DOPO L’EXPO

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di Mario Vitiello

A qualche giorno dalla fine dell’Expo, è possibile iniziare a fare alcuni bilanci dell’evento che ha occupato la scena politica e sociale milanese (e a tratti anche nazionale) negli ultimi cinque anni. Expo è un evento complesso, che riguarda la città di Milano e probabilmente l’intera nazione, che interessa molti settori, e ancora oggi sono tante le domande aperte, molti i rischi incombenti – non tutti noti – e innumerevoli le ferite che si devono ancora rimarginare. Per questo è necessario premettere qualche informazione riguardo gli assetti delle società che governano Expo, per comprendere quali siano le criticità e le contraddizioni presenti sullo scenario milanese (ma non solo) per i prossimi anni.

La proprietà delle aree è di Arexpo Spa, la società che ha comperato il milione di metri quadri su cui si sta svolgendo l’evento. Li ha acquistati da Cabassi, da Fondazione Fiera e da Poste Italiane, pagandoli uno sproposito (grazie ad una speculazione tipo “mani sulla città” garantita dalla giunta Moratti), indebitandosi con le banche (principalmente Intesa San Paolo per circa 160 milioni) e con la stessa Fondazione Fiera (per circa 50 milioni di euro). La gara indetta negli scorsi mesi per trovare un compratore per le aree del sito è andata deserta, e in molti stanno pensando a cosa fare di queste aree, che per il momento sembrano interessare a tutti ma che nessuno vuole.

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A meno che non intervenga un soggetto “forte”, sia sotto il profilo politico sia sotto quello finanziario, che garantisca la realizzazione di nuove opere, nuove infrastrutture Expo Spa è la società che ha costruito l’Expo e che sta gestendo lo show.

I compiti di Expo S.p.A. sono in sintesi: organizzare e gestire l’Evento; redigere il piano finanziario dettagliato delle opere essenziali; gestire i finanziamenti pubblici degli enti finanziatori; stipulare i contratti relativi alla gestione operativa dell’Evento ed acquisire i proventi, nel rispetto del dossier di candidatura e successive modificazioni; redigere alla chiusura dell’Evento un rendiconto finanziario generale, da sottoporre all’approvazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze; (da wikipedia).

Expo Spa ha realizzato il sito e ha gestito il processo costruttivo dei padiglioni “standard”, ha stipulato i contratto con i paesi ospiti, sta gestendo il management di tutto lo svolgimento, sta percependo proventi di vario tipo (pubblicità, merchandising, …) e sta incassando il denaro proveniente dalla vendita dei biglietti. Ad oggi non è chiaro a nessuno quale sia il bilancio definitivo di Expo Spa. Certo è che erano attesi 29 milioni di visitatori, e forse si arriverà a 20 milioni. Il masterplan prevedeva che l’accesso costasse 30-32 euro, mentre fin dal mese di aprile erano sul mercato biglietti a 20 euro, che diventavano 10 euro per le scuole. Dal mese di giugno i visitatori serali (comunque contati nel conto complessivo) entrano con 5 euro. Molti paesi non stanno pagando i creditori, tra cui gli Stati Uniti. Si può affermare, senza timore di grosse smentite, che Expo produrrà un importante passivo che dovrà essere ripagato dall’unico soggetto capace di una operazione di questo genere e portata: il ministero dell’Economia, cioè lo Stato tramite Cassa Depositi e Prestiti. Questa voragine inoltre avrà sicuramente ripercussioni sul bilancio del comune di Milano, sull’economia dell’intera regione ed in generale sul “sistema paese”.

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Sul piano politico (e delle politiche) Expo è una specie di buco nero. Tutti si sono improvvisamente scoperti “expottimisti”, a partire ovviamente dal Pd e dalla giunta del sindaco Pisapia, che ha ereditato l’Expo quando ne avrebbe volentieri fatto a meno ma che non a saputo dire l’unico “no” che avrebbe dato un senso al suo mandato. L’euforia da Expo è stata venduta con gran dispiegamento di forze, ed  alla fine il mantra che ripete ossessivamente “Expo è un successo” si è affermato con modalità orwelliane.

La saldatura tra Comunione e Liberazione e Pd nella gestione di tutta l’area metropolitana è oramai definitiva. Sotto i profilo culturale Expo si è rivelato essere esattamente quello che molti avevano sempre temuto:la materializzazione di una specie di Disneyland in versione padana, con una dose rilevante di kitch e una enorme capacità di imporre il pensiero unico dell’”Expo felice”. In questo ambito, occorre riconoscerlo, ha dato una grossa mano il contribuito di (pare) circa 50 milioni elargito da Expo alle maggiori testate e giustificato sotto la voce “comunicazione istituzionale”. Gli effetti sul turismo sono contraddittori, in città il flusso dei turisti è sicuramente aumentato e le statistiche dicono che i visitatori sono raddoppiati rispetto al 2014.

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Però Milano non è una città turistica, e raddoppiare un numero piccolo non è un gran risultato … È ormai chiaro però che Expo si è rivelato un competitore con la città. Expo ha funzionato da attrazione verso il sito espositivo, con grandi afflussi concentrati nei weekend e lunghe code agli accessi, e da dissuasione rispetto alla città: molti ristoratori lamentano un calo delle presenze in centro, molti esercizi commerciali fuori dalle rotte verso Expo non hanno registrato alcun incremento di clientela. Sul piano della legalità Expo ha avuto il pregio di far emergere il peggio del peggio della corruzione, della connivenza tra settori dello stato, con manager incaricati di gestire la cosa pubblica e criminalità organizzata. Soprattutto ha dimostrato, per quanto fosse già chiaro, che la macchina del “grande evento”, così come è pensata, genera un diffuso agire criminale. Ormai è chiaro che non esiste una “grande opera” sana e pulita, le grandi opere per definizione sono un precipitato di criminalità e di connivenza tra impresa, stato ed organizzazioni malavitose, tanto da rendere difficile distinguere i confini tre questi soggetti.

Il dopo Expo per ora assomiglia a un qualcosa a metà tra un film con Fantozzi e un film di Fellini. Sicuramente subiremo con violenza la narrazione del successo di Expo, e si userà il numero di visitatori per giustificarlo. Invece i numeri reali del bilancio verranno tenuti nascosti almeno per tutta la campagna elettorale, che si svolgerà nella prossima primavera.

L’unico soggetto che ne uscirà bene sarà, come al solito,Fondazione Fiera Milano (Ffm) che venderà la sua quota in Areepo allo Stato, incasserà le plusvalenze e non dovrà nemmeno preoccuparsi delle bonifiche, delle dismissioni e di qualsiasi cosa riserverà il dopo-sito. L’area di Expo rischia di rimanere abbandonata a se stessa per i prossimi mesi e forse per i prossimi anni. Tutti resteranno fermi in attesa che vengano definiti gli accordi tra i poteri forti, che per l’area milanese in questa fase significano l’intreccio tra Fondazione Fiera, Ferrovie dello Stato, che sta per trasformare gli ex scali ferroviari in nuove speculazioni edilizie, Aler, che procederà con la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, l’Università, che tenterà di diventare l’ennesimo agente del Real Estate. Uno scenario ad elevato rischio di bolla speculativa, perché a Milano non esiste nessun bisogno reale, cioè capace di suscitare mercato, di nuove edificazioni o di nuovi interventi, che finiranno per moltiplicare i fallimenti di Santa Giulia o di City Life.

