19 agosto 1978 – La protesta al carcere dell’Asinara

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Nel supercarcere dell’Asinara, riprende la protesta contro le inumane condizioni di vita ed i pestaggi organizzati dai secondini, diretti da Luigi Cardullo, che, fra gli altri, hanno comportato il ricovero in ospedale per ben due volte di Horst Fantazzini.

La rivolta è capeggiata da Giuliano Naria, Pietro Bertolazzi, Tonino Paroli, Pasquale Abatangelo e Giuseppe Battaglia.

Alcune settimane dopo una delegazione di deputati, dopo aver effettuato una visita al carcere dell’Asinara, tiene una conferenza stampa.

Massimo Gorla deputato di Democrazia Proletaria afferma: “Definirlo lager mi sembra esatto. Lo è per tutti quelli che per una ragione o l’altra sono costretti a vivere nell’isola…Le condizioni di vita sono disumane“.

Nei giorni precedenti, sono stati trasferiti alle carceri di Cuneo e Fossombrone 3 prigionieri accusati di aver organizzato la rivolta: Maurizio Ferrari, Giorgio Semeria, Santino Stefanini.

 

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/19-agosto-1978-asinara-sassari/

Asinara, così Gratteri lo vuole riaprire

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La proposta di Nicola Gratteri di riaprire il carcere dell’Asinara continua a far discutere, soprattutto nel momento di visibile difficoltà del ministro della giustizia Orlando. La “Commissione Gratteri”, istituita per volontà del premier Renzi, ha acquisito lo status di Struttura Generale della Presidenza del Consiglio e lo stesso Gratteri, si dice determinato a portare avanti il progetto e farlo approvare entro l’anno. In Sardegna, la vicenda ha sollevato un vero e proprio polverone. Per Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione sarda Socialismo Diritti Riforme: «Suscita viva preoccupazione la riapertura del carcere dell’Asinara per ospitare i detenuti in regime di 41bis proposta dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri incaricato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, insieme agli altri Magistrati Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, di formulare un progetto di riforma del sistema penitenziario. Un nuovo programma assurdo che paradossalmente rischia di acquisire fondatezza proprio per il problema dei detenuti mafiosi destinati alla Sardegna».
Inoltre, sottolinea Caligaris, «la volontà di far prevalere la forza sulla ragionevolezza e il buon senso rischia di travolgere e annullare un percorso di emancipazione in cui l’isola dell’Asinara è inserita da tempo. Sarebbe infatti inqualificabile se lo Stato, dopo aver ceduto alla regione l’area demaniale, destinasse i detenuti in regime di massima sicurezza a un’isola-parco di straordinaria bellezza paesaggistica e naturalistica e dove il turismo sta assumendo finalmente un ruolo importante». Secondo la presidente la Sardegna appare sempre più destinata a subire scelte dall’alto: «Speriamo che stavolta si tratti solo di un esercizio letterario senza conseguenze, anche se è meglio vigilare».

Dagli anni settanta al 1998, anno della sua effettiva chiusura, il carcere dell’Asinara è stato un istituto di massima sicurezza, nel quale sono stati rinchiusi criminali affiliati alle organizzazioni politiche di estrema destra e estrema sinistra che in quegli anni agivano sul territorio italiano. Ma è stato anche luogo di detenzione per anarchici, come Passante e politici come Sandro Pertini. Prima di diventare un carcere di massima sicurezza, l’Asinara è stata una colonia penale e poi un penitenziario. Ma è durante gli anni 70 che il super carcere dell’Asinara acquista finalità ben diverse. A segnare la svolta anche il cambio di direzione che affida la guida dell’istituto a Luigi Cardullo, il quale lo dirigerà per otto anni con il pugno di ferro, guadagnandosi subito la fama di duro. Gli stessi agenti di custodia dell’Asinara l’avevano soprannominato “il viceré” e così Cardullo conquistò ben presto la fama di direttore carcerario più odiato d’Italia.

