CORTEO NO PONTE

foto di Rete No Ponte.
LUG26

Corteo No Ponte

Pubblico

 · Organizzato da Rete No Ponte
  •  
    Domani dalle ore 18:00 alle 21:00
  •  
    Torre Faro (Messina)

    Lo Stretto di Messina, il più bello dei nostri paesaggi e la maggiore delle nostre risorse, è nuovamente a rischio. Una classe politica disperata e disperante, incapace di soddisfare anche i più essenziali dei bisogni e fornire i servizi primari alla popolazione, sta provando a riavviare l’iter del Ponte sullo Stretto, opera per la quale sono stati spesi centinaia di milioni di euro (312 quelli certificati nei bilanci della Società Stretto di Messina S.p.a.) senza che gli abitanti dei luoghi interessati dall’opera ne abbiano ricevuto alcun vantaggio. Il Ponte è la risposta ingannevole che viene data alla richiesta di una moderna mobilità, della messa in sicurezza del territorio, delle abitazioni e delle scuole, della bonifica dei territori devastati dalle produzioni inquinanti, del riammodernamento della rete idrica.
Per più di 10 anni un grande movimento è sceso in strada, svelato la vera natura della grande opera, elaborato alternative. Quel movimento deve oggi tornare a mobilitarsi per fermare il nuovo tentativo di rimettere in moto la macchina del Ponte. Quel movimento deve ancora una volta fronteggiare un’idea di territorio monetizzato, da svendere per pochi spiccioli, da devastare in cambio della promessa di posti di lavoro che non arriveranno mai, opere compensative che rimarranno sulla carta, ricadute turistiche infondate che appartengono all’immaginario di altri tempi e altri scenari. Quel movimento deve nuovamente farsi carico di pensare un futuro per i nostri territori, impedire che la disperazione si trasformi in incubo.

Noi pensiamo che un futuro possa ancora esserci, che la via d’uscita all’impoverimento cui siamo stati spinti non stia in infrastrutture che servono a scappare più velocemente possibile dalla nostra terra. Noi vogliamo infrastrutture per restare. Per noi, il territorio non è un intralcio, ma uno spazio da vivere, attraversare, di cui godere. Noi pensiamo ad un grande progetto di sostenibilità. Noi pensiamo ad un territorio che possa ancora essere visitato, non devastato da un turismo mordi e fuggi che mortifica la bellezza dei nostri luoghi e che ci lascia più poveri di prima. Noi pensiamo ad una agricoltura responsabile e difesa dall’aggressività delle multinazionali. Noi pensiamo ad un grande progetto di bonifica dei nostri territori.

Gli altri annunciano manifestazioni. Noi le manifestazioni le facciamo, le abbiamo sempre fatte. In quella del 26 luglio ci saranno i territori che resistono, che vogliono decidere del proprio futuro. Il No Ponte è una lotta che ne contiene tante altre. E’ sempre stato così. Per il 26 luglio chiamiamo a raccolta gli abitanti dei luoghi interessati dall’opera, ma, al tempo stesso, chiediamo a tutti coloro che si battono in difesa del proprio territorio di farlo insieme a noi.

NO AL PONTE SULLO STRETTO

PER LE INFRASTRUTTURE E LA MESSA IN SICUREZZA DEI TERRITORI

CONTRO LE GRANDI OPERE INUTILI E LA DEVASTAZIONE AMBIENTALE

Hanno sottoscritto l’appello e aderito alla Manifestazione:

Movimento No Muos
Coordinamento No discarica Armicci Lentini
NoTriv Licata
Comitato Stop Veleni
Comitato Cittadino Salute e Ambiente – Scicli
Comitato NO FRANE
No Inceneritore del Mela
Associazione cinque-sei Terme Vigliatore
Comitato Nonsisvuotailsud
Puli-AMO Messina
Associazione Cameris
Magazzino di Mutuo Soccorso – Eolie
Fridays For Future Messina
Parliament Watch Italia
Arci Scambio Milazzo
Arci Scirocco
Laboratorio Territoriale
A Sud Sicilia
A Sud Onlus
CDCA – Centro Documentazione Conflitti Ambientali
Unione Degli Studenti – Messina
Cgil Messina
Or.S.A. Messina
Unione Inquilini Messina
Fronte Popolare Autorganizzato- SI Cobas Messina
COBAS lavoro privato – Messina
COBAS – Messina
Fiom-Cgil Messina
FISAC CGIL Messina
Non Una di Meno – Messina
Comitato IL SUD CONTA – Messina
Circolo Peppino Impastato PRC – Messina
CSC Nuvola Rossa
USB Federazione del Sociale – Reggio Calabria
Potere al Popolo Reggio Calabria
Comunità Resistente Piazzetta – CPO Colapesce
Potere al Popolo – Catania
Comitato Il Sud Conta – Catania
Comitato Il Sud Conta – Palermo
Comitato NoMuos Palermo
Potere al Popolo – Palermo
Cobas Palermo
Federazione Usb Palermo
Democrazia e Lavoro – Palermo
Riconquistiamo Tutto! Palermo
Sinistra Comune
Non una di meno – Palermo
Teatro Mediterraneo Occupato
Centro Sociale ExKarcere
Centro Sociale Anomalia
Studenti Autonomi Palermitani
Fajdda – Unione Giovanile Indipendentista
Antudo

Fonte:

A FOGGIA LA DOPPIA PROTESTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO

A FOGGIA LA DOPPIA PROTESTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO
Neri di rabbia. Le due manifestazioni dopo la strage dei braccianti stranieri. I campi chiusi per sciopero
di Gianmario Leone, il Manifesto 09.08.18

Una giornata di protesta e di lotta come non si vedeva da tempo. Uno sciopero che ha avuto un’adesione totale da parte dei braccianti stagionali e due grandi manifestazioni che hanno riempito le strade di Foggia e della sua provincia. Per dimostrare che nonostante l’indifferenza e un sistema difficile da debellare, fatto di caporalato, di sfruttamento dei migranti in molte aziende agricole, dell’ombra della mafia e degli interessi enormi della filiera della grande distribuzione, c’è ancora voglia di lottare e non arrendersi.

