Intervista a Carmen Ferrara, attivista non-binary e ricercatrice in formazione

 

Carmen Ferrara

Io: Ti definisci un’attivista per i diritti LGBTI non-binary. Ti va di spiegarci cosa significa?

C.F.: Certo. Io sono una persona non binaria, non colloco la mia identità di genere in maniera binaria, non sono un mix di maschile e femminile, rifiuto proprio di definirmi in relazione a questi parametri. Per convenzione e per una scelta politica utilizzo i pronomi femminili. Rispetto alla mia identità di attivista, innanzitutto ci tengo a dire che non si fa attivismo, ma si è attiviste. Quando ero al terzo anno di liceo mi sono innamorata della mia compagna di banco. Non ho fatto coming-out come lesbica, perché questo presupponeva che io fossi donna. Ho semplicemente detto di provare dei sentimenti per una ragazza. Provengo da un piccolo paese vesuviano e non avevo internet a casa, ma lo usavo a casa di amici. Tramite un sito di incontri ho scoperto l’esistenza di associazioni e ho iniziato a frequentare Antinoo Arcigay Napoli, ormai quasi dieci anni fa. Ho preso consapevolezza dei miei diritti e delle ingiustizie sociali, per cui è stato naturale iniziare ad impegnarmi attivamente.

Io: Rispetto al tuo percorso di studi, cosa ti ha spinto al punto da voler intraprendere un dottorato di ricerca nell’ambito degli studi di genere?

C.F.: Ho fatto un liceo delle scienze umane, che all’epoca di chiamava socio-psico-pedagogico. Per la mia famiglia era strano che dopo il liceo volessi fare l’Università perché provengo da un contesto umile. La mia famiglia non aveva possibilità economiche e mi sono mantenuta facendo vari lavori: il call center, la cameriera, le pulizie, la badante. Sapevo che studiare era un modo per migliorare la qualità della mia vita, per prendere le distanze da modalità violente che caratterizzavano l’ambiente in cui sono cresciuta e soprattutto per potermi difendere. Sia alla triennale che alla magistrale ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, volevo comprendere la società e imparare l’inglese per ampliare le mie opportunità. Durante la stesura della tesi mi sono approcciata alla ricerca e me ne sono appassionata. La prima è stata sui migranti LGBTI, la seconda è stata sulla pianificazione strategica delle politiche di inclusione a Malta. Dopo di che ho iniziato a collaborare con un think tank, spin-off dell’Università di Cambridge che si chiama GenPol- Gender & Policy Insights. Un dottorato in studi di genere mi sembrava la naturale evoluzione del mio percorso e quindi ho fatto domanda per un dottorato transdisciplinare dal titolo “Mind, Gender and Language” sempre alla Federico II di Napoli.

Io: Nel libro che hai pubblicato sottolinei l’importanza dell’intersezionalità, cos’è e perché è importante?

C.F.: L’intersezionalità è un concetto spesso abusato, ma se applicato con criterio consente di rendere visibili forme di oppressione che altrimenti sarebbero neutralizzate. Nel caso delle donne trans nere, ad esempio, è fondamentale adottare un approccio intersezionale per comprendere le discriminazioni che possono subire. Facciamo il caso che in un progetto per l’inclusione lavorativa delle persone trans e delle persone migranti i datori di lavoro accettino di assumere solo persone trans bianche e persone migranti cisgender. Cisgender, per intenderci, è il contrario di transgender. Come ci insegna Kimberlé Crenshaw, che è colei che ha teorizzato questo concetto, se una donna trans nera non viene assunta da nessuna azienda e per leggere l’accaduto si utilizza la lente dell’identità di genere, i datori di lavoro potranno dire che non hanno fatto alcuna discriminazione di genere, perché loro hanno assunto delle persone trans. Se guardiamo alla razza, loro diranno che non sono stati razzisti, perché hanno assunto persone migranti. Però non hanno assunto nessuna donna trans nera e questa discriminazione può essere vista solo se si osservano contestualmente le dimensioni del genere e della razza e il  loro punto di intersezione. Nelle pratiche politiche è importantissimo adottare un approccio intersezionale, perché non ci si può battere per i diritti delle persone LGBTI senza considerare le persone LGBTI migranti e/o disabili e, aggiungo, è controproducente impegnarsi per i diritti di una minoranza senza fare fronte comune.

