Mezzogiorno: un No forte da chi è stato lasciato solo

Il voto del Sud. Basta resistere, è tempo di attuare la Costituzione

Pochi se l’aspettavano: è dal nostro Sud, impoverito, marginale, umiliato, imbrogliato dagli annunci miracolosi, proprio da questa terra che da troppi anni soffre una possente ondata migratoria, che è arrivato un No forte, alla controriforma renziana.

Mentre i ceti medio residuali, sopravvissuti alla crisi, hanno votato in massa per il Si, nel timore di perdere qualche beneficio e qualche risparmio in banca, i giovani, sottopagati, disoccupati, inoccupati, hanno detto No a Renzi. Non crediamo più alle tue chiacchiere, ci sentiamo presi in giro dalle tue notizie strabilianti sull’occupazione che cresce, il reddito che aumenta e il futuro radioso che si avvicina. Proprio lui, il rottamatore è stato rottamato dai giovani, secondo il famoso motto evangelico: chi di spada ferisce, di spada perisce.

Dobbiamo ammettere che questo referendum confermativo della C.R.R. (Contro-Riforma-Renziana) ci ha dato un risultato insperato. Innanzitutto perché ha messo in moto energie democratiche sopite, ha dato nuova vita ad una associazione prestigiosa, ma che viveva aggrappata ad un glorioso passato, come l’Anpi, ha fatto riscoprire a tanti il valore ed i valori della Costituzione. Per questo dovremmo dire «Grazie Renzi». Ma, anche perché grazie al suo delirio di onnipotenza, con questo risultato inizia la fase discendente della sua parabola. Di contro, Renzi ha spaccato il paese come nessun altro era riuscito a fare proprio sulla nostra Carta fondamentale ed ha fatto emergere una profonda divisione politico-culturale tra ceti medi e proletariato marginale e, soprattutto, tra Nord e Sud, tra chi è vittima dell’economia della paura e chi non ha più niente da perdere.

Detto questo, dobbiamo fare una riflessione seria e responsabile: non è possibile continuare a giocare in difesa. In questi ultimi cinque anni abbiamo perso importanti diritti sociali perché non abbiamo fatto altro che resistere, resistere, resistere. Ed un giorno, anche per la nostra amata Costituzione, potrebbe non bastare una eroica resistenza. Dobbiamo da domani prendere l’iniziativa per attuarla. Un calendario di iniziative perché i valori fondanti, dal diritto ad un lavoro degno e ad un reddito di cittadinanza, al rifiuto della guerra di ogni tipo, siano finalmente praticati.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/mezzogiorno-un-no-forte-da-chi-e-stato-lasciato-solo/

 

La spinta sociale del No al referendum

No Renzi Day. A Roma in migliaia hanno partecipato al primo corteo del «No sociale» al voto del 4 dicembre. Il «No» può vincere con l’opposizione al Jobs Act, alla «Buona Scuola» e ai bonus di Renzi

Roma 22 ottobre 2016, corteo No Renzi Day

Nella campagna referendaria per il voto sulla riforma costituzionale del 4 dicembre la manifestazione del «No Renzi Day» che si è tenuta a Roma, all’indomani della sciopero generale dei sindacati di base, ha aperto un nuovo capitolo. I 40 mila che hanno sfilato, secondo gli organizzatori, da piazza San Giovanni a Campo de’ Fiori hanno voluto dimostrare che la consultazione referendaria non è solo uno scontro nel Pd, tra la minoranza della «ditta» di Bersani, il battitore libero D’Alema e la maggioranza del «rottamatore» Renzi.

L’obiettivo del corteo era rappresentare l’esistenza di un popolo del «No sociale», in carne ed ossa, che si muove in un campo politico più largo a sinistra e fuori dal «centro-sinistra» di vecchio o futuribile conio. Un «No sociale» che si aggiunge a quello basato sui contenuti costituzionali della contesa e si basa sull’opposizione al Jobs Act, alla «Buona Scuola» o alle politiche dei bonus con le quali il governo Renzi ha supplito all’incapacità di riformare il Welfare o rilanciare la domanda interna. A questa idea si ispirerà un’altra manifestazione convocata il 27 novembre dai movimenti sociali a Roma: «C’è chi dice No». Una prospettiva evocata anche dagli studenti che hanno manifestato il 7 ottobre scorso contro la «Buona Scuola».
Ogni corteo ha la sua scenografia che va interpretata. Quello di ieri era composta da spezzoni rappresentativi di vertenze lavorative, ad esempio la Natuzzi, o di posizioni politiche. In coda c’erano i partiti della sinistra, da Rifondazione al partito comunista dei lavoratori e altre sigle che si richiamano al comunismo. La maggioranza dei manifestanti era composta dagli iscritti all’Usb, con sfoggio di bandiere e striscioni dei settori pubblici e privati. C’erano i movimenti sociali e sindacati (la casa con Asia-Cub), i Sans Papiers e rifugiati (Cispm), ad esempio. Centinaia di migranti – lavoratori, rifugiati – hanno sfilato per ore con cartelli sulla libertà di movimento e i diritti fondamentali, dietro uno striscione con lo slogan «Schiavi Mai» e parole di condanna contro tutte le forme di precarietà, dai voucher al lavoro nero. Sullo striscione dei rifugiati somali, la richiesta del permesso di soggiorno era accompagnata da quella al welfare e al lavoro. Una rappresentazione efficace di quello che gli organizzatori del «No sociale» intendono per «socializzazione» della consultazione referendaria.

Alla testa del corteo, aperto dallo striscione «No alla controriforma, no al governo Renzi», è stato ripetuto instancabilmente il nome di Abd Elsalam, l’operaio e delegato sindacale Usb ucciso da un tir durante una manifestazione sindacale a Piacenza il 14 settembre scorso. Piazza San Giovanni è stata ribattezzata alla sua memoria, per le 36 ore dell’«acampada». Un’enorme striscione è rimasto appeso a un lampione, sopra i gazebo dove si sono svolti i dibattiti sul referendum costituzionale, sul lavoro autonomo e un’assemblea con i lavoratori della logistica. «Il suo nome significa “servitore della pace” – è stato detto dal camion in testa al corteo – Abd Elsalam è stato ucciso mentre lottava per i diritti del lavoro degli altri». Una storia, tragica ed esemplare del cambiamento in atto dei valori e della composizione sociale, e nazionale, della forza lavoro, anche nel settore della logistica.