LA GIORNATA è iniziata molto presto. Alle 8 è infatti partita dal ghetto di Rignano, nel comune di San Severo, cuore della protesta, la marcia dei berretti rossi organizzata dall’ Usb e Rete Iside alla quale ha partecipato anche il governatore Michele Emiliano. «È stata totale l’adesione dei lavoratori allo sciopero. Nessuno è al lavoro nei campi intorno al ghetto di Rignano» hanno assicurato dall’Usb. Centinaia di lavoratori hanno sfilato con i cappellini indossati dalle vittime, distribuiti da Usb e Rete Iside «per aiutare i braccianti a proteggersi dal solleone e idealmente dallo sfruttamento e dalla mancanza di diritti». Le rivendicazioni della marcia sono state le stesse esposte un mese fa al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, «che aveva accolto le richieste – sottolinea il sindacato – promettendo un tavolo che non c’è mai stato. Chiediamo sicurezza, diritti e dignità per tutti i lavoratori agricoli».

«BASTA MORTI sul lavoro», «schiavi mai» alcuni degli slogan che hanno accompagnato la manifestazione mattutina, giunta davanti alla prefettura di Foggia dove centinaia di migranti, sostenuti da cittadini e associazioni, si sono radunati durante l’incontro che la delegazione ha avuto con il prefetto. All’arrivo è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare i 16 morti nei due incidenti stradali avvenuti negli ultimi giorni sulle strade foggiane e tutti i caduti sul lavoro, compresi gli italiani morti nella miniera di Marcinelle l’8 agosto del 1956.

ABOUBAKAR SOUMAHORO, sindacalista italo-ivoriano dell’Usb, al termine della riunione ha raccontato di «risposte immediate» ricevute da prefetto e questura. Aggiungendo che il prefetto si è impegnato a «convocare dopo ferragosto una conferenza sul lavoro», mentre sul rinnovo dei permessi di soggiorno, che in tanti aspettano da mesi, «la questura ha dato la disponibilità a ricevere un elenco che l’Usb presenterà ogni due settimane per affrontare i casi di rinnovo».

IN PIÙ DI DUEMILA hanno invece sfilato per le strade del capoluogo dauno nella seconda manifestazione organizzata da Cgil, Cisl, Uil, con l’adesione di Arci, Libera e altre associazioni. In marcia, accanto a sindacalisti e migranti, ancora il governatore Emiliano e poi l’europarlamentare pugliese Elena Gentile, il deputato Roberto Speranza e l’attore Michele Placido. «Un senso di sconfitta è quello che si avverte quando accadono queste tragedie immani» hanno sottolineato i sindacalisti, per i quali «questa manifestazione è il momento del cambiamento, per dire basta a morti ammazzati di lavoro».

IL MOMENTO PIÙ TOCCANTE c’è stato quando sul palco ha preso la parola Mohamed, lavoratore migrante: «Non è una pacchia lavorare tutto il giorno per pochi euro o pagare 5 euro per salire sui furgoni della morte – ha gridato -. Come siamo giunti a questo punto? Come siamo passati dall’accoglienza diffusa al degrado diffuso? Chiediamo diritti, non l’impossibile. Vogliamo pari diritti per pari doveri».

UN ALTRO LAVORATORE ha ricordato il dramma vissuto da ogni singolo migrante: «Le famiglie di quelle 16 persone in Africa soffrono per i loro cari che avevano lasciato tutto per venire in Italia a lavorare. Prima sono stati trattati come animali e poi sono morti». Sul palco si sono poi alternati gli interventi dei segretari di Cgil, Cisl, Uil, le cui delegazioni sono giunte da tutta Italia, e dei presidenti delle associazioni che hanno aderito alla manifestazione. «Non sono incidenti, sono omicidi. Siamo stanchi – le ultime parole dal palco – di chi incita all’odio e ci accusa di buonismo».

Fonte:

https://ilmanifesto.it/a-foggia-la-doppia-protesta-contro-…/

Da Mauro Biani :

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Lavoro: Ancora morti bianche. Mattarella: ‘Ferite per Italia’

Tre vittime: a Taranto, Roma e Trieste. Sciopero nazionale di un’ora dei metalmeccanici, mercoledì 21 settembre

Tre nuove morte bianche, una all’Ilva di Taranto, una a Roma e a Trieste. Scoppiano le polemiche. I sindacati proclamano a Taranto lo sciopero immediato e ricordano che l’ultimo incidente nello stabilimento siderurgico, anche questo mortale, si era verificato a novembre dell’anno scorso, quando un altro operaio era rimasto schiacciato da un tubo. Ma l’Azienda ribatte: “Applicate tutte le norme di sicurezza, nessun cedimento strutturale”. Rabbia del presidente della Puglia, Michele Emiliano: “La nostra pazienza è finita”.

Dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella arriva un richiamo per la garanzia della sicurezza sui posti di lavoro. “Ogni morte sul lavoro costituisce una ferita per l’Italia e una perdita irreparabile per l’intera società. Non è ammissibile che non vengano adeguatamente assicurate garanzie e cautele per lo svolgimento sicuro del lavoro”.

“E’ inammissibile che ci siano morti sul lavoro in un Paese la cui Costituzione prevede che sia fondato sul lavoro”. Afferma anche il presidente del Senato Pietro Grasso, arrivato alla Festa dell’Unità di Roma. “Vorrei ricordare che abbiamo leggi severe e adeguate per prevenire questi infortuni, ma bisogna applicarle: purtroppo per troppe disattenzioni, o peggio colpe, accadono ancora questi avvenimenti” ha concluso.

