora soccombenti alla “ragion di Stato”, sono dunque a disposizione dei cittadini. E descrivono un quadro inquietante.
Terra e mare sarebbero state infatti utilizzate come oscuri “pozzi” nei quali gettare, senza preoccuparsi delle conseguenze sanitarie, ambientali e penali, rifiuti di non meglio identificata natura, da parte di un’organizzazione senza scrupoli avente come terminale le cosche della ‘ndrangheta operanti sui singoli territori, sotto la “direzione”, forse, di apparati deviati dello Stato.
Il documento n. 488/03, facente parte del “patrimonio conoscitivo” della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (della XVI legislatura), è probabilmente il più esaustivo e preoccupante. In questo stralcio di appunto originato dall’AISI (l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) molte pagine sono dedicate alla vicenda delle cd. “navi a perdere” e alle dichiarazioni del controverso collaboratore di giustizia Francesco Fonti, il quale “[…] ha riferito del coinvolgimento della ‘ndrangheta nel traffico internazionale di scorie nucleari, realizzato attraverso […] l’affondamento pilotato di una serie di motonavi (circa una trentina) all’interno delle quali erano stivati rifiuti pericolosi”. Oltre al più noto caso del “Cunsky”, il cui relitto sarebbe stato identificato al largo di Cetraro (salvo poi rivelarsi invece quello di una nave passeggeri colata a picco nel 1917), l’ex malavitoso si sarebbe addossato la responsabilità dell’affondamento di almeno altri due natanti, di cui uno, il “Voriais Sporadais”, sarebbe stato inabissato al largo di Melito Porto Salvo. Con dentro 75 bidoni di sostanze tossiche.
Anche gli impervi territori della Calabria sarebbero stati oggetto di costanti sversamenti. Africo, Serrata, la zona aspromontana, le Serre e il vibonese sono alcune delle località ricorrenti nel dossier, zeppe di rifiuti tossici e radioattivi provenienti da depositi del Nord e Centro Italia, di scorie tossiche e radioattive arrivate dalla Germania, di non meglio identificate sostanze pericolose trasportate fin qui dall’Est Europeo. Dati che farebbero il paio, ad esempio, con alcune informative dei Carabinieri agli atti dell’inchiesta “Saggezza”, contenenti la trascrizione di intercettazioni in cui due presunti appartenenti all’organizzazione massonico – ‘ndranghetistica oggetto d’indagine confessano che “Ne hanno sotterrati di questi cosi tossici qui nella montagna, che glieli hanno portati i <<pianoti>>, che lì a Gioia Tauro dice che stanno scoppiando che Dio ce ne liberi”; nella cittadina da cui prende il nome la Piana, infatti, sempre secondo i soggetti inconsapevolmente ascoltati dalle forze dell’ordine, “dicono che a ogni albero di ulivo c’è un bidone”.
Ad occuparsi della verifica della fondatezza di queste copiose notizie di reato, tra gli altri, ci pensò all’epoca dei fatti (che le note dei servizi fanno risalire ai primissimi anni ’90) il dott. Francesco Neri, sostituto procuratore a Palmi; lo stesso magistrato che dispose il coraggioso sequestro dell’area che in quel medesimo periodo veniva deturpata per la costruzione del porto di Gioia Tauro, e l’iscrizione nel registro delle notizie di reato di ben tredici differenti ipotesi che coinvolgevano il Consiglio di Amministrazione dell’Enel, principale investitore: dalla violazione delle norme urbanistiche e dell’ambiente, alla turbativa d’asta e delle norme sugli appalti. Inchieste, entrambe, poi risoltesi in un nulla di fatto. Così l’epilogo è forse lo stesso del profetico libro sull’argomento dei giornalisti Giuseppe Baldessarro e Manuela Iatì, “Avvelenati”: “Un mare di <<ho sentito dire>>, <<ho saputo>>, <<ho notizia>>. Dal caso Alpi al traffico di armi, dalle scorie alle banche svizzere, dalla ‘ndrangheta ai servizi segreti. Mai una verità coincidente con un’altra, mai una prova vera. Solo tanti interrogativi sparsi su poche certezze. E tutti restiamo avvelenati”. Ma il procuratore Cafiero de Raho è già al lavoro per cambiarlo.