L’impegno del coordinamento per il «No sociale» è portare la critica della riforma costituzionale nei luoghi di lavoro. Per loro il «No» può vincere se esiste una comprensione larga e popolare delle sue ragioni. La sfida è difficile. A disposizione di Renzi ci sono media e Tv per creare il consenso. La strategia del «No sociale» è al momento incoraggiata dai sondaggi, come quello dell’Ipsos, che ha registrato negli ultimi giorni un distacco di 8 punti percentuali dal «Sì». La strada è lunga e la si vuole percorrere «dal basso». Una strategia che venerdì scorso ha permesso ai sindacati di base (Usb, Adl e Si Cobas, Unicobas e Usi, Cub trasporti Lazio) di mobilitare 1,3 milioni di lavoratori che hanno aderito al loro sciopero generale.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/la-spinta-sociale-del-no-al-referendum/

Per il PD di Renzi la “serenità” è una testa spaccata

Mercoledì 12 Ottobre 2016 09:26

testaspaccatademariaNel PD di Renzi ad essere consigliati di “stare sereni” c’è minimo da guardarsi le spalle con tre occhi, dato che un simile augurio prelude ad accoltellamenti alle spalle e colpi sporchi e bassamente sleali – che spesso si risolvono ai danni degli stessi colleghi di partito, in una primordiale faida di potere.

Così non deve sorprendere che nella giornata di ieri, nel corso delle violente operazioni di sgombero del Condominio Sociale Occupato di via Mario de Maria a Bologna, piccoli cloni renziani come la neo-assessora alla casa Virginia Gieri parlino, dopo aver dichiarato di “non conoscere la strategia di operazione della polizia”, di occupanti “usciti serenamente”.

Non solo la mattinata bolognese è stata costellata da minacce e intimidazioni da parte della celere ai cronisti, fisicamente impossibilitati a documentare gli eventi da vicino (anche se non è mancato chi ha sgomitato fino all’ultimo per accaparrarsi l’osso rancido mollato dal banchetto della questura: “sembra di vedere bambini usati come scudi umani…”); non solo l’estrema resistenza degli occupanti ed il corteo selvaggio dei solidali hanno comunicato un’atmosfera nel quartiere Bolognina non esattamente da Mulino Bianco; ma c’è chi effettivamente è rimasto intossicato dai gas al peperoncino, raggiunto dagli agenti dopo l’abbattimento da parte di questi di un muro interno (in un edificio il cui sgombero è stato caldeggiato da taluni media per presunti dissesti strutturali) e finito in ospedale, con la testa aperta. Non è mancato il tentativo da parte degli agenti di insabbiare i propri misfatti sequestrando i telefoni cellulari degli occupanti e cancellando foto e video che li inchiodavano.

murodemariaLa realtà viene così ad essere contraddetta in modo assolutamente plateale e grottesco: una costante istituzionale degli ultimi tempi laddove nella vicina Piacenza, davanti all’uccisione dello scioperante Abdesselem, la locale procura si era sprecata a dichiarare che al momento della tragedia “non fosse in corso nessun picchetto”. Oppure che a Roma, durante la sua custodia nelle mani dello Stato, il povero Stefano Cucchi sia morto di “epilessia”.

Non possiamo a questo punto che augurare a nostra volta tanta serenità al PD nei mesi a venire; ed un grande NO sociale, dal basso e da più parti, che dia finalmente la sveglia a questo disastrato paese.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/varie/item/17712-per-il-pd-di-renzi-la-serenit%C3%A0-%C3%A8-una-testa-spaccata

Fertility day. «Stile» dell’offesa e flop governativo

Ora che Renzi ha detto in una intervista a radio rtl 102.5 «non ne sapevo niente», il flop del fertility day sembrerebbe definitivo.

Il sito è collassato, le cartoline non sono più accessibili, solo la ministra della Salute Beatrice Lorenzin si ostina a dare appuntamento al 22 settembre, la data fatale.

Ma a parte Matteo Renzi, sempre pronto ad allontanare da sé tutto quello che profuma di fallimento, non si può proprio tacere sullo stile, sul modo di raccontare e comunicare un tema che potrebbe perfino avere qualche interesse.

Anche se non si capisce perché lo si debba chiamare fertilità, e non parlare di una più complessa e articolata educazione sessuale. Non sono i punti di informazione-conoscenza a essere offensivi. Lo sono le immagini, lo sono le parole. A cominciare dal lezioso cuoricino rosa, penetrato dallo spermatozoo-fumetto, trasposizione bamboleggiante dei crudi fotogrammi della fecondazione artificiale, allusione senza ironia, neanche un’eco del viaggio avventuroso raccontato da Woody Allen travestito da spermatozoo in «Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere» (1972).

E se buona parte della responsabilità appare di chi ha ideato la campagna di comunicazione, c’è da chiedersi qual è stata la commissione. Ho letto il “Piano Nazionale della fertilità”, rintracciabile sul sito del Ministero della Salute (pdf qui), elaborato da un folto gruppo di esperti, che si raccomanda che «il messaggio da divulgare non deve generare ansia per l’orologio biologico che corre».

Peccato che l’immagine clou della campagna sia un’enorme clessidra in primo piano, una giovane donna che si tiene il ventre con una mano, e lo slogan: «La bellezza non ha età, la fertilità invece sì». Che sembra ideato da un team di untori, pronti a spargere l’ansia e la paura ovunque. Ma dove si rivela del tutto l’ideologia che sottintende a questi messaggi è in «fertilità bene comune», o il definitivo «prepara una culla per il tuo futuro», primo piano di una pancia femminile appena piena, con l’universale gesto della mano che la sostiene, quello della Madonna del Parto di Piero della Francesca, per intenderci.

Sono testi, tra parole e immagini, che operano una completa trasposizione del corpo femminile, che viene definitamente assunto come culla naturale, non più parte di quella persona che è la singola donna, ma che lo restituiscono alla comunità. A cui la libera volontà della singola lo vuole sottrarre.

L’elemento pericoloso è che a questa conclusione si arriva dopo una perlopiù corretta esposizione, utilizzando le serie statistiche fornite dall’Istat. È della donna italiana contemporanea di cui si parla: quella che studia a lungo, che è più istruita degli uomini, che coltiva e persegue progetti di parità, di realizzazione di sé, di libertà. Eppure si conclude: «Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, pero, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternita?».

È inaccettabile che una società politica che non ha mai compreso e riflettuto sui cambiamenti avvenuti nella vita delle donne, e quindi di tutti, entri nel merito solo per stigmatizzarlo. E ricondurre le donne al loro essere corpo e natura. Non è una tendenza isolata. La libertà delle donne suscita inquietudini profonde, se il premier francese Manuel Valls, per sostenere che le occidentali si spogliano perché sono libere, non ha trovato nulla di meglio che dire che la Marianna, il simbolo della Francia, è a seno nudo perché «lei nutre il popolo».

Inquietudini e rovesciamenti che investono in pieno la cultura che un tempo si definiva progressista. E soprattutto mettono a dura prova i femminismi. Sono molte le femministe che sostengono che l’essere madri è assecondare la natura autentica della donna, il suo essere corpo. Un ribaltamento di tutte le battaglie fatte. E se perfino Renzi riesce a dire che per favorire la fertilità occorrono interventi di sostegno sociale, non farsi ricacciare nella natura riguarda tutte. E tutti, perfino.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/fertility-day-stile-delloffesa-e-flop-governativo/

LA MACCHINA DELLA MORTE SIRIANA

Colgo l’occasione di un post del compagno Germano Monti per parlare del “dossier Caesar”.