L’incidente all’Ilva – L’operaio morto si chiamava Giacomo Campo, era di una ditta dell’appalto, la Steel Service. L’incidente sul lavoro è avvenuto nel reparto Afo4 dello stabilimento.

Società, non vi è stato nessun cedimento strutturale – Dopo l’incidente mortale avvenuto questa mattina, l’Ilva “ha immediatamente riunito il comitato di crisi, composto dai commissari, dal management e dai tecnici della Società, che in queste ore sta collaborando con le autorità competenti per approfondire la dinamica dell’incidente”. Lo riferisce l’azienda in una nuova nota dove in merito alla dinamica dell’incidente precisa che “non vi è stato il crollo di alcun carrello né alcun cedimento strutturale” La Società ribadisce che “l’operazione di pulizia del nastro, eseguita dalla ditta esterna, è avvenuta dopo che il nastro è stato disattivato e privato di alimentazione elettrica. Mentre l’operatore stava effettuando attività di pulizia sul rullo di rinvio il nastro si è mosso per cause in corso di accertamento e l’operaio è rimasto incastrato tra il rullo e il nastro”. La Società, conclude la nota, darà ulteriori aggiornamenti sulla situazione “appena si sarà fatta chiarezza e si avranno nuovi elementi”.

Sciopero nazionale di un’ora dei metalmeccanici, mercoledì 21 settembre, per dire “basta” alle morti sul lavoro. E’ quello indetto da Fim, Fiom e Uilm dopo le ultime tre tragedie di questi giorni, dal morto di Piacenza a quelli di oggi all’Ilva di Taranto e all’Atac romana. Si tratta, dicono i segretari Marco Bentivogli, Maurizio Landini e Rocco Palombella in una nota congiunta, di una situazione “drammatica” e di un dato, quello di “500 lavoratori morti mentre lavoravano” da inizio anno che è “inaccettabile”.

Un morto in agriturismo a Trieste  – Una persona è morta in un incidente sul lavoro avvenuto in serata nell’agriturismo “Zollia” a Trieste, in località Samatorza, nella zona del Carso, a ridosso del confine con la Slovenia. La vittima è rimasta schiacciata mentre lavorava – secondo le prime informazioni – con una macchina operatrice. L’uomo é morto sul colpo. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118 con un’automedica e un’ambulanza, i Vigili del Fuoco, i Carabinieri e il medico legale.

Operaio muore nel deposito Atac Roma-Viterbo – Un operaio è morto in un incidente sul lavoro avvenuto in un deposito Atac sulla Roma-Viterbo. La dinamica dell’incidente, fa sapere Atac in una nota, è in via di accertamento anche da parte di una commissione interna disposta dall’azienda. L’incidente è avvenuto nella prima mattinata di oggi “nel corso di manovre di esercizio”. L’azienda esprime profondo cordoglio per l’accaduto ed è vicina ai familiari. L’operaio, un italiano di 53 anni, è stato trovato morto stamattina poco prima delle nel deposito Atac di via dell’Acqua Acetosa. Sul posto gli operatori del 118 che non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Secondo quanto si è appreso, è stato trovato vicino a una cabina elettrica e sarebbe deceduto per arresto cardiaco. Sarà l’autopsia a chiarire se è morto in seguito a un malore o per una scarica elettrica.

Fim, Fiom, Uilm e Usb di Taranto hanno proclamato uno sciopero dei lavoratori dell’Ilva a partire dalle 12 di oggi (per il secondo e terzo turno di otto ore) fino alle 7 di domani (18 settembre). Attacca il segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli:  “E’ assurdo, inaccettabile, una vergogna per tutto il Paese morire di lavoro nel 2016”. L’ultimo incidente mortale all’Ilva si era verificato a novembre dell’anno scorso, quando un altro operaio – Cosimo – era rimasto schiacciato da un tubo: non è passato neanche un anno e si è verificato di nuovo, “un’altra morte innocente e un’altra famiglia distrutta”.

Ira di Emiliano: “Incontenibile la rabbia della Puglia” –  “Ennesimo grave incidente nel siderurgico tarantino. La nostra pazienza è finita. La fabbrica è troppo vecchia e insicura. Ci ha portato ancora una volta via un giovane di soli 24 anni. Il dolore della Puglia diventa rabbia incontenibile”. È un passaggio del post con cui il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, commenta su Facebook la morte del giovane operaio nell’ incidente nel siderurgico.

Viceministro Bellanova a Taranto per capire dinamica, è in contatto con Renzi – “Una tragedia”. Cosi la Viceministro Teresa Bellanova da Taranto, dove si è immediatamente recata dopo aver appreso della morte del venticinquenne Giacomo Campo, morto stamane nel reparto Afo4 dell’Ilva di Taranto. Il viceministro è in comunicazione, da stamane, con il Presidente Renzi che ha chiesto di essere costantemente informato. “C’è urgentissima necessità – afferma Bellanova – di comprendere come sia potuta accadere questa tragedia e per quali cause il nastro trasportatore abbia ceduto. In questa direzione siamo già impegnati con i vertici dell’Azienda. Mi auguro che dinanzi a un evento così drammatico e lacerante e che falcia una vita così giovane, nessuno – ripeto nessuno – voglia accomodarsi al tavolo degli opportunismi di qualsiasi natura”.

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Trapani, in pensione ginecologo non obiettore: impossibile abortire

È andato in pensione l’unico medico non obiettore di coscienza dell’ospedale di Trapani, sola struttura pubblica della città. E alle donne che decideranno di interrompere la gravidanza non resta che andare fuori. Un caso denunciato dalla Cgil e dalla Uil che parlano di lesione palese di un diritto. La vicenda viene fuori sulle pagine di un quotidiano locale, dove si racconta che l’unico non obiettore dei sette medici del reparto di Ginecologia del Sant’Antonio Abate non è più in servizio. Restano i sei colleghi, tutti obiettori appunto. Ma le rappresentanti sindacali di Cgil e Uil, Antonella Granello e Antonella Parisi, non ci stanno e chiedono un incontro urgente al direttore generale dell’Asp Fabrizio De Nicola per aprire un confronto «sul problema dell’interruzione volontaria di gravidanza e sul potenziamento dei consultori».