Il triangolo chimico delle Bermuda

30 luglio 2014 – 16:13

bermuda

Alcuni anni fa la BBC, volendo dimostrare che le teorie sul Triangolo delle Bermuda sono una leggenda metropolitana, ha cominciato a raccogliere i dati sulle sparizioni di navi nelle zone marittime di diverse parti del mondo.

La conclusione è stata che ci sono decine di siti con livelli molto più elevati di incidenti nautici.

Un’indagine più attenta avrebbe mostrato che il triangolo più “misterioso” non è quello in Florida, ma nel tratto di mare tra l’Italia, la Grecia e le coste dell’Africa.

Questo è il “Triangolo Mediterraneo delle Bermuda”, dove la ‘ndrangheta calabrese per decenni avrebbe affondato navi che trasportavano rifiuti tossici e radioattivi.

Anche se meno noto al grande pubblico, rispetto a “Cosa Nostra” siciliana e alla “Camorra” napoletana, la ‘ndrangheta calabrese era il più forte sindacato del crimine nell’Italia degli anni ’90.

Con un fatturato superiore a quello della FIAT, la ‘ndrangheta è sospettata della “scomparsa” di almeno 30 navi con rifiuti tossici che altrimenti dovevano essere smaltiti con costosi processi, e che saranno un pericolo per l’ambiente.

Non è esagerato pensare che queste azioni illegali hanno avuto anche un ruolo geopolitico in un’area che si estende dalla costa Italiana del Mediterraneo al Corno d’Africa.

L’esempio più eclatante è stata la Somalia. Gli sforzi dei pescatori locali per evitare l’affondamento di sostanze tossiche nei pressi delle loro coste, con la creazione di gruppi di autodifesa armata, a poco a poco hanno portato al fenomeno della pirateria.

Il circolo vizioso è evidente: la Somalia, è rimasto nel caos dopo l’intervento americano nel 1993, è diventata facile preda delle mafie italiane, generando in risposta il fenomeno della pirateria e quindi nuovi interventi e bombardamenti americani con il pretesto di trattare … la pirateria.

Nelle ultime settimane, però, il “Triangolo Mediterraneo delle Bermuda” è tornato di attualità. Questa volta non per inghiottire vecchie e rugginose imbarcazioni della mafia italiana, ma per la presenza di navi più moderne della Marina degli Stati Uniti e di altri paesi che accompagnano la famosa «Cape Ray», che porta a bordo tonnellate di Armi Chimiche Siriane.

Essi sono “criminali in segreto”, ha detto il Prof. Pissias, leader dell’organizzazione “Free Mediterraneo”, partecipando alla manifestazione contro l’idrolisi.

Giovedi 24 Luglio in una conferenza stampa congiunta a organizzazioni e istituzioni coinvolte nella protesta in mare a Chania, il Prof. Pissias ha parlato di “governi tossici” e “regimi tossici”, e collega il caso con il dramma costante dei Palestinesi a Gaza.

Non è un caso che l’iniziativa “Free Mediterraneo” partecipa con la leggendaria imbarcazione “Agios Nikolaos” che forzò per la prima volta, nel 2008, l’assedio israeliano di Gaza.

E’ ironico constatare che la Cape Ray ha ricevuto il carico tossico nel porto di Gioia Tauro (l’antica Metauros), porto di cui si sono servite le organizzazioni criminali italiane per allestire le navi tossiche che oggi giacciono nel fondo del Mediterraneo

Questa volta, tuttavia, non saranno i rifiuti tossici che porteranno sviluppi geopolitici, come nel caso della Somalia, ma gli sviluppi geopolitici che ripristineranno lo stato di tossico al Mediterraneo.

E mentre i responsabili dell’Idrolisi continuano a ripetere che non vi è alcun rischio, le condizioni di assoluta segretezza imposte sin dall’inizio sembrano simili alla omertà delle mafie italiane, nonostante siano coordinate da organismi internazionali e supervisionate dalle Nazioni Unite.