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Infine si devono considerare i progetti infrastrutturali, che trovano nuova forza dallo Sblocca Italia, e che incombono sull’area metropolitana e in particolare sul Parco Sud (trivelle, discariche e stoccaggi di idrocarburi). Questi progetti confermano la gigantesca menzogna di Expo rispetto al tema dell’esposizione: cibo, filiera corta, alimenti a km zero, agricoltura sostenibile e periurbana etc., e dimostrano l’inutilità della Carta di Milano, spacciata come “High Agreement” quando in realtà nessuno sa cosa ci sia scritto e finirà dimenticata. Expo è stato e sarà un furto alla collettività. È stato realizzato con risorse pubbliche che hanno drenato le casse del Comune, della Regione e domani anche dello Stato.

Expo inoltre non ha ridistribuito ricchezza. Al contrario ha generato limitatissimi ritorni economici diffusi, mentre invece haprodotto enormi plusvalenze per pochi soggetti collocati in posizione strategica. Expo infine è stata la vittoria della logica emergenziale, violenta e privatistica di concepire l’economia e più in generale i rapporti sociali in questa fase di crisi. L’unica risposta accettabile, che peraltro potrebbe solo in parte restituire quanto sottratto negli scorsi anni, consiste nel convertire il sito per restituirlo alla città ed al territorio.

Il dopo Expo deve diventare un luogo sociale, deve restituire alla città le aree e le infrastrutture, deve diventare bene comune e patrimonio di tutti i cittadini, deve sdebitarsi per tutto quello che è stato sottratto a Milano e al paese.Ma questo non è ancora sufficiente. È necessario che anche l’intero processo decisionale su cosa fare dell’Expo sia oggetto di una valutazione e di una decisione partecipata. Un dispositivo di partecipazione attiva in cui i cittadini possano esprimere un punto di vista che di sicuro sarebbe differente da quello di Fiera, Expo e Compagnia delle Opere

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*Comitato No Expo
Fonte il Granello di Sabbia

 

Citato in http://comune-info.net/2015/11/dopo-lexpo/

Parla Lello Valitutti, l’anarchico in carrozzina: Vi dico cos’è ‘”violenza”

lello La denuncia di Lello Valituttti

Fatto oggetto di un’infame campagna mediatica dopo il primo maggio milanese, abbiamo sentito Lello Valitutti riguardo alle minacce mafiose a lui rivolte da alcuni sgherri in borghese. Una denuncia, una precisazione e un paio di considerazioni.

http://www.radiocane.info/lello/

 

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Parla Lello Valitutti, l’anarchico in carrozzina: Vi dico cos’è ”violenza”

04/05/2015

E’ stato un’icona della protesta no-Expo nel giorno dell’inaugurazione, tuta nera, casco e sedia a rotelle, parla Lello Valitutti: ‘Black bloc? Io mi definisco anarchico’.

 

 

Fonte:

http://www.la7.it/piazzapulita/video/parla-lello-valitutti-l%E2%80%99anarchico-in-carrozzina-vi-dico-cos%C3%A8-violenza-04-05-2015-153888

Expo 2015 e le diverse forme di violenza

Voglio scrivere una mia personale riflessione su quello che è accaduto e sta accadendo in questi giorni per l’Expo 2015. A me fa schifo l’Expo, sono sempre stata contraria e mi fa schifo anche quello che è successo il primo maggio a Milano, non tanto perchè mi preoccupi la conta dei danni, ma perchè quelli che hanno spaccato e bruciato alla cazzo per l’ennesima volta, non c’entrano nulla con la politica. E’ solo gente che non ha niente di meglio da fare. E così rovinano tutto il lavoro dei movimenti No Expo che da tempo si davano da fare per cercare di far capire le ragioni del perchè non si può pensare di nutrire il pianeta con la merda delle multinazionali – come McDonald’s e Coca Cola, solo per fare qualche esempio – nè con lo sfruttamento gratis nascosto sotto il termine “volontariato” nè con l’inquinamento causato dalla Via d’Acqua  nè con le politiche di occupazione, permettendo la partecipazione di paesi come Israele. Io sono dell’idea che le proteste per essere efficaci e sensate dovrebbero essere fatte con intelligenza, non bruciando alla cazzo, ma facendo casino in altro modo, con modi che facessero sentire la propria voce, portando per strada veri lavoratori, con l’arte, con la musica, con gli slogan, con strumenti musicali, con strumenti qualsiasi, mostrando facce pulite contro l’ipocrisia dei potenti. E questo in qualche modo è stato fatto durante il corteo dai movimenti No Expo. Ma, sì sa, i media preferiscono dare spazio alle immagini di violenza e questo fa sì che episodi simili coprano la vera faccia dei movimenti. Io penso che se  poi proprio si volessero fare delle azioni dimostrative avrebbe più senso farle invece che contro vetrine e macchine a caso, contro le sedi delle istituzioni per esempio. Ma credo pure che queste siano cose che lascerebbero il tempo che trovano e che l’invito al boicotaggio e a seguire percorsi alternativi, su modelli di produzione sostenibili, resterebbe, nel lungo periodo, la forma migliore per un  progetto politico dal basso.
Detto questo,  mi preme ora evidenziare quelle che per me sono diverse forme di violenza. Credo non ci sia solo la violenza dei black block. C’è la violenza dei media che sbattono sulle pagine di tutti i giornali foto e un’intervista fatta chissà come di un vecchio compagno anarchico, Lello Valitutti, presente in questura durante l’omicidio di Pinelli. Un compagno che nonostante l’età e la disabilità da una grande testimonianza essendo presente alle più importanti mobilitazioni e che si è visto prima picchiato e minacciato di morte da parte della polizia – come lui stesso riferisce – e poi etichettato dai giornali come il black block in carrozzina. C’è la violenza di una legge fascista da codice Rocco, come quella del reato di devastazione e saccheggio per cui sono previste pene fino a 15 anni di carcere, che gli arrestati di questi giorni (ammesso siano colpevoli) adesso rischieranno. Si ripete così lo stesso copione degli arresti per il g8 2001.
C’è, inoltre, una violenza ancora più taciuta: quella della morte di un giovane ragazzo di soli 21 anni di origine albanese, Klodian Elezi. Klodian lavorava al cantiere della Teem, la tangenziale est esterna milanese, una delle tre opere infrastrutturali di Expo. A poche settimane dall’apertura dell’Esposizione Universale, Klodian è morto cadendo da più di dieci metri d’altezza mentre smontava un ponteggio. Secondo diverse testimonianze, l’azienda per cui lavorava, la Iron Master, non avrebbe fornito né imbracatura né casco di sicurezza.
Per un evento mondiale, che pretende di nutrire il pianeta attraverso lo sfruttamento di giovani al servizio di multinazionali, un ragazzo è morto per mancanza di sicurezza sul lavoro. Ma nessuno ha tempo per pensarci. C’è una città da ripulire e un grande evento da portare avanti, anche se i padiglioni sono fatiscenti e cadono a pezzi, come le illusioni che nascondono.

