La manifestazione di venerdì 2 settembre è un atto di grande valore morale e politico

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La manifestazione di venerdì 2 settembre per denunciare quello che sta avvenendo in Siria e chiedere un cessate il fuoco generalizzato e l’apertura di corridoi sicuri per gli aiuti umanitari alla popolazione civile è un atto di grande valore morale e politico. L’auspicio è che questa iniziativa possa contribuire a scuotere un’opinione pubblica italiana che appare indifferente di fronte alla tragedia più catastrofica di questo secolo, della quale ci si accorge solo quando arrivano le migliaia di fuggitivi che sono il prodotto di quella catastrofe. Oltre l’auspicio e l’adesione, mi sembra ineludibile una riflessione sull’anomalia rappresentata da questa manifestazione, come da altre che, nei mesi scorsi, l’hanno preceduta. L’anomalia che vedo è costituita dal fatto che manifestazioni come quella del 2 settembre debbano essere promosse da associazioni categoriali e da organizzazioni per i diritti umani, nella più totale latitanza di forze politiche e di “movimenti”, a partire da quello che una volta si definiva pacifista.

Il silenzio delle forze politiche e dei movimenti sulla Siria è più che sconcertante, è indecente. In cinque e passa anni di brutale repressione, di torture, di esecuzioni extragiudiziarie, di sparizioni forzate, di distruzione di intere città, non si è vista una sola mobilitazione da parte di quelle forze – politiche, associative e “di movimento” – che manifestasse solidarietà verso le vittime, prima ancora che condanna verso i carnefici. Una assenza che pesa come un macigno sulla loro credibilità.

Altrettanto latitante la sinistra politica, sociale e associativa si è mostrata nella vicenda di Giulio Regeni, giovane ricercatore appassionato di Gramsci, assassinato – dopo indicibili torture – dal regime egiziano del generale Al Sisi. A sette mesi di distanza dall’assassinio di Giulio, le sole iniziative volte a non farlo dimenticare (e a mettere sotto pressione il governo italiano affinchè non ceda nella richiesta di verità e giustizia) sono state promosse da Amnesty International o dagli oppositori egiziani in esilio.

E’ difficile comprendere le motivazioni della latitanza della sinistra rispetto a vicende che, in tutta evidenza, rivestono un’importanza cruciale per il presente e il futuro del nostro Paese e dell’intero Mediterraneo. Nel caso della dittatura egiziana, così come in quello siriano, una possibile chiave di lettura risiede nel doppio pregiudizio che permane (a vari livelli e con diverse declinazioni) nelle menti e nei cuori della sinistra intesa nel senso più ampio, dai partiti residui ai centri sociali e dai sindacati all’associazionismo.

Un doppio pregiudizio che, da un lato, vive ancora nella dimensione di un mondo bipolare, dove al circuito delle potenze capitaliste e dominato dall’imperialismo nordamericano si oppone un campo sistemico differente, imperniato sull’Unione Sovietica, sui Paesi del Patto di Varsavia e su quelli liberatisi dal colonialismo. In questa visione, schierarsi con chi appare avverso al circuito imperialista è un riflesso pavloviano, indifferente al fatto che quel mondo bipolare non esista più, come non esiste più un campo “socialista” che si differenzi sistemicamente da quello capitalista. Sembra roba da psichiatri, ma è tuttora il retropensiero di grandissima parte del ceto politico “di sinistra”.

Il secondo corno del pregiudizio è costituito dall’ostilità e dall’incomprensione verso il mondo arabo e islamico, del quale si individuano le caratteristiche negative (che non mancano di certo), ma al quale non si riconoscono gli enormi sforzi fatti per avanzare sul terreno della democrazia e della dignità, senza nemmeno rendersi conto di quanto questo atteggiamento sia intriso di razzismo e suprematismo.

Nei confronti della dittatura egiziana, non ci si mobilita in solidarietà con le vittime perchè si pensa che gli oppositori del generale Al Sisi sono i Fratelli Musulmani e, quindi, in fondo è meglio che al potere rimanga un farabutto, però “laico”, con buona pace di quel movimento dei lavoratori e del sindacalismo indipendente sul quale lavorava Giulio Regeni e che – a detta di tutti gli osservatori più competenti – rappresenta la vera minaccia per il regime dei Pinochet e dei Videla del Cairo.

Verso la tragedia siriana, l’atteggiamento della “sinistra” è analogo: impossibile negare che il regime di Assad sia una dittatura feroce e mafiosa ma, anche qui, dall’altra parte si vedono solo barbuti fanatici integralisti, dunque il dittatore è il “male minore”, anche qui con buona pace delle migliaia di intellettuali, avvocati, giornalisti, attivisti di sinistra e per i diritti umani perseguitati e sterminati dallo stesso regime che, con l’amnistia del 2011, rimetteva in libertà i militanti fondamentalisti e che per oltre un anno si è coordinato sul terreno con le bande dell’Isis per annientare i ribelli. In questo quadro, va collocato anche il vergognoso silenzio dei movimenti solidali con il popolo palestinese, che non hanno proferito parola di fronte al massacro dei rifugiati palestinesi in Siria e alla distruzione di Yarmouk e degli altri campi, con il prevedibile risultato che in Italia anche l’attenzione verso la questione palestinese ha toccato il suo punto più basso.

Credo che una riflessione su questi elementi – che ho trattato molto sommariamente – sia opportuna e necessaria, perchè il generoso impegno di alcuni intellettuali, delle associazioni categoriali e delle organizzazioni per i diritti umani non può sostituire a lungo quello delle forze politiche e sociali, per le quali dovrebbe essere di richiamo e di stimolo.

Germano Monti – Comitato Khaled Bakrawi

 

 

Fonte:

http://www.articolo21.org/2016/08/la-manifestazione-di-venerdi-2-settembre-e-un-atto-di-grande-valore-morale-e-politico/

 

Leggi anche qui: http://www.articolo21.org/2016/08/siria-sit-in-a-piazza-santi-apostoli-2-settembre-per-sostenere-lappello-alla-tregua/

LA MACCHINA DELLA MORTE SIRIANA

Colgo l’occasione di un post del compagno Germano Monti per parlare del “dossier Caesar”.

Dal profilo Facebook di Germano Monti:

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Pensierino del pomeriggio: non è la Turchia, le immagini non sono di vittime della repressione di Erdogan. E’ la Siria, le immagini sono di vittime della repressione di Assad, una piccolissima parte delle foto esportate clandestinamente da “Caesar”, un fotografo della polizia militare siriana che ha disertato nell’agosto di tre anni fa. Erano tutti manifestanti pacifici, attivisti per i diritti umani, rifugiati palestinesi, semplici cittadini. Quindi, potete infischiarvene, come avete fatto fino ad ora.

"Soldiers from the Assad regime shown placing numbered victims of starvation and other means of torture in body bags before stacking them.  This photo was taken by Caesar or one of his fellow military photographers between 2011-2013."
"Numbered victims of starvation and other means of torture lined up in rows to be photographed and catalogued by the Assad regime before being placed in body bags and stacked.  These victims were placed in a warehouse when the nearby hospital that the regime had used for this purpose overflowed with victims' bodies.  This photo was taken by Caesar or one of his fellow military photographers between 2011-2013."
"A Christian Syrian victim of starvation and other Assad regime torture.  His regime assigned number is written on his stomach and right thigh.  The white card held in the picture also shows the victim's number and the number of the regime security unit responsible for his detention and death.  His number and eyes have been covered in this picture out of respect for the victim's family, which may not yet be aware of his death.  This picture was taken by Caesar or one of his fellow regime photographers between 2011-2013."
"Victims of starvation and other Assad regime torture.  The white card held in the picture shows the center located victim's number and the number of the regime security unit responsible for his detention and death. His number and eyes have been covered in this picture out of respect for the victim's family, which may not yet be aware of his death. This picture was taken by Caesar or one of his fellow regime photographers between 2011-2013."
Stand with Caesar: Stop Bashar al-Assad’s Killing Machine ha aggiunto 28 nuove foto all’album: Evidence of Bashar al-Assad’s Killing Machine — a Damasco.

This is an extremely small sample of the nearly 55,000 photos that Caesar smuggled out of Syria. These are also some of the least gruesome. Most of the other photos show unimaginable cruelty, far beyond what you see even in the horrible photos included here. Due to Facebook limitations and our concern that children may view these images, we have chosen to show these alone for now. In the future, we may add others in order to more fully display the unspeakable brutality of the Assad regime’s killing machine. These photos have been analyzed and validated by various international experts, including the FBI.

Fonte:
Dal blog di Germano Monti:

CHI HA PAURA DI CAESAR?

MILAN, ITALY - JULY 15:  Chamber of Deputies President Laura Boldrini attends congress on feminicide at the Camera del Lavoro on July 15, 2013 in Milan, Italy. Data from EU.R.E.S (European Economic and Social Researches) reports that between 2000 and 2011, of the 2,061 total women in Italy who had died, 1,459 died as a result of domestic violence.  (Photo by Pier Marco Tacca/Getty Images)

La domanda corretta sarebbe: “Chi ha paura delle immagini delle vittime delle torture degli aguzzini di Bashar Al Assad trafugate dalla Siria e divulgate all’estero da un ex fotografo della polizia militare del regime?”. Troppo lunga per un titolo.
Ai lettori del Corriere della Sera e del Fatto Quotidiano la vicenda è già nota da tempo: la Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, ha impedito l’esposizione nelle sale di Monte Citorio della mostra comprendente una selezione delle fotografie scattate da “Caesar”, impiegato della polizia militare siriana, incaricato di fotografare i corpi delle vittime decedute – dopo essere state atrocemente torturate – nelle carceri del regime di Assad. Una trentina di immagini, scelte fra le migliaia scattate da Caesar fra il 2011 e il 2013, già esposte al Palazzo di Vetro dell’ONU, al Parlamento Europeo, al parlamento inglese e in molte università.
Il pretesto con cui la Boldrini ha opposto un rifiuto all’esposizione della mostra, curata dall’associazione “Non c’è pace senza giustizia”, appare francamente improbabile: le immagini sarebbero troppo crude e potrebbero turbare gli alunni delle scolaresche che visitano quotidianamente i locali della Camera e del Senato. Che si tratti di un pretesto, lo dimostra il fatto che, come si è detto, le stesse immagini sono state mostrate nelle sedi istituzionali di New York, Londra e Strasburgo, oltre che in alcune università. Per non parlare del fatto che, se la crudezza di certe immagini andasse veramente risparmiata alle scolaresche, bisognerebbe interrompere le visite organizzate per gli studenti ad Auschwitz e negli altri lager e, magari, proibire che i testi di storia ne pubblichino le fotografie… a meno che il problema non sia il fatto che le immagini dei lager di Hitler sono perlopiù in bianco e nero, mentre quelle dei lager di Assad sono a colori.

