COSì MUOINO IN MARE I BAMBINI SIRIANI

L’immagine urta le coscienze ma rappresenta quello che ora non si può più ignorare: servono risposte concrete e urgenti al genocidio in atto nel Mediterraneo. Questo è troppo, sveglia, ci ha scritto gli attivisti che hanno rilanciato, invano, il sos alle Guardie costiere come si è consumata la scorsa notte l’ultima strage nel mare tra Grecia e Turchia: dodici morti, tra cui il piccolo nella foto

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Niente scuse: questo è troppo. Continuare a voltarsi dall’altra parte? Non ce l’hanno fatta, in dodici persone, tra cui tre bambini – il più piccolo lo potete vedere con i vostri occhi, in un immagine che urta le coscienze ma che, a questo punto, serve come baluardo per restare umani e soprattutto obbligare i decisori politici europei ad agire per fermare questo genocidio – sono morte tentando di attraversare i miseri quattro chilometri che separano la località costiera turca di Bodrum dall’isola greca di Kos. I quattro superstiti? Salvati da alcuni pescatori.

Donne, uomini e bambini che ora sono morti ma che potevano essere salvati: questa è la verità che fa più male. Perché questi profughi, che avevano diritto all’asilo non appena usciti dal loro Paese in guerra, la Siria, quando il motore della sbarca si è spento lasciandoli in balia delle onde hanno lanciato l’allarme con i loro cellulari. L’hanno lanciato alla rete di attivisti volontari che da mesi, se non anni, vivono con l’orecchio incollato al telefono tentando di salvare più persone possibili: “appena raccolta la chiamata di sos e quindi le loro coordinate, è stata chiamata più volte la Guardia costiera greca, anche grazie all’aiuto dell’ong Watch the med. Ma non c’è stato nulla da fare, un giorno e una notte di chiamate ma nessuno è andato a salvarli, e stanotte sono naufragati, e sono sopravvissuti meno della metà dei presenti sulla barca. Un orrore”, racconta la volontaria italiana Simona Pisani.

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Il recupero del corpo del bambino siriano

 

Ecco come muoiono dodici innocenti, quindi. Tra queste righe potete vedere lo screenshot con la localizzazione dell’imbarcazione e il lancio del sos al Comando centrale di Roma della Guardia Costiera, “tentativo in questo caso inutile, perché mi è stato detto che la prassi era quella di chiamare direttamente i greci. Contrariamente a molte altre volte in cui l’autorità italiana aveva avviato il protocollo per avvertire d’urgenza i colleghi greci, che si erano poi immediatamente mossi, com’è avvenuto nella precedente telefonata in cui hanno recuperato 100 persone sbarcate da più di 24 ore – tra esse una donna quasi a termine di gravidanza – tra le rocce dell’isola di Samos”.

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Sos

Le chiamate degli attivisti non sono quindi bastate per convincere i greci a far uscire le loro navi: “ci hanno risposto che erano molto occupati con altre emergenze”. A livello ufficiale, si parla di problemi di fondi e di mancanza di personale (un ultimo stanziamento di fondi Ue per la Grecia è ancora in stand by senza un perché, come ha denunciato nei giorni scorsi l’europarlamentare Barbara Spinelli in una lettera sottoscritta da 40 colleghi, ndr), “il risultato concreto è che i profughi continuano a morire”, sottolinea Pisani.

Le chiamate degli attivisti non sono quindi bastate per convincere i greci a far uscire le loro navi: “ci hanno risposto che erano molto occupati con altre emergenze”.

Ma c’è anche un breve video, che ancora di più lascia senza parole (è stato caricato su youtube nella notte da un altro attivista e tradotto in inglese, invano perché il salvataggio di fortuna è stato operato da pescatori di passaggio): si vedono le persone sulla barca, i bambini estenuati da sete e sole, la paura di non farcela nel volto di una donna e nella voce di chi parla: alcuni di loro, in effetti, non ce l’hanno fatta. “Il loro sacrificio merita giustizia, senza più indugi: si attivino al più presto le cancellerie europee. Servono corridoi umanitari”. Ora.

Fonte:

MACELLERIA MIGRANTE

Da che mondo è mondo gli esseri umani migrano per lavoro, per conoscere il mondo, per sfuggire alla fame, alle persecuzioni, alle guerre, ecc. Eppure c’è chi spera si fermino o addirittura vorrebbe fermarli a qualunque costo. C’è chi parla di “emergenza” per un fenomeno che esiste da sempre. C’è chi lo vede come una minaccia e parla addirittura di “invasione”. Nel frattempo i migranti, questi uomini, donne e bambini (a migrare spesso sono famiglie intere che cercano un futuro migliore), che terrorizzano tutti coloro che “Io non sono razzista ma dovremmo pensare prima a noi” ( come se l’umanità non fosse tutta figlia della stessa Madre Terra e si potesse distinguere un “noi” e un “loro” su criteri nazionalistici), vanno incontro a morti talmente atroci che non ce le sogneremmo mai. Muoino soffocati nelle stive di barconi perchè non hanno abbastanza denaro per comprare – in questo mondo dove tutto è in vendita – dai loro trafficanti senza scrupoli, oltre a un viaggio disperato, l’aria per provare a respirare ancora. Muoino soffocati mentre sono trasportati, peggio che se fossero bestiame, su un tir. E continuano a morire in massa annegati nel mare “nostro” perchè nella Fortezza Europa non c’è la possibilità per chi è disperato di giungere legalmente, senza rischiare la vita. Nel “cimitero” Mediterraneo non c’è spazio per i diritti umani ma solo per i confini. E così la carne umana diventa merce per chi non ha scrupoli, una merce deperibile. Solo così a molti scuote. Forse è questa la cosa più triste.

D. Q.

Qui una vignetta di Mauro Biani nella sua tremenda verità:

Fonte: https://www.facebook.com/ilmanifesto/photos/a.86900427984.101789.61480282984/10153778202512985/?type=1&theater

Qui un articolo di Redattore Sociale:

Migrazioni, è un bollettino di guerra: più di 300 vittime in quattro giorni

Sono 71 i migranti morti ritrovati in un tir in Austria, si pensa siano tutti siriani. Tra loro 4 bambini. Ma in mare si muore ancora. Portate a Palermo 52 vittime ritrovate in una stiva e sulle coste libiche una nuova tragedia: sarebbero 200 i corpi in mare

28 agosto 2015

ROMA – Un bollettino di guerra. È quello che sta diventando la cronaca dei flussi migratori in questi giorni in Europa. Mentre sui media di tutto il mondo si discute sui termini da utilizzare per descrivere il fenomeno (migranti o rifugiati), sul web si susseguono le notizie di nuove tragedie che non avvengono più lontano dagli occhi europei, ma che giorno per giorno si avvicinano al cuore di un continente comunemente definito come “vecchio” e chiuso come una “fortezza”. Dopo la notizia che ha sconvolto l’Austria (e non solo), dal Mediterraneo giungono nuove notizie di morte con più di cento migranti che avrebbero perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Un dato, quello delle vittime, che cresce di giorno in giorno, come testimoniano le quasi 2.500 morti catalogate dal nuovo sito dell’alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr).

Sul tir c’erano rifugiati siriani. Dall’Austria, intanto, arrivano maggiori dettagli sul ritrovamento di un tir al cui interno sono stati trovati i corpi senza vita di 71 migranti. Le autorità austriache hanno riferito che le vittime rinvenute all’interno della cella frigorifera del tir abbandonato sull’autostrada sono “probabilmente rifugiati siriani”, per via di alcuni documenti ritrovati. Tra le vittime 59 uomini, 8 donne e anche 4 bambini. Migranti morti per soffocamento, conferma la polizia austriaca, che rende noto anche di aver arrestato tre persone coinvolte nella vicenda. “Questa tragedia sottolinea la spietatezza degli scafisti, che hanno ampliato la loro attività dal Mediterraneo alle autostrade d’Europa – spiega l’Unhcr -. Ciò dimostra che non hanno alcun riguardo per la vita umana, ma ricercano solo il profitto. E mostra anche la disperazione delle persone in cerca di protezione o di una nuova vita in Europa. Speriamo che questo nuovo incidente porterà a una forte cooperazione tra le forze di polizia europee, le agenzie di intelligence e le organizzazioni internazionali per reprimere il traffico di esseri umani mettendo in atto misure per la protezione e la cura delle vittime”.