D. Q.

 

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(Fonte immagine: http://www.giuliocavalli.net/2015/05/01/buon-primo-maggio-klodian-morto-po-dexpo/


 

 

 




EXPO 2015: NUTRIRE LE MULTINAZIONALI, NOCIVITA’ PER IL PIANETA

MaydayDEFbassaIl Primo Maggio non sarà la giornata di inaugurazione di un Grande Evento.

Il Primo Maggio va in scena il teatrino che presenta come eccezionale un paradigma, paradigma che in realtà si sta già affermando sul territorio lombardo e su quello nazionale.

Expo non è limitato a un periodo di tempo, non è circoscritto ad una determinata regione, Expo è l’emblema di un sistema di gestione dei territori che travalica la territorialità del qui ed ora, che sfrutta la logica del grande evento, dello stato di eccezione, per mettere i suoi tentacoli in ogni angolo della metropoli e della società: dall’alimentazione al lavoro, passando agli umilianti discorsi rispetto al ruolo della donna, alla consegna della città alla speculazione edilizia e alla corruzione. Expo non inventa nulla, raccoglie e istituzionalizza percorsi d’attacco ai diritti, alla vita, al futuro che da anni subiamo. Expo è un modello di governance, uno strumento del capitale, quindi è un acceleratore di processi neoliberali che vanno dal superamento dello stato nazione e delle sue rappresentazioni sotto forma di democrazia rappresentativa, alla speculazione e all’esproprio di ricchezza dal territorio e di sfruttamento delle vite, passando per l’imposizione della logica del “privato”. Expo, assieme a “grandi eventi” (Mondiali di calcio ed Olimpiadi), Grandi Opere e gestione dei grandi disastri ambientali ha, quindi, un ruolo centrale in questa fase del capitalismo.

Partendo dalla speculazione sui terreni agricoli, il “governo Expo” accelera i processi di svendita del patrimonio pubblico e di “privatizzazione all’italiana”: si fondano aziende di diritto privato che in realtà sono costituite da enti pubblici (vedi Expo spa); vengono drenate risorse a settori di supporto sociale, come l’abitare, la mobilità accessibile, la cultura; si attivano ingenti processi di cementificazione di aree urbane ed extraurbane (centinaia di km di asfalto tra Teem, BreBeMi, Pedemontana e la distruzione dei parchi a sud-ovest di Milano per realizzare la Via d’acqua) che stravolgono l’assetto urbanistico e la vivibilità dei quartieri.

Negli oltre sette anni di re-esistenza, come rete NoExpo abbiamo più volte descritto e semplificato questi processi, ascrivibili al modello Expo, secondo lo schema debito, cemento, precarietà, mafie, spartizione, poteri speciali, nocività, mercificazione di acqua e cibo e anche corruzione culturale, sociale, politica, ideologica. A queste parole sono corrisposte vicende, fatti e inchieste che Expo ha generato e che hanno confermato quanto affermiamo da tempo: Expo non è un’opportunità ma un problema e una minaccia non solo per Milano ma per l’intero Paese. Con l’apertura dei cancelli di Expo, queste parole d’ordine saranno il filo conduttore delle analisi e delle mobilitazioni che porteremo avanti nei prossimi mesi.

GREENWASHING
Attraverso la mistificazione delle idee di ecologia e di sostenibilità e dell’importanza di un’alimentazione sana, Expo si tinge di verde, con la green economy e il greenwashing, per mascherare l’ipocrisia di un approccio al tema tutto interno al modello economico neoliberista, in continuità con esso nel promuovere le politiche legate agli investimenti di multinazionali dell’alimentazione, del biologico a spot e dell’agricoltura intensiva ed industriale. Un evento, a sentire la propaganda, così dedito alla natura e all’ecologia che dovrebbe favorire i piccoli contadini ed un rapporto diretto con la terra, che si basi sull’acquisto solidale, la vendita diretta, il chilometro zero, la diffusione del biologico all’intera popolazione, in definitiva l’accesso per tutti al cibo.
Tuttavia, basta un’occhiata a sponsor e aziende partner di Expo per comprendere l’ipocrisia dei discorsi ufficiali. La partecipazione delle principali multinazionali dell’industria alimentare (basti pensare a McDonald’s) e della grande distribuzione; l’investimento sull’evento da parte di colossi dell’agroindustria che detengono il monopolio sulla mercificazione delle sementi e la gestione di quelle geneticamente modificate (e che moltiplicano in questo modo rapporti di dipendenza dei paesi economicamente più indigenti verso quelli più ricchi); il supporto alle politiche di sfruttamento intensivo dei terreni e il sostegno ad un’agricoltura di tipo industriale, che segue le regole del mercato schiacciando l’attività agricola rurale, sono tutti elementi che raccontano un modello che nulla ha a che fare con il “ritorno alla terra”. Un concetto, sia chiaro, emerso in funzione della cattura, all’interno della ragnatela di Expo, dei soggetti socialmente attivi sul tema, attirati da un immaginario, frutto di una banalizzazione e d’un appiattimento, utile più a vendere un prodotto che a risolvere problemi o presentare alternative.
Coca-Cola, McDonald’s, Nestlé, Eni, Enel, Pioneer-Dupont, Selex-Es, e altre aziende sponsor dei padiglioni nazionali, rappresentano alcune delle aziende responsabili dell’inquinamento di terre e mari, di deforestazioni, di nocività e morti sul lavoro, di allevamenti come campi di concentramento, di armi da guerra e di nuove tecnologie di controllo utilizzate sia in ambito militare che civile, non certo modelli da imitare. Allo stesso modo la presenza di stati come Israele o di altri regimi dittatoriali, per quanto occultata dietro la retorica del cibo strappato al deserto o altre amenità, non può far scordare le politiche genocide o autoritarie di certi Paesi. Ricordiamo che Israele coltiva sì nel deserto, ma grazie all’acqua rubata al popolo palestinese.
E la propaganda di Expo non può nascondere le reali conseguenze di questo grande evento: enormi colate cemento sui campi agricoli inglobati dalle aree espositive col contentino di seminare qualche mq in città, decine di chilometri di nuovi percorsi autostradali su aree agricole o parchi, con il taglio di migliaia di piante e la distruzione di habitat, opere tanto edonistiche quanto nocive per l’ambiente e inutili per la società.

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CIBO

L’alimentazione è il tema principale di Expo, ma il modo in cui è affrontata distorce volontariamente alcuni concetti chiave in materia agroalimentare. Expo è un evento-ponte per modellare il vestito nuovo del neo-capitalismo, la green economy che usa concetti come “benessere animale” o “sovranità alimentare” per darsi credibilità.
È evidente quanto il modello Expo sia lontano dal concetto di sovranità alimentare, visto il supermarket del futuro proposto da Coop e M.I.T. e basato sul “consumatore integrato”, cioè un individuo con un conto corrente e la disponibilità di tecnologia di ultima generazione per poter scegliere il cibo, informarsi sull’intera filiera produttiva e riceverlo a casa con i droni. Da buon magnate democratico Expo ha pensato anche a chi non potrà permettersi questo prospero futuro e ha aperto i suoi spazi a McDonald’s, probabilmente il colosso alimentare più cancerogeno e schiavista al mondo.
La formula “benessere animale”, recuperata della propaganda Expo e ripetuta come un mantra dai suoi partners alimentari, è un mal celato tentativo linguistico di edulcorare i drammatici processi dell’allevamento. Sappiamo bene che è un concetto inventato per rendere più accettabile la catena di smontaggio da individui a cibo, in modo da confortare i consumatori, oggi apparentemente consapevoli e attenti all’intero processo dell’alimentazione. Riteniamo che non è importante quanto gli animali da reddito vivano bene, come crede di insegnare Slow Food, ma è importante che ognuno di loro possa autodeterminare la propria esistenza e il proprio habitat e lo si sganci dal considerarlo come merce produttiva all’interno di un modello alimentare antropocentrico.