Anche se non ci saranno incidenti, il processo sperimentale di Idrolisi è solo il primo passo alla riconversione del Mediterraneo in discarica.

fonte : www.efsyn.gr/?p=220521

[ndr] per approfondire il contenuto del post si consiglia la lettura delle informazioni redatte e gestite da Legambiente sul sito : www.navideiveleni.it

 

Tratto da http://www.sosmediterraneo.org/triangolo-chimico-bermuda/

RIFIUTI RADIOATTIVI A MOTTA SAN GIOVANNI?

 

Alla luce delle recenti e gravissime notizie di cronaca per cui, da atti desecretati a firma dei servizi segreti italiani SISME e SISDE, sembrerebbe certa la presenza di rifiuti tossici e/o radiottivi sul territorio del Comune di Motta San Giovanni, mi ritrovo costretto a ricordare che in data 10 dicembre 2010 inviavo una segnalazione al Sindaco del Comune Motta San Giovanni, ad altre istituzioni e agli Organi d’informazione manifestando le mie forti perplessità sulla possibile riapertura della discarica comunale di RSU di Comunia. In tale occasione, tra l’altro scrivevo” Un inquietante interrogativo da oltre un decennio assilla lo scrivente. Siamo sicuri che presso le discariche di Motta San Giovanni Don Candeloro e di Lazzaro Comunia non siano stati nel tempo e ancora oggi, scaricati rifiuti radioattivi e ospedalieri?” Visto che nessuna iniziativa, salvo diversa dimostrazione, sembra sia stata intrapresa per dissipare in maniera definitiva e certamente sicura tale dubbio, ed in considerazione che chi ci amministra continua a non riservare l’interesse che si dovrebbe alle criticità ambientali che insistono sul territorio di Motta SG, tenuto conto che l’ARPACAL ha programmato delle aree sensibili nel territorio calabrese da sottoporre a screening aereo, lo scorso 7 aprile chiedevo al Direttore Generale dell’ARPACAL di Catanzaro dott.ssa Sabrina Sant’Agati e ad altre istituzioni di voler inserire nelle aree selezionate, qualora non risultasse in programma, le aree sensibili del Territorio di Motta San Giovanni interessando anche le aree ove insistono la discarica comunale di RSU, dismessa nel 2003 l’attiguo impianto di compostaggio, la vicina cava ove sono stati interrati oltre 100 mila tonnellate di rifiuti pericolosi della centrale elettrica di Brindisi, e l’area di Motta San Giovanni località Cambarere ove insiste la discarica comunale di RSU di Don Candeloro, dismessa. In merito a quest’ultima evidenziavo l’opportunità di tali controlli poiché la Guardia di Finanza di Reggio Calabria avrebbe nel mese di febbraio 1998 svolto degli accertamenti scaturiti da una segnalazione concernente lo scarico di materiale radioattivo e rifiuti ospedalieri, sicuramente eseguiti senza l’ausilio di strumenti idonei a rilevare la presenza del materiale segnalato. Sarebbe opportuno estendere i controlli nelle aree a monte dell’abitato di Motta San Giovanni comprese le località Sarto e Sant’Antonio.
Insisto nel ripetere che la salute della popolazione non viene tutelata come si dovrebbe. Chiediamo che la popolazione venga informata sull’attività svolta dall’Amministrazione comunale e soprattutto che venga informata in dettaglio in merito ai sondaggi recentemente effettuate presso la discarica comunale di Comunia e le aree circostanti, in particolare quali e quanti punti siano stati sondati, quali analisi siano state effettuate, quali siano stati i risultati in dettaglio e se siano stati effettuati adeguati controlli per eventuale presenza di radioattività con adeguati strumenti. Una così grave situazione, certificata dai suddetti documenti precedentemente coperti dal segreto di Stato, richiederebbe interventi urgenti, efficaci e straordinari: mi spingo persino a richiedere, se necessario, l’intervento dell’esercito con i suoi reparti specializzati, al fine di monitorare ed eventualmente bonificare l’intero territorio comunale.
Purtroppo alla luce di tutto ciò appare ancora più grave la mancata attivazione del “registro regionale delle patologie tumorali”. L’amministrazione comunale dovrebbe pensare maggiormente a tutelare la salute dei cittadini per farli vivere in un ambiente certamente salubre, invece di cercare continuamente di dissuadere lo scrivente dall’azione svolta a tutela dell’ambiente. E’ sconcertante che di fronte alle mie documentate segnalazioni, certificate non solo dai funzionari dello Stato ma anche dalla stessa amministrazione comunale, la Giunta abbia dato mandato al Sindaco di tutelare l’immagine e la reputazione dell’amministrazione comunale (a loro dire i miei comportamenti procurerebbero artatamente pericolosi, oltre che assolutamente ingiustificati e ingiustificabili allarmismi e stati di preoccupazione nella popolazione). Se a seguito delle mie segnalazioni documentate e documentabili sono stati tra l’altro eseguiti dei sequestri e rimosse alcune situazioni di pericolo per la salute e l’incolumità pubblica, se la stessa amministrazione comunale certifica la veridicità di quanto da me segnalato non si comprende quali danni avrebbero arrecato le mie segnalazioni. L’Amministrazione comunale dovrebbe invece attivarsi ad utilizzare correttamente il denaro dei cittadini, bonificando, tra l’altro, le discariche disseminate sul territorio mottese ed evitare di affrontare inutili vertenze giudiziarie che già sicuramente hanno comportato un notevole esborso di risorse pubbliche.
Vincenzo CREA
Referente unico dell’ANCADIC Onlus
e Responsabile del Comitato spontaneo “Torrente Oliveto”