***

Proviamo ad andare oltre l’evidente pretestuosità del diniego opposto da Laura Boldrini all’esposizione delle fotografie di Caesar, anche se è difficile non osservare come offenda l’intelligenza dei cittadini italiani. L’esistenza in Italia di una forte e trasversale lobby che potremmo definire “filo Assad” è cosa nota, come è noto che tale lobby comprenda non solo attivisti sia di estrema destra che di “sinistra”, ma anche – e soprattutto – potenti settori del Vaticano, segnatamente quelli più reazionari, nonché la schiera di ammiratori italiani del presidente russo Vladimir Putin, schiera anch’essa forte e trasversale, comprendendo la Lega di Salvini, tutte le formazioni della destra post missina (da Fratelli d’Italia della Meloni alla Destra di Storace) e quelle della destra più radicale, CasaPound e Forza Nuova incluse. A “sinistra”, invece, le ragioni del dittatore siriano sono validamente sostenute da alcuni personaggi che godono di una certa notorietà (come il giornalista Giulietto Chiesa), da tutta la galassia di partitini più o meno “comunisti” e da alcuni settori che si definiscono “pacifisti”. Dulcis in fundo, nell’armata italiana che difende la trincea di Assad si è arruolato anche il Movimento 5 Stelle, che ha chiesto la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Damasco e la riapertura dell’ambasciata della Siria a Roma, chiusa nella primavera del 2012 dal governo italiano, dopo l’ennesima strage di civili operata dalle truppe del dittatore.
E’ possibile che la pressione di queste forze abbia influito in maniera decisiva sulla scelta di Laura Boldrini di oscurare le immagini di Caesar? Solo in parte. Probabilmente, la motivazione di una scelta tanto umiliante per la dignità dell’istituzione che rappresenta risiede nella volontà di non creare difficoltà alla politica estera del governo Renzi, basata sulla spasmodica ricerca di consensi e di sostegno “a prescindere”, che si tratti dei monarchi sauditi o del Pinochet del Cairo, il generale golpista il cui regime è responsabile di crimini quantitativamente lontani da quelli commessi da Assad, ma qualitativamente non meno feroci, come ha tristemente dimostrato a tutti la vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano sequestrato, torturato e assassinato al Cairo da una delle tante squadracce delle forze di sicurezza di Al Sisi.
Il servilismo di Renzi in politica estera è perlomeno pari alla sua spocchiosa arroganza in politica interna, aldilà delle cartucce a salve sparacchiate contro l’Europa dei burocrati, a beneficio del tentativo di rosicchiare qualche voto nell’area crescente dell’antipolitica (che, più correttamente, dovremmo definire con il termine storico di qualunquismo). La signora Boldrini non ha fatto altro che accodarsi al corteo dei cortigiani del nuovo “uomo forte” della politica italiana, ben deciso a tenersi buoni i vari Al Sisi, Rouhani, Al Saoud – con annessi Rolex in omaggio – ed anche Putin, probabilmente senza nemmeno rendersi conto che questi giochini somigliano più ai baciamano di Berlusconi a Gheddafi che alle sottigliezze diplomatiche di Andreotti. E la signora Boldrini, nella carica che ricopre, si è mostrata molto più simile a Irene Pivetti che a Nilde Iotti.

 

Fonte:

LA MACCHINA DELLA MORTE DEL REGIME DI ASSAD. IL RACCONTO DI “CAESAR”.

Buchenwald_Victims

caesar 15

Buchenwald ieri                                                                     Damasco oggi

Un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto i tanti ignavi che, di fronte a quello che sta avvenendo in Siria, pensano che Assad sia “il male minore”. Leggendo La macchina della morte, della giornalista francese Garance Le Caisne, sembra di tornare indietro nel tempo, quando si inorridiva di fronte alla consapevolezza di un’altra macchina della morte: quella dei lager nazisti.

L’autrice e gli editori del libro hanno scelto di non pubblicare le immagini che “Caesar”, ex fotografo della polizia militare siriana, ha fatto uscire clandestinamente dal Paese, motivando così la loro scelta. “Buona parte delle foto sono visibili in rete. Non avremmo saputo quali scegliere, né con quale criterio. E poi si tratta di immagini davvero molto, molto forti. Alcuni potrebbero esserne turbati al punto da non volere o potere proseguire la lettura”. E’ una scelta condivisibile, perché le immagini dell’orrore della tragedia siriana sono da anni a disposizione di tutti, attraverso le migliaia di filmati e di fotografie che gli attivisti rivoluzionari hanno postato sui social network e che documentano la repressione delle manifestazioni, gli effetti dei bombardamenti del regime, le torture… ma questa valanga di immagini ha finito per mitridatizzare l’opinione pubblica, rendendola insensibile, abituandola a convivere con lo scempio. La parola scritta, al contrario, nella sua apparente freddezza, finisce con il rendere comprensibile e razionale quello che le immagini possono lasciare intuire e che, a fronte della loro insostenibilità, contribuiscono a rimuovere.

Leggendo La macchina della morte è impossibile non cogliere le analogie con l’organizzazione dello sterminio degli Ebrei, degli Slavi, dei comunisti, degli oppositori – veri o presunti – costruita dai gerarchi del III Reich. La stessa ossessione per la burocrazia, la stessa paranoica ripetitività, la stessa banalizzazione del Male. Del resto, gli apparati repressivi del regime degli Assad sono stati costruiti con la consulenza e la supervisione di Alois Brunner, assistente di Adolf Eichmann, il quale lo definì il suo uomo migliore. Come comandante del campo di internamento di Drancy dal giugno 1943 all’agosto 1944, Alois Brunner fu responsabile dello sterminio nelle camere a gas di oltre 140.000 ebrei. Dopo la sconfitta del nazifascismo, sfuggito alla cattura, Brunner, dopo un lungo girovagare, trovò rifugio in Siria, dove il regime di Assad padre gli fornì protezione e un impiego come insegnante di tecniche di tortura presso i servizi segreti del regime. Scorrendo le pagine de La macchina della morte non si può non constatare come gli “insegnamenti” di Brunner siano stati diligentemente appresi e messi in pratica.

Altri insegnamenti, invece, sembrano essere stati dimenticati, come rivelano le parole di Margit Meissner, sopravvissuta all’Olocausto: “I rifugiati che fuggono dalla Siria hanno lo stesso sguardo disperato che ho visto in chi fuggiva dal regime nazista. Ma la distruzione degli ebrei in Europa era segreta, e le poche informazioni vennero respinte perché la gassificazione di civili era ritenuta improbabile. La crisi umanitaria in Siria non è certo un segreto. E’ stata documentata per quattro anni ed è, a detta di tutti, la più grande crisi di rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale. (…) Quando i fatti della Seconda Guerra Mondiale sono stati conosciuti, ho creduto che una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere di nuovo. Che pensiero ingenuo”.

la macchina della morte

 

Fonte:

AUSCHWITZ A DAMASCO

Auschwitz, Damasco

Il dossier “Caesar”

“Voi potete prendere fotografie da chiunque e dire che si tratta di tortura. Non c’è alcuna verifica di queste prove, quindi sono tutte accuse senza prove”

Bashar Assad alla rivista Foreign Affairs, 20 gennaio 2015

Non è dato sapere quante persone, in Italia, siano informate a proposito della vicenda di “Caesar” e delle sue fotografie. In sintesi, “Caesar” è lo pseudonimo di un disertore dell’esercito siriano, un fotografo militare che, per circa due  anni, dall’inizio della rivolta contro il regime della dinastia Assad fino al 2013, era incaricato di documentare – fotografandoli – i corpi degli oppositori morti nei centri di detenzione di Damasco. Nell’estate di quell’anno, “Caesar” riesce ad uscire dalla Siria, portando con sé le copie delle immagini di decine di migliaia di cadaveri di vittime dei carnefici del regime siriano.

Ad oggi, a non tutte le immagini è stato possibile attribuire con sicurezza un’identità accertata, ma ce n’è quanto basta per parlare di una Auschwitz del XXI secolo. Recentemente, l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha eseguito un’analisi delle immagini e delle informazioni fornite da Caesar, pubblicando poi un dettagliato rapporto (in inglese, francese, spagnolo, arabo, tedesco, giapponese, cinese e russo) che costituisce un atto d’accusa semplicemente sconvolgente, intitolato Se i morti potessero parlare – Uccisioni e torture di massa nelle strutture di detenzione in Siria. Le foto di “Caesar” sono state consegnate a HRW dal Movimento Nazionale Siriano e l’organizzazione umanitaria si è concentrata su 28.707 immagini che, sulla base di tutte le informazioni disponibili, mostrano almeno 6.786 persone morte in carcere o dopo essere stati trasferiti dal carcere in un ospedale militare, come il n. 601 di Mezze, Damasco. “Le foto rimanenti – scrive HRW – sono di attacchi a luoghi o di corpi identificati dal nome come appartenenti a soldati governativi, altri combattenti armati o a civili uccisi in attacchi, esplosioni o attentati”.

Le foto di “Caesar” hanno fatto il giro del mondo: sono state esposte in una mostra al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York e al Parlamento Europeo di Strasburgo, a Londra e a Parigi. In Francia, la giornalista Garance Le Caisne ha raccolto il racconto di “Caesar” in un libro – “Opèration Cèsar” (Stock editore) – uscito lo scorso ottobre e la magistratura francese ha avviato un’inchiesta nei confronti del regime di Assad per crimini contro l’umanità, sulla base dell’art. 40 del Codice di Procedura Penale, che obbliga ogni autorità pubblica a trasmettere alla giustizia le informazioni in suo possesso se è venuta a conoscenza di un crimine o di un delitto. Gran parte della segnalazione inviata dal Ministero degli Esteri di Parigi alla magistratura si basa sulla testimonianza di “Caesar”.