Io: C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

C.F.: Sì, un altro aspetto importante da considerare è legato alla povertà, alla lotta di classe. E quando parlo di povertà ovviamente parlo di povertà economica, educativa, deprivazione materiale e affettiva. Noi che siamo meridionali lo sappiamo bene. In questo momento, tra le varie cose, mi sto occupando di una particolare forma di violenza di genere, che è la violenza domestica nelle relazioni con partner LGBTI ed è sconvolgente il numero di survivors senza fissa dimora, per cui non esistono servizi, né rifugi. Questo è un dato che come associazione conosciamo bene, ma supportare la ricerca vuol dire raccogliere dati e avere contezza di un fenomeno consente di fare pressione sul legislatore e di porre in essere politiche e servizi che tengano conto dei bisogni specifici.

Raccogliere informazioni è propedeutico alla creazione di una società più giusta. Poi credo sia importante che chiunque lo faccia (come te hai un blog, da poco ne ho aperto uno anch’io) per sensibilizzare in più ambiti possibili.
In conclusione vorrei dire che in questo momento di pandemia, è fondamentale più che mai non dimenticare tutte le persone che vivono ai margini, in spazi senza privacy e senza poter accedere ai paracaduti sociali, pensa alle sex workers senza cittadinanza.
Io sono senza dubbio una persona privilegiata sotto tanti punti di vista e, tra l’altro, posso dirti che oltre ai legami di sangue che lasciano il tempo che trovano se non coltivati, per molte persone queer come me la comunità diventa la tua famiglia. Quando sono stata a Malta per il periodo di ricerca etnografica non conoscevo nessuno, ma il fatto che fossi un’attivista mi ha fatto trovare lì una comunità che mi ha accolta come se mi conoscesse da sempre. Mi ritengo veramente una persona molto fortunata.

Settimana contro il razzismo/ Reggio Calabria, inaugurato Help Center

 Settimana contro il razzismo/ Reggio Calabria, inaugurato Help Center

 

Lena si fidava solo dei suoi cani, 12 amici da sfamare e da coccolare e per loro è morta in una giornata di freddo cercando cibo tra i rifiuti. Una vita ai margini la sua, ma negli ultimi anni ha incontrato i volontari che le portavano cibo e la facevano sentire meno sola.

A lei è dedicato il Centro d’accoglienza “La casa di Lena”, un Help Center, voluto dalle Ferrovie dello Stato, Caritas diocesana ed associazioni di volontariato,

36 metri quadrati, dentro la Stazione centrale di Reggio Calabria per i senza tetto e per tutti coloro, poveri e gente in difficoltà, che ruotano attorno alla stazione. Per offrire ascolto, accoglienza, ma anche laboratori di formazione, un internet-point, attività di doposcuola per i bambini che presentano particolari disagi.

La nostra intenzione – spiega Bruna Mangiola, responsabile del settore promozione umana e Welfare della Caritas diocesana impegnata da anni in questo settore con don Nico Pangallo, direttore della Caritas–, è quella di tenerlo aperto almeno tre giorni di mattina e due volte di pomeriggio. Offriremo un pasto caldo, come pure per tutti i migranti che dovranno partire”.

 

 

 

Nella Giornata mondiale contro le discriminazioni razziali, dunque, l’Help Center è stato inaugurato ufficialmente alla presenza dei vertici delle Ferrovie, dell’Unar e della Chiesa.