Mediterraneo, tragedia senza fine. Intanto, a largo della Libia, la situazione resta drammatica. Secondo quanto reso noto dalla Mezzaluna rossa, nelle ultime ore sarebbero naufragate due imbarcazioni piene di migranti al largo della costa libica, nei pressi di Zuwara: si parla di circa 450 persone. I soccorsi hanno portato in salvo circa 198 migranti, mentre, secondo il Guardian, non ce l’avrebbero fatta circa 200 persone. Notizie che giungono a breve distanza da un altro ritrovamento di corpi senza di vita di migranti. È di pochi giorni fa la notizia della scoperta di 52 migranti morti nella stiva di una imbarcazione da parte del pattugliatore della marina svedese Poseidon, impegnato nelle operazioni di Triton. Le salme sono state portate a Palermo, insieme ad altri 571 migranti salvati in mare. Solo il 15 agosto scorso, spiega l’Unhcr, una tragedia dal medesimo copione: in una stiva di un barcone sono stati trovati i corpi di 49 persone morti, probabilmente, per le inalazioni di fumi velenosi. E’ di mercoledì 26 agosto, infine, l’ennesima tradecia. Secondo quanto riportato dall’Unhcr, “un gommone con a bordo circa 145 rifugiati e migranti ha avuto dei problemi. Alcune persone sono cadute in mare e due uomini si sono tuffati in acqua per salvarle. Nel panico che ne è seguito le persone hanno cominciato a spintonare e a spingere, e tre donne sul gommone sono morte schiacciate. Di coloro che sono caduti in acqua, 18 mancano ancora all’appello e si teme che siano morti. I sopravvissuti sono stati salvati e portati a Lampedusa, compreso il figlio di due mesi di una delle donne rimaste uccise. La maggior parte dei sopravvissuti è in condizioni critiche e presenta segni di shock, ferite e contusioni”. Sale, così, a più di 300 il numero delle vittime negli ultimi quattro giorni, ma il bilancio delle tragedie dell’immigrazione, in mare e sulla terraferma, purtroppo sembra destinato a salire.Le proteste dei libici contro i trafficanti. Dopo la scoperta da parte della guardia costiera libica dei 200 corpi a largo della città libica di Zuwara, secondo quanto riporta il Guardian, tanti tra i residenti del posto sarebbero scesi in piazza per protestare contro il traffico di esseri umani. Una manifestazione che ricorda quella dell’estate 2014, dopo il ritrovamento di un corpo di un migrante morto in mare, raccontata da Redattore sociale con un reportage da quello che ancora oggi è considerato uno dei maggiori snodi del traffico di esseri umani verso l’Europa.

I numeri dei flussi gestibili solo con risposte coordinate. Per l’Unhcr, nonostante gli sforzi dell’operazione di Frontex “il Mediterraneo è ancora la rotta più mortale per rifugiati e migranti. Molte delle persone che raggiungono via mare l’Europa meridionale, in particolare la Grecia, provengono da paesi colpiti da violenze e conflitti, come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan; hanno tutti bisogno di protezione internazionale e sono spesso fisicamente esausti e psicologicamente traumatizzati”. Ai governi, l’Unhcr chiede di “fornire risposte comuni e agire con umanità e in confomità ai loro obblighi internazionali”. Nonostante i numeri dei flussi siano “schiaccianti” per alcuni paesi “sovraccarichi”, aggiunge l’Alto commissariato, si tratta di “numeri gestibili attraverso risposte congiunte e coordinate a livello europeo. Tutti i paesi europei e l’Unione Europea devono agire insieme per rispondere alla crescente emergenza e dimostrare responsabilità e solidarietà”. (ga)

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Fonte:

http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/489413/Migrazioni-e-un-bollettino-di-guerra-piu-di-300-vittime-in-quattro-giorni

GRECIA-ISRAELE: ACCORDI MILITARI SENZA PRECEDENTI

Ali Abunimah

da A l’encontre

L’esercito greco e quello italiano si addestreranno presto in Israele.

È l’ultimo segnale dell’approfondirsi dell’alleanza militare costruita da Israele e dal governo greco, sotto la guida del partito di sinistra Syriza.

Il mese scorso alcuni piloti elicotteristi israeliani hanno effettuato esercitazioni di combattimento senza precedenti, della durata di 11 giorni, in Grecia, nei paraggi dell’Olimpo.[1]

Nel maggio[2] e poi nel luglio 2015, il governo diretto da Syriza ha addirittura firmato un accordo militare con Israele che non ha uguali se non quello, analogo, che esiste tra Israele e gli Stati Uniti, garantendo immunità legali per tutti i militari indistintamente nel corso dell’addestramento in un altro territorio.[3]

L’accordo militare è stato sottoscritto a nome del governo da Panagiotis Kammenos, il ministro della Difesa, membro dei Greci indipendenti (ANEL), junior partner del governo di coalizione. Non vi è dubbio, tuttavia, che Syriza dia il suo appoggio: in luglio [6 luglio], Nikos Kotzias, il ministro degli Esteri nominato da Syriza,[4] si è recato a Gerusalemme per discussioni al vertice con il Primo ministro israeliano Benyamin Netanyahou per «rafforzare i legami bilaterali tra i due paesi».

Subito quest’anno aerei da guerra israeliani hanno effettuato missioni di addestramento intensive in Grecia, un’esperienza che verrà certamente utilizzata per attaccare la Striscia di Gaza nelle future aggressioni militari israeliane.

 

Elicotteri israeliani in Grecia

 

Stando a un comunicato stampa delle forze aeree israeliane, «la collaborazione greco-israeliana si va estendendo negli ultimi anni e, alla luce dei successi al momento dei recenti dispiegamenti, scambievoli voli probabilmente continueranno nel 2016».

Il comandante della base aerea di Larissa, che era la base degli elicotteri israeliani durante le esercitazioni, cita la dichiarazione del colonnello Dormitis Stephazanki: «Comprendiamo la grande rilevanza di un’attività congiunta con lo Stato di Israele, che contribuisce alla sicurezza di entrambi i paesi. Nel corso degli ultimi giorni, abbiamo lavorato insieme in modo speciale. Il linguaggio comune, l’amicizia profonda e le cose che abbiamo imparato insieme hanno contribuito a migliorare la collaborazione tra le rispettive forze».

Dormitis ha detto di essere convinto che l’addestramento in Grecia aveva migliorato «l’atteggiamento [degli israeliani] nell’assumersi l’incarico dei voli ogni volta che è necessario».

«Abbiamo sorvolato zone montuose che in Israele non esistono e abbiamo sperimentato voli a lunga distanza partendo da basi aeree israeliane verso la Grecia», ha dichiarato il luogotenente colonnello Matan, comandante di una squadra di elicotteri Apache, fabbricati negli Stati Uniti (l’esercito israeliano fornisce solo i cognomi, forse per proteggere il personale da possibili accuse per crimini di guerra).

Gli Apache – battezzati con il nome delle popolazioni di amerindi che sono state bersaglio dell’espansione coloniale genocida in America settentrionalesono stati utilizzati ampiamente da Israele per effettuare esecuzioni estragiudiziali di palestinesi. È l’apparecchio usato nei massacri di civili a Gaza lo scorso anno.

Il colonnello Y, comandante di un’unità israeliana di ricognizione, ha descritto la partecipazione di Israele all’esercitazione come «storica», soggiungendo che «era la prima volta che gli aerei che raccolgono informazioni hanno lavorato con apparecchi stranieri su un terreno sconosciuto e complesso».

 

Appoggiare i crimini di guerra?

 

Secondo il Jerusalem Post, i piloti greci di elicotteri si addestreranno in Israele nel corso dei prossimi mesi. Il giornale riferisce che aerei da combattimento greci «parteciperanno all’esercitazione multinazionale Blue Flag che si svolgerà nei cieli sopra il Sud di Israele». In giugno, un reportage di Haaretz ha rivelato che le forze aeree italiane, greche e statunitensi parteciperanno a quell’esercitazione.

La collaborazione militare tra Israele, l’Italia e la Grecia prosegue nonostante il fatto che un’indagine indipendente pubblicata di recente, per ordine del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, abbia scoperto massicce prove di crimini di guerra commessi da Israele al momento del suo attacco a Gaza durante l’estate scorsa, che ha ucciso oltre 2.200 palestinesi

Il mese scorso, Amnesty International ha pubblicato una sua indagine sull’aggressione israeliana contro la città di Rafah, a Sud della Striscia di Gaza. Anche qui, l’indagine ha concluso che centinaia di civili sono stati uccisi nel corso dei gravi crimini di guerra compiuti da Israele.

Amnesty ha scoperto che «alcune dichiarazioni pubbliche di comandanti dell’esercito israeliano e di soldati successive al conflitto forniscono ragioni imperiose per ricavare la conclusione che certi attacchi che hanno ucciso civili e distrutto case e proprietà sono stati effettuati e motivati per desiderio di vendetta – per dare una lezione o punire la popolazione di Rafah».