In Italia, la vicenda di “Caesar” appare largamente sottovalutata, se non oggetto di una censura strisciante che lascia spazio alla propaganda dei sostenitori locali del dittatore siriano, molto numerosi a destra – dove contano sul sostegno di formazioni come la Lega Nord, Fratelli d’Italia e tutti i gruppi dell’estremismo nero, da Forza Nuova a CasaPound – ma presenti anche a “sinistra”, nei partiti di ascendenza stalinista, come i Comunisti Italiani o il PC di Marco Rizzo, o nei vari movimenti sedicenti “antimperialisti”. Quello che fa la vera differenza rispetto ad altri Paesi europei, probabilmente, è il sostegno garantito alla dittatura siriana da ampi settori del Vaticano, un sostegno esplicito nel caso degli esponenti della Chiesa Melchita, la cui sede romana (la Basilica di Santa Maria in Cosmedin, in Piazza della Bocca della Verità) è l’ambasciata de facto del regime siriano, dopo l’espulsione dell’ambasciatore e la chiusura dell’ambasciata di Damasco in Italia, avvenuta nel 2012. Leggi l’articolo intero »

Fonte:

MADAYA, SIRIA: SE NON SI MUORE DI BOMBE SI MUORE DI FAME

Dal profilo Facebook di Fiore Sarti:

 

“Dal post di chi è in contatto con i siriani di Madaya, in particolare il personale medico:

“Cattive notizie….
ieri 9 gennaio alle 14:54 ora locale
Ero fino a poco fa in contatto con il Dr. Ali Burhan, capo dello staff medico di ‪#‎Zabadani‬, e mi ha detto: ‘Sorry, la mia voce è molto debole perchè sono stato 48 ore senza cibo. Il regime sta mentendo, non ha acconsentito ad alcun aiuto alimentare o sanitario di entrare a ‪#‎Madaya‬ e #Zabadani .. ‘

E poi ha aggiunto che non ci sono medicine in ospedale, e che si sente impotente di fronte a perdita di sensi, diarrea, e casi di avvelenamento da erbe tossiche. Ha detto anche che qualsiasi uomo armato che si arrende sparisce nel nulla, e che Hezbollah controlla completamente la periferia di Zabadani, Madaya, e Bluedan, e che gli apparati militari del regime non possono fare niente senza il permesso di Hezbollah;
ha continuato dicendo che lui stesso ha visto un elemento del regime alzare le mani di fronte ad un membro di Hezbollah, sembra che il regime abbia consegnato quest’area direttamente nelle mani di Hezbollah…. Sorry, non so cosa dirti, ho finito le parole… ”

Muhannad Al Boshi

توفيق الحلاق

كنت الآن على اتصال مباشر مع الدكتور على برهان رئيس اللجنة الطبية في الزبداني وقال لي : لاتآخذني صوتي ضعيف صرلي 48 ساعة بدون طعام . قال إن النظام يك

Altro…

توفيق الحلاق

Ero ora un contatto diretto con il dottor a prova di presidente della Commissione Medica in lzbdạny e mi ha detto: non mi porta la mia voce debole şrly 48 ore senza cibo. Ha detto che il sistema sta mentendo e non permette di inserire qualsiasi materiale alimentare o medica all’acido e burro. Ha detto: non c’e ‘ in ospedale qualsiasi farmaco e impotente di fronte a casi la sincope e diarrea e morte che arrivare per prendere la gente per erbe. Ha detto che il rapinatore che costituirsi andare alla filiale di sicurezza e smetterai di dirglielo. Ha detto: se hezbollah controllo completamente sul perimetro lzbdạny e Maya e blwdạn e disciplina sistema per trovare il coraggio di fare niente senza il loro permesso. Ha detto visto ufficiale di colonnello, compagnia a seguire le mani al muro schiena elementi Hezbollah aggiunto: come nu sistema venduto zona Hezbollah. Gli ho detto: mi scusi, non so che dirti. Ha detto: hai ragione sbarazzarsi di parlare.

Tradotto da: muhannad al boshi

Ero ora in un contatto diretto con il dottor Ali burhan, capo della Commissione Medica in ‪#‎zabadani‬ e lui mi ha detto: mi dispiace la mia voce è molto debole, perche ‘ io sono stata per 48 ore senza mangiare, ha detto : il regime sta mentendo e non consentire a qualsiasi cibo o cose mediche per entrare a ‪#‎madaya‬ e ‪#‎zabadani‬.. Ha detto anche: non ha nessuna medicina in ospedale e lui è impotente di fronte a svenimenti, diarrea, e nei casi di morte che arrivano a lui dovuti a mangiare le erbe da abitanti. Ha detto anche che qualsiasi uomo armato, chi si arrende, sarà scomparso nell’ignoto..! Ha detto: Hezbollah è controllare completamente la periferia di zabadani, madaya, e bluedan e il regime ufficiali non osate fare niente senza il permesso di Hezbollah, ha dichiarato che lui si e ‘ visto un regime ufficiale con il grado di colonnello alzando le mani davanti a Un muro mentre voltando le spalle a Hezbollah elementi. Egli ha aggiunto: sembra come se il regime ha venduto l’area completamente a Hezbollah, ho detto: mi spiace, non so cosa dire a te, formulazione è finito..

‪#‎Syria‬
‪#‎OneSyria‬
‪#‎We_Will_Not_Be_Silent‬

Fonte:
https://www.facebook.com/fiore.sarti/posts/811637058944688?pnref=story

 

 

 

Morire di fame a Madaya, Siria: le immagini che non avreste mai voluto vedere

Forty thousand people live in this Syria town, Madaya, where they have been starving to death and surrounded by landmines for the past six months. Photo credit: Madaya page on Facebook

Quattrocento persone vivono in questa cittadina siriana, Madaya, dove negli ultimi sei mesi sono state ridotti alla fame e circondate da mine antiuomo. Crediti della foto: pagina Facebook di Madaya

Quarantamila persone che vivono attualmente nella cittadina siriana di Madaya [it], vicino al monte Qalamoun, stanno morendo di fame mentre il mondo le osserva in silenzio, riferiscono gli attivisti. La piccola città montana, situata a 1,400 metri sopra il livello del mare, si trova a 40 chilomentri a nord di Damasco, sotto il governtorato di Rif Dimashq, accanto al confine libanese, ed è stata assediata delle forze del governo siriano sostenute dalla milizia di Hizbulla che sta bloccando l’entrata di cibo e degli aiuti umanitari da luglio.

Si trova al centro della lotta tra diverse fazioni coinvolte negli scontri in corso in Siria, e queste persone ne stanno pagando il caro prezzo.

In un’inchiesta pubblicata ieri, insieme a strazianti foto di siriani affamati e di residenti di Madaya morti per fame, l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR) con sede in Gran Bretagna, ha spiegato cosa sta accadendo [en, come tutti i link seguenti, salvo diversa indicazione] (Nota dell’Editor: Global Voices ha scelto di non ripubblicare le foto in questione a causa del loro contenuto grafico esplicito).

Gli abitanti della cittadina di Madaya stanno morendo di fame da 174 giorni a causa di un assedio strettissimo ad opera delle forze del regime e di di Hezbollah. La città ospita 40,000 persone inclusi 20,000 civili che hanno abbandonato le loro case a Zabdani, dopo aver assistito a scontri violentissimi e ai pesanti bombardamenti da parte del regime e delle forze aeree.

Il SOHR ha rilevato centinaia di mine antiuomo piazzate da Hezbollah e dalle forze di al-Assad attorno alla città di Madaya, oltre ad aver bloccato le aree circostanti con fili spinati e alte recinzioni per prevenire furti o operazioni dall’esterno. In città sono presenti 1200 pazienti in condizioni mediche croniche e 300 bambini stanno soffrendo di malnutrizione e diverse malattie. La grave mancanza di scorte di medicine e cibo sta portando i prezzi dei generi alimentari drammaticamente alle stelle: 1 kg di zucchero o riso cosano 3600 SP, circa 90 dollari. Il SOHR ha documentato la morte di 17 civili incluse 17 donne e bambini per mancanza di cibo e medicinali o di mine antiuomo, e di cecchini che si attivano durante i tentativi di raccogliere cibo nei dintorni della città.

Le agenzie di stampa riportano che la gente di Madaya si sta nutrendo di foglie, insetti e perfino di gatti, dopo che il cibo a loro disposizione è finito. Sulla sua pagina Facebook, Hand in Hand for Syria disegna un’immagine ancora più orripilante:

La maggioranza delle foto che vengono dalla piccola cittadina di Madaya (nei sobborghi di Damasco) sono troppo esplicite da condividere. Immagini scioccanti che rappresentano il vero volto della disperazione umana; persone ridotte a meri scheletri – con occhi scavati e costole sporgenti, che aspettano la morte per rivendicare il proprio nome.

Negli ultimi 6 mesi, la gente di Madaya è vissuta sotto un gravissimo assedio. I raccolti e le scorte di cibo si sono ridotte, lasciandosi dietro nient’altro che disperazione. Il cibo rimanente in città è diventato così costoso che la maggioranza delle persone semplicemente non può comprarlo.

Hanno iniziato a bollire i raccolti. Quando questi finiranno, dovranno bollire l’erba e le piante… poi gli insetti. Quando la malnutrizione diventerà insostenibile la gente inizierà a mangiare i gatti.

I gatti.

Ad oggi, la fame ha tolto la vita a più di 50 persone in città. La malnutrizione si sta diffondendo, e con il freddo clima invernale che sta arrivando, centinaia di persone sono a rischio di ipotermia.

Ma il mondo non sta battendo ciglio secondo il blogger BSyria, che scrive:

Assad sta affamando Madaya. Bambini, donne e uomini ridotti alla fame. Il mondo resta a guardare.

Secondo Raed Bourhan, un montatore siriano di base a Beirut, Libano, l’inverno in arrivo aggraverà ulteriormente la situazione già disastrosa di Madaya.

Migliaia di persone stanno vivendo in un gelo invernale rigidissimo a -5° e la legna disponibile è molto rara.

In un altro tweet, egli ha condiviso le foto di bambini “derubati dei loro diritti” mentre la guerra in Siria continua:

I bambini hanno perso i loro diritti di base alla felicità, all’educazione, al calore e alla speranza.

E in un terzo tweet spiega come i prezzi degli alimenti siano saliti alle stelle nelle zone assediate, circondate dalle mine antiuomo e dai cecchini che impediscono ai residenti di andarsene:

I prezzi del cibo sono arrivati al record di 1 kg di cereali e riso al costo di almeno 100 dollari.

Proprio sulla pagina Facebook di Madaya è stato lanciato un appello di richiamo agli attivisti affinchè mostrino solidarietà a Madaya protestando davanti le ambasciate russe (la Russia è impegnata negli attacchi aerei in Siria) e agli uffici delle Nazioni Unite:

Invito agli attivisti e alle organizzazioni umanitarie e per i diritti umani di tutto il mondo, per mostrare solidarietà all’assediata Madaya protestando davanti le ambasciate russe e agli uffici delle Nazioni Unite.
‪#‎save_madaya‬ (#salvate_madaya)
‪#‎respond_to_us‬ (#rispondeteci)

Un altro post supplica il mondo di salvare i bambini di Madaya:

A Syrian child from Madaya, besieged for the past six months. Photo credit: Madaya page on Facebook

Un bambini siriano di Madaya, cittadina assediata negli ultimi sei mesi. Crediti della foto: pagina Facebook di Madaya

Su Facebook, il siriano Kenan Rahbani ha condiviso le foto dei residenti di Madaya affamati e ha aggiunto:

Scusatemi per aver condiviso queste immagini esplicite, ma devo farlo.