Due distinti appuntamenti artistici hanno allietato il pomeriggio: I “Don Cosciotti senza mancia” attori teatrali, hanno coinvolto direttamente i minori non accompagnati ospiti dell’Unitas Catholica, sollecitando il pubblico con un “raid teatrale” finalizzato a mettere in evidenza la similarità tra l’emigrazione italiana e l’immigrazione in Italia. Ed inoltre lo spettacolo di artisti di strada “Dal Cairo con furore”.

L’Orchestra giovanile dello Stretto “Vincenzo Leotta”, formata da circa 50 bambini e ragazzi coinvolti in un progetto di integrazione sociale, si è esibita con una coinvolgente performance strumentale.

Fonte:

http://www.immezcla.it/inchieste-immigrazione/cultura/item/880-casa-di-lena-ferrovie-dello-stato-caritas-unar-giornata-mondiale-21marzo.html

Padova, quattro vigili contro mendicante con una gamba sola

In un video, in azione i vigili dell’assessore ossessionato dai mendicanti. In due mesi 500 persone povere multate, identificate 162, compiuti 8 sgomberi

di Enrico Baldin

(video di Andrea Saggion Facebook)

 

«Stava mendicando. Gli hanno detto di alzarsi ‘in piedi’, fornire i documenti e lui glieli ha dati. Gli hanno fatto un verbale, hanno chiamato rinforzi e l’hanno immobilizzato», ha scritto uno studente universitario dopo aver girato, sabato scorso, la scena con uno smartphone e averla postata su Facebook. La scena brutale è quella dell’arresto, quattro pizzardoni neroruti contro una persona con una sola gamba. Padova, famoso mercato di Prato della Valle.
500 mendicanti multati, identificati altri 162, compiuti 8 sgomberi di edifici. A Padova da un paio di mesi è di moda la caccia all’accattone. Una pratica non nuova ma di stretta attualità nella città veneta. La nuova giunta presieduta dal leghista Bitonci, ne ha fatto una vera e propria ragione di vita da quando si è insediata dopo le elezioni di maggio. L’assoluto protagonista è Maurizio Saia, assessore alla sicurezza. Saia proviene dalla “scuola buona”: molti anni da rautiano a criticare la linea “troppo morbida” dell’MSI, poi i ruoli di spicco in AN di cui è stato deputato e senatore.
L’idea di Saia è quella di “ripulire” Padova da mendicanti e accattoni che poco si sposano con le lussuose vetrine di via Roma e via VIII febbraio e con la vista degli avventori del caffè Pedrocchi. E così, dopo aver dotato i vigili di cani da usare contro i mendicanti, Saia punta ad aumentare i posti di foto-segnalazione dove trarre i fermati: «Serviranno a tenere il più lontano possibile distanti dal centro della città questi elementi di disturbo». Nella conferenza stampa che l’assessore ha convocato dopo il ponte di Ferragosto non ha mancato di esaltare i successi dell’ordinanza anti-accattoni: in due mesi sono stati multati 500 mendicanti e identificati altri 162 e sono stati compiuti 8 sgomberi di altrettanti edifici.
I vigili pare lo abbiano preso proprio alla lettera: erano quattro quelli che ieri hanno immobilizzato col volto a terra un mendicante disabile. La “valorosa” azione che ha attirato a sé un capannello di curiosi, è stata filmata da un passante.