«L’azienda sanitaria – scrivono le due sindacaliste – è tenuta a garantire alle donne che ne fanno richiesta il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza stabilito dalle legge 194. Ciò che sta venendo meno a Trapani e in provincia è il principio di autodeterminazione delle donne a cui deve essere garantito il diritto libero e gratuito affinché possano scegliere autonomamente di diventare madri senza discriminazioni e a seconda delle condizioni personali di ognuna». Per le due sindacaliste, inoltre, c’è il rischio che col venir meno della possibilità di rivolgersi all’ospedale pubblico aumentino gli aborti clandestini. Allo stato, rendono noto i sindacati, a Trapani ci sono 600 richieste di interruzione volontaria di gravidanza all’anno.

«In questo modo – spiegano – si rischia di tornare indietro di 40 anni». Nel dibattito interviene il direttore sanitario dell’ospedale, Francesco Giurlanda. «Il medico che viene assunto – spiega – può in qualsiasi momento dichiararsi obiettore di coscienza». In ogni caso, secondo Giurlanda, si potrebbe ricorrere a una convenzione esterna con privati. Oppure rivolgersi ad altre strutture pubbliche. Quella più vicina è l’ospedale di Castelvetrano, piccolo centro distante da Trapani 80 chilometri, dove è possibile sottoporsi all’interruzione volontaria di gravidanza. Suggerimenti che non piacciono ai sindacati pronti a intraprendere iniziative a tutela delle donne.

Sabato 18 Giugno 2016, 16:22 – Ultimo aggiornamento: 18-06-2016 17:39
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http://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/trapani_in_pensione_ginecologo_non_obiettore_impossibile_abortire-1804808.html

10 luglio 1960: i funerali delle vittime della rivolta di Palermo

Venerdì 10 Luglio 2015 05:21

Il 10 luglio 1960 si svolsero a Palermo i funerali di Francesco Vella e Andrea Gangitano, due delle quattro vittime degli scontri 10 luglioavvenuti due giorni prima.

L’8 luglio la Cgil ha indetto uno sciopero generale per i fatti di Reggio Emilia. A Palermo il centro è presidiato dalla Celere fin dalle prime ore del mattino. Il corteo è scortato da ingenti schieramenti di polizia. Improvvisamente partono le cariche: la celere assalta il corteo, caricandolo con le camionette, lanciate ad alta velocità.

La risposta del corteo non si fa attendere: vengono lanciati sassi, bastoni e quello che si trova in giro. La zona che va da piazza Politeama a piazza Verdi si trasforma in un campo di battaglia. Al centro della strada viene eretta una barricata. E’ a questo punto che le forze dell’ordine cominciano a sparare sulla folla.
Il primo ad essere colpito è un ragazzo di 16 anni, Giuseppe Malleo, che viene colpito al torace da una pallottola di moschetto. Morirà in ospedale pochi giorni dopo.
Poco dopo muoiono Andrea Gangitano (18 anni), colpito da una raffica di mitra, e Francesco Vella, organizzatore delle leghe edili che viene colpito mentre soccorre un ragazzo di 16 anni colpito da un lacrimogeno.
La polizia continua a sparare all’impazzata: la quarta vittima è una donna di 53 anni, Rosa La Barbera, raggiunta in casa da una pallottola mentre chiudeva le imposte.
Successivamente viene indetta un’altra manifestazione, alle 18 davanti al municipio. La polizia respinge i manifestanti con l’impiego di lacrimogeni e nuovamente con l’uso di armi da fuoco.
La mobilitazione durerà fino a tarda notte.
Il bilancio finale della giornata è di 300 fermi, 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco, di cui 5 sono in gravi condizioni, centinaia sono i feriti e i contusi.
Alla fine 71 dimostranti saranno arrestati.
Seguiranno tre diversi procedimenti penali, il più importante dei quali sarà quello di Palermo che comincerà il 16 ottobre 1960.
Tutti i 53 imputati saranno condannati, dopo appena 12 giorni di dibattimento, a pene che vanno fino a 6 anni e 8 mesi di reclusione.
I celerini che hanno sparato ed ucciso non saranno mai incriminati.
Lo stesso giorno, sempre l’8 giungo 1960, la polizia spara anche a Catania. In piazza Stesicoro i manifestanti cercano di erigere una barricata. Le jeep si lanciano sul corteo a forte velocità e gli agenti danno il via a d una sparatoria. Vengono colpiti dai proiettili 6 giovani.
Uno di essi, Salvatore Novembre, un ragazzo di 19 anni, viene poi massacrato dalle manganellate.
Si accascia a terra sanguinante: “mentre egli perde i sensi, un poliziotto gli spara addosso ripetutamente, deliberatamente.Uno due tre colpi fino a massacrarlo, a renderlo irriconoscibile. Poi il poliziotto si mischia agli altri, continua la sua azione”. I poliziotti impediranno, mitra alla mano, a chiunque di portare soccorso al giovane che si dissanguerà lentamente. Solo 45 minuti dopo sarà consentito di accompagnarlo su un’auto privata in ospedale, dove il giovane morirà poco dopo. Le autorità cercheranno poi di imbastire una montatura per “accertare, ove sia possibile, se il proiettile sia stato esploso dai manifestanti”.
Il 9 luglio si svolgeranno imponenti manifestazioni a Reggio Emilia (centomila manifestanti), Palermo e Catania.
Tambroni arriverà a collegare le manifestazioni ad un viaggio a Mosca di Togliatti, affermando che “questi incidenti sono frutto di un piano prestabilito dentro i palazzi del Cremlino”.