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“Nutrire il Pianeta, Energia per la vita” quindi, uno slogan che in superficie tratta nella maniera appena descritta il tema dell’alimentazione, ma nel profondo funge da alibi dietro cui si nascondono il cemento dei piani di gestione del territorio nazionale e in cui si sostanzia una precarietà lavorativa, che oltrepassa la dimensione della crisi e diventa dispositivo strutturale per giustificare le politiche di austerity che sottendono al sistema capitalista e alla sua sopravvivenza.
Expo si fa quindi laboratorio di sperimentazione di nuove politiche sul lavoro che hanno, da una parte lo scopo di anticipare le legislazioni che riguarderanno tutto il paese, e che in gran parte il Jobs Act ha già realizzato, dall’altra quello di garantire un evento in cui la redistribuzione della ricchezza è assente o riservata solo a chi sta in cima alla piramide. Attraverso deroghe al patto di stabilità e accordi con i sindacati confederali, viene sancito, con Expo, lo stravolgimento del lavoro a tempo determinato. Permettendone la somministrazione incontrollata e il rinnovo del 100% del personale utilizzabile tra un contratto e l’altro, si abbassa la percentuale di assunzione dopo il periodo di apprendistato, si determinano condizioni di stage che poco hanno a che fare con l’ambito formativo e che invece riguardano direttamente lo sfruttamento lavorativo.
Ciliegina sulla torta di Expo è l’esercito di volontari ottenuto grazie ai suddetti accordi che permettono ad aziende e datori di lavoro di servirsi del lavoro gratuito. All’inizio 18500 persone solo sul sito, poi fermi a 7000 per carenza di candidature, poi cifre di cui diventa difficile comprendere il fondamento. Quel che è certo è che i volontari saranno la tipologia prevalente di manodopera per Expo. È la ramificazione nella ramificazione: per Expo si cercano lavoratori disoccupati da inserire nei processi di perenne occupabilità, per Expo lavoreranno gratuitamente i Neet e gli studenti medi e universitari, cui vengono imposti progetti e lavori con il ricatto del voto finale, della maturità, della promozione o del “fare curriculum”.
Con Expo viene quindi esplicitato l’obiettivo delle politiche lavorative delle ultime due decadi: da lavoratori a tempo indeterminato si è costretti ad accettare qualsiasi forma di tempo determinato; politiche che hanno portato a una crescente precarietà culminante, ora, nello sfruttamento tout court. Con Expo continua l’economia della speranza rivolta al lavoro, per cui la condizione di sognare un futuro prima o poi stabile parte già dal mondo della formazione e si materializza nel tempo sempre più come un miraggio irraggiungibile, mentre si alimenta il sistema di liberalizzazione del mercato del lavoro attraverso l’impiego di agenzie interinali come Manpower, macchine di precarizzazione che agiscono sui territori da tempo. Una speranza che, in fondo al percorso, diviene ricatto e minaccia d’esclusione sociale, agito per rimpolpare un esercito di riserva mai così numeroso.

SOCIAL?

Expo è al contempo, quindi, l’emblema di una fabbrica di sogni e di immaginari, e una farsa. Le promesse di un futuro migliore, la “pulizia” e l’eticità attraverso la categoria del “biologico&tradizionale”, “buono, sano e giusto”, dice Expo dopo aver fagocitato Slow Food e con esso l’operazione “Expo dei Popoli”. Questo contenitore di oltre 40 ONG, associazioni e reti contadine vuole cavalcare “l’occasione” del grande evento, ma attraverso le sue rappresentanze non esprime una critica alla squallida speculazione sul vivente messa in campo dal grande evento, giustificando e legittimando così tutte le logiche di cui Expo si fa vetrina. Non ci si può dire contro, dichiararsi per la sostenibilità ed essere complici di Expo 2015.
Non contento di aver fagocitato senza particolari resistenze questa fetta di mondo associativo e di società civile, che si dice attenta alle “compatibilità”, Expo rilancia con il tentativo di creare una piattaforma sensibile alle questioni di genere. In un primo momento il carattere “gay friendly” di Expo, con la volontà di creare una gay street in via Sammartini e di presentare uno scenario attento al mondo della diversità di genere, ha fatto ben sperare tutto quel giro di locali e affini che speculano sulle identità, e tutti i sinceri democratici che han creduto in un’apertura sociale del grande evento. Ma le carte in tavola si sono scoperte velocemente: la denuncia del processo di ghettizzazione alla base della creazione di luoghi “per gay” e il patrocinio di Expo ad un evento omofobo nel gennaio 2015, hanno svelato la vera natura di Expo rispetto alle questioni di genere e l’uso strumentale delle stesse. Tale natura viene confermata anche dalla creazione di un portale “Women for Expo” che diffonde una rappresentazione della donna come nutrice, cuoca e madre, parametri funzionali alla conferma di immaginari che vedono la donna relegata ad un unico ruolo e subalterna ai meccanismi di governo della società e dei territori.

IL PARADIGMA

Milano è diventata il laboratorio di un paradigma che vuole imporre un modello di sviluppo e governance che trasforma irreversibilmente e in modo lesivo la società e i territori. Vediamo la nostra città trasformata, modellata per farla diventare una bomboniera da vetrina, facendo tabula rasa della memoria dei quartieri popolari e del verde cittadino. Un modello che prevede l’accumulo di ricchezza a favore di quei pochi che regolano il gioco del settore edilizio o che gestiscono in generale le eccedenze di profitto; ci sottraggono territorio, beni comuni, servizi, reddito per darli in pasto ai grandi squali dell’edilizia o della finanza, mentre le aziende appaltanti intascano mazzette. Lo scenario dell’Expo era allestito per far da copertura a queste operazioni e mettere in moto un nuovo dispositivo predatorio.

Questa è la crescita tanto decantata dalla Troika. Questo il tipo di progresso che si sta promuovendo: un avanzare effimero che serve a rigenerare la finanziarizzazione di beni e servizi e la sottomissione di regole e priorità alle esigenze del mercato, applicate in tutti i settori, perfino nell’immaginario, per darsi autogiustificazione. Il paradigma Expo vorrebbe continuare a costruire un mondo che si è già dimostrato superato, protagonista della crisi iniziata nel 2007, e che cerca di rialzarsi calpestando le sue stesse macerie.