L’assessore non si accontenta di colpire solamente i mendicanti che sovente si trovano lungo le vie di Padova. Per Saia è importante anche «chiudere i luoghi dove questi individui vanno a dormire». E a tutto campo Saia se la prende anche con chi da rifugio e aiuto a costoro. Un’autentica autorità a Padova è don Albino Bizzotto, presbitero 75enne e una vita per la pace e dalla parte degli ultimi. Don Albino è il fondatore dei Beati i costruttori di pace, associazione che in quasi 30 anni ha organizzato molte iniziative: dalla marcia per la pace a Sarajevo in piena guerra nel 1992, alle proteste contro il conflitto in Iraq, dalle manifestazioni contro la base militare Dal Molin allo sciopero della fame dell’anno scorso contro la cementificazione e le grandi opere nel Veneto. I volontari dei Beati i costruttori di pace inoltre, nella loro sede a Padova, aiutano i bisognosi in molte attività, dall’aiuto nella ricerca di un lavoro al pagamento di bollette e la distribuzione di generi alimentari.
Saia se l’è presa con don Albino Bizzotto: «Tutti i fermati dai nostri vigili chiedono subito di parlare con don Albino». L’assessore alla sicurezza ha riportato un fatto avvenuto recentemente: «I vigili volevano fermare due lavavetri, ma questi si sono rifugiati in casa di don Albino che con gli agenti si è mostrato poco collaborativo». L’invito di Saia – seccato anche dal fatto che la sede dei Beati i costruttori di pace dia anche ospitalità a nomadi – è stato perciò perentorio: «Vada a svolgere le sue attività altrove». Più che un invito una minaccia: Saia infatti ventila la possibilità di sfrattare l’associazione da uno stabile concessogli molti anni fa dal Comune. Don Albino da parte sua commenta che Padova non deve essere una città “senza cuore”.
Non è da escludere che questa crociata contro don Albino sia anche una ritorsione per la denuncia che a luglio è stata depositata da alcune associazioni padovane – tra cui Beati i costruttori di pace – contro Bitonci e Saia. Antigone, Razzismo stop, Beati costruttori di pace, Avvocato di strada, Altragricoltura nordest, giuristi democratici e Laboratorio Bios accusarono sindaco e assessore di istigazione all’abuso di potere e al sequestro di persona.
In attesa dei nuovi provvedimenti della giunta Bitonci, intenta a dare risposte alla Padova che vede nel mendicante un elemento di disturbo, si attendono anche le risposte alla Padova che chiede di poter sopravvivere e di avere un posto in cui mangiare e dormire.
Il caso occupa le prime pagine dei giornali locali e la giunta prova ad avvalorare la versione del mendicante molesto e di una rimozione compiuta per il suo bene. Un giornale locale ha scovato la vittima e l’ha intervistata. Dopo due notti all’asilo notturno del Torresino, l’uomo vorrebbe andarsene da Padova. Si chiama Daniel Vancea, ha 41 anni ed è originario della Romania. «Ero appena uscito dall’ospedale dove ero stato ricoverato una settimana per problemi respiratori e al fegato», racconta il mendicante al Mattino di Padova. «Sabato pomeriggio in Prato della Valle chiedevo l’elemosina per comprare la vitamina b1 che il medico mi aveva consigliato di prendere. Ad un certo punto sono arrivati i vigili. Mi hanno chiesto un documento, gliel’ho dato, ma questi mi hanno fatto una multa di 50 euro. Non avevo fatto nulla e non avevo quei soldi, così ho strappato il foglio. Mi hanno preso per un braccio e mi hanno buttato a terra. Ho sbattuto il ginocchio e la schiena. Nella concitazione mi sono anche ferito dandomi una stampella in testa. Mi hanno ammanettato e tenuto fermo immobile. Tutti mi guardavano, come se fossi un ladro. Poi è arrivata l’ambulanza che mi ha portato al pronto soccorso, dove sono rimasto fino a sera prima di venire qua al Torresino». Era a Padova da tre settimane, prima viveva in Germania. «Appena mi portano delle stampelle nuove vado in stazione e salgo sul primo treno che va in Lussemburgo».