Dal profilo Facebook di Germano Monti:

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Pensierino del pomeriggio: non è la Turchia, le immagini non sono di vittime della repressione di Erdogan. E’ la Siria, le immagini sono di vittime della repressione di Assad, una piccolissima parte delle foto esportate clandestinamente da “Caesar”, un fotografo della polizia militare siriana che ha disertato nell’agosto di tre anni fa. Erano tutti manifestanti pacifici, attivisti per i diritti umani, rifugiati palestinesi, semplici cittadini. Quindi, potete infischiarvene, come avete fatto fino ad ora.

"Soldiers from the Assad regime shown placing numbered victims of starvation and other means of torture in body bags before stacking them.  This photo was taken by Caesar or one of his fellow military photographers between 2011-2013."
"Numbered victims of starvation and other means of torture lined up in rows to be photographed and catalogued by the Assad regime before being placed in body bags and stacked.  These victims were placed in a warehouse when the nearby hospital that the regime had used for this purpose overflowed with victims' bodies.  This photo was taken by Caesar or one of his fellow military photographers between 2011-2013."
"A Christian Syrian victim of starvation and other Assad regime torture.  His regime assigned number is written on his stomach and right thigh.  The white card held in the picture also shows the victim's number and the number of the regime security unit responsible for his detention and death.  His number and eyes have been covered in this picture out of respect for the victim's family, which may not yet be aware of his death.  This picture was taken by Caesar or one of his fellow regime photographers between 2011-2013."
"Victims of starvation and other Assad regime torture.  The white card held in the picture shows the center located victim's number and the number of the regime security unit responsible for his detention and death. His number and eyes have been covered in this picture out of respect for the victim's family, which may not yet be aware of his death. This picture was taken by Caesar or one of his fellow regime photographers between 2011-2013."
Stand with Caesar: Stop Bashar al-Assad’s Killing Machine ha aggiunto 28 nuove foto all’album: Evidence of Bashar al-Assad’s Killing Machine — a Damasco.

This is an extremely small sample of the nearly 55,000 photos that Caesar smuggled out of Syria. These are also some of the least gruesome. Most of the other photos show unimaginable cruelty, far beyond what you see even in the horrible photos included here. Due to Facebook limitations and our concern that children may view these images, we have chosen to show these alone for now. In the future, we may add others in order to more fully display the unspeakable brutality of the Assad regime’s killing machine. These photos have been analyzed and validated by various international experts, including the FBI.

Fonte:
Dal blog di Germano Monti:

CHI HA PAURA DI CAESAR?

MILAN, ITALY - JULY 15:  Chamber of Deputies President Laura Boldrini attends congress on feminicide at the Camera del Lavoro on July 15, 2013 in Milan, Italy. Data from EU.R.E.S (European Economic and Social Researches) reports that between 2000 and 2011, of the 2,061 total women in Italy who had died, 1,459 died as a result of domestic violence.  (Photo by Pier Marco Tacca/Getty Images)

La domanda corretta sarebbe: “Chi ha paura delle immagini delle vittime delle torture degli aguzzini di Bashar Al Assad trafugate dalla Siria e divulgate all’estero da un ex fotografo della polizia militare del regime?”. Troppo lunga per un titolo.
Ai lettori del Corriere della Sera e del Fatto Quotidiano la vicenda è già nota da tempo: la Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, ha impedito l’esposizione nelle sale di Monte Citorio della mostra comprendente una selezione delle fotografie scattate da “Caesar”, impiegato della polizia militare siriana, incaricato di fotografare i corpi delle vittime decedute – dopo essere state atrocemente torturate – nelle carceri del regime di Assad. Una trentina di immagini, scelte fra le migliaia scattate da Caesar fra il 2011 e il 2013, già esposte al Palazzo di Vetro dell’ONU, al Parlamento Europeo, al parlamento inglese e in molte università.
Il pretesto con cui la Boldrini ha opposto un rifiuto all’esposizione della mostra, curata dall’associazione “Non c’è pace senza giustizia”, appare francamente improbabile: le immagini sarebbero troppo crude e potrebbero turbare gli alunni delle scolaresche che visitano quotidianamente i locali della Camera e del Senato. Che si tratti di un pretesto, lo dimostra il fatto che, come si è detto, le stesse immagini sono state mostrate nelle sedi istituzionali di New York, Londra e Strasburgo, oltre che in alcune università. Per non parlare del fatto che, se la crudezza di certe immagini andasse veramente risparmiata alle scolaresche, bisognerebbe interrompere le visite organizzate per gli studenti ad Auschwitz e negli altri lager e, magari, proibire che i testi di storia ne pubblichino le fotografie… a meno che il problema non sia il fatto che le immagini dei lager di Hitler sono perlopiù in bianco e nero, mentre quelle dei lager di Assad sono a colori.

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Proviamo ad andare oltre l’evidente pretestuosità del diniego opposto da Laura Boldrini all’esposizione delle fotografie di Caesar, anche se è difficile non osservare come offenda l’intelligenza dei cittadini italiani. L’esistenza in Italia di una forte e trasversale lobby che potremmo definire “filo Assad” è cosa nota, come è noto che tale lobby comprenda non solo attivisti sia di estrema destra che di “sinistra”, ma anche – e soprattutto – potenti settori del Vaticano, segnatamente quelli più reazionari, nonché la schiera di ammiratori italiani del presidente russo Vladimir Putin, schiera anch’essa forte e trasversale, comprendendo la Lega di Salvini, tutte le formazioni della destra post missina (da Fratelli d’Italia della Meloni alla Destra di Storace) e quelle della destra più radicale, CasaPound e Forza Nuova incluse. A “sinistra”, invece, le ragioni del dittatore siriano sono validamente sostenute da alcuni personaggi che godono di una certa notorietà (come il giornalista Giulietto Chiesa), da tutta la galassia di partitini più o meno “comunisti” e da alcuni settori che si definiscono “pacifisti”. Dulcis in fundo, nell’armata italiana che difende la trincea di Assad si è arruolato anche il Movimento 5 Stelle, che ha chiesto la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Damasco e la riapertura dell’ambasciata della Siria a Roma, chiusa nella primavera del 2012 dal governo italiano, dopo l’ennesima strage di civili operata dalle truppe del dittatore.
E’ possibile che la pressione di queste forze abbia influito in maniera decisiva sulla scelta di Laura Boldrini di oscurare le immagini di Caesar? Solo in parte. Probabilmente, la motivazione di una scelta tanto umiliante per la dignità dell’istituzione che rappresenta risiede nella volontà di non creare difficoltà alla politica estera del governo Renzi, basata sulla spasmodica ricerca di consensi e di sostegno “a prescindere”, che si tratti dei monarchi sauditi o del Pinochet del Cairo, il generale golpista il cui regime è responsabile di crimini quantitativamente lontani da quelli commessi da Assad, ma qualitativamente non meno feroci, come ha tristemente dimostrato a tutti la vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano sequestrato, torturato e assassinato al Cairo da una delle tante squadracce delle forze di sicurezza di Al Sisi.
Il servilismo di Renzi in politica estera è perlomeno pari alla sua spocchiosa arroganza in politica interna, aldilà delle cartucce a salve sparacchiate contro l’Europa dei burocrati, a beneficio del tentativo di rosicchiare qualche voto nell’area crescente dell’antipolitica (che, più correttamente, dovremmo definire con il termine storico di qualunquismo). La signora Boldrini non ha fatto altro che accodarsi al corteo dei cortigiani del nuovo “uomo forte” della politica italiana, ben deciso a tenersi buoni i vari Al Sisi, Rouhani, Al Saoud – con annessi Rolex in omaggio – ed anche Putin, probabilmente senza nemmeno rendersi conto che questi giochini somigliano più ai baciamano di Berlusconi a Gheddafi che alle sottigliezze diplomatiche di Andreotti. E la signora Boldrini, nella carica che ricopre, si è mostrata molto più simile a Irene Pivetti che a Nilde Iotti.