Inam Ouda Ayed bin Hammad, citato nel Rapporto di Amnesty, rievoca i cannoneggiamenti a tappeto e i bombardamenti che ci sono stati vicino alla sua casa nel quartiere al-Tannur di Rafah: «nel momento in cui sono uscito da casa, un Apache ha preso a spararci addosso».

Magari quegli stessi Apache e quegli stessi piloti hanno condiviso in Grecia occasioni cameratesche.

I Rapporti dell’ONU e di Amnesty hanno lanciato l’appello perché si facciano finalmente i conti con i crimini di guerra perpetrati a Gaza e nella Cisgiordania occupata. Viceversa, i governi di sinistra greco e italiano, come pure, ovviamente, l’amministrazione Barak Obama degli Stati Uniti, si limitano ad offrire la loro complicità e le loro ricompense unicamente ad Israele.

 

(Traduzione in francese di A l’Encontre; l’articolo è uscito il 5 agosto 2015 sul sito Electronic Intifada. L’autore del presente articolo, cofondatore del sito, ha pubblicato di recente The Battle for Justice in Palestine, Editions Haymarket, marzo 2014. Risiede negli Stati Uniti. Probabilmente per questo considera « di sinistra » anche il governo Renzi). Della vicenda avevamo già parlato sul sito : Kouvelakis: Dalla vicenda di Syriza alcuni insegnamenti per il nostro avvenire.

(Traduzione dal francese di Titti Pierini)

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[1]Un comunicato pubblicato il 3 agosto, sul sito «Israeli Air Force» http://www.iaf.org.il/4424-45323-en/IAF.aspx, indicava come, per due settimane, una squadriglia di elicotteri dell’aeronautica dell’IDF (Israeli Defense Forces) ed elicotteri e caccia dell’esercito greco avessero condotto esercitazioni congiunte, partendo dalla base di Larissa. «Era uno dei principali e complessi dispiegamenti di forze fuori da Israele». L’accento era posto soltanto sull’interesse di acquisire esperienza in voli ad alta quota (per gli elicotteri), nonché sulla raccolta di informazioni.

Il 28 luglio 2015, Israël Actualités, settimanale on line, poneva in rilievo una delle principali dimensioni dell’accordo militare (cfr. anche nota 3), concernente le varie poste in gioco disputate nel Mediterraneo orientale rispetto alle riserve di gas, che interessano sia Israele sia la Grecia. «Durante l’esercitazione, i dirigenti hanno discusso in particolare di “sicurezza marittima, energetica e di collaborazione nell’industria militare”, stando al Rapporto del ministero greco. L’accordo stipula che la marina israeliana potrà d’ora in poi intervenire per neutralizzare qualsiasi attacco islamista contro gli interessi greci e dello Stato ebraico, in acque cipriote e del Mediterraneo orientale. Unità scelte di Tsahal potrebbero anche, all’occorrenza, dispiegarsi sulle piattaforme di estrazione di gas di Cipro o installarsi in basi militari greche». Ali Abunimah lascia da parte questo aspetto decisivo dell’accordo (Redazione À l’Encontre).

[2]Il 21 maggio 2015 Israpresse sottolineava come sarebbero proseguiti tra Israele e la Grecia gli accordi «riguardanti prevalentemente la politica, la difesa, l’energia, il turismo, la cultura e l’accademia». «Dei festeggiamenti intervengono a rafforzare i legami tra i due paesi, divenuti incerti dopo l’arrivo al potere di Alexis Tsipras nel gennaio 2015». Il 26 gennaio 2015, l’influente quotidiano Yedioth Aharonoth citava l’ex ambasciatore di Israele in Grecia, Arye Makel, che riprendeva le dichiarazioni di Alexis Tsipras dell’agosto 2014 al momento dell’operazione militare “Protezione dei confini”, il quale «accusava lo Stato ebraico di assassinare bambini palestinesi». Dopo di allora i rapporti militari, tra gli altri, si sono consolidati, ma hanno segnato un nuovo corso. (Redazione À l’Encontre).

[3]Il 19 luglio 2015, così Israpresse presentava l’accordo: «Il capo dell’apparato della difesa israeliana e il ministro greco della Difesa nazionale hanno concluso un Accordo sullo statuto delle forze militari (Status of the force agreement, o SOFA), vale a dire una reciproca intesa giuridica che consente all’Esercito di Israele di stanziare truppe in Grecia e viceversa. Si tratta del primo SOFA che Israele conclude con un paese alleato, oltre agli Stati Uniti.

Il ministro israeliano ha espresso la propria gratitudine nei confronti del suo omologo per la sua visita in Israele, nonostante la difficile situazione del proprio paese, esprimendo la sua speranza di vedere la Grecia superare le grandi sfide che l’attendono. «Apprezziamo molto la collaborazione sicuritaria che si traduce nell’addestramento di nostri soldati e ufficiali in territorio greco. I nostri Stati condividono interessi comuni, dovendo affrontare le conseguenze dell’accordo sottoscritto la scorsa settimana tra le grandi potenze e l’Iran», ha dichiarato Ya’alon.

Da parte sua, il ministro greco ha affermato: «Il popolo greco è molto vicino a quello di Israele. Per quanto riguarda la nostra collaborazione militare, i rapporti sono eccellenti e continueremo a mantenerli e proseguiremo le esercitazioni comuni». Kammenos ha soggiunto: «Il terrorismo e la jihad non colpiscono solo il Medio oriente, ma anche i Balcani e l’Europa. È la guerra. Eravamo molto vicini anche a Israele per tutto ciò che concerne il progetto missilistico iraniano. Ci troviamo a portata di quei missili. Se un missile iraniano si dirige verso il Mediterraneo, questo può voler dire la fine di tutti i paesi dell’area» (Redazione A l’Encontre).

[4] Nikos Kotzias era il consigliere del Primo ministro greco Georgios Papandreou. Dopo la sua nomina agli Esteri, il 27 gennaio 2015, The Times of Israel (28 gennaio 2015) riferiva l’opinione di Emmanuel Karagiannis, greco d’origine, docente presso il King’s College di Londra, dove occupa la cattedra degli Studi militari: «Kotzias è un politico alquanto pragmatico, per cui non mi aspetto un peggioramento dei rapporti bilaterali. Kotzias considera la Turchia la principale potenza competitiva, in termini geopolitici nel Mediterraneo orientale. Credo quindi che il partenariato Grecia-Israele sopravvivrà a questo cambiamento politico [governo Tsipras]» (Redazione A l’encontre).

 

Tratto da: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2328:grecia-israele-accordi-militari-senza-precedenti&catid=7:medio-oriente-e-mondo-arabo-islamico&Itemid=17

Memorandum greco: privatizzazioni made in EU

Il Memorandum rivela il nuovo tentativo dell’UE di imporre la privatizzazione dell’acqua in Grecia.

L’obbligo di svendere € 50 miliardi di patrimonio pubblico è uno degli aspetti più controversi dell’ “accordo” che i paesi dell’Eurozona e la troika hanno costretto a firmare il governo greco durante “la notte della vergogna” di metà luglio.

I dettagli di ciò che esattamente la Grecia è tenuta a privatizzare sono ormai emersi con la fuoriuscita del “Protocollo d’intensa per un programma triennale dell’ESM (Meccanismo Europeo di Stabilità ndr)” preparato dal Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea [1]. Il documento trapelato elenca 23 beni dello Stato, che vanno dagli aeroporti alle aziende di pubblica utilità, e presenta passaggi e scadenze precise per la privatizzazione.

E’ scioccante che questo elenco comprenda due grandi aziende pubbliche dell’acqua: Atene Water Supply & Sewerage S. A. (EYDAP) e Salonicco Water Supply & Sewerage S. A. (EYATH), che forniscono acqua potabile per le due più grandi città del paese. La troika aveva insistito per la privatizzazione dell’acqua nel Memorandum precedente, ma una forte opposizione dell’opinione pubblica aveva bloccato la proposta.

Nel giugno 2014 il Consiglio di Stato, la più alta corte amministrativa del paese, aveva stabilito che il trasferimento di un pacchetto azionario di maggioranza dell’azienda dell’acqua pubblica di Atene EYDAP in mani private era incostituzionale, a causa della responsabilità dello Stato di proteggere “il diritto fondamentale dei cittadini alla salute” [2]. Il nuovo protocollo prevede la cessione dell’11% delle azioni EYDAP, che sembra poco rispetto al valore nominale, ma dato che il 38,7% delle azioni di EYDAP sono già di proprietà di aziende private e singoli, si lascerebbe il 49,7% dell’azienda di pubblica utilità in mani private.