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2014/08/19/padova/

DUE PAROLE SUI MONDIALI DI CALCIO IN BRASILE

Share

09 giugno 2014

di Silvestro Montanaro*

Pubblicato il 9 giugno 2014 sulla pagina Facebook dell’autore

disegno di Ivan Navarro Sardella

Anni fa, Roberto Murolo e Lina Sastri interpretarono una straordinaria melodia, “Quante bugie”. Era dedicata alla loro città, Napoli, ed invitava ad andare oltre le apparenze per scoprirne, con i suoi “eterni” mali e vicoli, il dolore profondo che ne impregna la storia quotidiana.

In sintesi, dicevano, se volete conoscere Napoli, andate in giro per i suoi quartieri popolari. Lì scoprirete quante bugie si raccontano… e che il sole, il mare e l’allegria sono solo una parte dell’anima e del vissuto della gente che vi abita. Il resto ha un sapore tremendamente amaro.

In questi ultimi giorni prima del mondiale di calcio in Brasile, infuria la polemica. Avevo sperato che le intelligenze si destassero e finalmente facessero i conti con questo sempre più mostruoso colosseo che sono gli eventi messi in piedi dalla Fifa. Niente contro il calcio, per carità, ma quanto calcio è restato in questo business miliardario che ancora ne porta il nome?

Ed ancora, niente contro i grandi eventi internazionali, ma come non vedere che alcuni grandi flussi di spesa pubblica, cioè soldini dei contribuenti, vengono investiti in eventi come la Coppa del mondo, in paesi con stridenti disparità sociali e maleodoranti ingiustizie, senza neanche pensarli per un attimo come possibile strumento di riqualificazione urbana e sociale? E come non vedere che alla fine di quei soldini di tutti, a trarre beneficio, e’ sempre e solo una ben nota minoranza?

Ora una cerchia crescente di “cantanti” prezzolati, accusa quasi di razzismo chi critica la faraonica, costosa, violenta e corrotta operazione dei mondiali in Brasile. Perché criticate, dice questa lercia compagnia? Forse che il Brasile, in quanto sud del mondo, non ha diritto ad organizzare questo tipo di eventi? Ed aggiungono che eventuali ruberie e mancanze, in fondo, ci son sempre state e sempre ci saranno, ad ogni latitudine. Insomma, viva la Coppa e viva il Brasile, il paese più bello del mondo e, udite udite, il più socialista grazie ai governi prima di Lula ed ora della Dilma Roussef. Miserabili bugiardi…

Nessuno mette in discussione il diritto del Brasile di organizzare un grande evento. È ormai l’ottava economia mondiale e ci ha persino superati. Ma sono i brasiliani ad aver che dire. La critica di massa, espressasi in questi mesi in migliaia di manifestazioni, è ad un investimento che rende profitti per pochi e lascia inalterati, ed anzi aggrava, i problemi di sempre. Scuola, sanità, diritti elementari sono e resteranno per pochi. I miliardi investiti avrebbero potuto riqualificare ambienti urbani terribili, invece hanno prodotto violente ulteriori emarginazioni.

Ed è ovvio per chiunque sia in buona fede che un biglietto per assistere ad una partita, pari al salario minimo brasiliano, suoni più che un’offesa per tanta gente di quella parte del mondo. Il paese più “socialista” del mondo con Lula e Dilma ha sicuramente aumentato salari e pensioni, ma nello stesso tempo non ha voluto controllare un vertiginoso aumento dei prezzi che quegli aumenti ha volatilizzato. Prezzi che, con il mondiale, ora sono alle stelle.

Quello stesso paese più “socialista” del mondo, con Lula e Dilma, si e’ definitivamente consegnato ai signori della grande finanza. Lo sviluppo si e’ basato anche su una diffusione dei consumi a dir poco drogata. Non un aumento reale della capacità di spesa dei cittadini, ma strumenti finanziari come gli acquisti con carte di credito che hanno riempito anche le famiglie più fragili economicamente, tuttora maggioritarie, di inutili tessere magnetizzate. In media ogni famiglia ne possiede una dozzina e sono tutte divenute carte di debito grazie ad interessi finanziari che, nel Brasile “socialista“, arrivano e superano tranquillamente il 100%. Un mare immenso di debiti grava su tanta parte delle famiglie brasiliane. Debiti da ripagare, ma non si sa con quali soldi.