 

Fonte:

http://www.zoomsud.it/index.php/flash-news/69113-rc-la-denuncia-di-vincenzo-crea-rifiuti-radioattivi-a-motta-san-giovanni.html

 

Chernobyl

Tratto da “Gaia – Il Pianeta che vive” di Mario Tozzi, 2005.La notte del 25 Aprile 1986 esplose il reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina, al confine con la Bielorussia. L’esplosione avvenne in seguito a gravi errori di valutazione, in seguito ad una esercitazione di simulazione di un incidente.Il video mostra le fasi dell’incidente, la diffusione della nube tossica nell’intero pianeta, l’evacuazione di intere città e gli effetti terribili delle radiazioni sui primi soccorritori e sui soldati che costruirono il “sarcofago”. Le crude immagini di repertorio ci danno un’idea della tragedia che si è consumata, i cui effetti sono visibili ancora oggi. Un vasto territorio è ancora totalmente contaminato e c’è un incremento esponenziale di tumori e leucemie nelle popolazioni limitrofe. Attualmente i più colpiti sono i bambini.

Il filmato si conclude con gli ancora insoluti interrogativi circa l’uso dell’energia nucleare, primo fra tutti il problema delle scorie, che nessuno è mai riuscito a risolvere

Caso Alpi, via il segreto dopo vent’anni

Aggiornamento.Qui il video della trasmissione di Rai 3 per celebrare il ventesimo anniversario dell’omicidio di Ilaria Alpi:
*

Di

 

Caso Alpi-Hrovatin. Il governo annuncia l’operazione trasparenza. La procura pronta ad acquisire dalla Camera i documenti utili all’inchiesta. Articolo21: «È la vittoria delle 70mila firme»

 

Miran Hrovatin e Ilaria Alpi in Somalia

 

 

Vent’anni di misteri, depi­staggi, falsi testi­moni e inchie­ste finite nel nulla. E una pila di docu­menti segreti, tenuti sotto chiave per tutti que­sti anni negli archivi della Camera dei depu­tati per deci­sione dei ser­vizi segreti civili e mili­tari. Ieri il governo, nel giorno dell’anniversario dell’agguato di Moga­di­scio del 20 marzo ‘94, ha annun­ciato l’apertura degli archivi riser­vati dei ser­vizi sul caso di Ila­ria Alpi e Miran Hro­va­tin, la gior­na­li­sta e l’operatore del Tg3 assas­si­nati in Soma­lia men­tre erano sulle tracce dei traf­fici di armi e rifiuti tos­sici tra le pie­ghe della coo­pe­ra­zione italiana.

 

La deci­sione del governo è arri­vata in rispo­sta a una let­tera di inter­pello della pre­si­dente della Camera Laura Bol­drini, che ha rece­pito la richie­sta di Green­peace e una peti­zione lan­ciata da Arti­colo 21 che ha rag­giunto in pochi giorni 70mila firme: «Abbiamo avviato la pro­ce­dura di dese­cre­ta­zione degli atti sul caso Ila­ria Alpi. Il governo è for­te­mente impe­gnato su que­sto fronte — ha spie­gato alla Camera il sot­to­se­gre­ta­rio ai rap­porti con il Par­la­mento Sesa Amici — e vent’anni sono un tempo suf­fi­ciente per man­te­nere la sicu­rezza nazionale».