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2069-10-luglio-1960-i-funerali-delle-vittime-della-rivolta-di-palermo

17 febbraio 1977: Lama cacciato dalla Sapienza

Martedì 17 Febbraio 2015 07:37

E’ il 17 febbraio 1977, il giorno scelto da Pci e sindacato per dare una sferzata che lasci il segno a quel movimento di estremisti che ha occupato la Sapienza di Roma.

altHanno deciso che il segretario della CGIL, Luciano Lama, andrà a parlare in università. Dalle 6 del mattino tra servizi d’ordine di fgci, Pci e vari funzionari sono quasi in duemila; tutti in permesso sindacale per andare a difendere il loro segretario. Bloccano le entrate per non far passare nessuno, e cominciano a cancellare le scritte dai muri. Lama, protetto dai poliziotti di partito, inizia a parlare da un furgone, amplificato da un impianto a 20.000 watt. Assordante, e che non permette replica.

Perché questa scelta? Perché gridare in università che il movimento è composto di fascisti, e sbandierare il vessillo “della politica dei sacrifici” nella casa del “tutto e subito”? Diverse sono le interpretazioni. Chi del Pci ricorda quell’evento, parla di una leggerezza politica, di un errore di analisi, di non aver compreso che in università non c’erano piccoli gruppi autonomi, ma un movimento che già allora avrebbe salvato ben poco dell’esperienza pcista. Ma forse è più saggio pensare che all’interno della dirigenza si volesse cauterizzare quella ferita che il movimento aveva aperto nella base sociale del partito, sospingendo “quelli del ’77” su posizioni radicali che ne limitassero il contagio.

Ben prima di quel giorno si era cercato ghettizzare, isolare e rinchiudere il movimento in università; poi di presentare il Pci come il solo portatore reale dell’interesse di classe, e quindi l’unico legittimato a rappresentarla; dopo la cacciata di Lama si decide che nel movimento ci sono i buoni e gli autonomi.

La mattina del 17 febbraio, studenti e lavoratori dei collettivi fronteggiano il servizio d’ordine di Lama. L’aria è tesa, scandita dal coro “sa-cri-fi-ci!” degli indiani metropolitani, che hanno issato un fantoccio del segretario della CGIL con scritto “nessuno lama”. E poi succede, anche se nessuno nell’assemblea del giorno prima se lo sarebbe potuto aspettare.
Ci fu uno sciocco servitore del servizio d’ordine del Pci […] che brandiva un estintore enorme e stupidamente cominciò a scaricarlo sugli studenti… Quello fu il segnale per mandarli affanculo definitivamente.” (V. Miliucci in un’intervista a C. Del Bello).
Succede che Lama è costretto a correre giù dal furgone e darsela a gambe, incalzato dall’attacco dei compagni. C’è chi se lo ricorda sconvolto e sudato, preoccupato di venire catturato dagli autonomi.
Il capo delle “giubbe blu”, del legittimo e regolare esercito di classe, messo in fuga dagli “indiani”, dai dissidenti, dalla classe.

 

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn,
Capelli Corti generale ci parlò all’università,
dei fratelli “tute blu” che seppellirono le asce.
Ma non fumammo con lui, non era venuto in pace.
E a un dio “fatti il culo” non credere mai.

Coda di lupo _ F. De Andrè

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/475-17-febbraio-1977-lama-cacciato-dalla-sapienza

 

Guido Rossa: una tragedia operaia

Dal blog di Marco Clementi:

 


Il 24 gennaio 1979 il sindacalista Guido Rossa veniva ucciso dalle Brigate Rosse a Genova.
Rossa lavorava all’Italsider di Genova e pochi mesi prima aveva notato che un operaio, Francesco Berardi, si trovava spesso vicino a luoghi in cui venivano lasciati volantini delle Br. Alla fine di ottobre del 1978 Rossa segnalò Berardi alla vigilanza e nel suo armadietto fu ritrovato materiale propagandistico della formazione armata.
Berardi venne arrestato e condannato a quattro anni e sei mesi per partecipazione a banda armata e associazione sovversiva. La colonna genovese delle Br decise per una punizione esemplare e il 24 gennaio 1979 attese Rossa sotto casa, uccidendolo.
Era la prima volta che le Br sparavano contro un operaio, per di più iscritto al Pci.
Si trattò di un errore politico di estrema gravità. Non solo perché Rossa rimase ucciso. Anche il suo ferimento avrebbe provocato all’interno della classe operaia una reazione di indignazione.
Nonostante all’interno dell’esecutivo si comprese immediatamente la gravità del gesto, l’uccisione di Rossa venne rivendicata con queste parole:

Mercoledì 24 gennaio, alle ore 6,40 un nucleo armato delle Brigate Rosse ha giustiziato GUIDO ROSSA, spia e delatore all’interno dello stabilimento ITALSIDER di Cornigliano dove per svolgere meglio il suo miserabile compito, si era infiltrato tra gli operai camuffandosi da delegato. A tale scopo era passato da posizioni notorie di destra ai ranghi berlingueriani. Sebbene da sempre, per principio, il proletariato abbia giustiziato le spie annidate al suo interno, era intenzione del nucleo di limitarsi a invalidare la spia come prima ed unica mediazione nei confronti di questi miserabili: ma l’ottusa reazione opposta dalla spia ha reso inutile ogni mediazione e pertanto è stato giustiziato. Il suo tradimento di classe è ancora più squallido e ottuso in considerazione del fatto che, il potere ai servi prima li usa, ne incoraggia l’opera e poi li scarica.Compagni, da quando la guerriglia ha cominciato a radicarsi dentro la fabbrica, la direzione italsider con la preziosa collaborazione dei berlingueriani, si è posta il problema di ricostruire una rete di spionaggio, utilizzando insieme delatori vecchi e nuovi; da un lato ha riqualificato fascisti e democristiani, dall’altro ha moltiplicato le assunzioni di ex PS ed ex CC, dall’altro ancora ha cominciato a utilizzare quei berlingueriani che sono disponibili a concretizzare la loro linea controrivoluzionaria fino alle estreme conseguenze:FINO AL PUNTO CIOE’ DI TRADIRE LA PROPRIA CLASSE, MANDANDO IN GALERA A CUOR LEGGERO UN PROPRIO COMPAGNO DI LAVORO.