E sempre in questo “paradiso in terra“, la finanza ha talmente in mano le leve del il potere che gestisce in proprio la salute e la scuola. Ovviamente quelle private e a caro costo. Indovinate chi si oppone nei fatti ad una riqualificazione di quelle pubbliche ridotte in condizioni miserabili? Chissà perché mi viene in mente che tra certi che qui da noi inneggiano ad un simile sistema paese, sicuramente ci sono quelli del “e vai! Abbiamo anche noi una banca!

In questo straordinario santuario del progresso, ora chi contesta, sia esso un poveraccio, o un insegnante della scuola pubblica o un medico di un ospedale pubblico al collasso, è un criminale. In ogni caso sospetto di volere un ritorno delle destre al potere. “Taci, il nemico ti ascolta!” Sembra più fascismo, più stalinismo, no?

Chi critica questi mondiali e’ un criminale ed un nemico del paese. E da nemico viene e va trattato. La critica è nemico. Lessico socialista? Ma via! È gravissimo, soprattutto in un paese che non ha mai fatto i conti con il suo passato dittatoriale e che ha i suoi strumenti di ordine interno (polizia, esercito, forze speciali…) ancora impregnate di quella violenza e spirito di morte, tanto da non esser ancora stato capace di risolvere il problema degli squadroni della morte e delle lupare bianche ai danni dei marginali, fossero anche bambini.

Ed allora, a chi andrà da quelle parti, chiedo di parlare con la gente normale e visitare qualche quartiere popolare. Per capire, per scoprire che carnevale, pallone, mare e amore affollano anche qui il proscenio di mille canzoni. Ahimè, profondamente bugiarde.
Il carnevale come la coppa durano pochi giorni… poi c’e’ la vita, quella vera, con tutta la fatica dei suoi problemi. Quella che a certi bugiardi di professione non e’ mai interessata.

*Silvestro Montanaro,

  scrittore, giornalista ed autore televisivo. La sua serie di reportages televisivi “C’era una volta…“, è andata in onda su Rai 3 dal 1999 al 2013.

  Il sito “I grandi reportages di Silvestro Montanaro” raccoglie quasi tutti i suoi documentari.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!due-parole-sui-mondiali-in-brasile-di-s/cqxu

DALL’ITALIA AL BRASILE, CONTRO LA COPPA DEL MONDO, PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

Domenica 25 Maggio 2014 15:34

 

alt

Riceviamo e pubblichiamo questo altro contributo sulla manifestazione imponente che ha attraversato le strade di San Paolo giovedì scorso, per ribadire la propria contrarietà ai mondiali brasiliani che si terranno quest’anno in Brasile.

Quello appena trascorso è stato un “giovedì rosso” per la capitale economica brasiliana: più di 20 mila persone sono infatti scese in strada bloccando l’intera San Paolo.

Si chiude dunque con un risultato decisamente positivo il terzo “Ato Copa Sem Povo, Tô na Rua de Novo!” (Coppa del Mondo senza il popolo, torno in strada di nuovo!), lanciato dal Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) e da Resistenza urbana, a cui hanno preso parte molte organizzazioni che si stanno opponendo ai Mondiali brasiliani, vari forum per la salute pubblica e collettivi.

Nonostante la pioggia battente che ha colpito la città, senza concedere nemmeno un minuto di tregua, ed il rischio che compagni e compagne non riuscissero a raggiungere la manifestazione a causa di problemi nel trasporto pubblico, questo terzo Atto, il primo organizzato direttamente dal MTST, si è rivelato un vero successo per i movimenti brasiliani.