 

Sono carte che potreb­bero impri­mere una svolta alla ricerca della verità sui man­danti, sul con­te­sto dell’agguato, sui tanti depi­staggi che hanno impe­dito fino a ora il rag­giun­gi­mento della verità. Sull’omicidio di Ila­ria Alpi è ancora aperto un fasci­colo presso la pro­cura di Roma, affi­dato al pm Eli­sa­betta Penic­cola. Ieri alla noti­zia della pros­sima aper­tura degli archivi segreti il pro­cu­ra­tore di Roma, Giu­seppe Pigna­tone, ha dichia­rato di voler acqui­sire gli atti utili all’inchiesta.

 

L’unico con­dan­nato per l’esecuzione di Ila­ria e Miran, il somalo Omar Hashi Has­san, è dete­nuto da dodici anni sulla base di un testi­mone che avrebbe dichia­rato di aver inven­tato tutto, d’accordo con le auto­rità italiane.

 

Alla comu­ni­ca­zione del sot­to­se­gre­ta­rio Amici ha subito rispo­sto entu­sia­sta Laura Bol­drini: «È un segnale impor­tante con­tro il muro di silen­zio». Anche se nelle scorse set­ti­mane non erano man­cati dubbi e per­ples­sità sull’operazione di dese­cre­ta­zione dei fasci­coli sul traf­fico inter­na­zio­nale di rifiuti e sulle «navi a per­dere» — pra­tica che com­pren­deva anche gli atti segreti rela­tivi al caso Alpi — avviata dall’ufficio di pre­si­denza di Mon­te­ci­to­rio. La richie­sta di aper­tura degli archivi era arri­vata da Green­peace nel dicem­bre 2013, e dopo una prima rispo­sta posi­tiva di Bol­drini la noti­zia — sol­le­vata dal mani­fe­sto — di una rimo­zione sol­tanto par­ziale del segreto dai dos­sier riser­vati (solo 152 su diverse migliaia acqui­siti negli anni dalle com­mis­sioni par­la­men­tari d’inchiesta) aveva fatto sor­gere la neces­sità di una domanda di dese­cre­ta­zione «allargata».

 

Un’esigenza di verità cui ha cer­cato di rispon­dere la peti­zione lan­ciata da Arti­colo 21 pro­mossa da Ste­fano Cor­ra­dino e Beppe Giu­lietti, anche per­ché nel frat­tempo fonti di Mon­te­ci­to­rio ave­vano rive­lato al mani­fe­sto che i ser­vizi segreti mili­tari, nella pri­ma­vera scorsa, hanno negato l’autorizzazione all’apertura dei dos­sier riser­vati sui rifiuti e sulla Soma­lia a un uffi­cio di Montecitorio.

 

Non è ancora noto quanti e quali docu­menti ver­ranno avviati alla dese­cre­ta­zione: i dos­sier dei ser­vizi sul caso Alpi-Hrovatin sono 1.500 (ma il gene­rale Ser­gio Sira­cusa, ex diret­tore del Sismi, ne aveva mostrati circa 8mila alla com­mis­sione pre­sie­duta da Carlo Taor­mina), cui vanno aggiunti 750 docu­menti dell’ultima com­mis­sione sui rifiuti e le migliaia di atti acqui­siti dalle com­mis­sioni eco­ma­fia dalla XII alla XV legi­sla­tura. «È il miglior modo di ono­rare, più che la memo­ria, il lavoro di Ila­ria», ha com­men­tato in serata la mini­stra degli Esteri Fede­rica Moghe­rini. Entu­sia­sti anche tutti i sog­getti che nei giorni scorsi ave­vano ade­rito alla peti­zione di Arti­colo 21, dal segre­ta­rio della Fnsi Franco Siddi («è una svolta straor­di­na­ria che apre final­mente una brec­cia per verità e giu­sti­zia») all’associazione Ila­ria Alpi, agli stessi pro­mo­tori: «Segui­remo passo passo — assi­cu­rano Cor­ra­dino e Giu­lietti di Arti­colo 21 — l’iter e le rispo­ste che saranno for­nite da chi aveva appo­sto il segreto. Que­sto risul­tato è anche il frutto delle 70 mila per­sone che hanno chie­sto di met­tere fine al regime dei segreti e della clandestinità».