Come a Salonicco dove un referendum non vincolante si è tenuto nel maggio 2014, con il 98% dei voti contro la privatizzazione dell’acqua. Questa iniziativa dei cittadini ha mobilitato 218,002 elettori e ha inviato un messaggio chiarissimo rifiutando la prevista cessione del 51% delle azioni Eyath a investitori privati (la Suez, multinazionale francese dell’acqua e la Merokot, aziende statale israeliana, avevano mostrato interesse). Il memorandum trapelato ordina ora la liquidazione del 23% delle azioni di proprietà dello Stato; sapendo che un altro 26% è già in mano ai privati, questo renderebbe la società al 49% privata.

In entrambi i casi, la troika chiede una svendita al massimo livello possibile, senza entrare in conflitto direttamente con la sentenza della Corte. George Archontopoulos, il presidente del sindacato dei lavoratori dell’azienda dell’acqua di Salonicco, teme che agli investitori privati “sarà dato il controllo della gestione in regalo”. Quindi “se si tratta del 49% o del 51%, ci opponiamo ad un’ulteriore privatizzazione della società”, dice Archontopoulos.

Giustamente perché ci sono numerosi esempi di cosiddetti partenariati pubblico-privato in cui le multinazionali dell’acqua possiedono poco meno della metà delle azioni, ma ne controllano la società de facto. Un esempio ironico è quello della capitale della Germania Berlino, che ha venduto il 49,9% della sua società dell’acqua (BWB) nel 1999. Nonostante la quota di minoranza, le società private controllavano la gestione e si erano garantiti alti profitti mediante contratti segreti. Nel 2013, l’acqua di Berlino è stata presa di nuovo in mano pubblica, dopo quasi 15 anni di privatizzazione impopolare. Come riportato dal The Guardian la settimana scorsa, la spinta da parte del governo tedesco e le istituzioni dell’UE a privatizzare l’acqua greca contraddice decisamente l’andamento del resto d’Europa, dove le città stanno “rimunicipalizzando” l’acqua dopo gli esperimenti falliti di privatizzazione. Il settore idrico della Germania è prevalentemente pubblico di proprietà e di gestione e la popolazione tedesca gode di servizi idrici di alta qualità forniti da queste aziende municipalizzate.

Già abbastanza danni sono stati fatti. Le aziende idriche pubbliche di Atene e Salonicco sono state quotate nella Borsa di Atene per quasi 15 anni. Da allora il numero di dipendenti a Salonicco è diminuito da 700 a 229. Si tratta veramente di un piccolo numero di lavoratori per una città di oltre un milione di abitanti e 2.330 km di rete idrica. In una città paragonabile come Amsterdam (1,3 milioni di abitanti e 2.700 km di rete), la società idrica pubblica impiega 1.700 dipendenti. Tagli simili ci sono stati anche ad Atene.

I servizi idrici sia di Atene che di Salonicco sono moderni e ben funzionanti e non c’è giustificazione logica per la privatizzazione. Nonostante la grave crisi sociale in Grecia, EYDAP e EYATH hanno fornito servizi essenziali e di alta qualità, a una delle tariffe più convenienti in Europa. Le aziende sono efficienti e hanno i conti in ordine.

L’insistenza della Troika per la privatizzazione è guidata da un’ideologia fuorviante. Prima di tutto, la vendita delle azioni delle aziende dell’acqua produrrà guadagni insignificanti se si considera il quadro generale.

Peggio ancora, consegnare il controllo di servizi essenziali a multinazionali private presenta gravi rischi per i più vulnerabili della popolazione greca colpita dalla crisi. L’imposizione testarda e aggressiva della privatizzazione va contro la volontà dei cittadini greci e rappresenta un attacco diretto alla democrazia. E’ scandaloso che la Commissione europea, una delle tre istituzioni che formano la Troika, ignori ancora una volta il suo obbligo derivante dal trattato UE di rimanere neutrale quando si tratta di proprietà dei servizi idrici. [3]

Traduzione: Vanessa Bilancetti

Pubblicato su: Corporate Europe Observatory

[1] Il documento è disponibile sul sito dell’europarlamentare Sven Giegold dei Verdi tedeschi: “Greece Memorandum of Understanding for a three year ESM programme” http://www.sven-giegold.de/wp-content/uploads/2015/08/MoU-draft-11-Augus… ANNEXES 1 HRDAF Asset Development Plan 30 July 2015 http://www.sven-giegold.de/wp-content/uploads/2015/08/Privatisation-Prog…

HRDAF Government Pending Actions 30 July 2015 http://www.sven-giegold.de/wp-content/uploads/2015/08/Government-Pending… The list of privatisation projects is in the first annex.

[2] La sentenza è accaduta dopo che il 27,3% delle azioni erano state trasferite al fondo di privatizzazione HRADF nel i gennaio 2014, per essere vendute agli investitori privati. La corte ha bloccato il previsto trasferimento di un altro 34,03% alla HRADF

[3] ¨EU Commission forces crisis-hit countries to privatise water ¨, October 17th 2012; http://corporateeurope.org/pressreleases/2012/eu-commission-forces-crisi…

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/memorandum-greco-privatizzazioni-made-in-eu

Dichiarazione del prigioniero Nikos Romanòs

nicosDurante l’intervista al giornale online «Hit & Run», Nikos Romanòs ha definito «teatro dell’assurdo» la vicenda della negazione dei permessi di studio, al contrario di quanto previsto dall’emendamento votato dopo il suo lungo sciopero della fame, uno sciopero della fame che ha profondamente scosso tutta la società.

Nikos Romanòs ha attribuito al governo Syriza pesanti responsabilità, parlando di «strategie da campagna elettorale» e di «sfruttamento politico senza scrupoli delle persone che fanno parte del multiforme movimento di solidarietà».

Ecco come riassume la sua vicenda da gennaio, cioè da quando Syriza è salito al governo:

«Ho superato un terzo degli esami, come stabilito dalla normativa specifica, e ho fatto domanda per il permesso. Da quel momento in poi è iniziato il teatro dell’assurdo. Il consiglio del carcere non ha ritenuto valida la richiesta perché non è stato emanato nessun decreto ministeriale e ha così rimandato la domanda al giudice di corte d’appello Eftikis Nikòpoulos, sulla base della legge precedente. Nikòpoulos ha dato una risposta negativa perché non è stato pubblicato il decreto ministeriale e non può entrare nel merito dei contenuti della richiesta dal momento che, qualora approvata, la normativa abrogherebbe la legge precedente. Sulla base della decisione di Nikòpoulos, il consiglio del carcere ha rigettato la domanda e, di conseguenza, l’obiezione alla richiesta è ufficiale».

Per quanto riguarda Syriza, Nikos Romanòs annota:

«Ha avuto il ruolo di assorbire le tensioni sociali, di costruire capitale politico partecipando dall’interno alle lotte sociali e presentandosi come il loro braccio istituzionale, ma funzionando come forza anti insurrezionale, perché ha spostato il terreno di scontro dalle strade al parlamento. In poche parole, ha impersonato nel modo migliore possibile il ruolo politico del riformismo a livello centrale».

Di seguito l’intervista a Nikos Romanòs:

Raccontaci in poche parole la vicenda dei permessi di studio che ti spettano di diritto, dopo la normativa approvata in seguito al tuo sciopero della fame del novembre/dicembre 2014.

E’ andata così: ho superato un terzo degli esami, come stabilito dalla normativa in questione, e ho fatto domanda per il permesso. Da quel momento in poi è iniziato il teatro dell’assurdo. Il consiglio del carcere non ha ritenuto valida la richiesta perché non è stato emanato nessun decreto ministeriale e ha così rimandato la domanda al giudice di corte d’appello Eftikis Nikòpoulos, sulla base della legge precedente. Nikòpoulos ha dato una risposta negativa perché non è stato pubblicato il decreto ministeriale e non può entrare nel merito dei contenuti della richiesta dal momento che, qualora approvata, la normativa abrogherebbe la legge precedente. Sulla base della decisione di Nikòpoulos, il consiglio del carcere ha rigettato la domanda e, di conseguenza, l’obiezione alla richiesta è ufficiale.

Di fronte a queste misure Syriza, che durante lo sciopero della fame ha fatto campagna elettorale e ha sfruttato politicamente senza farsi scrupoli le persone del multiforme movimento di solidarietà, ha fatto come Ponzio Pilato, proprio come i suoi predecessori. Certamente non c’è da stupirci, dal momento che parliamo di politici, quindi di camaleontici ruffiani approfittatori, politicanti, opportunisti e ipocriti di professione, che hanno semplicemente vestito per un po’ di tempo i panni dei filantropi per perseguire scopi politici precisi. Chiaramente ci sono dei motivi anche più seri, ma di questo ne parlerò eventualmente nella prossima risposta. Rispetto agli sviluppi del mio caso, teoricamente dovrebbe essere approvata dal parlamento la delibera perché la normativa venga applicata, ma non mi pare ci siano molte possibilità che ciò avvenga.