Con la partecipazione di più di 20 mila persone, il corteo ha attraversato il Largo da Batata fino al Ponte Estaiada, cartolina postale della città, per ricordare al governo brasiliano ed al mondo intero il disaccordo di gran parte della popolazione con gli sprechi bilionari in vista della Coppa del Mondo, che favoriscono solo le grandi imprese edili ed il mercato immobiliare. La piazza chiede invece che venga finalmente garantito il diritto ad un’abitazione dignitosa per tutti e tutte, la riduzione immediata delle tariffe di trasporto pubblico, un’educazione statale di qualità e che venga aperto un tavolo di discussione con i movimenti. “O le risorse per il diritto all’abitare tornano ad essere adibite alla costruzione di alloggi per i lavoratori attualmente senza tetto, o il Mondiale di giugno si rivelerà un mese rosso di lotte”, ha enfatizzato Guilherme Boulos, coordinatore nazionale del MTST, durante l’assemblea.

La protesta è avvenuta senza alcun incidente, segno di un’ottima capacità organizzativa e di una forte determinazione a lottare per i diritti di chi in Brasile sembra essere stato dimenticato, ma anche prova del fatto che, quando la polizia non interferisce e non agisce in maniera repressiva e violenta durante le manifestazioni, queste avvengono generalmente senza grossi problemi.

Il MTST indirà nuovi cortei nel caso non venissero ascoltate le richieste riaffermate anche giovedì, mentre a San Paolo continua l’occupazione “Coppa del Popolo”,  situata a meno di 4km dallo stadio dove si aprirà il Mondiale, l’Itaquerão, e che conta ormai più di 3000 occupanti.

Qui di seguito, le richieste specifiche del MTST, in merito a Diritto all’abitare e Riforma urbana:

1. Controllo statale dei prezzi degli alloggi urbani, per il quale venga stabilito come tetto dei nuovi calcoli l’indice inflazionistico. Questa misura è essenziale per combattere la speculazione immobiliare che colpisce i lavoratori più poveri.

2. Una Polizia Federale che non favorisca, ma invece prevenga gli sgomberi forzati, con la costituzione di una Commissione di vigilanza, legata alla Segreteria Speciale dei Diritti Umani.

3. Modifiche al programma “Minha Casa Minha Vida” (Casa mia, la mia vita), con regole che stabiliscano una miglior scelta delle aree ed alloggi più dignitosi.

Nel frattempo, anche il resto del Paese resta teatro di continue proteste. È significativa quella di Belo Horizonte (Minas Gerais), una delle dodici città sede della Coppa del Mondo, dove i dipendenti comunali di tutte le categorie in sciopero dal 6 maggio hanno paralizzato la città (nel settore dell’educazione i dipendenti in sciopero sono più dell’80%, in quello dell’assistenza sociale si arriva al 90%). Nonostante la grande mobilitazione, le rivendicazioni dei lavoratori non sono ancora state accolte, per questo centinaia di scioperanti si sono accampati all’ingresso del Comune, con l’obiettivo di mantenere alta la pressione da parte della popolazione.

*MTST
Il Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) è un movimento sociale radicato nei quartieri periferici che organizza lavoratori urbani attraverso l’occupazione di terre e lotte dal basso ad organizzazione popolare. Il tutto ha avuto inizio nel 1997, a partire dall’esempio del Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST), perché questo potesse diffondersi anche nelle grandi città, con l’obiettivo di lottare per una riforma urbana. Il gruppo è diventato uno degli attori principali di alcune tra le maggiori proteste iniziate l’anno scorso nella capitale paulista.

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/11852-dallitalia-al-brasile-contro-la-coppa-del-mondo-per-il-diritto-allabitare

Leggi anche qui:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/11843-brasile-pi%C3%B9-di-20-mila-persone-in-piazza-contro-i-mondiali-per-la-risoluzione-dellemergenza-abitativa

E qui:

http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/461301/Mondiali-in-Brasile-il-murales-contro-lo-spreco-fa-il-giro-del-mondo