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L’ATTITUDINE NOEXPO
Il rifiuto di questo modello e il suo superamento nella propulsione di altre logiche sta alla base dei nostri ragionamenti e porta la rete dell’Attitudine NoExpo a individuare le seguenti priorità:
• Fermare l’estrazione di risorse e lo smantellamento dei servizi e dello stato sociale per promuovere la tutela del bene comune e del bene pubblico.
• Riaffermare la sostenibilità della vita attraverso l’abbattimento della precarietà, l’attenzione all’utilità del lavoro e alla sua retribuzione. Combattere la precarietà come dato acquisito e destinare, ad esempio, le risorse finanziarie dedicate a questi eventi ai settori lavorativi messi in ginocchio dalle nuove legislazioni.
• Trovare nella lotta ad Expo la possibilità di un fronte sociale comune, bloccando immediatamente la logica del lavoro gratuito in favore di quella del reddito garantito.
• Promuovere la cura dell’educazione e della formazione che devono tornare a focalizzarsi sullo scambio di saperi e non sulla compravendita di energie da impiegare nel mercato seguendo bisogni determinati unicamente da logiche di consumo. Ripartire dalla scuola, contestando con forza tutte le forme di aziendalizzazione della formazione pubblica e i meccanismi di falsa meritocrazia che sviliscono la qualità dell’insegnamento trasformato in una competizione senza fine.
• Ripartire dal sostegno ai piccoli agricoltori e al biologico per tutti e non solo per la ricca élite che si può permettere Eataly.
• Ripensare ad un rapporto equiparato tra le specie che popolano terre, acque, cielo, in prospettiva del superamento della prevaricazione di una popolazione sull’altra e della specie umana su tutte le altre.
• Affermare immaginari che ribaltino quelli di una società machista, maschilista e patriarcale, che svelino la ricchezza e la pluralità dei generi oltre il binarismo della categorizzazione imposta.
• Tutelare il diritto alla città, salvaguardando in primo luogo i parchi di Trenno e delle Cave che potrebbero subire, a causa di Expo, trasformazioni strutturali che porterebbero alla parziale distruzione di uno dei polmoni più importanti di Milano e metterebbero a repentaglio la vivibilità della zona.
• Riappropriarsi della città, della memoria dei sui luoghi, della ricchezza dei suoi parchi, della possibilità di vivere liberamente il territorio urbano.
• Il carattere estemporaneo di Expo rivela la necessità di una battaglia che non si esaurisce né inizia con il primo maggio, il primo maggio viene assunto come momento centrale di un percorso che si è articolato prima e si articolerà dopo la chiusura del megaevento.

Questa è l’Attitudine No Expo: un approccio a questo modello che sappia rispondere tentacolo per tentacolo e crei iniziativa, azione, (ri)creazione oltre alla mera contrapposizione.

COSA VOGLIAMO

Il Primo Maggio deve essere una giornata in cui le vertenze sollevate all’interno del territorio milanese e in tutto il Paese trovino spazio di elaborazione, espressione ed azione condivisa. Dalle politiche dell’abitare alla tutela dei beni comuni; le lotte popolari territoriali e i blocchi sociali metropolitani che resistono ai processi di saccheggio e precarizzazione; dall’analisi sul debito e sullo SbloccaItalia al dibattito su lavoro, lavoro gratuito, Neet e Garanzia giovani; dalle politiche sull’alimentazione al ragionamento sulle metropoli e i processi di gentrification; dalla questione di genere a quella animale

In questo periodo contraddistinto da una liquidità sociale senza precedenti, Expo è emblema “del nemico”, di tutte le lotte che ci accomunano. La nostra forza sta nella capacità di riconoscerci soggettività, inseribili in una globalità che modelleremo solo se sapremo metterci in discussione per tessere nuove reti di espressione, di crescita e sviluppo di lotte, saperi, percorsi e pratiche.
Il superamento di Expo è una scommessa, e in questi sei mesi vogliamo creare un’agenda politica che ci permetta di intrecciare le lotte territoriali, nazionali e internazionali e sviluppare quelle connessioni tangibili, che non si esauriranno in una manciata d’ore nei giorni della “grande” inaugurazione, e che sono condizione necessaria per dare gambe e respiro a una lunga stagione di lotta
La sfida lanciata da Renzi, quella di non rovinare la festa alla vetrina di Expo, è una scommessa che raccogliamo e rilanciamo, e che ci chiama all’azione il Primo Maggio. Ci andremo, ma con lo sguardo volto oltre la data.

LE CINQUE GIORNATE DI MILANO (29APRILE-3MAGGIO)

Contro l’inaugurazione di Expo2015 lanciamo una catena di appuntamenti, che per noi inizia il giorno prima, 30 aprile, con l’attraversamento della città da parte di un corteo studentesco di respiro nazionale che parlerà di lavoro gratuito, di riappropriazione degli spazi giovanili, di apertura di nuovi fronti di dibattito metropolitano a livello studentesco.

Seguirà il Primo Maggio, erigendosi a simbolo di un modello di sviluppo lontano dal regime dell’austerity e attento al benessere sociale della popolazione. Una giornata di iniziativa ed azione, un Primo Maggio in grado di raccogliere la radicalità festosa della Mayday milanese e di farne patrimonio per caratterizzare una protesta determinata e incisiva, legittimata dal consenso di coloro che subiscono giorno per giorno lo smantellamento dello stato sociale, capace di comunicare ad ampi strati della popolazione. Il Primo Maggio deve essere lo scenario della capacità di mobilitazione e della convinzione che senza conflitto non c’è cambiamento, ma che non c’è conflitto senza consenso. Una giornata in cui il conflitto si traduce anche in campeggio per garantire l’ospitalità a chi viene da fuori. Il campeggio si aprirà il 30 aprile. Un tempo e un luogo in cui riappropriarsi del verde della nostra città, perché l’alternativa ad Expo per vivere i nostri parchi è possibile e non per forza passa per lo sfruttamento e lo stravolgimento del territorio (vedi vie d’acqua). Un campeggio che sarà animato da dibattiti, workshop e assemblee, proprio sui temi che Expo ha deciso di usare come copertina per nascondere la sua vera natura attraverso operazioni di green-washing e pink-washing.

Il 2 maggio, abbiamo scelto di continuare la mobilitazione, non abbassando il livello del conflitto, ma diffondendo in tutta la città, su più livelli e su più pratiche e tematiche, l’opposizione diretta all’evento Expo. Nei quartieri e nei territori, dal centro storico alla provincia, attraverso l’hinterland e le periferie, mostreremo, in un’ampia varietà di azioni, quanto siamo contrari al circo di Expo.

Il 3 maggio, infine, costruiremo una grande assemblea conclusiva, capace di raccogliere il portato delle tre giornate di cortei e azioni e mettere a valore le opinioni, le proposte, le riflessioni e anche le critiche di tutti e in cui presenteremo AlterExpo, non una fiera alternativa, ma sei mesi di azioni, iniziative, alternative, percorsi, oltre il grande evento e contro il modello delle grandi opere e dei megaeventi. Un momento che sappia rilanciare lo spirito, l’attitudine dell’opposizione a Expo nei sei mesi che seguiranno, ma anche e soprattutto oltre i sei mesi dell’esposizione.

Expo è un modello di gestione del territorio, del lavoro, dell’istruzione, dei rapporti sociali, del cibo e dell’acqua, che presto o tardi ci verrà imposto senza più alcuna grande opera o grande evento a fare da paravento e giustificazione.

Noi ci opponiamo a questo modello ora, il Primo Maggio, nei sei mesi di Expo e oltre.
Expo fa male, facciamo male a Expo. Il Primo Maggio comincia la nostra festa.
See you at the party!

LE COMPAGNE E I COMPAGNI DELLA RETE ATTITUDINE NO EXPO

http://www.noexpo.org/2015/04/06/expo-2015-nutrire-le-multinazionali-nocivita-per-il-pianeta/

BOICOTTA COLA COLA! BOICOTTA IL MONDIALE! NO EXPO 2015!