 

Fonte:

LA MACCHINA DELLA MORTE DEL REGIME DI ASSAD. IL RACCONTO DI “CAESAR”.

Buchenwald_Victims

caesar 15

Buchenwald ieri                                                                     Damasco oggi

Un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto i tanti ignavi che, di fronte a quello che sta avvenendo in Siria, pensano che Assad sia “il male minore”. Leggendo La macchina della morte, della giornalista francese Garance Le Caisne, sembra di tornare indietro nel tempo, quando si inorridiva di fronte alla consapevolezza di un’altra macchina della morte: quella dei lager nazisti.

L’autrice e gli editori del libro hanno scelto di non pubblicare le immagini che “Caesar”, ex fotografo della polizia militare siriana, ha fatto uscire clandestinamente dal Paese, motivando così la loro scelta. “Buona parte delle foto sono visibili in rete. Non avremmo saputo quali scegliere, né con quale criterio. E poi si tratta di immagini davvero molto, molto forti. Alcuni potrebbero esserne turbati al punto da non volere o potere proseguire la lettura”. E’ una scelta condivisibile, perché le immagini dell’orrore della tragedia siriana sono da anni a disposizione di tutti, attraverso le migliaia di filmati e di fotografie che gli attivisti rivoluzionari hanno postato sui social network e che documentano la repressione delle manifestazioni, gli effetti dei bombardamenti del regime, le torture… ma questa valanga di immagini ha finito per mitridatizzare l’opinione pubblica, rendendola insensibile, abituandola a convivere con lo scempio. La parola scritta, al contrario, nella sua apparente freddezza, finisce con il rendere comprensibile e razionale quello che le immagini possono lasciare intuire e che, a fronte della loro insostenibilità, contribuiscono a rimuovere.

Leggendo La macchina della morte è impossibile non cogliere le analogie con l’organizzazione dello sterminio degli Ebrei, degli Slavi, dei comunisti, degli oppositori – veri o presunti – costruita dai gerarchi del III Reich. La stessa ossessione per la burocrazia, la stessa paranoica ripetitività, la stessa banalizzazione del Male. Del resto, gli apparati repressivi del regime degli Assad sono stati costruiti con la consulenza e la supervisione di Alois Brunner, assistente di Adolf Eichmann, il quale lo definì il suo uomo migliore. Come comandante del campo di internamento di Drancy dal giugno 1943 all’agosto 1944, Alois Brunner fu responsabile dello sterminio nelle camere a gas di oltre 140.000 ebrei. Dopo la sconfitta del nazifascismo, sfuggito alla cattura, Brunner, dopo un lungo girovagare, trovò rifugio in Siria, dove il regime di Assad padre gli fornì protezione e un impiego come insegnante di tecniche di tortura presso i servizi segreti del regime. Scorrendo le pagine de La macchina della morte non si può non constatare come gli “insegnamenti” di Brunner siano stati diligentemente appresi e messi in pratica.

Altri insegnamenti, invece, sembrano essere stati dimenticati, come rivelano le parole di Margit Meissner, sopravvissuta all’Olocausto: “I rifugiati che fuggono dalla Siria hanno lo stesso sguardo disperato che ho visto in chi fuggiva dal regime nazista. Ma la distruzione degli ebrei in Europa era segreta, e le poche informazioni vennero respinte perché la gassificazione di civili era ritenuta improbabile. La crisi umanitaria in Siria non è certo un segreto. E’ stata documentata per quattro anni ed è, a detta di tutti, la più grande crisi di rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale. (…) Quando i fatti della Seconda Guerra Mondiale sono stati conosciuti, ho creduto che una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere di nuovo. Che pensiero ingenuo”.

la macchina della morte

 

Fonte:

AUSCHWITZ A DAMASCO

Auschwitz, Damasco

Il dossier “Caesar”

“Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove”

Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015

Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e delle sue fotografie. In sintesi, “Caesar” è lo pseudonimo di un disertore dell’esercito siriano, un fotografo militare che, per circa due  anni, dall’inizio della rivolta contro il regime della dinastia Assad fino al 2013, era incaricato di documentare – fotografandoli – i corpi degli oppositori morti nei centri di detenzione di Damasco. Nell’estate di quell’anno, “Caesar” riesce ad uscire dalla Siria, portando con sé le copie delle immagini di decine di migliaia di cadaveri di vittime dei carnefici del regime siriano.

Ad oggi, a non tutte le immagini è stato possibile attribuire con sicurezza un’identità accertata, ma ce n’è quanto basta per parlare di una Auschwitz del XXI secolo. Recentemente, l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha eseguito un’analisi delle immagini e delle informazioni fornite da Caesar, pubblicando poi un dettagliato rapporto (in inglese, francese, spagnolo, arabo, tedesco, giapponese, cinese e russo) che costituisce un atto d’accusa semplicemente sconvolgente, intitolato Se i morti potessero parlare – Uccisioni e torture di massa nelle strutture di detenzione in Siria. Le foto di “Caesar” sono state consegnate a HRW dal Movimento Nazionale Siriano e l’organizzazione umanitaria si è concentrata su 28.707 immagini che, sulla base di tutte le informazioni disponibili, mostrano almeno 6.786 persone morte in carcere o dopo essere stati trasferiti dal carcere in un ospedale militare, come il n. 601 di Mezze, Damasco. “Le foto rimanenti – scrive HRW – sono di attacchi a luoghi o di corpi identificati dal nome come appartenenti a soldati governativi, altri combattenti armati o a civili uccisi in attacchi, esplosioni o attentati”.