Ritieni che dietro alle “dilazioni” rispetto alla questione del braccialetto ci siano degli scopi politici o un qualche tipo di rivalsa nei tuoi confronti?

Credo che nel caso specifico non esista alcun dispositivo elettronico (braccialetto), dal momento che, indipendentemente da ciò che il ministero della giustizia avvalla, noi che siamo in carcere sappiamo che non esiste neppure un detenuto in Grecia che sia stato scarcerato in questo modo. Ogni giorno molti detenuti vengono a chiedermi informazioni rispetto a questa questione e tutti si chiedono per quale ragione nessuno di quelli che ne hanno fatto richiesta abbia ricevuto risposta dal tribunale. I detenuti comunicano tra loro nelle carceri e scambiano informazioni sulle questioni che li riguardano, e posso dire con la massima certezza che non esiste neppure un detenuto che abbia messo piede fuori dal carcere in questo modo. Chiaramente, dal momento che una notizia del genere potrebbe paventare lo spettro di uno scandalo, vista la pubblicità sul caso, il mostro apparentemente senza volto della burocrazia dà la soluzione a questo problema.

La burocrazia in realtà non è un mostro senza volto, al contrario, è l’alibi dei volti che detengono le posizioni di potere, per scaricare le responsabilità su qualcosa di potenzialmente più grosso di loro: un alleato invisibile che si nasconde dietro comitati di legislatori, consiglieri tecnici, pile di incartamenti, interpretazioni molteplici e false speranze. Quello che sto dicendo, cioè che non esiste alcun dispositivo elettronico e che il ministero della giustizia sta solo prendendo deliberatamente in giro i detenuti per non destare scandalo, è un fatto che non lascia spazio ad alcun dubbio e che non può essere smentito da nessuno, dal momento che non esiste nessun detenuto che sia stato scarcerato o che abbia ottenuto licenze in questo modo.

Anche se non è necessaria ulteriore riprova, porterò un esempio dal carcere di Korydallòs, di cui conosco personalmente la situazione. Alcuni detenuti che studiano in diversi TEI (istituti tecnici universitari, n.d.t.), in base alla nuova normativa, hanno fatto richiesta al consiglio del carcere per i permessi di studio, ora che è periodo di esami. Visto che nessuno degli studenti era sotto processo, il consiglio del carcere non poteva nascondersi dietro la decisione di qualche magistrato, e ha respinto le richieste con bugie davvero ridicole, ad esempio che non erano riusciti in tempo a contattare le segreterie delle facoltà, invitando gli studenti a tornare a settembre. Questo fatto sta a significare che il consiglio del carcere ha ricevuto disposizioni precise dal ministero della giustizia affinché silenziasse la questione e non venissero alla luce le reali motivazioni di questi maneggiamenti.

Come giudichi la posizione del nuovo governo Syriza?

Per cominciare dal principio: Syriza ha assunto la forma del nemico molto prima di diventare governo. Ha avuto il ruolo di assorbire le tensioni sociali, di costruire capitale politico partecipando dall’interno alle lotte sociali e presentandosi come il loro braccio istituzionale, ma funzionando come forza anti insurrezionale, perché ha spostato il terreno di scontro dalle strade al parlamento. In poche parole, ha impersonato nel modo migliore possibile il ruolo politico del riformismo a livello centrale. Lo stesso Tsipras, prima di diventare primo ministro, aveva dichiarato che se non ci fosse stata Syriza ci sarebbero stati molti più scontri e molte più insurrezioni in Grecia durante gli anni delle manifestazioni contro il governo. Questo significa che l’elaborazione di un’agenda politica di sinistra come opposizione era tra le altre cose una scelta politica strategica per mettere in salvo la pace sociale e per ridisegnare ex novo e su nuove basi le istituzioni sociali distrutte.

La democrazia nasconde molti assi nella manica per rimanere al passo coi tempi, e una delle frecce al suo arco è la velocità di ricambio dei ruoli sulla scena politica, nel rimescolare le carte, nell’assimilare le spinte radicali che potrebbero ritorcerglisi contro. Arrivando ad oggi, e dunque all’ascesa al potere di Syriza, ci sono dei cambamenti strutturali nella sua retorica e delle enormi contraddizioni interne. Ovviamente, nonostante tutte le contraddizioni, la realtà dei fatti è Syriza mantiene in funzione le carceri di tipo “Gamma”, che esistono ancora dal momento che fuori dalla prigione di Domokos (località che ospita il carcere di massima sicurezza, n.d.t.) ci sono ancora mezzi speciali della polizia e i bracci di isolamento ospitano ancora compagni. Syriza permette che i migranti vengano marchiati con dei numeri prima di essere sbattuti dentro ai “campi di concentramento”, che gli spazi occupati vengono sgombrati, che i compagni in sciopero della fame vengono torturati e che i familiari dei compagni delle CCF siano tenuti in ostaggio. Syriza inaugura Salamina come primo luogo di confino dell’era democratica e firma accordi commerciali con gli assassini dei palestinesi; Syriza metetrà in atto tutte le politiche neoliberiste contro cui lottava quand’era all’opposizione.

In poche parole, Syriza mantiene tutti gli impegni geopolitici, economici e militari di uno stato che appartiene alla periferia del capitalismo mentre, contemporaneamente, per gettare fumo negli occhi dei suoi elettori di sinistra mantiene attivo un gruppo variegato di personaggi pittoreschi che contribuiscono a mantenere in piedi una retorica di sinistra e che, quando arriva il momento della trasformazione politica, vengono esclusi dai giochi.

Osservando le cose dalla nostra prospettiva, il fatto che siamo anarchici significa che, anche se quello di Syriza fosse stato davvero un governo con una politica radicale di sinistra, ci saremmo trovati lo stesso dall’altra parte della barricata, senza alcuna intenzione di firmare armistizi con gli apprendisti stregoni dell’inganno e dello sfruttamento organizzato. Tra l’altro, in contraddizione con la cancrena neocomunista che sta infettando le cerchie anarchiche, noi abbiamo tagliato già da molto tempo il cordone ombelicale che lega l’anarchia alla sinistra.

Bisogna però essere precisi nelle nostre caratterizzazioni per essere in grado di elaborare la realtà che abbiamo davanti: quello di Syriza è un governo socialdemocratico che utilizza una falsa retorica di sinistra radicale e che usa il suo profilo politico di sinistra per costruire controllo politico e per influenzare i movimenti e le formazioni sovversive che potrebbero andargli contro. E non dimentichiamo che storicamente la rappresentanza politica del capitalismo dal volto socialista ha messo in atto le politiche economiche e repressive più dure, sfruttando il sonno pacifico e complice del “governo dei molti”. La cosa più fastidiosa nelle nostre cerchie è che ci sono diversi imbecilli che fanno gli anarchici che hanno la smania di invitare i membri di Syriza nei loro “centri sociali” e di discorrere insieme a loro di profonde questioni ideologiche, promuovendo un’immagine “ripulita” di Syriza, mentre, nel momento in cui stiamo parlando, è il partito che gestisce lo stato. Un concetto tristemente simile a quello di chi vuole raddrizzare i fascisti di Alba Dorata, come se il problema coi fascisti o con i gestori della macchia statale fosse quello di discutere in cosa siamo in disaccordo, e non di colpirli dovunque li becchiamo. Tutto questo sarebbe una bella conversazione filologica per quelli che credono nella democrazia e nei suoi ideali, dormendo sulle nuvolette rosa e sognando una società post-capitalista. Peccato che gli anarchici siano in guerra con la democrazia e i suoi rappresentanti. Di conseguenza, al punto in cui siamo arrivati, tutti coloro che si impegnano a risciacquare Syriza non hanno alcuna scusa.

Tra l’altro, non è passato molto tempo da quando Stavros Thodorakis ha dato credito ad alcuni di loro in una puntata del suo programma, per le credenziali di legalità che hanno dato allo stato già da molto tempo. Per tutto questo miscuglio di governi di opposizione, cripto-syrizei, falsi ideologi dell’anarchismo e compagnia cantante la soluzione è semplice: un albero robusto e una corda resistente. Noi restiamo al fianco di coloro che restano amici delle insurrezioni anarchiche e continuano a lanciare molotov agli sbirri a Exarchia, che scendono in corteo per vandalizzare le recite dell’egemonia, che armano i loro cervelli con piani sovversivi e le loro mani col fuoco per bruciare i paramenti del nuovo ordine esistente. Con tutti quelli che organizzano la loro azione all’interno delle reti informali dell’azione anarchica. Lì dove le intenzioni sovversive si uniscono orizzontalmente e atipicamente in un fronte caotico che passa per primo all’attacco, colpendo le persone e le strutture che amministrano e difendono il mondo malato che ci circonda.