Queste persone non sono affamate perchè sono povere o perchè non hanno cibo. Hezbollah e il regime di Assad stanno facendo morire di fame la città di Madaya. E’ stata completamente assediata e cibo, medicinali o acqua non possono entrare. Anche le Nazioni Unite sono qui ma non possono entrare in città perchè Hezbollah e il regime di Assad non glielo permettono.

Questo sta accadendo nel 2016 in Siria. E l’ISIS non ha niente a che fare con tutto ciò.

E l’attivista siriana Rafif Joueati si domanda quante altre persone dovranno morire prima che il mondo agisca:

Madaya non è la prima a soffrire la fame sotto assedio, e nemmeno l’ultima. La domanda è, quante altre decine di migliaia di persone dovranno morire prima dell’intervento internazionale?

E chiede anche:

Cosa succederà quando non ci saranno più foglie da mangiare?

E si domanda:

Ciechi. Se avessimo detto che 40,000 cuccioli stavano morendo di fame il mondo intero sarebbe sceso in marcia a protestare. Umani? Non proprio.

Ulteriori articoli sul tema:

*

Dal blog di Germano Monti un appello per dure basta alle bombe in Siria:

SIRIA: BASTA BOMBE!

AGGIORNAMENTO: ADESIONI AL 10 GENNAIO 2016 IN FONDO AL TESTO

aleppo

Lettera aperta ai movimenti italiani per la pace, il disarmo e la solidarietà.

Il conflitto in corso in Siria dall’inizio del 2011 ha provocato più di 250.000 vittime, oltre 10 milioni di persone (la metà della popolazione!) sono state costrette ad abbandonare le loro case, centinaia di migliaia di donne e uomini sono stati arrestati, torturati e fatti sparire, mentre altri 650.000 esseri umani vivono in aree sotto assedio, senza accesso garantito ad acqua, cibo e medicinali.
Nonostante il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la Risoluzione n. 2139, abbia chiesto all’unanimità sin dal febbraio 2014 la cessazione dei bombardamenti sulla popolazione civile, questi sono continuati, e a quelli operati dal regime – anche con l’utilizzo dei famigerati barili bomba – si sono aggiunti quelli delle “coalizioni internazionali” che dovrebbero combattere i terroristi del sedicente Stato Islamico, ma che, a tutt’oggi, hanno colpito prevalentemente i civili, non risparmiando nemmeno scuole ed ospedali. Nel 2015 oltre il 73% delle vittimi civili pesano sulla coscienza delle forze governative, seguite da ISIS con l’8%, il 6% per le opposizioni armate ed in soli tre mesi l’aviazione russa ha raggiunto il 5% del bilancio annuale delle vittime. L’ ingresso diretto nel conflitto da parte della Russia – che già sosteneva e armava il regime del clan Assad, insieme all’Iran e ai miliziani di Hezbollah – non ha fatto che peggiorare una situazione già disperata: a tre mesi dai primi bombardamenti degli aerei di Putin, risulta che meno del 20% degli stessi abbia colpito obiettivi legati all’ISIS, mentre la stragrande maggioranza delle bombe sono state sganciate su altri obiettivi, senza alcun riguardo per la popolazione civile.
Sono stati colpiti ospedali e scuole, forni e abitazioni civili, aggiungendo altro sangue a quello già copiosamente versato negli ultimi cinque anni. Secondo l’organizzazione non governativa Syrian Network for Human Rights, che ha recentemente pubblicato un dettagliato rapporto, fra l’ 85 e il 90% dei bombardamenti russi hanno colpito aree controllate da gruppi dell’opposizione al regime del clan Assad e su zone densamente popolate, colpendo – fra l’altro – 16 scuole, 10 ospedali o strutture sanitarie, 10 mercati, 5 forni per il pane, 2 cimiteri archeologici e 1 ponte.
Ancora più recentemente, anche Amnesty International ha documentato le conseguenze sui civili siriani dei bombardamenti russi, sostenendo che si possono configurare come crimini di guerra e definendo “vergognoso” il tentativo del governo russo di negare di aver commesso questi crimini.
Appare evidente, dunque, come le rinnovate iniziative dei governi internazionali – nate nel solco delle conferenze di Vienna e New York degli ultimi due mesi e tese ad arrivare ad una soluzione politica del conflitto in Siria – siano a forte rischio di fallimento, nel momento in cui (oltre ad essere state avviate in assenza di qualsiasi interlocutore siriano) non prevedono l’immediata cessazione degli attacchi contro i civili. Significativo che, dopo l’approvazione della risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU del 18 dicembre, siano pesantemente aumentati attacchi e bombardamenti su tutte le aree non più sotto il controllo del regime di Assad, in impennata l’uso di cluster bomb, mentre sul sobborgo damasceno di Moaddamye è stato denunciato persino un nuovo attacco chimico.
Di fronte a questo scenario, il silenzio dei movimenti e delle organizzazioni pacifisti, per il disarmo e della sinistra in Italia è veramente imbarazzante. Spiace dirlo, ma sembra quasi che si pensi che le bombe della Casa Bianca siano criminali e quelle del Cremlino innocue o, addirittura, positive. Per quanto si ricerchi, non è possibile trovare un comunicato o un semplice commento sulle devastazioni provocate in Siria dalle bombe russe, mentre non mancano le proteste – sacrosante – contro l’invio di bombe ed altre armi italiane all’Arabia Saudita, nella legittima presunzione che tali bombe saranno impiegate nel conflitto in corso nello Yemen. Questo doppiopesismo, a nostro avviso, sta delegittimando l’iniziativa dei movimenti e della sinistra: non è credibile la denuncia dei bombardamenti sui civili quando sono operati dagli U.S.A. accompagnata dall’omertà quando analoghi bombardamenti sui civili vengono compiuti da un’altra potenza. L’alibi secondo cui gli States sarebbero nostri alleati e quindi è verso Washington e le cancellerie ad essa vicine che dovremmo concentrare le nostre attenzioni è debole, dal momento in cui il governo di Assad ha schierato mezzi di produzione italiana fornitigli da Mosca ed impiega tuttora sistemi di puntamento italiani sui suoi carri armati, come sono italiane le tecnologie di spionaggio usate per individuare e reprimere gli attivisti non violenti che diedero vita alla rivolta siriana fin dal 2011. Anche le armi italiane vendute alla russa Rosoboronexport rischiano di essere impiegate contro i civili.
Con questa lettera aperta, ci proponiamo di sollecitare i movimenti e la sinistra ad un’iniziativa coerente che chieda la cessazione di tutte le operazioni militari in Siria contro i civili, da chiunque siano compiute, così come dobbiamo chiedere la cessazione degli assedi e la creazione di corridoi umanitari per le città, i villaggi ed i campi profughi  sottoposti a questa punizione collettiva ormai da anni, oltre alla liberazione di tutti i prigionieri politici.
In assenza di una tale iniziativa, ogni discorso sul sostenere la pace in Siria non può che apparire del tutto ipocrita.

Comitato Khaled Bakrawi

Per aderire e sostenere questa lettera aperta: [email protected]

Adesioni pervenute al 10.1.2016

Associazione Rose di Damasco Como
Comitato in appoggio ai popoli arabi Karama Napoli
Alessia Colonnelli Castel Giorgio
Yara Tlass Turkey founder of Watanili, grassroots organisation
Rim Banna Palestine artist
Raed Fares Kafranbel
Barbara Capone Roma Presidente Sunshine4Palestine NGO
Alberto Savioli Udine Archeologo
Simona Pisani Crotone Volontario privato
Donatella Quattrone Reggio Calabria Blogger
Mohammed Alkhalid Berna Ricercatore
Arcangela Minio Ladispoli
Eva Tallarita Milano
Franco Casagrande Novi Ligure (AL) Pensionato VVFF – Attivista Diritti Umani
Angela Bellocchi Milano
Lisanna Genuardi Palermo Madre
Stefania Aloi Como commessa
Alberto Scrinzi Milano Operaio
Gizele Alves Costa Napoli Casalinga
Veronica Bellintani Verbania studente
Riccardo Bella Milano
BDS Oudàh Milano
Stefania Sipi Roma
Carmelo Donato Agrigento
Marianna Barberio Avellino
Alessandra Santantonio Cutrofiano
Fulvia Tiziani Monza
Nicola Gandolfi Barcellona
Silvia Moroni Asso (Como) associazione Rose di Damasco
Marina Morandini Concorezzo
Chiara Rizzo Bologna
Costanza Lasagni Roma operatrice umanitaria
lzanasi Luciano Bologna
Daniela Lozzi Magliaso
Enza Guazzi Concorezzo Insegnante
Loris Caldana Milano
Hagar Ibrahim Milano Studentessa
Pietro Menghini Napoli studente
Mary Rizzo San Benedetto del Tronto Traduttrice, Restauratrice, Blogger
Carlotta Dazzi Milano Giornalista
Samantha Falciatori Terni volontaria Onsur Italia
Tanya Pensabene Milazzo Studente
Deborah Arbib Milano
Salvatore Albanese Siderno M. (RC)
Salvatore Di Carlo Palermo Studente
Francesca Diano Roma
Sara Manisera Beirut Giornalista
Anna Maria Costa Roma pensionata inv.civ.
Angela Bernardini Roma
Paolo Pasta Roma operaio in pensione
Laura Di Tosti Viterbo
Elena Babetto
Loretta Facchinetti Roma
Anna Pasotti Milano
Pete Klosterman New York, NY USA
Stefania Barsi Roma insegnante di scuola per l’infanzia
Jonathan Brown Chichester, UK Risk Manager
Manuela Giuffrida
Alessandra Mosca Monterotondo (Roma)
Marco Di Renzo Roma
Roberta Ferrullo Milano resp. marketing
Sara Grassiano Banchette impiegata
Sara Manca Pisa Arabista
Alessandra Notari Roma impiegata
Marco Rotondi Roma
Silvia Di Tosti Roma
Federica Pistono Roma Traduttrice letteraria
Silvia Pietricola Terracina impiegata
Patrizia Mancini Tunisi
Antonio Ronchi Ferrara
Nicola Bonelli Trento Studente/volontario
Mauro Canovi Reggio Emilia Conducente bus
Stefania Aloi Como
Franca Angelillo Mola di Bari Educatrice
Raffaella Cosentino Roma Giornalista
Fiorella Sarti Napoli Attivista per i Diritti Umani
Luca Rafanelli Ripatransone agricoltore
Mauro Destefano Reggio Calabria arabista, traduttore
Prisca Destro Legnano
Joshua Evangelista Pescara Giornalista
Giuseppina Iuliano Napoli
Antonino Tripi Caltavuturo Studente
Saveria Petillo Roma architetto
Giulia De Angelis Blagho Corigliano d’Otranto nonna
Sara Buzzoni Copparo (FE) Operatrice umanitaria e consulente
Siria Tallarico Modena Impiegato
Valentina Chesi Livorno Commessa
Giovanna De Luca Barcelona
Wisam Zreg Torino Giurista
Magmoud Saeed
Talal Zraik Dayton, Ohio. USA
Abdulrahim Aleppo Doctor
Iyad Kallas Bordeaux – France
Saad Soufi Washington, DC
Tim Ramadan Raqqa sound and picture
Obai Sukar Flint Media Producer
Tarek Alghorani Tunis Activist
Armando Mautone Napoli
Monis Bukhari Berlin Syrisches Haus
Hadi Albahra Damascus Engineer, businessman
Eugenia Magnaghi Verbania lavoratrice della scuola pubblica e attivista UNIONE SINDACALE ITALIANA
Piero Maestri Milano Comitato sostegno popolo siriano – Milano
Rafif Jouejati USA Syrian-American Activist
Maria Alabdeh Paris
Muhammad Abdel-Kader Roma
Zreik Nawar Paris Architecte
Giovanni Ciccone Roma Segreteria provinciale, sindacato di base Flaica Roma
 Frontiere News  Roma
Valerio Evangelista Pescara
Nando Grassi Palermo insegnante
Ruth Buchli Magliano/Gr
Filomena Annunziata Napoli Studentessa
Elisabetta Crippa Milano insegnante, Comitato di sostegno al popolo siriano Mi

