Ponte sullo Stretto torna nell’agenda del governo. Una storia di annunci, penali e appetiti mafiosi

Fabio Bonasera

Cronaca – Doveva essere il ponte sospeso dei record per un costo di 4 miliardi di euro. Finora lo Stato ha pagato 300 milioni per la mancata costruzione. Sempre sostenuto da Berlusconi, a fasi alterne da Prodi. Affossato dal governo Monti e dall’Ue. Nel 2005 la Dia aveva illustrato in Parlamento il rischio di infiltrazioni di Cosa nostra.

L’intenzione sarebbe di riesumare il sogno che non fu solo di Silvio Berlusconi. Il ddl annunciato da Angelino Alfano pare sia in fase di stesura e potrebbe essere pronto a giorni. Sarebbe stato il ponte dei record, quello sullo Stretto di Messina, secondo il progetto dell’associazione temporanea di imprese Eurolink. Il collegamento stabile tra Cannitello, in provincia di Reggio Calabria, e Ganzirri, villaggio del capoluogo peloritano, prevedeva un ponte sospeso, lungo tre chilometri e 666 metri, con due corsie stradali e due binari ferroviari. Alti 382,60 metri sul livello del mare, i due piloni chiamati a reggerlo. Costo dell’appalto, circa quattro miliardi di euro. Tempi stimati per la realizzazione, cinque anni e dieci mesi.

Un’opera imponente, tramontata il 15 aprile 2013, quando la Stretto di Messina Spa, concessionaria costituita nel 1981 per la sua progettazione, la realizzazione e l’esercizio, viene liquidata con decreto del presidente del consiglio dei ministri, all’epoca Mario Monti. Che, già l’anno prima, aveva fatto stanziare 300 milioni per le penali da pagare per la mancata costruzione.

Di Ponte sullo Stretto si parla da decenni. Significativa, nel 1981, la costituzione della Stretto di Messina, partecipata da Italstat e Iri, con il 51 per cento, e da Ferrovie dello Stato, Anas, Regioni Sicilia e Calabria. Dal primo ottobre 2007, Anas assume il controllo con l’81,848 per cento. Ormai surreali, nel 1985, le dichiarazioni di Bettino Craxi, per il quale il Ponte si sarebbe realizzato a breve. L’anno dopo, l’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi afferma che il ponte è una priorità e che i lavori verranno ultimati nel 1996. Lo stesso Prodi, quando torna a Palazzo Chigi nel 2006, deciso ad affossare il progetto per evitare infiltrazioni mafiose, i cui rischi erano stati esposti al Parlamento appena un anno prima dalla Direzione investigativa antimafia, trasferisce buona parte delle risorse alla Salerno-Reggio Calabria.

Eppure, l’infrastruttura, nel 2001, è presente nei programmi elettorali dei due candidati premier di centrodestra e centrosinistra, Berlusconi e Francesco Rutelli. Vince il fondatore di Forza Italia e, nell’ottobre 2005, l’Ati Eurolink Scpa, guidata da Impregilo Spa, si aggiudica la gara come contraente generale per la sua costruzione, con un’offerta di tre miliardi 880 milioni di euro. Nascono in quel periodo le spinte nopontiste che, nel gennaio 2006, a Messina, danno vita a un corteo di protesta di 15-20mila persone. Alla guida, l’attuale sindaco della città dello Stretto, Renato Accorinti, accolto con i manifestanti, nella piazza del municipio, dal primo cittadino di allora, Francantonio Genovese, azionista della Caronte & Tourist e successivamente deputato del Pd, attualmente agli arresti e sotto processo nell’ambito dell’inchiesta Corsi d’oro sulla formazione professionale.

Il 27 marzo 2006, Impregilo firma il contratto per la progettazione finale e la realizzazione dell’opera. Dopo le resistenze di Prodi, Berlusconi riprende le fila del discorso, una volta tornato alla guida del governo, nel 2008. Il 2 ottobre 2009, la Stretto di Messina impartisce al contraente generale l’ordine di inizio della progettazione definitiva ed esecutiva. Secondo gli impegni del presidente del consiglio, i lavori dovranno iniziare nel 2010 per finire nel 2016. I primi cantieri, riguardanti opere propedeutiche, prendono il via a dicembre, a Cannitello, con la variante ferroviaria poi ultimata nel 2012.

Il secondo fendente al Ponte lo infligge, nell’ottobre 2011, l’Unione Europea,escludendolo dai finanziamenti comunitari, seppur confermando il corridoio 1 Berlino-Palermo. Infine, il colpo di grazia di Monti. Dei soldi stanziati, pare siano stati spesi in tutto 300 milioni per saggi, carotaggi, simulazioni e quant’altro. Ora non resta che attendere il disegno di legge annunciato dal ministro dell’Interno per capire da dove si vorrà ripartire.