Qual è secondo te il posto della violenza nel movimento anarchico?

Ci troviamo un’altra volta negli ultimi anni a una svolta critica del processo storico moderno. Il capitalismo greco in bancarotta continua a destabilizzare l’UE e l’economia globale. La realtà è che questa situazione continuerà a prescindere dai dirigenti politici. I confini della Grecia e dell’Italia, primi paesi che ricevono i flussi migratori provenienti da zone di guerra, sono intrisi del sangue dei migranti. Gli antagonismi tra le potenze si acuiscono e gli scontri di interesse geopolitico innescano focolai di disordini in molte parti del mondo. Per gli anarchici l’instabilità e l’acuirsi della violenza sistematica in tutto lo spettro delle relazioni sociali e di sfruttamento è una spinta a organizzarsi efficacemente per diventare un potente fattore di destabilizzazione, per un contrattacco anarchico contro il mondo del potere, gli economisti, i politici, gli sbirri, i fascisti, i giornalisti, gli scienziati, i funzionari statali, i direttori e i membri delle multinazionali, i funzionari giudiziari, i direttori delle prigioni-bordello, i banchieri e i loro collaboratori, i ruffiani e i servitori del potere. Contro tutte queste canaglie, il cuore della macchina capitalista che batte al ritmo della maggioranza della società, la quale per indifferenza e paura, o per connivenza, contribuisce a proteggere il cuore della bestia, l’anarchia risponde con la lingua della violenza, del fuoco, delle esplosioni, della lotta armata. Su questa base fondiamo le nostre strategie, decidendo di insorgere e gettarci nella lotta per la liberazione totale, in un’insurrezione che, oggi come oggi, si giocherà il tutto per tutto, libererà i rapporti umani all’interno delle comunità rivoluzionarie, organizzerà l’offensiva. Diventerà il veicolo per viaggiare sui sentieri della libertà non segnati sulla mappa, dando la possibilità di vivere senza ricevere o dare ordini, senza sottomettersi, senza strisciare, ma in una maniera autentica, che creerà una nuova realtà invertita all’interno delle metropoli capitaliste, un’epoca della paura per i potenti e i loro servi, l’alba della nostra epoca, ora e per sempre, fino alla fine. Di conseguenza la violenza rivoluzionaria nel movimento anarchico è l’Alfa e l’Omega, è la forza trainante per il salto di qualità di un nemico interno che provocherà incubi al potere e ai padroni.

Credi che per un detenuto politico il carcere possa costituire un terreno di scontro?

Prima di tutto dobbiamo abbattere questo mito, cioè l’ideale collettivo secondo cui il detenuto sia un soggetto rivoluzionario in potenza. I migranti, i detenuti, i lavoratori, gli studenti medi e universitari sono sottogruppi sociali che dipendono e a loro volta alimentano il funzionamento del mondo capitalista. Secondo me l’uomo libero compare lì dove vengono distrutte le identità sociali e vengono cancellate tutte le proprietà, al punto che la decisione individuale per la liberazione crea una nuova identità unica e separata. Il ribelle iconoclasta che attacca con tutti i mezzi i nemici della libertà. Per un anarchico che ha deciso di partecipare attivamente all’insurrezione anarchica, il carcere o addirittura la morte sono conseguenze possibili delle sue scelte, fatte nel mondo reale e non nella realtà digitale in cui i parolai e le fantasticherie sono consueti. Il carcere è una stazione temporanea per chi è stato colpito dalla repressione. È il luogo dove ognuno viene messo davvero alla prova, il punto determinante delle grandi decisioni e dei grandi cambiamenti interiori. È una struttura sociale marcia in cui regnano la sottomissione e la ruffianeria, è il regno oscuro del potere, un luogo di degradazione, in cui la libertà non solo viene imprigionata, ma per molti viene umiliata e trascinata tra eroina, disciplina e sporchi corridoi dove gli esseri umani imparano a odiarsi. Esistono migliaia di analisi sul carcere e sui detenuti, io dirò ciò che ha detto anche il guerrigliero di Action Direct Jean Marc Rouillan, cioè che i più adatti a parlare del carcere sono quelli che hanno passato una piccola parte della loro vita lì dentro.

Perché la verità è che più tempo passi qui dentro, più diventa complesso descrivere il funzionamento e la struttura di questa società davvero misera. In sintesi, carcere significa morte lenta, cannibalismo sociale, sopraffazione del più debole, abbandono, distruzione psicosomatica, eroina, psicofarmaci, esseri umani-spazzatura stipati in discariche statali, disciplina, gerarchia, fanatismo religioso, raggruppamenti etnici e divisioni razziste, nazionalismo di ogni tipo, confino, attesa, autodistruzione, vicolo cieco, soppressione delle emozioni, coercizione, immobilità totale, fissità. Non è esagerato dire che la società dei detenuti è il figlio bastardo della società capitalista, un meccanismo ben oliato di morte in cui si nasconde tutta la bruttezza del mondo contemporaneo. Questo non significa che in carcere non ci siano minoranze di persone che hanno la dignità come bussola e con cui puoi costruire rapporti amichevoli o politici. Tornando alla parte principale della domanda, credo che in questa prova non devi mai dimenticare il cammino verso il tuo obiettivo e la dedizione alla causa comune. Mai pentiti, mai a testa bassa, per sempre pericolosi per la cultura della schiavitù e della sottomissione. Per questo anche la lotta anarchica in carcere può trovare sbocchi e aprire strade per diventare pericolosa per il nemico. Con testi e analisi, con piccoli e grandi rifiuti quotidiani, con gli scioperi della fame, con la lima tra le mani, il filo dell’insurrezione anarchica continua a essere tessuto se nei nostri cuori continua a bruciare la fiamma della sovversione. In questo senso, il carcere è un terreno di scontro per promuovere la lotta sovversiva e l’anarchia.

Fonte: hitandrun.gr

Traduzione di AteneCalling.org

GRIDIAMO FORTE IL NOSTRO OXI EUROPEO

 

AD ATENE IL FRONTE DEL NO TORNA IN PIAZZA

A quanto pare, la Grecia, dopo aver vinto una battaglia, si prepara a perdere la guerra. A una settimana dalla vittoria referendaria, il governo greco di Alexis Tsipras cede al ricatto del gigante tedesco preparandosi a pesanti riforme in cambio di aiuti. Già da ieri il popolo greco è tornato a scendere in piazza per protestare contro questo accordo.  Forse il governo  greco sta tradendo il suo popolo o forse la Grecia è stata lasciata sola da parte di altri paesi europei che avrebbero potuto costituire una coalizione antitedesca, per esempio la Francia. Comunque sia il fronte del No all’austerity, del No alla troika si sta preparando per una mobilitazione europea prevista per domani, termine ultimo per l’approvazione delle riforme.
Staremo a vedere come il popolo greco e i solidali di tutta Europa faranno sentire la loro voce per un No alla resa.

D. Q.

 

  • 14 Lug 2015 12.34

Ad Atene il fronte del no torna in piazza

Il 13 luglio, dopo che Atene ha trovato un accordo con i creditori a Bruxelles, i cittadini sono tornati in piazza Syntagma per esprimere dissenso rispetto all’intesa. “L’Europa ci umilia”, hanno affermato i manifestanti che hanno criticato Alexis Tsipras per la sua decisione di firmare il piano.

Tra i partecipanti alla manifestazione il sindacato del pubblico impiego, Adedy, che ha indetto uno sciopero di 24 ore per il 15 luglio, quando il parlamento dovrà votare le nuove misure di austerità concordate con l’eurozona.

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/video/2015/07/14/atene-proteste

 

*

Cosa resta dell’Europa?