L’obiettivo che il potere vuol raggiungere attraverso questa rete di spionaggio, non è solo quello propagandato della “caccia al brigatista o ai cosiddetti fiancheggiatori” ma quello ben più ampio ed ambizioso di individuare ed annientare all’interno delle fabbriche qualsiasi strato operaio che esprima antagonismo di classe.

E’ l’intero movimento di resistenza proletario che oggi è nel mirino di questa campagna di terrore controrivoluzionario, scatenata dal potere e sostenuta a tamburo battente dai loro lacchè berlingueriani: questa caccia alle streghe non colpisce solo chi legge e fa circolare la propaganda delle organizzazioni comuniste combattenti, ma anche chi lotta contro la ristrutturazione, chiunque si ribelli alla linea neocorporativa dei sindacati, chiunque anche solo a parole si dialettizza con la lotta armata, senza unirsi al coro generale di “deprecazione o condanna”. Una riconferma di tutto ciò viene dall’Ansaldo dove, come già successo alla Fiat e alla Siemens, i berlingueriani hanno consegnato alla direzione una lista coi nomi di operai “presunti brigatisti”, compilata anche in base agli interventi fatti nelle assemblee precontrattuali.

QUESTA E’ L’ESSENZA DELLA POLITICA BERLINGUERIANA ALL’INTERNO DELLE FABBRICHE, IL TENTATIVO CIOE’ DI DIVIDERE LA CLASSE OPERAIA CREANDO UNO STRATO CORPORATIVO, FILOPADRONALE E PRIVILEGIATO DA CONTRAPPORRE AGLI ALTRI STRATI DI CLASSE E PROLETARI.

A chi si presta a questa lurida manovra ai vari Rossa e a tutti gli aspiranti spia, ricordiamo che, proletari si è non per diritto di nascita ma per gli interessi che si difendono e all’interno di questa discriminante sapremo distinguere, come sempre, chi è un proletario e chi è un nemico di classe.

All’interno di questo progetto, Rossa faceva parte della rete spionistica dell’Italsider, come membro dei gruppi di sorveglianza interna, istituiti dai vertici sindacali per affiancare i guardioni nei compiti di repressione antioperaia. ECCO QUAL’ERA IL SUO VERO LAVORO!! La sua grande occasione, nella quale ha raccolto i frutti di tanto costante e silenzioso lavoro è venuta il giorno in cui è riuscito a consegnare al potere un operaio che conosceva e assieme al quale lavorava da anni, il compagno Franco Berardi, “reo” di aver avuto per le mani propaganda della nostra organizzazione.

La conferma del rapporto diretto tra spioni e direzione si capisce dal fatto che Rossa, dopo aver pedinato per ore il compagno Berardi, insieme al suo degno compare Diego Contrino E’ ANDATO DIRETTAMENTE IN DIREZIONE a denunciarlo, mettendo di fronte al fatto compiuto lo stesso Consiglio di fabbrica che infatti si era spaccato quando i bonzi sindacali gli avevano imposto di coprire politicamente l’azione di spionaggio.

 

Era vero che il Pci, in collaborazione con i carabinieri di Dalla Chiesa, stesse organizzando un controllo nelle grandi fabbriche per individuare i brigatisti. Si trattava, però, di un conflitto all’interno della medesima classe sociale, che non poteva o doveva essere risolto con le armi.

Ai funerali di Rossa parteciparono decine di migliaia di persone mentre le Br persero consenso e credibilità.

La figlia Sabina, che all’epoca dell’uccisione del padre aveva solo 7 anni, avrebbe cercato i componenti del nucleo brigatista all’inizio degli anni duemila, riuscendo ad incontrarne alcuni.

Scritto un libro sulla vicenda, è divenuta senatrice dell’Ulivo nel 2006. Attualmente è deputata nel gruppo del PD.

Berardi si uccise nel carcere di Cuneo il 24 ottobre 1979. Da quel momento la colonna genovese assunse il suo nome, ma fu praticamente debellata nel marzo 1980 con la strage di via Fracchia, a pochi metri dalla casa di Rossa.

Postato 24th January 2013 da MC. Marconista

 

 

Fonte:

http://primadellapioggia.blogspot.it/2013/01/una-tragedia-operaia.html

14N #SocialStrike!