Le foto di “Caesar” hanno fatto il giro del mondo: sono state esposte in una mostra al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York e al Parlamento Europeo di Strasburgo, a Londra e a Parigi. In Francia, la giornalista Garance Le Caisne ha raccolto il racconto di “Caesar” in un libro – “Opèration Cèsar” (Stock editore) – uscito lo scorso ottobre e la magistratura francese ha avviato un’inchiesta nei confronti del regime di Assad per crimini contro l’umanità, sulla base dell’art. 40 del Codice di Procedura Penale, che obbliga ogni autorità pubblica a trasmettere alla giustizia le informazioni in suo possesso se è venuta a conoscenza di un crimine o di un delitto. Gran parte della segnalazione inviata dal Ministero degli Esteri di Parigi alla magistratura si basa sulla testimonianza di “Caesar”.

In Italia, la vicenda di “Caesar” appare largamente sottovalutata, se non oggetto di una censura strisciante che lascia spazio alla propaganda dei sostenitori locali del dittatore siriano, molto numerosi a destra – dove contano sul sostegno di formazioni come la Lega Nord, Fratelli d’Italia e tutti i gruppi dell’estremismo nero, da Forza Nuova a CasaPound – ma presenti anche a “sinistra”, nei partiti di ascendenza stalinista, come i Comunisti Italiani o il PC di Marco Rizzo, o nei vari movimenti sedicenti “antimperialisti”. Quello che fa la vera differenza rispetto ad altri Paesi europei, probabilmente, è il sostegno garantito alla dittatura siriana da ampi settori del Vaticano, un sostegno esplicito nel caso degli esponenti della Chiesa Melchita, la cui sede romana (la Basilica di Santa Maria in Cosmedin, in Piazza della Bocca della Verità) è l’ambasciata de facto del regime siriano, dopo l’espulsione dell’ambasciatore e la chiusura dell’ambasciata di Damasco in Italia, avvenuta nel 2012. Leggi l’articolo intero »

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Acqua: il re è nudo

Non sono passati più di tre giorni dalla rivendicazione da parte di Renzi dell’astensionismo nel referendum sulle trivellazioni (“referendum inutile”, come certamente hanno capito gli abitanti di Genova), che il governo e il Pd compiono l’ulteriore atto di disprezzo della volontà popolare.

 

Leggi anche: Il Pd, la maggioranza e il Governo affossano i referendum per l’acqua pubblica

 

Il tema questa volta è l’acqua e la legge d’iniziativa popolare, presentata dai movimenti nove anni fa, dopo aver raccolto oltre 400.000 firme. Una legge dimenticata nei cassetti delle commissioni parlamentari fino alla sua decadenza e ripresentata, aggiornata, in questa legislatura dall’intergruppo parlamentare in accordo con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua. La legge è stata approvata ieri alla Camera, fra le contestazioni dei movimenti e dei deputati di M5S e SI, dopo che il suo testo è stato letteralmente stravolto dagli emendamenti del Partito Democratico e del governo, al punto che gli stessi parlamentari che lo avevano proposto hanno ritirato da tempo le loro firme in calce alla legge.

Nel frattempo, procede a passo spedito l’iter del decreto Madia (Testo unico sui servizi pubblici locali) che prevede l’obbligo di gestione dei servizi a rete (acqua compresa) tramite società per azioni e reintroduce in tariffa l’”adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, ovvero i profitti, nell’esatta dicitura abrogata dal voto referendario.

Un attacco concentrico, con il quale il governo Renzi prova a chiudere un cerchio: quello aperto dalla straordinaria vittoria referendaria sull’acqua del giugno 2011 (oltre 26 milioni di “demagoghi” secondo la narrazione renziana), sulla quale i diversi governi succedutisi non avevano potuto andare oltre all’ostacolarne l’esito, all’incentivarne la non applicazione, ad impedirne l’attuazione. Il rilancio della privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici risponde a precisi interessi delle grandi lobby finanziarie che non vedono l’ora di potersi sedere alla tavola imbandita di business regolati da tariffe, flussi di cassa elevati, prevedibili e stabili nel tempo, titoli tendenzialmente poco volatili e molto generosi in termini di dividendi: un banchetto perfetto, che Partito Democratico, Governo Renzi e Ministro Madia hanno deciso di apparecchiare per loro.

Ma poiché la spoliazione delle comunità locali attraverso la mercificazione dell’acqua e dei beni comuni, necessita una drastica sottrazione di democrazia, ecco che lo stravolgimento della legge d’iniziativa popolare sull’acqua e lo schiaffo al vittorioso referendum del 2011 non rappresentano semplici effetti collaterali di quanto sta accadendo, bensì ne costituiscono il cuore e l’anima. A tutto questo occorre rispondere con una vera e propria sollevazione dal basso, con iniziative di contrasto in tutti i territori e l’inondazione di firme in calce alla petizione popolare per il ritiro del decreto Madia, promossa dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua all’interno della stagione appena aperta dei referendum sociali.

Oggi più che mai, si scrive acqua e si legge democrazia.

*Forum italiano dei movimenti per l’acqua

 

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Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/acqua-il-re-e-nudo

Gender: che succede nelle scuole con il nuovo anno scolastico

Gender: che succede nelle scuole con il nuovo anno scolasticoRiparte l’anno scolastico: i bambini si preparano, i libri sono già stati acquistati, le merendine sono già pronte.

Ma quest’anno, più dei precedenti, per molte famiglie italiane è del tutto particolare: perchè nelle teste di molte mamme pronte a mandare il loro figlio a scuola c’è una nuova pericolosissima preoccupazione che aleggia.

Non stiamo parlando di maestre poco capaci o di baby-spacciatori, o ancora di quella direttrice scolastica che si impunta a non far riparare i bagni o dell’inefficiente sistema di trasporto scolastico del proprio Comune. No: in molte parti d’Italia, dal Veneto alla Sicilia, si sta diffondendo una preoccupazione del tutto nuova: il GENDER.

Vediamo quindi cosa sta succedendo nelle scuole italiane e nelle famiglie che si apprestano a consegnare per molte ore della loro giornata i loro figli al mondo dell’istruzione italiana.

Tutto nasce con la nuova legge voluta dal premier Matteo Renzi sulla “Buona scuola” e cioè l’attesissima riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione.

All’articolo 16 il testo recita: “16. Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93” (violenza sulle donne).

Come potete leggere anche voi, l’articolo della legge è assolutamente innocuo: parla di pari opportunità, di educazione alla parità tra i sessi (niente più maschietti bulli nelle aule, ladri delle merendine delle ragazze indifese!), contro la violenza di genere per l’appunto.

Ma è la parola “discriminazioni” che sta dando manforte agli ultrà cattolici per urlare contro quella che, in altri paesi europei, sarebbe sicuramente considerata una norma debole, poco chiara e quindi poco efficace per orientare l’istruzione su principi assolutamente condivisi e condivisibili come quelli della non discriminazione verso donne e soggetti più deboli, giovani lgbt compresi.

Nel blando articolo, non si parla infatti né di educazione sessuale (purtroppo, aggiungiamo noi), né esplicitamente di formare il personale della scuola per accogliere i bambini di famiglie omogenitoriali, né di prevenire il bullismo nei confronti degli adolescenti lgbt, che, si sa, sono più spesso oggetto delle attenzioni poco simpatiche dei loro coetanei.