L’Eurosummit si chiude con la vendetta della Germania nei confronti di Atene. Entro mercoledì nuova tranche di riforme “lacrime e sangue” e poi via alle privatizzazioni in cambio degli aiuti economici. Dopo la trattativa di questa settimana molte cose non saranno più come prima

Dopo diciassette ore di trattative l’Eurosummit si è chiuso con un accordo che avrà probabilmente conseguenze devastanti. Un pacchetto di aiuti che si aggira tra gli 82 e gli 86 miliardi di euro verrà stanziato per un periodo di tre anni a favore della Grecia, se e solo se in questa settimana la Grecia approverà un pacchetto di riforme enormi. Perciò il parlamento di Atene è chiamato a votare entro il 15 luglio, cioè meno di tre giorni, su: la riforma delle pensioni, del fisco – comprensiva dell’innalzamento dell’IVA – l’autonomizzazione dell’istituto nazionale di statistica e la piena applicazione del Fiscal Compact, che prevede, tra le altre cose, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. Entro il 22 luglio si dovrà riformare il codice civile e applicare pienamente la direttiva sulle crisi bancarie (Brrd).

Una volta approvate queste riforme e quindi ristabilita “la fiducia” dei creditori nei confronti del governo greco, l’Eurogruppo potrà dare il suo via libera per il Memorandum of Understanding, che dovrà essere votato in seguito, secondo le procedure dei singoli stati, da almeno sei parlamenti nazionali, tra cui – chiaramente – il parlamento tedesco. “Al fine di costituire la base per una conclusione di successo del protocollo d’intesa, l’offerta greca di misure di riforma deve essere seriamente rafforzata (…). Il governo greco deve formalmente impegnarsi a rafforzare le proprie proposte in un numero di aree identificate dalle Istituzioni”, con tempi chiari, obiettivi precisi, standard di riferimento e ispirandosi alle buone pratiche europee (traduzione nostra). Cosa bisogna “riformare”? E’ necessaria un’ “ambiziosa” riforma delle pensioni, una piena liberalizzazione del mercato dei beni e servizi (ex: farmacie, traghetti, aperture la domenica…), privatizzazione della compagnia elettrica, “una rigorosa revisione e modernizzazione del mercato del lavoro”, in particolare per ciò che riguarda la contrattazione collettiva e le misure industriali, rafforzare il sistema finanziario, eliminando qualsiasi possibilità di interferenza politica nel sistema bancario.

A queste riforme si aggiunge la costituzione di un fondo di 50 miliardi che si occuperà di gestire un massiccio processo di privatizzazione. Gli assets – o meglio i beni pubblici – considerati “valuables” verranno trasferiti a questo fondo che si occuperà di “monetizzarli” attraverso la loro vendita al migliore offerente. I fondi così ricavati verranno utilizzati per ripagare una parte del prestito triennale, per ammortizzare una parte del debito pubblico e per investimenti per far “ripartire l’economia”. Il fondo avrà sede in Grecia, e non in Lussemburgo come inizialmente previsto, e verrà gestito dalle istituzioni greche, sotto la supervisione delle Istituzioni europee. Ovviamente sono presenti minacciose clausole di salvaguardia, quali anche noi ben conosciamo.

Durante i negoziati la Grecia aveva costruito la propria linea di difesa attorno a quattro punti principali: il rifiuto della partecipazione dell’FMI al terzo programma di aiuti, l’opposizione al fondo per le privatizzazioni, la ristrutturazione del debito, la garanzia di liquidità alle banche. Soltanto sull’ultimo punto – stando al tenore delle dichiarazioni di queste ore – il governo greco sembra essere riuscito a strappare qualcosa, per il resto – a parte il trasferimento del fondo per le privatizzazioni dal Lussemburgo ad Atene – il governo Tsipras è stato costretto a capitolare. La stessa discussione attorno alla ristrutturazione del debito è presente nel testo dell’accordo in termini molto vaghi.

Durante il negoziato, come riporta questa infografica del Guardian di ieri, lo schieramento dei “falchi” dell’austerity, con a capo la Germania, ha portato fino in fondo il progetto ordoliberale europeo: o la Grexit o la capitolazione della Grecia. In entrambi i casi la Germania avrebbe vinto. I termini in cui si sono svolte le trattative e il contenuto stesso dell’accordo fanno emergere in piena luce un progetto di Europa costruito attorno a un blocco tedesco, forte di una maggioranza schiacciante all’interno dell’Eurosummit. La stessa proposta avanzata negli ultimi giorni dal ministro Schäuble sulla possibilità di una Grexit “a tempo” chiarisce la posizione della Grosse Koalition tedesca sul futuro dell’Europa. Se, come sosteneva Varoufakis nei scorsi giorni, l’eurozona è qualcosa di più di un’area a cambi fissi, ma è qualcosa di meno di uno entità statale, è altrettanto vero che il ricatto tedesco in questi giorni si è basato proprio sulla possibilità della Germania di aggredire i capitali ellenici in caso di uscita della Grecia dall’euro. Un’alternativa tra default e austerity che poteva essere rotta solo attraverso la costituzione di un fronte antitedesco al tavolo del negoziato, con la Francia in prima fila. Tutto ciò non è avvenuto e la scommessa di Tsipras sulla trattativa si è rivelata perdente.

Ora il parlamento greco dovrà votare questo pessimo accordo uscito dall’Eurosummit, lo scenario più probabile è che Syriza si divida e una parte voti contro, aprendo di fatto una crisi di governo cui potrebbe seguire la prospettiva di un governo di unità nazionale o addirittura le elezioni anticipate. In ogni caso, un’eventuale crisi di Syriza rappresenterebbe per la Merkel la ciliegina sulla torta. Diverso effetto, soprattutto in vista di elezioni anticipate e di un ricompattamento della sinistra radicale, potrebbe avere un clamoroso gesto di dimissioni di Tsipras al primo rilancio ricattatorio della trojka.

Di fatto sappiamo chi pagherà: i precari, i disoccupati, i lavoratori e un paese pauperizzato e umiliato. Non possiamo negarlo, questo accordo rappresenta una forte battuta di arresto alla possibilità di ridisegnare lo spazio europeo. Il potere economico tedesco ha utilizzato tutto il suo potere di ricatto, ma il più grande merito del governo greco è stato far emergere con forza esplosiva le contraddizioni dell’UE. La vittoria dell’#Oxi della scorsa domenica è stata innanzitutto l’apertura di uno spazio per riprendere in mano la decisione politica, ed è ancora questa la sfida che abbiamo di fronte: comprendere qual è lo spazio e la scala per poter tornare a decidere. In Grecia sono previste manifestazioni già oggi pomeriggio, mentre mercoledì è stato annunciato uno sciopero del settore pubblico, e sta circolando l’appello per una mobilitazione europea nei prossimi giorni. Lo spazio di mobilitazione sociale aperto dal referendum non è chiuso e chi ha votato “no” vuole rimanere in piedi. Su ciò che resta dell’Europa.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/cosa-resta-delleuropa

GREFERENDUM: VITTORIA DEI NO. IL POPOLO FESTEGGIA A PIAZZA SYNTAGMA

Oggi è una giornata storica, non solo per la Grecia ma per tutta l’Europa. Quello che è appena accaduto in Grecia non è solo una lezione di democrazia da parte della terra in cui la democrazia è nata. No, quello che è accaduto a Atene con questo referendum è anche una lezione di coraggio. Il popolo greco ha decido di dire di no all’austerity, di no ai ricatti della troika, di no a questa Europa.
In questi momenti molti si lamentano per la corsa a salire sul “carro del vincitore”, da parte di chi non aveva mai appoggiato prima il neogoverno di Alexis Tsipras. Non me ne vogliano costoro se io, pur riconoscendo il suo merito di aver indetto questo referendum (senza il quale non ci sarebbe stata questa scelta) preferisco porre l’attenzione sul popolo, com’è nel mio sentire.
Onore al popolo greco! No all’austerity! No alla troika!

D. Q.


Da

Drone captures thousands celebrating on Athens’ Square

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Atene, the day before

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Ci sono luoghi nel mondo dove la Storia sembra scorrere a un ritmo lento e rilassato. Ci sono cittá che cambiano verso l’alto, nella skyline, o sotto la scorza di una monotonia che si ripete.

Poi c’é Atene. Atene che cambia dentro. Atene della crisi, che ogni volta ti regala un dettaglio inedito, dietro cui si nasconde un significato piú grande, che a volte sfugge, a volte é chiaro. I ragazzini con le divise addosso e le armi in mano ad ogni angolo di Exarcheia, dopo la rivolta di dicembre 2008. I marmi divelti dei palazzi delle strade che confluiscono a Syntagma, a partire dal 2010. Centinaia di tossici che assediano il perimetro di Exarcheia, a ridosso delle elezioni di giugno 2012. Criminali robusti e vestititi di nero che minacciano con lo sguardo e con le mani, che torturano e uccidono, dopo l’ingresso in Parlamento dei loro camerati. L’entusiasmo inquieto e l’attesa preoccupata dopo la caduta dell’ennesimo governo, poche ore prima che la speranza dell’alternativa diventi fatto concreto.