Ecco un altro motivo per dire No all’ Expo 2015: il suo sponsor ufficiale sarà niente meno che Coca Cola Company! Non che su questo ci sia da stupirsi. La Coca Cola Company è sponsor  delle cose peggiori tra cui la coppa del mondo (fonte: https://www.facebook.com/SalviamoCeraunavolta?fref=ts: post di Carlinho Utopia del 30 maggio).


(Fonte foto: https://www.facebook.com/SalviamoCeraunavolta/photos/pcb.1512174172336085/1512173859002783/?type=1&theater)

 
La cosa sorprendente è che qui si dice che Coca Cola valorizzerà tematiche quali “l’equilibrio alimentare, l’importanza di una vita sana, di stili di vita attivi, nel rispetto di un ambiente sostenibile”. Fonte: http://www.expo2015.org/it/innovazione-e-sostenibilita–the-coca-cola-company-e-official-soft-drink-partner-di-expo-milano-2015
Per chi non sapesse quanto Coca Cola sia tutto il contrario della sostenibilità, invito a leggere i seguenti articoli:

 

Coca Cola compra zucchero sporco di sangue indio:

http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=94740&typeb=0&Brasile-Coca-Cola-compra-zucchero-

 

Ecco come la Fanta sfrutta gli immigrati a Rosarno :

 

 
La Fanta è un prodotto della Coca-Cola Corporation.
  La Fanta è un prodotto della Coca-Cola Corporation.

 

http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=87961&typeb=0&Ecco-come-la-Fanta-sfrutta-gli-immigrati-a-Rosarno

 

E ricordiamoci che la Coca Cola è anche israeliana.

Articolo su Coca e Cola e occupazione:

La dottrina Kerry: ai palestinesi Coca-Cola. Le armi a Israele 

  http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=72309

 

L'aereo militare V-22 Osprey a decollo verticale che gli Usa forniranno a Israele

EXPO 2015: CORRUZIONE, MAFIE, GRANDI EVENTI

 

 

 

 

Dopo l’ennesima inchiesta che ha travolto la gestione dell’Expo milanese del 2015, abbiamo fatto il punto della situazione con Roberto Maggioni, giornalista di Radio Popolare coautore del libro “Expopolis” (ed. Agenzia X).

 

Cosa emerge dall’ultimo giro di vite su Expo?

 

Se stiamo a quello che scrivono i magistrati antimafia milanesi emerge l’esistenza di una cupola per pilotare gli appalti di Expo 2015 e non solo. Dentro all’inchiesta c’è anche tutto il filone della sanità lombarda, il settore di cui più si è nutrito il ventennale sistema di potere formigoniano. Ora bisognerà capire chi siano i referenti politici di vecchi arnesi di tangentopoli rispuntati fuori, come il compagno G Primo Greganti e GianStefano Frigerio, entrambi reduci di quegli anni ma evidentemente con ancora una discreta voglia di sguazzare nel torbido. Il sindaco Pisapia ha sposato la tesi delle mele marce, altri parlano di sistema e nuova tangentopoli, poi ci sono i giustizialisti populisti.

 

Per quanto mi riguarda credo che al di là degli aspetti giudiziari che avranno il loro iter e sveleranno altre connessioni, una cosa importante da mettre in evidenza è l’esistenza di un “sistema Expo” fatto di appalti al ribasso, rincari record, extra-costi, poteri speciali. Un sistema a maglie larghe e di larghissime intese, dove in tanti hanno deciso di arraffare, fare affari, condizionare, scambiarsi favori, ridisegnare poteri. La spartizione è inscindibile dall’essenza del grande evento, che è inclusivo e accogliente pee tutti: la ricerca di un consenso totalizzante.

 

Prima dei reati ci sono le persone e chi sta governando Expo, a partire dal commissario Sala, potrebbe anche non essersi accorto che i suoi più stretti collaboratori si spartivano appalti e mazzette (difficile, ma tutto è possibile, in questo caso sarebbe forse inadatto a ricoprire quel ruolo) ma di sicuro ha firmato tutti i ribassi, i rincari e gli allentamenti dei controlli antimafia.

 

Commissari, gestione emergenziale, corruzione sembra una costante per quanto riguarda i grandi eventi…

 

I grandi eventi vivono di eccezionalità: quella raccontata e propagandata nell’accezione di “occasione unica” e quella del governo dell’eccezione, che apre percorse inediti di governo della cosa pubblica. Parola d’ordine derogare, forzare le maglie del diritto, il grande evento -in questo caso Expo- è a suo modo un evento abusivo, che si svolge in un contesto di illegalità diffusa, che per costruirsi ha bisogno di infrangere leggi e consuetudini. E’ la contraddizione di chi propaganda legalità e lotta alla criminalità da un pulpito poco credibile. Di più, il rispetto delle regole diventa un intralcio e rischia di rallentare la costruzione del’evento. I casi della Mantovani, della Maltauro, della CMC dimostrano che anche di fronte ad appalti assegnati in modo poco chiari, bisogna andare avanti e lasciare che il rito salvifico dell’Expo si compia.

 

D’altronde gli appalti sono diverse decine, i miliardi da incassare fino a 10, la possibilità di incidere anche sul post-evento e intessere relazioni nella ragnatela del grande evento sono una occasione troppo ghiotta.

 

Expo è lo shock che permette di fare quello che normalmente non si fa o si fa a rilento.

 

C’è davvero pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione di Expo 2015?

 

Parlare di infiltrazioni è riduttivo. La Lombardia è stata colonizzata dalla criminalità organizzata, in particolare dalla ‘ndrangheta. È organica a una parte importante dell’economia e condiziona la politica. L’inchiesta “infinito” del 2010 ha portato in carcere quasi 300 affiliati e anche l’inchiesta che ha pprtato agli arresti di giovedì su Expo nasce da una costola di “infinito”. Da stupidi pensare che le mafie possano stare fuori da Expo. Il grande evento ha una funzione acceleratrice e aggregatrice e le mafie stanno dentro questo schema.

 

Dal cantiere di Expo e da alcune opere collegate (soprattutto le nuove autostrade Pedemontana e Teem) sono state fin’ora interdette dalla Prefettura di Milano 33 aziende. Senza contare quelle che poi con un semplice ricorso al Tar sono rientrate al lavoro. Sempre sulle mafie segnalo che pochi giorni fa Expo Spa ha deciso di alzare la soglia del valore dell’appalto oltre cui far partire i controlli antimafia: da 50 mila a 100. La conseguenza, secondo me, sarà quella di una drastica riduzione dei controlli, perchè gli appalti grossi sono più legati alla criminalità imprenditoriale, i subappalti, dove lavora la mafia “tradizionale”, si frazioneranno ancora di più per stare sotto alla soglia alzata: tanti lavori sotto ai 100mila euro.

 

Expo e diritto alla città: come sta modificando l’area metropolitana milanese l’esposizione universale?

 

Expo è l’antitesi del diritto alla città: è un evento che non nasce dai bisogni reali di chi vive la città e i territori, è calato dall’alto e gioca sul brand della partecipazione senza praticarla, è un format chiuso condizionato dalle regole e dagli interessi del comitato organizzatore, il BIE (Expo è come un pacchetto turistico per la città che lo ospita: prendere o lasciare).