E così, da Trento ad Agrigento, si sta diffondendo il panico tra le mamme italiane. Complici una manciata di attivissime associazioni di ultrà cattolici, che stampano volantini, organizzano iniziative con presunti esponenti “anti-gender”, si mobilitano via whatsapp diffondendo il panico alle altre mamme. Per dare una idea di quanto questa vera e propria psicosi collettiva si stia diffondendo in Italia, basti vedere le ricerche della parola “gender” negli ultimi tre anni sul principale motore di ricerca di Internet, Google.

Il grafico, infatti, mostra chiaramente quanto sia solo dal giugno 2015 – mese in cui è entrato nel vivo il ddl sulla Buona Scuola – che venga cercata su Google la parola “gender”, che invece prima veniva completamente ignorata.

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Educazione sessuale esplicita, che annulla ogni differenza tra uomo e donna, che invita alla masturbazione, spiega come avviene la penetrazione sessuale e illustra come organizzare rapporti sessuali a sei: questo il terrorismo che sta dilagando nelle scuole e preoccupa molte mamme italiane.

Non credete ancora che tutto ciò sia possibile? Date un’occhiata a questo link.

E’ di stamani una esclusiva de L’Espresso che riporta una allucinante telefonata che sta impazzando sui whatsapp delle mamme di Brindisi. Questo audiomessaggio sta infatti girando in queste ore nei gruppi classe di alcune madri con i propri figli iscritti alle elementrari della provincia di Brindisi. Una voce preoccupata mette in guardia i genitori: «Andate a firmare al vostro Comune contro la legge gender».

Annunci catastrofici di lezioni improntate alle masturbazione, penetrazione, matrimoni tra gay. Tutto somministrato ai bambini dell’asilo e delle elementari.

Una clamorosa controffensiva contro la Buona scuola che ha introdotto la prevenzione contro la violenza di genere e le discriminazioni. Così con tono colloquiale si chiede di bloccare ogni passo verso la modernità: «Noi possiamo fermare tutto questo, un vero guaio, con una petizione. Non possiamo nemmeno dire “Io mio figlio non lo mando più a scuola” perché c’è l’arresto. Già dall’asilo parlano ai bambini di sesso, di gay, dei trans come se fosse tutto normale. A settembre quando porteremo i bambini a scuola ci daranno un foglio: non firmatelo. Mandate questo messaggio a più persone possibile. A me l’ha detto il mio pastore già l’anno scorso e pensavo fosse una cosa così.. E invece no.. Sta andando veramente avanti. Un bacio a tutti e una santa giornata».

Il tutto è partito un po’ in sordina nel giugno scorso. Noi ne avevamo dato notizia con questo articolo : era una vera e propria campagna di terrorismo psicologico diretta tutta alle famiglie con bambini in età scolare, quella attuata nelle ultime settimane da chi, celandosi dietro profili personali e senza che la cosa abbia carattere di ufficialità, puntava intanto a riempire la piazza del Family Day del 20 giugno.

Nei messaggi che circolavano in quei giorni via Facebook e Whatsapp, si faceva riferimento ad una legge che stava per essere approvata per entrare in vigore da settembre prossimo e che avrebbe obbligato le scuole ad attivare “corsi gender” nei quali insegnare ai bambini di quattro anni la masturbazione e i rapporti sessuali a sei. Nulla di vero, insomma, come abbiamo visto.

Ad agosto arriva la notizia che alcuni cittadini stiano mobilitandosi per raccogliere le firme per un referendum abrogativo del famigerato e pericolosissimo articolo 16 del ddl sulla Buona Scuola.

Ma è il 4 settembre che la battaglia prende una svolta. Fa infatti il giro d’Italia la notizia che il Sindaco di Prevalle, in provincia di Brescia, ha utilizzato il cartellone luminoso destinato alle comunicazioni pubbliche del comune per mandare un messaggio tanto chiaro quanto terroristico alle famiglie: “L’Amministrazione Comunale è contraria all’ideologia gender”. L’idea del primo cittadini di Prevalle è così buona… che viene subito ripresa da altri Sindaci.

Qualche giorno fa una notizia tristissima che arriva da Trento e che la dice lunga sul livello di preparazione culturale di queste persone.

Ricordate la terribile storia di Leelah Alcorn, la ragazza diciassettenne dell’Ohio, negli Stati Uniti, che si tolse la vita perché i genitori non accettavano il fatto che lei, nata nel corpo di un uomo, si sentisse donna e la sottoposero a terapie riparative? Rose Morelli è una fotografa britannica e le dedicò una bella foto. Subito rubata dagli intelligenti ragazzi di “Fratelli d’Italia” di Trento per dimostrare quali pericoli stanno per distruggere la scuola italiana. Ennesima gaffe, ma che la dice lunga sul terrorismo.

Una delle ultime notizie arriva dalla civilissima Toscana. Ad Arezzo da giugno c’è una nuova amministrazione di centro-destra, in cui esponenti ultrà cattolici siedono in Giunta Comunale. E così prima viene dato il patrocinio ad uno dei tanti convegni terroristici sul gender organizzati in giro per l’Italia da un avvocato che sulle persone lgbt ne ha dette di cotte e di crude, Gianfranco Amato, poi viene decisa l’uscita del Comune di Arezzo da READY , la rete delle Amministrazioni Pubbliche contro le Discriminazioni per Orientamento Sessuale e Identità di Genere il cui obiettivo era «stabilire un confronto con le Associazioni Lgbt locali, favorire l’emersione dei bisogni della popolazione Lgbt e operare affinché questi siano presi in considerazione anche nella pianificazione strategica degli enti».

E non basta che Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, dica chiaro e tondo su Facebook che la ‘teoria gender’ non esista, che la campagna lanciata da alcune associazioni e frange più retrive della chiesa contro l’inesistente “teoria gender” sia “terrorismo psicologico ed infine annunci un documento ufficiale del MIUR che spieghi l’intento del contestato articolo della riforma della scuola, ovvero educare al rispetto delle differenze e combattere le forme di discriminazione e di violenza di genere.

Non basta, perchè come la pagina di Facebook “Il Gender” ci ha simpaticamente spiegato , il gender cambierà a breve il sesso di tutti i bambini italiani… non solo dei testimonial dell’ovetto Kinder.

Fonte: Gay.it

 

Tratto da http://www.mariomieli.net/gender-che-succede-nelle-scuole-con-il-nuovo-anno-scolastico.html

14N #SocialStrike!