 

Fonte: https://vicinoriente.wordpress.com/2016/01/05/siria-basta-bombe/

Intervista al fascista italiano Andrea Palmeri, arruolato nelle milizie del Donbass

Avevo già pubblicato alcuni articoli sui fascisti filorussi in Ucraina spacciati per antifascisti da molti “compagni”:

https://www.peruninformazionelibera.blog/fascisti-italiani-ucraina-donetsk-come-kiev/

https://www.peruninformazionelibera.blog/ucraina-altro-che-compagni-la-repubblica-di-donetsk-e-lombra-nera-di-aleksander-dugin/

Aggiungo ora altre informazioni. Qui un articolo di un mese fa tratto dal blog di Germano Monti:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/09/09/fascisti-su-marte-no-nel-donbass-con-i-filo-russi/

Ma ancor più vi invito a leggere la seguente intervista tratta dal sito internet dei RIM- Giovani Italo-Russi di Irina Osipova, leader del movimento, al fascista italiano Andrea Palmeri, in questo momento arruolato nelle milizie del Donbass. In quest’intervista l’ideologia fascista è rivendicata apertamente da entrambi tanto che si fa cenno, tra le altre cose, all’ammirazione di Pavel Gubarev (neonazista per informazioni sul quale rimando ai primi due link citati sopra) nei confronti di Palmeri perchè sarebbe “un vero fascista italiano”. L’intervistato passa dalle lodi al fascismo, alla Russia e a Putin a discorsi contro l’immigrazione e gli omosessuali. Ecco l’intervista integrale:

Intervista esclusiva con il volontario italiano nel Donbass — Andrea Palmeri

palmieri3Эксклюзивное интервью для движения РИМ Российско-Итальянская Молодёжь с Андреа Пальмери, отца трех с половиной летнего сына, единственного итальянского добровольца на данный момент, приехавшего на Донбасс сражаться за свободу жителей региона, чтобы «остановить американский империализм и бойню невинных людей». Чтобы прочитать русскую версию интервью, необходимо нажать СЮДА bottorusso

Intervista esclusiva per moviemento RIM Giovani-Italo Russi ad Andrea Palmeri, padre del figlio di tre anni e mezzo, e l’unico volontario italiano in questo momento arruolato nelle milizie del Donbass a lottare per la liberà degli abitanti della regione per «fermare l’imperialismo americano e il massacro di gente innocente»

  •  Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto di lasciare l’Italia e di arruolarsi nella difesa del Donbass?

 

Premetto che la scelta di andare a combattere nel Donbass non è stata una scelta di impulso, ma ho meditato a lungo, essendo padre di un fantastico bimbo di 3 anni e mezzo. Io sono sempre stato affascinato dalla Russia, ho studiato il russo e lo parlo abbastanza correttamente, sono stato sposato con una cittadina russa, la madre di mio figlio. Insomma, un filo sentimentale mi lega alla vostra patria. Ho seguito la vicenda ucraina sin dal nascere e già dalle prime proteste ho avuto la sensazione che tutto fosse pilotato e gestito da agenti esterni, americani per essere precisi. Tutto era fatto per attaccare la Russia, per provocarla e per costringerla ad entrare in guerra, cosa che non è avvenuta per la lungimiranza di chi governa la Federazione Russa, perché ciò avrebbe portato a mio parere la guerra in tutta Europa e la guerra è sempre una cosa negativa da evitare. Poi l’esercito ucraino ha cominciato a bombardare il proprio popolo, donne e bambini e questa non è una guerra civile perché una guerra civile la combattono due fazioni non la si combatte contro la popolazione civile. Questo si chiama massacro! Ho deciso di andare per fare la mia piccolissima parte, cioé quello che un singolo puo fare. Convinto che questa fosse la guerra di tutti gli uomini liberi europei, secondo me qui non c’entrano fascismo o comunismo, l’importante è fermare l’imperialismo americano e il massacro di gente innocente.

  • Paverl Gubarev, l’ex governatore dell’autoproclamata Repubblica Popolare del Donetsk ha scritto sul suo profilo di Facebook parlando di te: “Un mese fa un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia”. Sicuramente sai che i termini fascista e fascismo nel mondo russo vengono interpretati diversamente dal loro significato originario, ed associati nella coscienza collettiva esclusivamente a dei crimini commessi dai nazisti durante la Seconda Guerra mondiale nelle terre russe. Cosa significa per te essere quindi un “vero fascista”? Quali sono le battaglie di coloro che si rifanno all’ideologia fascista in Italia?

palmieri2Certo lo so che il termine fascista in russo ha una connotazione solamente negativa, ma lo comprendo innanzitutto perché con la Guerra Patriottica i russi hanno combattuto il nazismo e poi perché non si conosce il fascismo italiano. Anzi, io sono convinto che il fascismo italiano da un punto di vista dottrinale ha molti più punti in comune con il socialismo di Lenin che con  l’ideologia nazionalsocialista. Comunque questi sono schemi e riferimenti di almeno 70 anni fa. Siamo in un mondo moderno. Secondo me questi schemi sono antiquati e da queste ideologie bisognerebbe solo prendere i valori, ma nemmeno tutti. Quindi per me non ha senso parlare di fascismo o comunismo oggi se non in chiave storica. Mi ha fatto piacere che Gubarev si sia ricordato della mia presenza, perché seguendolo su facebook lo stimo e mi piace la sua impostazione ideologica. Le battaglie di un fascista di oggi, premettendo che come ti ho detto siamo nel 2014, dovrebbero essere l’amore e la difesa della Patria, sovrattutto da ingerenze esterne, la difesa della famiglia, il rispetto della tradizione e della religione. Tutte cose che avvengono nella  Russia di oggi e non mi dite che Putin sia fascista!!! Invece in Unione Europea si assiste ad un immigrazione di massa incontrollata, che sta distruggendo la nostra cultura e le nostre tradizioni con il beneplacito dei nostri governanti. Abbiamo governi come quello italiano tanto per parlare di una situazione a me nota che non hanno sovranità né economica, né militare, né politica. La sovranità che non ha nemmeno l’Unione Europea che è appiattita ai voleri e agli obblighi impostoli dall’America. Ecco, queste sono cose su cui bisogna combattere. La distruzione dei valori tradizionali  come la famiglia con la propaganda omosessuale per esempio o con tutte quelle ventate di libertinaggio in ogni campo, dal sociale al privato che con l’idea di eguaglianza e di buonismo stanno distruggendo l’Europa. Ecco, questo va combattuto. Vedo la nostra Europa, per fare un paragone, come l’Impero Romano pochi anni prima di crollare. Queste, ti ripeto, non sono battaglie fasciste ma dovrebbero essere battaglie di tutti. In Russia si difende la famiglia, si difendono i valori tradizionali e religiosi di tutti e si combatte l’egemonia mondialista americana. Non mi sembra che in Russia siano fascisti. In italia è di pochi giorni fa la contestazione alle Sentinelle in piedi — pacifici cittadini che difendevano la famiglia da questo oscurantismo omosessuale e che sono stati tacciati di essere fascisti. Contestazione permessa e incoraggiata dai nostri politici libertari, che da voi, giustamente, non sarebbe stata permessa.

Palmieri

  •  Come sei stato accolto dal popolo il quale sei venuto a difendere?

Il popolo mi ha accolto con simpatia. Sono l’unico italiano e i russi, perché qui in Donbass vivono russi, hanno molta simpatia per gli italiani, amano la nostra terra ,la nostra musica e la nostra cucina. E logicamente, mi ringrazia per il fatto di essere venuto a combattere per la loro libertà.

  • E’ stato difficile imparare la lingua russa per parlare con gli abitanti locali e miliziani?

Il russo è una lingua molto difficile, io lo parlo abbastanza anche se non sono ancora in grado di capire sempre e tutto soprattutto quando parlano veloce, ma la mia conoscenza del russo è sufficiente per capire e farmi capire. Anche se devo ancora migliorare la mia conoscenza, spero con il tempo di parlarlo sempre in maniera migliore.

  • Spesso i movimenti ucraini nazionalisti come Pravyi Sektor e perfino il governo attuale di Kiev vengono definiti come “fascisti”. Credi che sia una definizione giusta?

Pravyi Sektor per me e un’incognita. Io capisco la lotta contro un governo corrotto quale era quello del presidente Ianukovich, poi vuoi per i finanziamenti americani, la loro protesta è sfociata prevalentemente in un odio antirusso e da qui hanno sposato un «iconografia» nazionalsocialista. Sono nazionalisti, amano l’Ucraina ma non riesco a capire questo odio verso i russi e comunque sono convinto che sono stati usati come pedine dai potenti che ora governano in Ucraina la tristemente famosa junta. La junta di Kiev per me non è fascista, viene cosi addidata perché come detto prima questa parola in russo ha una forte carica negativa. In Ucraina comandano oligarchi che fanno i loro interessi a scapito di del  proprio popolo e sono gestiti da gruppi di potere americani, che hanno finanziato in chiave antirussa la protesta di Maidan. Sono i soliti che ora gestiscono la junta ed i primi responsabili della tragedia del popolo del Donbass

  •  Lunedì parti sul fronte, come credi che debba essere strutturato il futuro delle terre del Sud-Est una volta finiti gli scontri militari?