 

 

Fonte:

http://meridionews.it/articolo/36558/ponte-sullo-stretto-torna-nellagenda-del-governo-una-storia-di-annunci-penali-e-appetiti-mafiosi/

“Mare nero”: la corsa al petrolio continua. Con l’aiuto dello Sblocca Italia

petrolio impiantodi Pasquale Cotroneo – Northen Petroleum Ltd, Shell Eni Norten Enel Longanesi Developments, Nautical petroleum, Global Med. Cosa sono? Solo alcune delle compagnie che nello Ionio Calabrese, soprattutto nel crotonese, si affiancano ad Eni alla ricerca di petrolio, greggio e metano.

Una ricerca affannosa (ma non troppo) che oltre un anno fa trattavamo da queste colonne, e che oggi sembra essere spinta da nuovo vigore.

E ad aiutarle (anche) stavolta ci ha ben pensato il Governo nazionale.

Con l’articolo 37 del Decreto “Sblocca Italia”, voluto dal Governo Renzi, si dispone infatti che gasdotti, rigassificatori e stoccaggi rivestono “carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale e sono di pubblica utilità, nonché indifferibili e urgenti e di conseguenza avranno diritto a una serie di semplificazioni”. Mentre il 38 spiana letteralmente la strada all’estrazione degli idrocarburi, facendo ritorno alla competenza esclusiva dello Stato delle materie “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”, e togliendo agli enti locali la possibilità di veto su ricerca di petrolio e trivellazione.

Il Premier e l’esecutivo hanno giustificato la misura in quanto questa permetterebbe di aumentare la nostra capacità estrattiva, la nostra indipendenza energetica e garantirebbe lo sblocco di investimenti utili alla nostra economia.

Ma chi ci guadagna realmente?

“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!”

Così che la mossa del Governo Renzi, affiancata al Decreto Sviluppo che nel giugno 2012 (Governo Monti), come affermavamo tempo fa, aveva fatto ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati nel 2010 dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, appare solo come l’ultimo ed ennesimo regalo alle lobbies che in Italia hanno interessi sulle estrazioni di metano e petrolio.

Tutto o quasi nel disinteresse generale, con il Movimento “No Triv”, gli ambientalisti e le associazioni sparse sul territorio (per ultima la notta di ieri dell’Associazione Isola Ambiente Apnea di Crotone) a battersi quasi sempre da soli.

Un “no” il loro ben giustificato dall’imbruttimento e annientamento che la petrolizzazione provocherebbe sul paesaggio; dall’installazione di strutture invasive (per pesca e pescatori) e dalla produzione di nuovi rifiuti pericolosi per il loro impatto sull’ambiente; dalla scarsa quantità e qualità di riserve di metano e petrolio; inquinamento dell’acqua e dell’aria con problemi per l’intero ecosistema.

Non meno importante la questione della sismicità di quel territorio, il nostro che non “gioverebbe certamente della presenza di nuovi pozzi di estrazione metanifera”.

Ad essere rinnovabili, pertanto, prima delle energie da utilizzare, dovrebbero essere le idee (e gli interessi) di chi Governa.

 

La Repubblica e il #14dic2010

 

Prendiamo parola indignati in risposta ad un articolo del quotidiano La Repubblica sull’apertura del processo sul 14 dicembre 2010: una mistificazione faziosa della realtà, ma la potenza di quella giornata di conflitto e dignità non si può cancellare. Ed evidentemente fa ancora paura.

“Gli studenti si stanno riappropriando delle piazze in tutta Italia, dalle grandi metropoli alle cittadine di provincia, per opporsi alla riforma della scuola voluta dal ministro Mariastella Gelmini”. C’era un tempo in cui “La Repubblica”, diretta da Ezio Mauro, idolatrava gli studenti. Non che la cosa ci importasse particolarmente, anzi. Gli unici motivi che all’epoca spinsero il quotidiano a pubblicare continue marchette editoriali nei confronti del movimento dell’Onda erano legati all’impotenza e alle incapacità dell’antiberlusconismo di una certa sinistra, assieme alla speranza che gli studenti potessero veramente spazzarlo via dalla scena politica.

Cose che ci erano già molto chiare all’epoca, quando durante le occupazioni delle facoltà ci trovavamo spesso assediati dai giornalisti di questa impresa giornalistica, pronti a narrare in maniera epica anche il più insignificante degli accaduti. “Ti prego, posso farti una foto mentre bevi il caffè sotto lo striscione?”. “No, levate”. “Ti prego, lo facciamo per dare visibilità alla vostra protesta” “Levate”. E così per loro siamo diventati degli eroi da osannare con l’occupazione del Colosseo e degli altri monumenti in tutto il paese, da venerare durante la contestazione davanti al Senato. Poi la fine del governo Berlusconi, Repubblica festeggia e si allinea alle politiche di austerità di Mario Monti e della Bce, diventando la più grande sostenitrice dei tagli. Da quel momento, di qualunque natura siano le mobilitazioni, a prescindere dai fatti, nella rappresentazione mediatica di Repubblica gli studenti in mobilitazione si trasformarono automaticamente in violenti, il book block da splendidi simboli della cultura a pericolosi simboli di violenza, un lancio di uova in pericoloso attentato, i disoccupati in criminali, il movimento No Tav in un’organizzazione terroristica, e i centri sociali in mostri da criminalizzare.