 

Ora la palla passa al governo e ai ser­vizi segreti — Aise e Aisi, ex Sismi e Sisde — gli stessi ser­vizi che solo nel mag­gio scorso ave­vano negato l’apertura degli archivi. Ma i ser­vizi di sicu­rezza sono con­trol­lati dalla pre­si­denza del Con­si­glio e dal governo, che sem­bra aver espresso una volontà poli­tica chiara. Non è pos­si­bile pre­ve­dere se gli atti declas­si­fi­cati daranno un impulso nuovo all’inchiesta sulla morte di Ila­ria e Miran. La madre di Ila­ria, Luciana Alpi, dopo un lungo periodo di disil­lu­sione ha detto di aver ritro­vato la spe­ranza. Dopo vent’anni di oblio, inqui­na­menti e omissioni.

 

* Toxi­cLeaks

 

Fonte:

http://ilmanifesto.it/archivi-via-il-segreto-dopo-ventanni/

 

 

Leggi anche qui:

http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=99943&typeb=0&Ilaria-e-Miran-dovevano-morire-in-nome-dello-Stato

E qui:
http://ilmanifesto.it/bazar-somalia-ventanni-dopo-ilaria-alpi/

 

 

 

Caso Alpi: Articolo21, raggiunte 50mila firme su Change.org per chiedere “verità e giustizia”

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“La petizione lanciata da Articolo21 su Change.org per chiedere alla Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, che vengano resi pubblici documenti ancora segreti ha appena raggiunto oltre 50.000 adesioni”. A comunicarlo in una nota Stefano Corradino e Giuseppe Giulietti, direttore e portavoce di Articolo21 e promotori della raccolta di firme.

“A 48 ore dal triste anniversario dell’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ci auguriamo che la voce di oltre 50.000 persone che chiedono che venga tolto il segreto all’inchiesta possa essere ascoltata e accolta dalle istituzioni”, dichiara Stefano Corradino. La petizione (link: www.change.org/ilariaalpi) ha raccolto 50.000 firme in meno di otto giorni. “L’incredibile sostegno all’appello che abbiamo lanciato su Change.org dimostra come, nonostante siano passati 20 anni dall’uccisione di Ilaria e Miran, la loro memoria e la voglia di verità suscitino ancora grande mobilitazione dell’opinione pubblica” dichiara Giuseppe Giulietti.

“Nei giorni scorsi il legale della famiglia Alpi, l’Avvocato Domenico D’Amati, aveva spiegato quanto fosse importante per la ricerca della verità poter accedere ai documenti secretati. ”È fondamentale che queste carte siano rese pubbliche e che ai cittadini sia data la possibilità di sapere. C’è molto da fare e speriamo che tutti gli organi dello Stato collaborino. In primo luogo la Camera dei Deputati che deve desecretare questi documenti fondamentali sui traffici dei rifiuti tossici”, aveva dichiarato D’Amati.

Gli oltre 8.000 documenti secretati si troverebbero negli archivi della Camera dei deputati a cui sembra essere stato negato l’accesso dall’Agenzia Aise – come ha rivelato un’inchiesta de “Il Manifesto” firmata dai giornalisti Andrea Palladino e Andrea Tornago – che pare “abbia negato l’autorizzazione a un ufficio di Montecitorio che chiedeva la declassificazione dei documenti riservati acquisiti dalla Commissione parlamentare sui rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella”.

“Ci auguriamo che già nel corso della cerimonia di domani alla Camera dei Deputati la presidente Boldrini che ha sempre mostrato grande sensibilità sulla vicenda Alpi-Hrovatin, voglia dare un segnale positivo alla richiesta di desecretazione” concludono Corradino e Giulietti.

La petizione è on line sul sito www.change.org/ilariaalpi

18 marzo 2014

Fonte:
http://www.articolo21.org/2014/03/caso-alpi-articolo21-raggiunte-50mila-per-chiedere-verita-e-giustizia/