La struttura delle terre dell Sud-Est è cosa assai complicata e non posso esprimermi. L’importante, io penso, che già si sta delineando la formazione di un nuovo stato un’entità sicuramente vicina a Mosca, ma con la sua indipendenza. E’ importante però che a tutti i cittadini di lingua russa che rimarranno fuori da questo nuovo stato vengano riconosciuti i diritti e non discriminati altrimenti non so cosa succederà.

  •  Ringrazio per l’occasione offerta per questa intervisa. Tutte le risposte erano molto corpose di contenuto ed interessanti. Infine, naturalmente viene spontaneo chiedere -Dove pensi di continuare la tua vita futura una volta tornato dal fronte?

Bella domanda, penso proprio  in Italia, ma se avrò qualche buona ragione per rimanerci potrei restare pure qui, ma ancora non mi pongo questo problema!

Irina Osipova

Fonte:

http://rodnoirim.org/andreapalmeridonbassITA/

 

CON LA RESISTENZA DEL POPOLO PALESTINESE E CON LA RESISTENZA DELLE POPOLAZIONI KURDE-IRAKENE CONTRO GLI INVASORI

Dal blog di Germano Monti:

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In piazza a Roma il 27 settembre :

Con la resistenza del popolo palestinese e con la resistenza delle popolazioni kurde – irakene contro gli invasori !

La guerra scatenata dallo Stato Sionista di Israele ha mietuto migliaia di vittime. Lo Stato di Israele, con la complicità attiva degli stati democratici, è il responsabile storico dell’oppressione del popolo palestinese.
Nonostante la tregua, continua il processo di colonizzazione, come testimoniano i recenti insediamenti in Cisgiordania, e Gaza rimane una prigione a cielo aperto per migliaia di palestinesi. Chiediamo la fine dell’assedio e dell’embargo a Gaza, lo smantellamento dei check point nella West Bank, la fine del processo di colonizzazione, la liberazione dei prigionieri palestinesi.
Le logiche belliche e gli interessi di regime dividono i Palestinesi, indeboliscono la loro resistenza, rendono impossibile la loro autodeterminazione.
Nel contesto mediorientale divampa la guerra e crescono le minacce verso tutti i popoli, le diverse componenti e minoranze religiose ed etniche. In Irak, alla storica oppressione imperialista si aggiungono l’invasione e i progetti neonazisti dell’Isis, che, usando strumentalmente il richiamo all’Islam, massacra donne, bambini e civili inermi. L’Isis, in convergenza fattuale con il  regime criminale di Al Assad, ha schiacciato nel sangue e nel terrore la pacifica rivoluzione del popolo siriano per la libertà, cominciata nel 2011. Perciò sosteniamo la resistenza delle popolazioni kurde e irakene per fermare i neonazisti dell’Isis.
Esprimiamo la nostra solidarietà con le persone di fede musulmana, denunciamo la campagna razzista di criminalizzazione da parte degli Stati occidentali verso i credenti musulmani, la cui stragrande maggioranza invece è fermamente contrapposta all’Isis.
Per una nuova solidarietà con il popolo palestinese e tutti i popoli oppressi dell’area che lottano per la libertà contro regimi tirannici e reazionari, dalla Tunisia all’Egitto ed alla Siria, i cui popoli sono fraternamente solidali con i Palestinesi! Per il diritto al ritorno dei profughi e in solidarietà con i rifugiati palestinesi di Yarmouk e degli altri campi assediati!
Sulla base di questi contenuti, rivolgiamo un appello a partecipare alla manifestazione in solidarietà con il popolo palestinese del 27 settembre a Roma ore 14,30 in Piazza della Repubblica.

Appello approvato alla riunione  del 13 settembre

primi firmatari :

Comitato romano di Solidarietà con il popolo siriano, La Comune, Campagna per Yarmouk, Rete Italiana di Solidarietà con il Popolo Kurdo, Germano Monti ( Freedom Flotilla), Fouad Roueiha ( giornalista )

Per adesioni :  [email protected] 

 

 

 

Fonte:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/09/21/con-la-resistenza-del-popolo-palestinese-e-con-la-resistenza-delle-popolazioni-kurde-irakene-contro-gli-invasori/

28 PALESTINESI TORTURATI A MORTE DAL REGIME SIRIANO NEL SOLO MESE DI AGOSTO

Dal blog di Germano Monti:

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Di Talal Alyan 

30 agosto 2014

Sono almeno 28 i Palestinesi torturati a morte dal regime siriano. Entrambe le organizzazioni palestinesi per i diritti umani in Siria (Action Group for Palestinians in Syria e Palestinian League for Human Rights-Syria) hanno documentato queste morti.

2465 Palestinesi sono morti fino ad ora nel corso della guerra siriana. Oltre 250 di loro sono morti sotto tortura. Solo in questo mese, 28 Palestinesi sono stati seviziati a morte, quasi uno al giorno. Ho elencato i loro nomi qui sotto. Abbiamo le fotografie di 19 di questi uomini, degli altri abbiamo solo i nomi. Ognuno aveva una storia ed ognuno è morto dopo un’agonia che la maggior parte di noi non può nemmeno immaginare.

-Tarik Rashdan

Tarik Rashdan Yarmouk

-Suleiman Ahmad Tamim

Suleiman Ahmad Tamim

-Anas al khatib

Anas al khatib

-Iyad Hanino

Iyad Hanino

-Adham al Khatib

Adham al Khatib

-Amjad Darwish

Amjad Darwish

-Mahmoud al Aswad

Mahmoud al Aswad

-Jamal abu Hasheesh

Jamal abu Hasheesh

-Ziad Ibrahim

Ziad Ibrahim

-Ahmad Sammour

Ahmad Sammour

-Mohammad Ali Al Badawi

Mohammad Ali Al Badawi

-Osama Majid Faour

Osama Majid Faour

-Taysir Shehadeh

Taysir Shehadeh

-Shaher Fadil Shehadeh

Shaher Fadil Shehadeh

-Omar Ahmad Fallah al-Shamlooni

Omar Ahmad Fallah al-Shamlooni

-Muwaffaq Ahmad Ali

Muwaffaq Ahmad Ali

-Firas al-Da’if

Firas al-Da'if

-Rafat Abdul’al

Rafat Abdul'al

-Nawras Abdul’al

Nawras Abdul'al

-Salah Qur’aish

-Maher Amrin

-Sammour Mohammad

-Amjad al-Sabihi

-Saed abu Rashid

-Mohammad al Sarsawi

-Alaa Naji

-Maher Hamid

-Mahmoud Hamarna

 

 

Fonte: http://beyondcompromise.com/2014/08/30/28-palestinians-tortured-to-death-in-august-alone

 

 

Citato in http://vicinoriente.wordpress.com/2014/09/02/28-palestinesi-torturati-a-morte-nel-solo-mese-di-agosto/

Strage di Bologna: archiviata la pista palestinese ma da anni sapevamo che era un depistaggio

2 agosto, per la Procura di Bologna non c'è alcuna pista palestinese

Oggi su Repubblica è uscito un articolo sull’archiviazione della pista palestinese per la strage di Bologna:

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/07/31/news/2_agosto_procura_kram-92825757/?ref=HREC1-13

Ma già da anni i compagni sapevano che era un depistaggio. Qui un vecchio articolo di Germano Monti:

Strage di Bologna: il depistaggio palestinese
di Germano Monti *
Per una Destra che non vuole solo governare, ma procedere ad una profonda ristrutturazione dell’assetto istituzionale del Paese, ripulire l’album di famiglia dalle immagini più imbarazzanti è una necessità. In altre parole, voler riscrivere la Costituzione repubblicana e antifascista richiede ineluttabilmente la riscrittura della propria storia politica… naturalmente, se si è o si è stati fascisti.Lo stragismo rappresenta sicuramente la pagina più nera della storia italiana contemporanea, con il suo intreccio perverso fra manovalanza fascista, apparati – più o meno occulti – dello Stato e interferenze atlantiche. Fra tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia, quella alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 è stata la più feroce, ed anche l’unica in cui è stata raggiunta una verità giudiziaria, con la condanna definitiva dei fascisti Ciavardini, Fioravanti e Mambro. La verità giudiziaria non coincide sempre e comunque con la realtà effettuale, e l’esercizio della critica anche nei confronti delle sentenze della magistratura è assolutamente legittimo, in certi casi persino doveroso, e questo vale anche per le sentenze sulla strage di Bologna. Tuttavia, quello che sta avvenendo non ha molto a che vedere con il garantismo e l’esercizio del diritto di critica, quanto con un tentativo di revisionismo storico particolarmente straccione, dettato dall’opportunità della contingenza politica.I critici attuali delle sentenze sulla strage di Bologna non si limitano, come avveniva alcuni anni or sono, a rilevare quelle che per loro sono incongruenze degli investigatori e dei giudici, ma si spingono ad affermare che quelle incongruenze servirono – e servono tuttora – a coprire un’altra verità, sulla quale non si è voluto indagare. Questa “verità” consisterebbe nel coinvolgimento della resistenza palestinese, ed in particolare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, nella strage, coinvolgimento che sarebbe stato tenuto nascosto in virtù dei patti intercorsi fra i governanti e i servizi segreti italiani di allora con i Palestinesi stessi. Il sostenitore più autorevole di questa tesi è l’ex Presidente Cossiga, cui si sono aggiunti i più alti esponenti della Destra ex fascista, fino all’attuale Presidente della Camera, Gianfranco Fini e, ancora più esplicitamente, l’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sui cui trascorsi squadristi esiste una vasta letteratura. Nel ventottesimo anniversario della strage, è proprio Alemanno, intervistato da la Repubblica, il più esplicito nel sostenere che quella della colpevolezza dei suoi ex camerati sia una “verità comoda”, mentre “c’è un’altra pista, quella del vecchio terrorismo palestinese, che soltanto da poco si è cominciata a esplorare”, pista rispetto alla quale “ci sono una marea di riscontri”. Nell’intervista, poi, Alemanno ripropone un vecchio cavallo di battaglia dell’estrema destra, quello secondo cui “Nei ’70 ci fu una guerra civile strisciante che peraltro cominciò dal maledetto slogan “Uccidere un fascista non è reato”, urlato da vari gruppi dell’estrema sinistra che, falliti i loro obbiettivi rivoluzionari, decisero di convogliare tutta la loro energia nell’antifascismo militante. Suscitando ovviamente delle reazioni altrettanto dure da parte dell’estrema destra. E ciò fu un incubatore sia delle Br sia dei Nar”. E’ una vecchia tesi, cara agli squadristi fascisti e ai terroristi dei Nar; una smaccata bugia, ma qualcuno che Alemanno certamente conosce bene diceva: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità», specialmente se a ribadirla sono alte cariche istituzionali, come un ministro della propaganda ieri o un sindaco oggi.Dunque, la strage di Bologna non fu opera di terroristi neri, bensì di Palestinesi. A sostegno di questa ipotesi, sia Alemanno che altri (fra i quali anche Andrea Colombo, ex giornalista del Manifesto ed ora di Liberazione) invitano ad indagare a fondo sulle dichiarazioni del guerrigliero venezuelano conosciuto come “Carlos”, detenuto in Francia, e, più in dettaglio, sulla presenza a Bologna, il giorno della strage, di Thomas Kram, cittadino tedesco attualmente detenuto nel suo Paese con l’accusa di appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie.Per quanto riguarda “Carlos”, l’intervista da lui rilasciata all’ANSA lo scorso 30 giugno, per il tramite del suo avvocato italiano, in realtà riguarda in massima parte il sequestro di Aldo Moro e quello che, a suo dire, fu un tentativo di mediazione dell’OLP, insieme ad una parte dei servizi segreti italiani, per ottenere la liberazione del presidente democristiano. Dopo aver fornito il suo punto di vista sulle contraddizioni esistenti fra diverse fazioni dei servizi italiani e su altre vicende di quegli anni, “Carlos” risponde alla domanda esplicita dell’intervistatore, Paolo Cucchiarelli, in merito alla strage di Bologna:
Domanda:
Una sola domanda sulla strage di Bologna visti i molti riferimenti fatti da lei nel tempo e che sembrano alludere ad una ipotesi da lei mai espressa ma che potrebbe essere alla base delle sue osservazioni. Cioè agenti occidentali che fanno saltare in aria – con un piccolo ordigno – un più rilevante carico di materiale esplodente trasportato da palestinesi o uomini legati all’Fplp e alla sua rete con l’intento di far ricadere su questa ben diversa realtà politica tutta la responsabilità della strage alla stazione.
Risposta:
L’attentato contro il popolo italiano alla stazione di Bologna “rossa”, costruita dal Duce, non ha potuto essere opera dei fascisti e ancora meno dei comunisti. Ciò è opera dei servizi yankee, dei sionisti e delle strutture della Gladio. Non abbiamo riscontrato nessun’altra spiegazione. Accusarono anche il Dottor Habbash, nostro caro Akim, che, contrariamente a molti, moriva senza tradire e rimanendo leale alla linea politica del FPLP per la liberazione della Palestina. Vi erano dei sospetti su Thomas C., nipote di un eroe della resistenza comunista in Germania dal febbraio 1933 fino al maggio 1945, per accusarmi di una qualsiasi implicazione riguardo ad un’aggressione così barbarica contro il popolo italiano: tutto ciò è una prova che il nemico imperialista e sionista e le sue “lunghe dita” in Italia sono disperati, e vogliono nascondere una verità che li accusa.
Insomma, “Carlos” non solo smentisce la “pista palestinese”, ma accusa direttamente gli apparati occulti americani, israeliani ed italiani di aver ordito e realizzato la strage. Il fatto che escluda anche la responsabilità dei fascisti, con la bizzarra postilla della stazione “costruita dal Duce”, non significa altro che il rafforzamento della sua convinzione di una pista internazionale, ma nella direzione opposta a quella indicata da Cossiga, Fini e Alemanno, da una parte, e da Andrea Colombo dall’altra. Del resto, in tutta la storia dello stragismo e dell’eversione nera, l’intreccio fra il sottobosco neofascista e apparati interni ed internazionali, particolarmente statunitensi, è sempre emerso con grande puntualità. Non si capisce, quindi, come le parole del detenuto nel carcere di Poissy possano essere utilizzate per dimostrare il contrario di ciò che dicono… ma questo bisognerebbe chiederlo ad Alemanno ed a quelli come lui. Sempre alle stesse persone, e ad un gran numero di giornalisti, bisognerebbe chiedere anche perché continuino a presentare in termini tanto misteriosi la figura di Thomas Kram, quasi che di lui non si sappia nulla, se non che da qualche tempo si trova nelle carceri tedesche. Ebbene, già nel giugno dello scorso anno, Saverio Ferrari si è occupato della pista palestinese e di Kram, in un suo articolo su “Osservatorio Democratico sulle nuove destre” dedicato al libro scritto da Andrea Colombo sulla strage di Bologna, libro accusato – per inciso – di voler accreditare l’innocenza di Mambro, Fioravanti e Ciavardini “omettendo deliberatamente le carte giudiziarie più scomode”.A proposito della “pista palestinese” Ferrari scrive: “Colpisce, infine, l’ultimo capitolo in cui, si rilancia la stessa fantomatica pista palestinese sulla quale da qualche anno alcuni deputati di Alleanza nazionale si affannano, millantando la presenza del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o di suoi uomini, a Bologna, in veste di stragisti al servizio del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash. È più che noto, infatti, che già all’epoca, non solo recentemente, si appurò che il terrorista Thomas Kram, esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, fosse presente a Bologna nella notte fra tra l’1 e il 2 agosto, alloggiando nella stanza 21 dell’albergo Centrale di via della Zecca. Presentò nell’occasione la sua patente di guida non contraffatta. Fu precedentemente fermato e identificato al valico di frontiera sulla base di un documento di identità valido a suo nome. Non era al momento inseguito da alcun mandato di cattura. La questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all’Ucigos che già in quei giorni conosceva tutti i suoi spostamenti. Un terrorista stragista, dunque, non in incognito che viaggiava e pernottava in albergo con documenti a proprio nome (!). Una pista vecchia, già archiviata data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram e la strage. Per altro Kram risultò non aver mai fatto parte dell’organizzazione di Carlos. (…)”.Ma c’è di più: il 2 agosto del 2007, proprio sul quotidiano in cui Andrea Colombo ha lavorato per anni, il Manifesto, il suo collega Guido Ambrosino pubblica un lungo articolo dal titolo “Bologna, l’ultimo depistaggio”, in cui il misteriosissimo Thomas Kram – a Berlino in libertà provvisoria, dopo essersi costituito nel dicembre 2006 – si lascia tranquillamente intervistare. Dall’intervista di Guido Ambrosino: “«Ho scoperto su internet che la bomba potrei averla messa io. Un’assurdità, sostenuta addirittura da una commissione d’inchiesta del parlamento italiano, o meglio dalla sua maggioranza di centrodestra, nel dicembre 2004. Deputati di An, e altri critici delle sentenze che hanno condannato per quella strage i neofascisti Fioravanti e Mambro, rimproverano agli inquirenti di non aver indagato sulla mia presenza a Bologna». Per Kram è una polemica pretestuosa: «Non sono io il mistero da svelare. Non lo credono nemmeno i commissari di minoranza della Mitrokhin. Viaggiavo con documenti autentici. La polizia italiana mi controllava, sapeva in che albergo avevo dormito a Bologna, il giorno prima mi aveva fermato a Chiasso. Come corriere per una bomba non ero proprio adatto»”. L’articolo e l’intervista demoliscono l’impianto del libro di Colombo e, più in generale, la “pista palestinese”, anche con alcuni particolari che, se non si trattasse di fatti tanto drammatici, indurrebbero al sorriso. Secondo Ambrosino, il lavoro di Colombo “si riduce a un paio di forzature”, particolarmente per quanto riguarda la latitanza di Kram, che – secondo Colombo – sarebbe durata ben 27 anni, cioè dal 1979, quando lo stesso Kram è invece sempre stato reperibile almeno fino al 1987, quando contro di lui viene spiccato un mandato di cattura per appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie. Nella pista palestinese sarebbe coinvolta anche un’altra militante dell’estrema sinistra tedesca, Christa Frolich, che – secondo la testimonianza di un cameriere di albergo – lavorava come ballerina nei pressi di Bologna e il primo agosto 1980 si sarebbe fatta portare una valigia alla stazione di Bologna, mentre il 2 agosto avrebbe telefonato (parlando italiano con accento tedesco) per accertarsi che i suoi figli non fossero stati coinvolti nell’esplosione. Scrive Ambrosino: “Christa Fröhlich ha ora 64 anni, insegna tedesco a Hannover. Confrontata con questa descrizione, non sa se ridere o piangere: «Non ero a Bologna. Non ho figli. Mai un ingaggio da ballerina. E nel 1980 non sapevo una parola di italiano»”. Se pensiamo che uno dei cardini principali della “pista palestinese” è costituito dai lavori della “Commissione Mitrokhin”, anche noi non sappiamo se ridere o piangere. Addirittura nel dicembre 2005, sull’Espresso, l’operato di quella Commissione veniva già definito come “L’ennesimo polverone. Per far riaprire l’inchiesta sulla strage di Bologna e riabilitare gli estremisti di destra Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già condannati per l’attentato”. Dal medesimo articolo si apprende anche, peraltro, che le stesse risultanze della Commissione Mitrokhin escludevano ogni coinvolgimento di Thomas Kram nella strage di Bologna.La domanda, a questo punto, è: perché, contro ogni evidenza ed ogni riscontro, in questo agosto 2008 c’è chi tenta di riciclare vecchie bufale, magari contando sui riflessi appannati di un’opinione pubblica martellata da campagne sulla “sicurezza” minacciata da zingari ed immigrati, tanto da richiedere paracadutisti, alpini e bersaglieri per le strade delle nostre città? Probabilmente, la risposta è nella premessa: per mettere mano alla Costituzione, la Destra ha bisogno di svecchiare i propri armadi, facendone opportunamente sparire gli scheletri di troppo. Lo scheletro più ingombrante è senza dubbio quello datato 2 agosto 1980, rimosso il quale sarà assai più semplice rimuovere tutti gli altri… si, perché,se si riesce a convincere, contro ogni evidenza storica e giudiziaria, che la strage di Bologna è stata opera dei Palestinesi, domani si potrà legittimamente sostenere che quella di Piazza Fontana fu veramente opera degli anarchici e così via. Senza dimenticare che accollare proprio ai Palestinesi la più orrenda delle stragi consente alla fava revisionista di cogliere un secondo piccione: oltre alla definitiva legittimazione interna, la nuova Destra di governo rimedierebbe anche l’imperitura gratitudine di Israele e delle sue lobby, mentre a protestare per l’ennesima infamia commessa ai danni di un popolo sempre più martoriato rimarrebbero in pochi, come – effettivamente – sono in pochi, almeno ai livelli che contano, quelli che continuano a sostenere le ragioni e il diritto all’esistenza del popolo palestinese. Eppure, a dubitare della riuscita di un’operazione così spregiudicata ci aiuta la frase di un uomo importante, uno di quelli che, piaccia o no, la storia l’hanno fatta, non hanno solo cercato di riscriverla a proprio piacimento. Quell’uomo, che di nome faceva Abramo Lincoln e di mestiere il Presidente degli Stati Uniti, amava ripetere: “Si può ingannare tutti a volte, qualcuno sempre, ma non è possibile ingannare tutti tutte le volte”. Sarà bene che Alemanno e quelli come lui lo tengano presente.
Fonte:

 

PARTE LA CAMPAGNA DI SOLIDARIETA’ CON YARMOUK ED I RIFUGIATI PALESTINESI

 

Dal blog di Germano Monti:

6 giugno 2014

yarmouk-camp

S.O.S. YARMOUK

Nel campo di Yarmouk, una volta il più grande campo palestinese in Siria, la lunga durata dell’assedio imposto dal luglio 2013 ha finora portato alla tragica morte di 154 persone a causa di fame, malnutrizione, mancanza di medicine e forniture mediche. Nonostante lo spostamento di migliaia di abitanti, ci sono ancora fra i 25.000 ed i 30.000 civili intrappolati all’interno del campo, che sperimentano quotidianamente quella che può essere descritta solo come una delle peggiori tragedie umanitarie in Siria. Il campo di Yarmouk è ora un simbolo di distruzione per la comunità palestinese”. Con queste parole, inizia un appello della Jafra Foundation, una delle principali ONG operanti a Yarmouk e negli altri campi dei rifugiati palestinesi in Siria. L’appello, rivolto a tutte le organizzazioni, agenzie internazionali e individui, si conclude con l’affermazione che “Qualsiasi donazione, di qualunque tipo, è benvenuta e fornirà assistenza, salvezza e sollievo ad una comunità che vive da troppo tempo in condizioni terribili. La vita di 30.000 persone nel campo di Yarmouk dipende dal vostro sostegno e dalla vostra azione”.
La drammatica situazione dei rifugiati palestinesi in Siria li ha costretti anche ad un nuovo esodo, dopo quello impostogli dall’occupazione israeliana della loro terra. Sono decine di migliaia i rifugiati palestinesi che, dalla Siria, sono approdati in Europa, ed alcuni di loro hanno chiesto asilo politico o umanitario nel nostro Paese.
Non possiamo e non vogliamo rimanere inerti di fronte alla richiesta di aiuto e solidarietà che arriva dai rifugiati palestinesi. Aderendo all’appello della Jafra Foundation, ci impegniamo a sostenere i rifugiati palestinesi nei campi siriani e quelli che sono giunti nel nostro Paese. Facciamo a nostra volta appello al movimento di solidarietà con il popolo palestinese, al mondo dell’associazionismo, alle forze politiche democratiche, alle organizzazioni sindacali ed a tutti gli uomini e le donne che amano la pace, la giustizia ed i diritti umani affinché promuovano iniziative e sottoscrizioni per i rifugiati palestinesi di Yarmouk e degli altri campi in Siria e per quelli che sono giunti nel nostro Paese, sostenendoli nella loro richiesta di asilo politico ed umanitario.

Per info e adesioni: [email protected]

 

Primi firmatari:

Comitato di sostegno al popolo siriano (Roma) – Comitato di sostegno al popolo siriano (Bologna) – Communia (Roma) – Cinzia Nachira (rivista Jura Gentium)

Le donazioni possono essere effettuate tramite bonifico bancario sul conto 5000 1000 65881 di Banca Prossima S.p.A. intestato a “Associazione Dima”
IBAN  IT83 Q033 5901 6001 0000 0065 881 – Specificare “Yarmouk” nella causale del versamento. A donazione effettuata, si prega di darne comunicazione – indicando il donatore (persona o organizzazione), la città e l’importo – a
[email protected] . Tutte le donazioni ricevute verranno documentate su questo sito, fatta salva esplicita richiesta in senso contrario del donatore.

 

 

Fonte:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/06/06/parte-la-campagna-di-solidarieta-con-yarmouk-ed-i-rifugiati-palestinesi/

1948 – 2014: LA NAKBA DI IERI E QUELLA DI OGGI

Dal blog di Germano Monti:

 

yarmouk unrwa

GIOVEDI’ 15 MAGGIO, ALLE 16.30, a Roma. allo spazio occupato COMMUNIA, in Viale dello Scalo San Lorenzo n. 33,

DIBATTITO PUBBLICO

“LA NAKBA DEL XXI SECOLO. YARMOUK E’PALESTINA!”

Intervengono:

Cinzia NACHIRA – Docente Università di Lecce

Domenico CHIRICO – Un ponte per…

Iyad HAFEZ – Presidente della Comunità Araba di Perugia

Ali – Rifugiato palestinese da Yarmouk

Germano MONTI – Comitato Romano di Solidarietà con il Popolo Siriano

Renato SCAROLA – Comune Umanista Socialista

Coordina Fouad Roueiha

Proiezione del video realizzato dai rifugiati di Yarmouk appositamente per questa iniziativa

A seguire, dalle 20.30, cena siriana-palestinese a sottoscrizione in Via di Porta Labicana n. 56a

 

Quello di Yarmouk, a Damasco, è il più grande campo dei rifugiati palestinesi, quelli che la pulizia etnica israeliana costrinse ad abbandonare le proprie case e la propria terra in quella che i Palestinesi definiscono la “Nakba”, la “Catastrofe”, vale a dire la nascita dello Stato di Israele su un territorio di gran lunga superiore a quello che prevedeva la Risoluzione 181 delle Nazioni Unite.
La storia dei rifugiati palestinesi è costellata di episodi di violenza, persecuzione e veri e propri massacri ad opera non solo delle forze israeliane, ma anche da parte di quei regimi arabi che si sono sempre venduti l’immagine di sostenitori della causa palestinese, dal “Settembre Nero” in Giordania alle stragi di Tall El Zaatar e della “Guerra dei Campi” in Libano, ad opera di milizie libanesi palestinesi alle dipendenze del regime del clan Assad, tuttora al potere in Siria.
Dall’inizio della rivoluzione in Siria, più di tre anni fa, i rifugiati palestinesi sono stati solidali e partecipi con la lotta dei loro fratelli del popolo siriano. Per questo motivo,  il regime di Assad, che ha risposto con la guerra alle manifestazioni pacifiche della popolazione nel 2011, dopo aver perso il controllo del campo di Yarmouk, lo ha trasformato in terreno di battaglia, come tutte le città ed i villaggi siriani, stringendolo in un assedio sempre più feroce, fino a sigillarlo completamente nel luglio dello scorso anno.
I Palestinesi assassinati in Siria dalle forze del regime sono ormai più di 2.200 (circa sei volte quelli uccisi dagli Israeliani nello stesso lasso di tempo), più della metà dei quali residenti a Yarmouk. Da quando il regime, lo scorso dicembre, ha imposto anche il blocco all’ingresso nel campo dei generi alimentari, a Yarmouk sono morti per fame e disidratazione più di 200 rifugiati palestinesi.

***

La situazione a Yarmouk e negli altri campi palestinesi in Siria è talmente drammatica che non è esagerato parlare di una seconda “Nakba”. La popolazione di Yarmouk si è ridotta da 150.000 residenti a meno di 30.000 e si calcola che gli sfollati dai campi siano più della metà dei circa 500.000 Palestinesi precedentemente residenti in Siria: solo in Europa, alla fine dello scorso anno, erano arrivati almeno 30.000 rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria, mentre altre decine di migliaia sono andati a cercare scampo in Turchia, Libano, Giordania, Egitto e persino nella Striscia di Gaza.
A fronte di questa tragedia, l’iniziativa da parte dei movimenti di solidarietà con il popolo palestinese è stata del tutto assente, salvo eccezioni tanto lodevoli, quanto rare. La complessità della crisi siriana e la persistenza di pregiudizi ideologici accecanti hanno indotto molti al silenzio, quando non all’aperta complicità con il regime siriano, considerato – contro ogni evidenza -“antimperialista” e addirittura “socialista”.
Questo silenzio è inaccettabile. Questo silenzio è una ferita nel corpo del movimento di solidarietà con il popolo palestinese. Questo silenzio deve finire.
Come soggetti impegnati nella solidarietà con il popolo siriano, il popolo palestinese e con tutti i popoli in lotta per la libertà e la dignità, invitiamo tutte e tutti gli amici della Palestina, della pace e della giustizia a parlare di Yarmouk, dei rifugiati palestinesi e della necessità di costruire insieme sostegno e solidarietà. Perché anche Yarmouk è Palestina. 

Comitato Romano di Solidarietà con il Popolo Siriano

 

 

 

Fonte:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/05/02/1948-2014-la-nakba-di-ieri-e-quella-di-oggi/

SIRIA: NOVE PALESTINESI TORTURATI A MORTE DAL REGIME NELLE ULTIME 48 ORE

Dal blog di Germano Monti:

 

 

Nove Palestinesi sono stati torturati a morte dal regime siriano nel corso delle ultime 48 ore. La Lega Palestinese per i Diritti Umani – Siria ha comunicato che il numero dei Palestinesi uccisi dalla tortura nelle prigioni del regime ha raggiunto le 183 vittime, 25 delle quali nel solo ultimo mese di aprile.
Qui sotto, ancora una volta, abbiamo elencato i nomi degli ultimii assassinati. Questi uomini sono stati massacrati negli ultimi due giorni. Per qualcuno di loro, le foto sono accompagnate dai nomi, per altri no.  Comunque, ogni nome rappresenta un Palestinese che non è stato solo assassinato ma anche sottoposto a tormenti inimmaginabili.
Gloria ai martiri, vergogna al silenzio.

 

Fonte: http://beyondcompromise.com/2014/05/01/9-palestinians-tortured-to-death-in-regime-prisons-in-48-hours

 

amar-ahmadAmmar Ahmed Abu Rashid

 

BROTHERS

 

I fratelli Mohammad Abdullah e Ahmad Abdullah

 

abdullah

 

Abdullah Suleiman Zatoot

 

I nomi di altri quattro martiri: Omar Hamdan, Amer Hamdan, Samir Hamdan, Bilal Shehady.

Fonte:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/05/01/siria-nove-palestinesi-torturati-a-morte-dal-regime-nelle-ultime-48-ore/