Oggi Atene regala l’immagine di una cittá sospesa e divisa. Le macchinette della metro sono coperte da un cartello: ‘I trasporti pubblici sono gratuiti fino a nuova comunicazione’. Gli OXI e i NAI si alternano a singhiozzo sui manifesti che coprono i pali e i muri del centro e sulle copertine dei giornali esposti in ogni Periptero [edicole a chiosco, nda]. Nei bar affollati si legge, la carta stampata o le schermate degli smartphone, e si discute.

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Questa é Atene, il giorno prima che la Storia si affacci di nuovo in cittá. Questa é Atene, il giorno dopo le piazze di chiusura della campagna referendaria. Piena quella per il sí. Strabordante, commovente, da brividi quella per il no.

Se gli ultimi giorni avevano segnato una tendenziale rimonta di chi si diceva disposto ad accettare un nuovo memorandum, l’impressione (forse, la speranza) é che la giornata di ieri possa aver invertito questa direzione. Certo é impossibile fare previsioni o avere il polso della situazione. Almeno ad Atene, peró, potrebbe essersi aperta una breccia nel muro di paura cementificato dalla Troika, dalle multinazionali, dai padroni. La capitale, dove vivono la metá degli elettori greci, ha dato una risposta impressionante circondando e inonando Syntagma, mentre Alexis Tsipras teneva il discorso conclusivo.

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Una prova non scontata. Una risposta a chi sta praticando un colpo di Stato non convenzionale. Non con i carrarmati e le armi spianate, senza colonnelli, ma con il blocco della liquiditá alle banche, con le minacce di non pagare gli stipendi e di licenziare in massa, con mille ricatti grandi e piccoli, degni solo dell’arroganza di chi ha affamato il Paese, lo ha costretto al suicidio, lo ha indebitato, ma non é ancora sazio. Ci vorrá grande coraggio e un’infinita dignitá per votare No domani. Non sará certo facile con la pistola alla testa puntata dal fronte pro-austerity.

Intanto, intorno al Greferendum i fronti che si scontrano oggi in Europa e per l’Europa stanno assumendo maggiore concretezza e diventano visibili a un largo pubblico. Da un lato, troviamo chi vuole cancellare qualsiasi prerogativa democratica e distruggere lo Stato sociale e i diritti conquistati dalle lotte. Chi lavora quotidianamente per trasformare il vecchio continente, e in particolare la sua area mediterranea, in una riserva di lavoro a basso costo o gratuito, senza potere contrattuale. Chi spende miliardi per escludere migranti e rifugiati, per costringerli a morire al di lá del mare e delle frontiere. Chi non puó tollerare che agli interessi dei mercati finanziari e delle élite globali si contrappongano politiche differenti, in fondo neanche troppo radicali e comunque legittimate formalmente da un mandato popolare.

Dall’altro lato, peró, c’é un popolo europeo che lentamente, a fatica, sta alzando la testa, cercando di consolidare ed espandere l’incompatibilitá con i diktat neoliberali, con il disprezzo della vita e della democrazia delle istituzioni finanziarie. Lo sciopero europeo del 14 novembre 2012, l’intenso percorso di Blockupy culminato nell’assedio all’Eurotower, l’emersione in diversi Paesi di partiti radicali e anti-austerity, l’esperienza greca in tutta la sua complessitá, gli scontri e i fuochi che dall’inizio della crisi sono scoppiati nelle principali metropoli, fino alle decine di piazze europee di ieri, riempite da migliaia di persone nel silenzio generalizzato dei media di regime.

Questa grande mobilitazione per il No merita un breve approfondimento. Innanzitutto bisogna sottolineare l’importanza della lettura europea di questa consultazione refendaria, che comunque rimane su base nazionale. Le piazze di ieri e le azioni di questi giorni raccontano una crescente capacitá di interpretazione della fase politica e della spazialitá che le é propria. La consapevolezza che il risultato del voto greco riguarda il futuro di tutti i cittadini europei ha travalicato i circoli dei militanti politici da piú tempo impegnati nella costruzione di dinamiche politiche transnazionali. Inoltre, un altro merito di queste piazze é quello di aver contribuito a smascherare la sistematica produzione di menzogne dei centri di potere finanziario e delle istituzioni europee. Stanno raccontando che il No é un voto contro l’Europa, eppure ieri é stata proprio l’Europa che in maniera compatta ha votato No nelle strade: neppure una piazza si é riempita a sostegno del Sí!

Allora diciamo le cose come stanno. La scelta non é pro o contro l’Europa. La scelta é pro o contro quest’Europa. L’Europa del debito, dei ricatti, dello schiavismo, del razzismo, oppure un’Europa in cui ci sia spazio per l’alternativa, per i diritti del lavoro e per i diritti sociali, per l’autodeterminazione, per i movimenti sociali e per una democrazia che va necessariamente radicalizzata. La questione dell’euro é solo una parte di questo tema piú ampio e decisamente piú importante. Di sicuro non si puó pensare di sacrificare la possibilitá dell’alternativa sull’altare della moneta unica e dei ricatti ad essa connessi!

Comunque vada, siamo alla resa dei conti: il nemico vuole colpire SYRIZA e il popolo greco per educare, scoraggiare, sfiancare tutti coloro che in questi anni si sono opposti all’austerity e al progetto di autoritarismo finanziario della Troika e delle istituzioni europee. Da domani, in ogni caso, niente sará come prima. Da domani, in ogni caso, ci sará maggiore bisogno di un movimento europeo reale e di rotture che dal basso e dall’alto facciano male al nemico.

di Giansandro Merli

 

Fonte:

http://atenecalling.org/atene-the-day-before/

 

Leggi anche qui:

Cosa succede, cosa succede in città? Impressioni dalle strade di Atene

supa-500x330Atene, in questi giorni è una città calviniana, invisibilmente presa nei suoi percorsi simbolici, nelle sue linee insieme concrete ed effimere, attraversata dal dubbio. Ma chi sono i protagonisti di questa storia, che non fanno che apparire confusi ai lettori…

SOLIDARIETA’ A SHIP TO GAZA GREECE – IN SOLIDARIETY WITH SHIP TO GAZA GREECE

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In questo momento, mentre attendiamo i voli di rimpatrio forzato delle ultime persone sequestrate in acque internazionali dalla marina israeliana, il nostro pensiero va anche al grande sacrificio dei compagni di “Ship to Gaza Grecia”, campagna che, assieme a “Freedom Flotilla Italia” e alle altre della coalizione internazionale FFC, contribuisce alla missione Freedom Flotilla III. Queste persone hanno continuato a lavorare per il popolo palestinese di Gaza, nonostante la situazione di emergenza in cui versa il loro paese, negli ultimi anni, e in queste ultime settimane in particolare.

La Grecia è ora in prima linea nel difendere i diritti sociali alla base dell’Europa comunitaria, diritti che l’Europa della finanza vuole cancellare, incurante della crisi umanitaria che questo comporta.

Teniamo a far notare che l’attuale governo greco, nonostante la situazione sia ancora più difficile di quella del 2011, si è comportato onestamente, con dignità, non intervenendo per bloccare le imbarcazioni della Freedom Flotilla III, in partenza dai porti ellenici. Sembra ovvio che sia così, eppure il governo in carica nel 2011, in cerca di aiuti economici, si comportò in maniera opposta, emanando un decreto legge senza precedenti per fermare le imbarcazioni della Freedom Flotilla II, anche allora ancorate nei porti greci, in attesa di partire per Gaza.

In solidarietà

Freedom Flotilla Italia

Under the actual circumstances, while waiting for the return of last deported people, captured in international water by the Israeli Navy, our thoughts go also to the big efforts of the “Ship to Gaza Greece” campaign, that along with other campaigns in the international Freedom Flotilla Coalition, are contributing to the Freedom Flotilla III. Those Greek activists continued to work for the Palestinian people of Gaza, despite the emergency situation involving their country during the past years and particularly the past weeks.

Now Greece is front line defending the social rights that should be the grounds of the EU Community, whereas the actual Europe, led by financial market, is willing to cancel those rights, with no regard to the resulting humanitarian crisis.

We highlight the fact that the actual Greek Government, despite the current situation being even worst than in 2011, is acting honestly and with dignity towards Flotilla III boats, not having prevented them from departing from Greek ports. This may appear an odd statement. It is not, because the Greek Government in charge in 2011, probably seeking for economical help, choose to act differently issuing a Legislative Decree, unprecedented, thus preventing Freedom Flotilla II boats to Gaza from departing from Greek ports.

In solidarity

Freedom Flotilla Italia

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/2015/07/04/solidarieta-a-ship-to-gaza-greece-in-solidarity-with-ship-to-gaza-greece/