Dal blog di Bob Fabiani:
Nov 13
Ci siamo la giornata del 14N domani intende porre alcune tematiche che il governo Renzi ha sistematicamente ignorato. Si comincerà alla mezzanotte di oggi 13N quando gli attivisti dello #scioperosociale si recheranno nei locali della movida romana con l’obiettivo di parlare con i lavoratori dei locali del centro, a Roma come in tutta Italia.
Le ragioni della giornata di sciopero sono state dichiarate con chiarezza: si va dalla netta contrapposizione al jobsact, alla legge 30, dal “patto per la scuola” a rivendicazioni precise sul salario minimo europeo al reddito di cittadinanza.
È una prova importante perché pone al governo precise domande alle quali non si potrà rispondere con la solita arroganza del premier-abusivo. Sarà una prova di maturità del governo che dovrà capire che non è sempre possibile attestarsi su posizioni reazionarie quelle degli imprenditori o, di Confindustria. Chissà se il premier capirà che il paese potrà diventare moderno se, al suo interno, il governo, è in grado di mettere in campo politiche “per” i lavoratori e “non” contro.
Sarà interessante vedere se Renzi sia in grado di mettere da parte autoritarismo e quel modo un pò goffo di liquidare (con una malcelata cattiveria) le istanze della cittadinanza.
L’ampia coalizione di attivisti sociali che ha reso possibile il 14N non è ancora un movimento ma, forse, lo potrà diventare se saprà andare oltre il 14N in modo da poter prendere spunto dallo sciopero che seppero costruire i precari dei fast food USA in America e in tutto il mondo.
Questa piattaforma allargata di studenti, precari, disoccupati e attivisti si riflette anche nella giornata di sciopero che mira a rivendicare il salario minimo orario, il reddito base, l’estensione degli ammortizzatori sociali, la redistribuzione ai beneficiari (disoccupati) dei fondi del progetto Garanzia Giovani. Inoltre richiede la stabilizzazione dei precari nella scuola e, al tempo stesso ricorda al governo che c’è bisogno di un massiccio investimento nell’istruzione e nel campo della ricerca.
La convergenza con la Fiom
Lo sciopero sociale contro la crisi ha trovato un filo conduttore con la Fiom. Non si tratta solo di una occasione isolata ma, al contrario di provare a “lavorare insieme” – come ha detto il segretario Landini che ha incontrato alla Sapienza di Roma, precari, studenti e Cobas -.
È un vero e proprio percorso nel tentativo di “Unire ciò che è stato diviso questo è il compito del sindacato”.
Tutto nasce dalla necessità di unire le lotte per provare a far capire al governo che, la strada intrapresa è sbagliata e non porta da nessuna parte. Ecco che allora lo sciopero venata ke Fiom va a convergere con lo sciopero sociale per unire le proteste e le voci dei lavoratori. Significative le parole di Landini: “Lo sciopero no si fa contro ma per le proposte che abbiamo presentato al premier molti mesi fa: politica industriale, investimenti, un piano per la mobilità, i trasporti, la banda larga. L’estensione dei diritti invece della cancellazione”.
Richieste precise e chiare. Richieste che però sono in netta contrapposizione con il jobsact tanto che Landini chiosa: “Punti che non vedo né nel jobsact né nella kegge di stabilità”.
Siamo al bivio.
In tutta Italia stanno esplodendo delle gravi criticità che stanno favorendo il conflitto sarà anche per questa ragione che, il segratario generale annuncia: “Siamo in piazza ma stiamo studiando un ricorso alla Corte costituzionale sul jobsact sulla falsariga della CGIL che è ricorsa alla Corte europea per la legge sui contratti a termine”.
Domani i “due scioperi” a Milano confluiranno in una unica piazza: dal palco Fiom parleranno anche i precari dello sciopero sociale. Le prove di dialogo sono appena iniziate ma per tutelare al meglio i lavoratori, il sindacato ha bisogno di aprirsi: è quello che la Fiom ha iniziato a fare. Nella speranza che non sia troppo tardi.
(Fonte.:fattoquotidiano;ilmanifesto;larepubblica)
Bob Fabiani
Link
-www.lavoro,gov.it;
-www.fiom-cgil.it;
#scioperosociale;
#socialstrike;
#14N
Fonte:

“Mare nero”: la corsa al petrolio continua. Con l’aiuto dello Sblocca Italia

petrolio impiantodi Pasquale Cotroneo – Northen Petroleum Ltd, Shell Eni Norten Enel Longanesi Developments, Nautical petroleum, Global Med. Cosa sono? Solo alcune delle compagnie che nello Ionio Calabrese, soprattutto nel crotonese, si affiancano ad Eni alla ricerca di petrolio, greggio e metano.

Una ricerca affannosa (ma non troppo) che oltre un anno fa trattavamo da queste colonne, e che oggi sembra essere spinta da nuovo vigore.

E ad aiutarle (anche) stavolta ci ha ben pensato il Governo nazionale.

Con l’articolo 37 del Decreto “Sblocca Italia”, voluto dal Governo Renzi, si dispone infatti che gasdotti, rigassificatori e stoccaggi rivestono “carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale e sono di pubblica utilità, nonché indifferibili e urgenti e di conseguenza avranno diritto a una serie di semplificazioni”. Mentre il 38 spiana letteralmente la strada all’estrazione degli idrocarburi, facendo ritorno alla competenza esclusiva dello Stato delle materie “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”, e togliendo agli enti locali la possibilità di veto su ricerca di petrolio e trivellazione.

Il Premier e l’esecutivo hanno giustificato la misura in quanto questa permetterebbe di aumentare la nostra capacità estrattiva, la nostra indipendenza energetica e garantirebbe lo sblocco di investimenti utili alla nostra economia.

Ma chi ci guadagna realmente?

“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!”

Così che la mossa del Governo Renzi, affiancata al Decreto Sviluppo che nel giugno 2012 (Governo Monti), come affermavamo tempo fa, aveva fatto ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati nel 2010 dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, appare solo come l’ultimo ed ennesimo regalo alle lobbies che in Italia hanno interessi sulle estrazioni di metano e petrolio.

Tutto o quasi nel disinteresse generale, con il Movimento “No Triv”, gli ambientalisti e le associazioni sparse sul territorio (per ultima la notta di ieri dell’Associazione Isola Ambiente Apnea di Crotone) a battersi quasi sempre da soli.

Un “no” il loro ben giustificato dall’imbruttimento e annientamento che la petrolizzazione provocherebbe sul paesaggio; dall’installazione di strutture invasive (per pesca e pescatori) e dalla produzione di nuovi rifiuti pericolosi per il loro impatto sull’ambiente; dalla scarsa quantità e qualità di riserve di metano e petrolio; inquinamento dell’acqua e dell’aria con problemi per l’intero ecosistema.

Non meno importante la questione della sismicità di quel territorio, il nostro che non “gioverebbe certamente della presenza di nuovi pozzi di estrazione metanifera”.

Ad essere rinnovabili, pertanto, prima delle energie da utilizzare, dovrebbero essere le idee (e gli interessi) di chi Governa.