Il suo comportamento attira l’attenzione dei giornali, ad esempio quando fa sparare, da alcuni agenti contro un turista svizzero che aveva oltrepassato il limite di 500 metri dalla costa imposto dalla capitaneria. Oppure quando nel 1976, il processo a carico di un detenuto del carcere di Alghero, che lo accusava di comportamento illegale, si trasforma in un processo ai metodi spicci del “viceré” Cardullo. In quell’occasione la difesa non solo riesce a far assolvere l’imputato dalle scuse di calunnie, ma riesce a concentrare l’attenzione dei media su quanto avveniva tra le mura del carcere. La realtà che emerge è quella di un sistema di reclusione dove regnano i pestaggi sui detenuti, oltre alle sevizie psicologiche. La censura della posta e l’isolamento appaiono come metodi normalmente utilizzati.
Alle condizioni di vita sull’isola iniziarono a interessarsi diversi esponenti della politica italiana. L’onorevole dell’allora partito Comunista Vincenzo Balzamo, in un’interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia, chiese se i diritti umani dei detenuti, anche quelli accusati dei reati più gravi, rispettassero le norme costituzionali e i nuovi regolamenti carcerari. Richiesta avanzata nel tentativo per cercare di smentire la voce secondo cui alcuni detenuti, come Renato Curcio e Sante Notarnicola, erano trattati da “sepolti vivi”.

L’anno dopo, cinque carcerati, tutti appartenenti all’estrema sinistra, guidarono una manifestazione pacifica contro l’installazione dei vetri divisori, cristalli spessi un dito che rendevano ancora più difficili i colloqui. La protesta venne repressa con pestaggi e violenze, e il giudice di sorveglianza, recatosi all’Asinara, ordinò l’immediato ricovero del detenuto anarchico Carlo Horst Fantazzini, il famoso ”ladro gentiluomo”, perché in gravi condizioni. Testimonianze del genere si moltiplicarono negli anni successivi. Il 31 marzo del 1981, sempre al super carcere dell’Asinara, avvenne uno delle più brutali violenze della storia carceraria. In una dichiarazione resa pubblica dai familiari, tenuti lontani dall’isola per 15 giorni, si informava che 70 detenuti della sezione speciale erano stati rinchiusi in isolamento dopo essere stati denudati e bastonati e i loro effetti personali distrutti.

Ancora nel 1992, quando sull’onda della nuova emergenza antimafia il braccio di massima sicurezza accolse detenuti accusati di appartenere alla criminalità organizzata, i racconti non si discostavano da quanto accaduto negli anni precedenti. C’è il detenuto Pasquale De Feo , ergastolano ostativo, che racconta  quel periodo: «Nel luglio del 1992 all’Asinara avevano instaurato, nella sezione Fornelli, il regime di tortura del 41bis e il trattamento era disumano, soffrivamo la fame, la sete, il freddo non essendoci riscaldamenti, non avevamo niente, la sopravvivenza occupava tutta la mia quotidianità. In certi momenti ci guardavamo e ci dicevamo che un giorno, quando lo racconteremo, non ci crederanno.

Ricordo di aver letto in un libro che gli ebrei nei campi di concentramento avevano gli stessi nostri timori, di non essere creduti. Anni dopo, gli stessi detenuti non ci credevano quando lo raccontavano. In America su simili aberrazioni avrebbero fatto tanti film, come hanno fatto su Alcatraz, in Italia, nessun film, perché l’omertà istituzionale è più granitica di quella della criminalità». Se ne occupò anche Amnesty International nel 1993 che, raccogliendo varie testimonianze, pubblicò un dossier dove si denunciavano le torture che avvenivano nel supercarcere.

La chiusura del super carcere dell’a Asinara, definito la ”Guantanamo” sarda, e l’istituzione del Parco naturale (voluta e finanziata fortemente dall’Europa) diviene finalmente realtà il 27 dicembre 1997 tramite il Governo Prodi. Chiusura che a distanza di anni, grazie soprattutto al processo sulla presunta ”trattativa mafia- stato, viene percepita come un patto oscuro tra le Istituzioni e la criminalità organizzata: quando si prova a rendere umane le carceri, chiudere quelle che non rispettano i diritti dell’uomo o mettere in discussione il 41 Bis , subito rispunta il fantasma della “trattativa”. Una spada di Damocle davvero insostenibile.

 

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/10/15/asinara-cosi-gratteri-lo-vuole-riaprire/