Dal blog di Bob Fabiani:
Nov 13
Ci siamo la giornata del 14N domani intende porre alcune tematiche che il governo Renzi ha sistematicamente ignorato. Si comincerà alla mezzanotte di oggi 13N quando gli attivisti dello #scioperosociale si recheranno nei locali della movida romana con l’obiettivo di parlare con i lavoratori dei locali del centro, a Roma come in tutta Italia.
Le ragioni della giornata di sciopero sono state dichiarate con chiarezza: si va dalla netta contrapposizione al jobsact, alla legge 30, dal “patto per la scuola” a rivendicazioni precise sul salario minimo europeo al reddito di cittadinanza.
È una prova importante perché pone al governo precise domande alle quali non si potrà rispondere con la solita arroganza del premier-abusivo. Sarà una prova di maturità del governo che dovrà capire che non è sempre possibile attestarsi su posizioni reazionarie quelle degli imprenditori o, di Confindustria. Chissà se il premier capirà che il paese potrà diventare moderno se, al suo interno, il governo, è in grado di mettere in campo politiche “per” i lavoratori e “non” contro.
Sarà interessante vedere se Renzi sia in grado di mettere da parte autoritarismo e quel modo un pò goffo di liquidare (con una malcelata cattiveria) le istanze della cittadinanza.
L’ampia coalizione di attivisti sociali che ha reso possibile il 14N non è ancora un movimento ma, forse, lo potrà diventare se saprà andare oltre il 14N in modo da poter prendere spunto dallo sciopero che seppero costruire i precari dei fast food USA in America e in tutto il mondo.
Questa piattaforma allargata di studenti, precari, disoccupati e attivisti si riflette anche nella giornata di sciopero che mira a rivendicare il salario minimo orario, il reddito base, l’estensione degli ammortizzatori sociali, la redistribuzione ai beneficiari (disoccupati) dei fondi del progetto Garanzia Giovani. Inoltre richiede la stabilizzazione dei precari nella scuola e, al tempo stesso ricorda al governo che c’è bisogno di un massiccio investimento nell’istruzione e nel campo della ricerca.
La convergenza con la Fiom
Lo sciopero sociale contro la crisi ha trovato un filo conduttore con la Fiom. Non si tratta solo di una occasione isolata ma, al contrario di provare a “lavorare insieme” – come ha detto il segretario Landini che ha incontrato alla Sapienza di Roma, precari, studenti e Cobas -.
È un vero e proprio percorso nel tentativo di “Unire ciò che è stato diviso questo è il compito del sindacato”.
Tutto nasce dalla necessità di unire le lotte per provare a far capire al governo che, la strada intrapresa è sbagliata e non porta da nessuna parte. Ecco che allora lo sciopero venata ke Fiom va a convergere con lo sciopero sociale per unire le proteste e le voci dei lavoratori. Significative le parole di Landini: “Lo sciopero no si fa contro ma per le proposte che abbiamo presentato al premier molti mesi fa: politica industriale, investimenti, un piano per la mobilità, i trasporti, la banda larga. L’estensione dei diritti invece della cancellazione”.
Richieste precise e chiare. Richieste che però sono in netta contrapposizione con il jobsact tanto che Landini chiosa: “Punti che non vedo né nel jobsact né nella kegge di stabilità”.
Siamo al bivio.
In tutta Italia stanno esplodendo delle gravi criticità che stanno favorendo il conflitto sarà anche per questa ragione che, il segratario generale annuncia: “Siamo in piazza ma stiamo studiando un ricorso alla Corte costituzionale sul jobsact sulla falsariga della CGIL che è ricorsa alla Corte europea per la legge sui contratti a termine”.
Domani i “due scioperi” a Milano confluiranno in una unica piazza: dal palco Fiom parleranno anche i precari dello sciopero sociale. Le prove di dialogo sono appena iniziate ma per tutelare al meglio i lavoratori, il sindacato ha bisogno di aprirsi: è quello che la Fiom ha iniziato a fare. Nella speranza che non sia troppo tardi.
(Fonte.:fattoquotidiano;ilmanifesto;larepubblica)
Bob Fabiani
Link
-www.lavoro,gov.it;
-www.fiom-cgil.it;
#scioperosociale;
#socialstrike;
#14N
Fonte:

Mario “Mariano” Lupo

Fonte:

http://archiviofoto.unita.it/index.php?f2=recordid&cod=632&codset=CRO&pagina=42#foto_2

 

Mario (Mariano) Lupo

Fonte: http://www.fondazionecipriani.it/

7 maggio 2005

 

25 agosto 1972
A Parma, militanti missini uccidono a coltellate Mariano Lupo, ventenne iscritto a Lotta continua, presso il cinema Roma dove egli era accorso per difendere la sua ragazza, Gabriella, minacciata da un gruppo di militanti di destra. Saranno inquisiti Edgardo Bonazzi, Andrea Ringozzi, Pier Luigi Ferrari e il consigliere comunale del Msi-Dn Luigi Saporito

27 agosto 1972
A Parma, si svolgono con migliaia di persone e bandiere rosse i funerali di Mariano Lupo, la cui salma è stata esposta nell’aula consiliare del Municipio. Ma ci sono polemiche nella sinistra. “L’Unità” non ha scritto che Mariano Lupo era un militante di Lotta continua e la giunta di sinistra ha fatto defiggere uno striscione di quella organizzazione che denunciava l’uccisione. I tre sindacati provinciali dei metalmeccanici, invece, emettono una nota congiunta nella quale affermano che, a fronte della violenza di destra, finora “si è fatto poco, e quel poco si è fatto male. Non si è mai organizzata una risposta di massa efficace, non si sono colpite le radici del fenomeno”.

6 settembre 1972
A Ferrara, è arrestato Pier Luigi Ferrari, militante di destra, indiziato di aver partecipato all’aggressione a Mariano Lupo.

27 novembre 1972
A Parma, i due militanti di destra arrestati per l’assassinio di Mariano Lupo, Ettore Croci e Angelo Tommaselli, sono scarcerati con la motivazione che hanno subito minacce e il carcere non è sicuro per la loro incolumità.

14 maggio 1975
Ad Ancona, inizia il processo per l’uccisione di Mario Lupo a carico dei neofascisti Bonazzi, Ringozzi e Saporito. Il processo, che doveva iniziare nel gennaio 1974, era stato rinviato per il ricorso in Cassazione dei difensori degli imputati.

21 maggio 1975
Ad Ancona, al processo per l’uccisione di Mario Lupo, il teste Zefferino Ghirarduzzi dichiara di aver avuto minacce da parte dei neofascisti allo scopo di farlo desistere dalla testimonianza e di essere stato oggetto anch’egli di un’aggressione a Parma, un mese prima della morte di Lupo, cui avrebbe partecipato lo stesso imputato Bonazzi, dalla quale egli dice di essere scampato fuggendo e rifugiandosi in un negozio.