Per questo, leggendo l’articolo pubblicato ieri sul sito di Repubblica, pur non sorprendendoci particolarmente, siamo profondamente indignati. Se da una parte ci viene da sorridere rispetto al palese voltafaccia di convenienza della linea editoriale, dall’altro non possiamo che rimanere schifati di fronte al modo in cui viene presentata la notizia dell’inizio del processo sulla giornata del 14 dicembre 2010.

Innanzitutto i ventisei ragazzi coinvolti nel procedimento sono già stati condannati senza appello dal giornale per aver “trasformato il corteo in una guerriglia urbana”, ignorando volutamente il fatto che il nostro ordinamento giuridico prevede la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva. Altra questione, la mistificazione e la totale decontestualizzazione dei fatti: una insorgenza generazionale di massa, seguita a mesi (o meglio anni) di mobilitazioni diffuse del mondo della formazione, che vide protagonista tutto il corteo, diventa nell’articolo un attacco di piccoli gruppi che, in maniera organizzata, “assaltarono il centro storico”. Mica Montecitorio, dove Silvio Berlusconi aveva appena ottenuto la fiducia al Governo attraverso la compravendita di parlamentari e senatori. E ancora, come se non bastasse, non ritroviamo nell’articolo nessun accenno alle facoltà occupate da mesi, agli studenti in mobilitazione in tutta Italia contro la peggior riforma dell’università che il paese ricordi, ai ricercatori sui tetti, ad una sfiducia contro un governo corrotto che avveniva giorno dopo giorno nelle piazze di tutto il paese. Senza questi fatti, non si può comprendere il 14 dicembre. Ed infatti, quell’articolo non informa, ma criminalizza. Non narra dei fatti, ma riporta la tesi dell’accusa. Chissà se Repubblica si è semplicemente scordata di questi piccoli dettagli o se ha preferito tacerli per meglio portare avanti un’operazione di mistificazione della realtà.

Da segnalare inoltre il maldestro tentativo di far passare come equo questo processo, solo per il fatto che il Pubblico Ministero, Luca Tescaroli, è lo stesso ad aver aperto un procedimento d’indagine contro il poliziotto che il 14 novembre 2012 (e non 2011 come riportato erroneamente da repubblica) colpì ripetutamente e senza motivo (ma questa volta sì che Repubblica specifica “secondo l’accusa”) un manifestante immobilizzato a terra. Cose che dovrebbero succedere sempre, e non solo quando gli atti di violenza perpetrati dalle forze dell’ordine sono talmente chiari ed eclatanti. Non si tratta quindi di un atto di eroismo del Pm, ma di una cosa normale, se vivessimo in un paese democratico. E invece sono innumerevoli le teste spaccate, le costole rotte, gli arresti arbitrari, le torture psicologiche e fisiche, considerate ormai normale amministrazione dalla magistratura e dalle forze politiche.

Il 14 dicembre 2010 in via del Corso non c’erano gruppi organizzati, non c’erano frange che “volevano rovinare un corteo pacifico”, non c’erano buoni e cattivi. C’era, che vi piaccia o meno, un’intera generazione in rivolta contro i politici e i potenti che pianificano la distruzione del futuro, dei diritti e della vita di milioni di persone. A piazza del Popolo c’era il movimento che ha delegittimato il Parlamento dal basso, ben prima del pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha provato a difendere ciò che restava dell’università e della scuola pubblica – i dati dell’abbandono scolastico ed universitario sono allarmanti, e sappiamo chi sono i responsabili di questa situazione – un movimento che ha saputo rispondere all’ennesima violenta compravendita di voti per la fiducia con la giusta determinazione e grande dignità.

In quella piazza, noi lo ricordiamo bene, c’erano oltre 100 mila persone (e non certo 20 mila!) decise a non scappare, a non fermarsi davanti alle cariche e ai lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine, a rimanere incordonati per proteggere tutto il corteo dai caroselli dei blindati lanciati a folle velocità contro i manifestanti, rivendicando il diritto di arrivare a manifestare, come in tutto il mondo accade, sotto i palazzi del potere e quindi a Montecitorio. Negli occhi abbiamo le immagini di un fiume di gente incontenibile, che dopo ogni carica ritornava all’attacco superando qualsiasi argine. Ricordiamo le urla e gli applausi con cui la piazza festeggiava il blindato in fiamme e i gruppi di carabinieri messi in fuga a suon di sampietrini. Ricordiamo l’odore acre dei lacrimogeni che quel giorno piovevano a grappoli su piazza del Popolo, ma senza riuscire a scalfire la determinazione di una generazione che ha smesso di accettare passivamente il ricatto della precarietà, la violenza della disoccupazione e dello sfruttamento, la distruzione di scuole ed università.

Per quanto si tenti di mistificarla, è questa la verità che appartiene a una generazione di studenti e di giovani. In tanti, e Repubblica in primis, sembrano avere la memoria corta e in tasca soltanto una verità a tempo determinato: quella che in base alle circostanze del momento fa comodo al governo di riferimento.

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/la-repubblica-e-il-14-dicembre-2010