 

Lo spazio della politica è limitato, quello degli interessi privati ampio. Expo resuscita strada vecchie di 50 anni di cui nessuno sentiva il bisogno (Pedemontana) se ne inventa di nuove funzionali ai sei mesi dell’evento (Rho-Monza), propone al turista che arriverà una visione della metroregione lombarda falsa e falsata. E dal primo novembre 2015? Tutti morti? Il mondo finisce?

 

Non credo, ma se Expo si dipana nel tempo e ha una data di inizio e una fine, le conseguenze e le nocività di Expo no, resteranno e saranno usate ancora per un bel po’.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/expo-2015-corruzione-mafie-grandi-eventi

#Maydays #theNED – 1-4 maggio Milano – Noexpodays

 

md_2014

 

A un anno dall’apertura dei cancelli di Expo2015, il megaevento mostra sempre più il fiato corto. Nonostante gli sforzi di Renzi, Maroni e Pisapia, la realtà delle cronache è ben lontana dalle dichiarazioni roboanti e ottimistiche, da un lato volte a creare aspettativa, dall’altro a giustificare deroghe, spese, emergenzialità.

 

Cambiano i tenori, non gli spartiti: “posti di lavoro come se piovesse, effetti esponenziali sui profitti e sul turismo,  White List e Expo mafia-free, protocolli di legalità”. Da opportunità  e rilancio per Milano, Expo è diventato l’ancora cui tutti s’aggrappano nella speranza di agganciare il rilancio del brand Italia in nome di un fantomatico “vento di cambiamento”. Alcuni parlano di sostenibilità, altri di buon cibo, altri  (i più realisti) di brand unico dell’agroalimentare, con la benedizione di Eataly e Coop. Milano voleva nutrire il pianeta e diventa invece il luogo di una sagra del made in Italy, a metà strada tra borsa del turismo globale e tavolata planetaria, perdendo ogni giorno pezzi per ritardi o cancellazioni causa spending review.

 

Ma trucchi e abbellimenti non possono nascondere il marcio, in un crescendo di fatti che hanno superato le peggiori previsioni di chi, come noi, dal 2007, ha cercato di svelare l’inganno e la minaccia che si celava dietro Expo2015. A prescindere dalle indagini della Magistratura, dagli arresti e dagli scoop dei media, erano chiari da principio intrecci e interessi che si spartiscono la torta Expo. Così come i free jobs e le miserie del lavoro nero e precario erano prevedibili, bastava guardare alla vicina Fiera di Milano o ai cantieri edili in generale. Un’Esposizione che prometteva lavoro e porterà invece nuova precarietà. Per abituarli fin da giovani Expo userà centinaia di studenti per lavori gratuiti grazie alle convenzioni firmate con scuole e università: stages, free jobs, il protocollo “Youth Training Program”. E c’è da scommetterci, il reclutamento degli studenti servirà anche per gonfiare il numero di visitatori durante i sei mesi dell’esposizione: a migliaia saranno forzatamente portati in visita a Expo.

 

La lotta No Canal contro la Via d’acqua, che ci ha visto protagonisti (e che segna dopo tanto tempo, e per ora, una vittoria di una lotta dal basso a Milano) ha svelato, invece, la bugia di un Expo sostenibile che si mangia parchi ed aree agricole con le sue propaggini infrastrutturali. Dalla periferia ovest di Milano è partito un monsone che porta a opporsi alla Rho-Monza o alla Zara-Expo (nuove strade, vecchi progetti) o al progetto Darsena. Una città sempre meno disposta a sopportare le dinamiche speculative che Expo ha generato anche sul piano dell’emergenza abitativa, rispetto a cui sgomberi di case e spazi sociale sono l’unica nefasta risposta offerta dalle Istituzioni. In questo quadro di fallimento si capisce perché le banche non si fidino, non garantiscano i finanziamenti senza impegni del Pubblico: o si guadagna coperti dalla produzione collettiva di ricchezza o non si rischia! 

 

Oggi, maggio 2014 noi vogliamo fare una dichiarazione alla metropoli. Vogliamo che nessuno e nessuna possa dire il 1 maggio 2015: io non sapevo, io non avevo capito. Vogliamo condividere e moltiplicare la consapevolezza che Expo non sarà un’opportunità, semmai un banale evento privato che alimenterà profitti privati utilizzando denaro e risorse pubbliche. Vogliamo che sia chiaro a tutti che Expo è e sarà questo con le sue tangenti, corruttele, mafie, inchieste, miserie e nocività perché non poteva essere altrimenti dentro un meccanismo di poteri speciali, deroghe, commissari, emergenze.

 

Debito, cemento, precarietà, poteri speciali, spartizione, mafie, nemico pubblico sono le sette chiavi di lettura con cui abbiamo criticato e smontato l’immaginario di Expo2015 e contrastato la sua realizzazione. Attorno a queste vogliamo costruire l’opposizione sociale a Expo e ai processi che questo sta innestando anche oltre la data del 31 ottobre 2015 (dalla svendita del patrimonio pubblico al job act ai poteri in deroga senza dimenticare i destini futuri del sito espositivo). Lo faremo portando questi contenuti dentro la Mayday2014 con il carro dell’Attitudine NoExpo e lo rilanceremo fino al 4 maggio duarnte i NED, NoExpoDays. Tre giorni di TAZ, laboratori, workshop e azioni per portare l’opposizione ad Expo al centro dell’agenda politica del prossimo decisivo anno, intrecciando i percorsi con le lotte territoriali e le resistenze metropolitane attive su precarietà, grandi opere, diritto alla città, formazione e saperi, sovranità alimentare e consumo di suolo. Tre giorni che guardano a Expo, ma anche a ciò che accade attorno, dalla Valle che resiste, ai movimenti per la casa, dalla difesa e riconquista dei beni comuni (e contro la stretta autoritaria che vorrebbe imporre una limitazione del dissenso) al prossimo forum europeo sull’occupazione giovanile.

 

Appuntamento 1 maggio h 15  piazza XXIV Maggio per la Mayday, a seguire the NED…

 

Info: [email protected]           TW: #maydays #theNED

Fonte:

http://www.inventati.org/noexpo/2014/04/25/maydays-thened-1-4-maggio-milano-noexpodays/

EXPO 2015 A MILANO: UNA VETRINA PER LA PROPAGANDA ISRAELIANA

 

 

di Stephanie Westbrook

 

Ad un anno dall’avvio del megaevento descritto come “un modello fondato su debito, cemento e precarietà”, a Milano il Comitato NoExpo lancia i No Expo Days, con il corteo del 1 maggio seguito da una tre giorni di dibattiti, proposte e azioni.

 

Mentre Expo 2015 rappresenta uno scempio a 360 gradi, in termini di devastazione e speculazione così come nell’appropriazione ipocrita di termini come “sviluppo sostenibile”, tuttavia uno dei paesi partecipanti si è auto-distinto. Nel video di presentazione del proprio padiglione, Israele, infatti, dà un’anteprima del livello di propaganda che ha in serbo per i visitatori.