 

Asinara, così Gratteri lo vuole riaprire

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La proposta di Nicola Gratteri di riaprire il carcere dell’Asinara continua a far discutere, soprattutto nel momento di visibile difficoltà del ministro della giustizia Orlando. La “Commissione Gratteri”, istituita per volontà del premier Renzi, ha acquisito lo status di Struttura Generale della Presidenza del Consiglio e lo stesso Gratteri, si dice determinato a portare avanti il progetto e farlo approvare entro l’anno. In Sardegna, la vicenda ha sollevato un vero e proprio polverone. Per Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione sarda Socialismo Diritti Riforme: «Suscita viva preoccupazione la riapertura del carcere dell’Asinara per ospitare i detenuti in regime di 41bis proposta dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri incaricato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, insieme agli altri Magistrati Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, di formulare un progetto di riforma del sistema penitenziario. Un nuovo programma assurdo che paradossalmente rischia di acquisire fondatezza proprio per il problema dei detenuti mafiosi destinati alla Sardegna».
Inoltre, sottolinea Caligaris, «la volontà di far prevalere la forza sulla ragionevolezza e il buon senso rischia di travolgere e annullare un percorso di emancipazione in cui l’isola dell’Asinara è inserita da tempo. Sarebbe infatti inqualificabile se lo Stato, dopo aver ceduto alla regione l’area demaniale, destinasse i detenuti in regime di massima sicurezza a un’isola-parco di straordinaria bellezza paesaggistica e naturalistica e dove il turismo sta assumendo finalmente un ruolo importante». Secondo la presidente la Sardegna appare sempre più destinata a subire scelte dall’alto: «Speriamo che stavolta si tratti solo di un esercizio letterario senza conseguenze, anche se è meglio vigilare».

Dagli anni settanta al 1998, anno della sua effettiva chiusura, il carcere dell’Asinara è stato un istituto di massima sicurezza, nel quale sono stati rinchiusi criminali affiliati alle organizzazioni politiche di estrema destra e estrema sinistra che in quegli anni agivano sul territorio italiano. Ma è stato anche luogo di detenzione per anarchici, come Passante e politici come Sandro Pertini. Prima di diventare un carcere di massima sicurezza, l’Asinara è stata una colonia penale e poi un penitenziario. Ma è durante gli anni 70 che il super carcere dell’Asinara acquista finalità ben diverse. A segnare la svolta anche il cambio di direzione che affida la guida dell’istituto a Luigi Cardullo, il quale lo dirigerà per otto anni con il pugno di ferro, guadagnandosi subito la fama di duro. Gli stessi agenti di custodia dell’Asinara l’avevano soprannominato “il viceré” e così Cardullo conquistò ben presto la fama di direttore carcerario più odiato d’Italia.

Il suo comportamento attira l’attenzione dei giornali, ad esempio quando fa sparare, da alcuni agenti contro un turista svizzero che aveva oltrepassato il limite di 500 metri dalla costa imposto dalla capitaneria. Oppure quando nel 1976, il processo a carico di un detenuto del carcere di Alghero, che lo accusava di comportamento illegale, si trasforma in un processo ai metodi spicci del “viceré” Cardullo. In quell’occasione la difesa non solo riesce a far assolvere l’imputato dalle scuse di calunnie, ma riesce a concentrare l’attenzione dei media su quanto avveniva tra le mura del carcere. La realtà che emerge è quella di un sistema di reclusione dove regnano i pestaggi sui detenuti, oltre alle sevizie psicologiche. La censura della posta e l’isolamento appaiono come metodi normalmente utilizzati.
Alle condizioni di vita sull’isola iniziarono a interessarsi diversi esponenti della politica italiana. L’onorevole dell’allora partito Comunista Vincenzo Balzamo, in un’interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia, chiese se i diritti umani dei detenuti, anche quelli accusati dei reati più gravi, rispettassero le norme costituzionali e i nuovi regolamenti carcerari. Richiesta avanzata nel tentativo per cercare di smentire la voce secondo cui alcuni detenuti, come Renato Curcio e Sante Notarnicola, erano trattati da “sepolti vivi”.

L’anno dopo, cinque carcerati, tutti appartenenti all’estrema sinistra, guidarono una manifestazione pacifica contro l’installazione dei vetri divisori, cristalli spessi un dito che rendevano ancora più difficili i colloqui. La protesta venne repressa con pestaggi e violenze, e il giudice di sorveglianza, recatosi all’Asinara, ordinò l’immediato ricovero del detenuto anarchico Carlo Horst Fantazzini, il famoso ”ladro gentiluomo”, perché in gravi condizioni. Testimonianze del genere si moltiplicarono negli anni successivi. Il 31 marzo del 1981, sempre al super carcere dell’Asinara, avvenne uno delle più brutali violenze della storia carceraria. In una dichiarazione resa pubblica dai familiari, tenuti lontani dall’isola per 15 giorni, si informava che 70 detenuti della sezione speciale erano stati rinchiusi in isolamento dopo essere stati denudati e bastonati e i loro effetti personali distrutti.

Ancora nel 1992, quando sull’onda della nuova emergenza antimafia il braccio di massima sicurezza accolse detenuti accusati di appartenere alla criminalità organizzata, i racconti non si discostavano da quanto accaduto negli anni precedenti. C’è il detenuto Pasquale De Feo , ergastolano ostativo, che racconta  quel periodo: «Nel luglio del 1992 all’Asinara avevano instaurato, nella sezione Fornelli, il regime di tortura del 41bis e il trattamento era disumano, soffrivamo la fame, la sete, il freddo non essendoci riscaldamenti, non avevamo niente, la sopravvivenza occupava tutta la mia quotidianità. In certi momenti ci guardavamo e ci dicevamo che un giorno, quando lo racconteremo, non ci crederanno.

Ricordo di aver letto in un libro che gli ebrei nei campi di concentramento avevano gli stessi nostri timori, di non essere creduti. Anni dopo, gli stessi detenuti non ci credevano quando lo raccontavano. In America su simili aberrazioni avrebbero fatto tanti film, come hanno fatto su Alcatraz, in Italia, nessun film, perché l’omertà istituzionale è più granitica di quella della criminalità». Se ne occupò anche Amnesty International nel 1993 che, raccogliendo varie testimonianze, pubblicò un dossier dove si denunciavano le torture che avvenivano nel supercarcere.

La chiusura del super carcere dell’a Asinara, definito la ”Guantanamo” sarda, e l’istituzione del Parco naturale (voluta e finanziata fortemente dall’Europa) diviene finalmente realtà il 27 dicembre 1997 tramite il Governo Prodi. Chiusura che a distanza di anni, grazie soprattutto al processo sulla presunta ”trattativa mafia- stato, viene percepita come un patto oscuro tra le Istituzioni e la criminalità organizzata: quando si prova a rendere umane le carceri, chiudere quelle che non rispettano i diritti dell’uomo o mettere in discussione il 41 Bis , subito rispunta il fantasma della “trattativa”. Una spada di Damocle davvero insostenibile.

 

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/10/15/asinara-cosi-gratteri-lo-vuole-riaprire/