30 luglio 1975
Ad Ancona, termina il processo in Corte d’assise per la uccisione di Mario Lupo, con la condanna dell’accoltellatore Edgardo Bonazzi a 11 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, e di Andrea Ringozzi e Luigi Saporito per concorso, rispettivamente a 6 anni e 10 mesi e a 4 anni e 5 mesi. E’ invece assolto per insufficienza di prove, Luigi Ferrari. All’uscita dall’udienza, scoppiano tafferugli fra neofascisti e militanti di sinistra, nei quali rimangono contusi fra gli altri, un corrispondente del “Corriere adriatico” e uno del “Quotidiano dei lavoratori” .

3 giugno 1976
Ad Ancona, alla riapertura del processo in secondo grado per l’uccisione di Mario Lupo nell’agosto 1972, la difesa di Bonazzi, Ringozzi e Saporito (condannati rispettivamente a 11 anni, 6 anni e 10 mesi, 4 anni e 5 mesi in primo grado) avanza la ‘legittima suspicione’.

Non sono state reperite informazioni successive.

 

Fonte:

http://www.reti-invisibili.net/marianolupo/

Genova 30 giugno 1960. No al governo Tambroni e al Congresso dell’MSI

30 giugno 2013 alle ore 11.53

La lotta paga!

A Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza, l’antifascismo è un valore ancora molto vivo nel 1960, quando il Msi (Movimento Sociale Italiano) annuncia che terrà nel capoluogo ligure il proprio Congresso nazionale a partire dal 2 luglio. La sede prescelta è il Teatro Margherita, a pochi passi dal ponte monumentale in ricordo dei Caduti per la libertà. Ad accendere ancor più gli animi la comunicazione che presiederà l’evento quel Carlo Emanuele Basile, ultimo prefetto della Repubblica di Salò, soprannominato il boia per le responsabilità nella morte e deportazione di antifascisti e comunisti. Fu subito chiaro che si trattava di un tentativo di reinserire il fascismo alla guida del paese, manovra resa possibile dalla costituzione ad opera di Ferdinando Tambroni, pochi mesi prima, di un monocolore democristiano eletto grazie ai voti determinanti del Msi, esecutivo che creò contrasti nella stessa Dc.

 

 

All’inizio di giugno prende avvio una mobilitazione che vede uniti operai e intellettuali, portuali e studenti, partigiani e giovani proletari con quelle “magliette a righe” che diverranno il simbolo della rivolta. In un susseguirsi di cortei, comizi, forme di boicottaggio individuale, si arriva allo sciopero provinciale proclamato dalla Cgil per il 30 giugno. La Cisl lascia i propri iscritti liberi di aderire, la Uil si schiera contro. Centomila persone attraversano in corteo la città. Al termine del comizio i sindacalisti invitano i presenti a tornare a casa. In molti non ubbidiscono, e in piazza De Ferrari, lanciando slogan e canti, circondano le camionette della polizia. Idranti, lacrimogeni e caroselli non bastano a sedare la rivolta. La piazza diviene un campo di battaglia. I poliziotti, colpiti da pietre, bottiglie, sedie, sparano colpi di arma da fuoco. Sorgono barricate, vari gipponi sono rovesciati e incendiati. Un ufficiale è gettato in una fontana, molti celerini vengono disarmati. Numerosi i feriti da entrambe le parti. I manifestanti si fanno inseguire nel dedalo dei carruggi, dove la polizia è bersagliata da pietre e vasi di fiori. I lavoratori sono padroni delle strade. L’invito alla calma dei dirigenti dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) viene accettato solo quando la Celere inizia a ritirarsi. Il processo contro i manifestanti si concluderà con 41 condanne fino a 4 anni e 5 mesi.

 

 

Il 1 luglio nuovi reparti di polizia e carabinieri affluiscono in una città blindata: zone bloccate da sbarramenti di filo spinato e cavalli di Frisia. Banche, stazioni, edifici pubblici sono presidiati. Tambroni conferma che il congresso si terrà. Nella notte il clima è pre-insurrezionale: trattori avanzano verso gli sbarramenti, nei quartieri del porto si confezionano molotov, le organizzazioni partigiane creano un comitato pronto a prendere il governo della città. Il congresso missino, inizialmente spostato a Nervi, viene annullato all’alba del 2. La città che nel 1948, dopo l’attentato a Togliatti, restò per due giorni in mano al popolo armato, era riuscita a impedire il congresso. Una grande manifestazione celebra la vittoria.

 

 

Lo scontro sociale e politico rimane però particolarmente aspro. Tambroni emana direttive per impedire con la forza le manifestazioni contro il governo. Il tributo di sangue pagato nei giorni successivi dalle masse popolari sarà molto alto. Il 5 luglio a Licata, in Sicilia, la polizia provoca il primo morto, Vincenzo Napoli. Il 6 luglio squadroni a cavallo caricano gli antifascisti a Roma, a Porta San Paolo, ferendo alcuni deputati di Pci e Psi. Il 7 luglio gli scontri si spostano a Reggio Emilia, dove muoiono cinque operai: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi e Afro Tondelli. L’8 luglio la Cgil indice uno sciopero generale in tutta Italia. A Palermo vengono uccisi Francesco Vella, Rosa La Barbera, Giuseppe Malleo e Andrea Cangitano, a Catania Salvatore Novembre. Centinaia i feriti. Il 19 luglio Tambroni si dimette, dando avvio alla stagione del centrosinistra.

 

 

Scheda di Paola Staccioli , in Piazza bella piazza.

Gli scontri in piazza de FerrariGli scontri in piazza de Ferrari

 

 

 

Fonte:

https://www.facebook.com/notes/paola-staccioli/genova-30-giugno-1960-no-al-governo-tambroni-e-al-congresso-dellmsi/10151561303618264