 

Nominato Fields of Tomorrow, il padiglione di 2.400 metri quadrati, che avrà una posizione privilegiata, accanto a quello dell’Italia e all’incrocio dei due assi principali del sito, vuole presentare le “eccellenze” israeliana in agricoltura e gestione delle risorse idriche, mentre ruba acqua e terra ai palestinesi.

 

Israele conta su un ritorno, anche in termini di immagine, sul suo investimento di 11 milioni di euro. Alla presentazione in occasione del vertice Italia-Israele lo scorso dicembre, Elazar Cohen, commissario per il padiglione di Israele, ha esplicitato i loro obiettivi principali: mettere in mostra i rapporti con l’Italia e svilupparne altri, e “mostrare il vero carattere di Israele e non quello che di norma appare sui giornali“.

 

Nel video presentazione, l’attrice israeliana Moran Atias vanta di “120 anni di ricerca agricola”, trasportando gli spettatori indietro ai tempi in cui il sogno sionista era un semplice luccichio negli occhi di Theodor Herzl, il padre del sionismo, nonché di “invenzioni che hanno fatto sì che ci sia cibo sul tavolo di milioni di persone in tutto il mondo”.

 

Un rapporto sulla sicurezza alimentare dell’ONU del 2012 dimostra che quei tavoli non si trovano nella Palestina occupata. Oltre una famiglia palestinese su tre, il 19 per cento in Cisgiordania e uno scioccante 57 per cento a Gaza, soffrono di insicurezza alimentare. Un altro 16 per cento ne è vulnerabili e il 26 per cento è solo parzialmente sicuro. Questa situazione disastrosa viene attribuita dal rapporto all’occupazione e alle restrizioni alla circolazione di persone e delle merci imposte da Israele. Il risultato è alta disoccupazione e bassi salari, che, combinati con l’aumento dei prezzi, fa sì che solo una famiglia palestinese su quattro gode della sicurezza alimentare.

 

La scelta di Israele del nome per il suo padiglione, Fields of Tomorrow, ossia Campi di domani, potrebbe benissimo far riferimento alle terre della Cisgiordania occupata alle quali Israele ambisce. Uno studio del 2013 dell’organizzazione israeliana Kerem Navot rivela che dal 1997 l’agricoltura delle colonie israeliane è aumentata del 35 per cento in termini di area. Si tratta di un’area che supera del 50 per cento le aree edificate delle colonie israeliane in Cisgiordania, escludendo Gerusalemme est occupata. Le terre agricole palestinesi, invece, sono diminuite di un terzo.

 

Il rapporto di Kerem Navot sostiene che la confisca di terreni agricoli palestinesi viene ottenuta attraverso due principali canali, la confisca “ufficiale” di terre tramite provvedimenti di sequestro militare e dichiarazione di “terre statali” e i land grab non ufficiali da parte dei coloni. Fa parte di “una strategia di lungo termine e ben finanziata”, incoraggiata e sostenuta da enti statali, che richiede anche molto meno risorse e tempo rispetto alla costruzione di colonie.

 

Sami Huraini, di 17 anni, e Basil Adara, di 18 anni, del villaggio At Tuwani nelle colline a sud di Hebron, hanno sperimentato in prima persone queste confische. Sami ha affermato, “La colonia israeliana di Ma’on ha confiscato più della metà della nostra terra. Stiamo lottando per difendere quello che è rimasto”. Sami dice che i coloni e le autorità israeliane fanno di tutto per impedire loro di accedere alle loro terre “in modo da rendere più facile la confisca dei terreni per la colonia”.

 

Basil ha descritto quando lui e Sami sono stati arrestati mentre lavoravano la loro terra vicino alla colonia. “Ci hanno portato in carcere, poi in tribunale e ci hanno detto che ognuno di noi doveva pagare una multa di 2000 shekel (oltre 400 euro), ma noi abbiamo rifiutato. Il nostro messaggio era ‘Noi non paghiamo multe al governo israeliano'”. Sami, ha aggiunto, “Resisteremo per la nostra terra”.

 

Secondo il rapporto Kerem Navot, la zona agricola intorno alle colonie nelle colline a sud di Hebron è aumentata del 61 per cento dal 1997, la maggior parte delle confische è di terre di proprietà privata palestinese.

 

A Gaza, i cecchini dell’esercito israeliano sparano regolarmente sugli agricoltori palestinesi e le frequenti incursioni terrestri distruggono le colture. Secondo la recente relazione “Under Fire” del Palestinian Centre for Human Rights, tra il 2006 e il 2013, ci sono state 534 incursioni militari israeliane e 544 casi di spari di armi da fuoco in cui 179 civili sono stati uccisi e altri 751 feriti.

 

Come un primo passo per svelare la cruda realtà dietro gli sforzi propagandistici di Israele, BDS Italia, il movimento italiano che aderisce all’appello palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, ha recentemente lanciato un concorso di video parodie, Fields of Apartheid. Il concorso invita videomaker in Italia e in tutto il mondo a presentare un breve filmato entro il 25 aprile che riveli il vero volto di Israele: occupazione, colonialismo e apartheid.

 

Il concorso ha già provocato una reazione da parte di Israele. Il Ministero israeliano degli Affari Esteri ha fatto rimuovere il primo video, che è arrivato da Gaza, da YouTube, reclamando il copyright sulla propria propaganda. Tuttavia, il concorso va avanti, e come le recenti azioni di culture jamming hanno mostrato, dal caso di Scartlett Johansson a “I am AIPAC”, la creatività e l’ironia si sono dimostrate mezzi efficaci per sbugiardare le menzogne di Israele.

 

Le iniziative di BDS Italia contro questa vetrina per la propaganda israeliana si svolgono nel più ampio contesto delle mobilitazioni contro Expo 2015. Come sostengono gli attivisti della Rete NoExpo, “Il tema etico e accattivante di Expo2015 è l’alibi per ridefinire l’assetto socio-economico del territorio milanese, dentro una cornice fatta di leggi speciali e poteri eccezionali in deroga alle norme, realizzando profitti privati spendendo denaro pubblico. In questo senso Expo2015 diventa matrice di debito, cemento e precarietà, senza nulla scalfire dei processi che impediscono accesso al cibo e all’acqua a milioni di persone sul Pianeta. Dentro questo contenitore c’è di tutto: dal cibo di qualità modello Eataly, agli OGM con Monsanto, fino alla partnership privilegiata con Israele, sotto l’occhio vigile di Selex (fornitore dell’esercito israeliano), che sperimenta con la security del megaevento, nuovi sistemi di sorveglianza e controllo. Insomma una fiera paesana in salsa hi-tech che non risolleverà il Paese, ma lascerà macerie sul territorio e leggi ad hoc destinate a diventare regola, soprattutto in campo occupazionale, nel senso di un’ulteriore precarietà.”

 

Nell’anno che rimane prima che prenda il via, i movimenti impegnati contro il sistema che nega i diritti fondamentali a popolazioni di tutto il mondo mentre assicura profitti per pochi, continueranno a contestare il modello Expo e “inceppare il meccanismo del grande evento su tutti e tre i suoi livelli di debito, cemento e precarietà”, a partire dai No Expo Days a inizio maggio. E dentro questo percorso, BDS Italia continuerà a smascherare il colonialismo israeliano.

 

Fonte: Electronic Intifada

 

Traduzione di BDS Italia

 

 

Fonte:

http://bdsitalia.org/index.php/ultime-notizie-sulbds/1205-expo-israele