SIRIA: IDLIB, UCCISI PIU’ BAMBINI NELL’ULTIMO MESE CHE NEL 2018

Dalla pagina Facebook di 
Alberto Savioli

#Siria A #Idlib sono stati trucidati più bambini in un mese che nel 2018. Ci sono immagini che diventano delle icone della brutalità e dell’orrore. Sono immagini e vite ignorate da chi si riempie la bocca con parole come pace “pace” o “fine della guerra”, svuotate del loro significato perché hanno lo scopo di riabilitare #Assad. Quanti preti e suore si contano tra questi ignavi che postano sulle loro bacheche la lettera di Papa Francesco ad Assad, ignorando e distorcendo il suo contenuto!

Informazioni su questo sito web
INDEPENDENT.CO.UK
Charity says more children were killed in Idlib last month than in whole of 2018
Fonte:

FINITA L’ODISSEA DELL’ACQUARIUS

Dal profilo Facebook di don Nandino Capovilla:

“BENVENUTI IN FAMIGLIA!” Come un’eco di preghiera, arriva da Valencia alla Cita una stessa invocazione: “All I have to say, thank you God!”- hanno cantato i sopravvissuti dell’Aquarius, stremati dalle violenze prima libiche e poi italiane, compiute “non in nostro nome”, in violazione di Trattati e Convenzioni Internazionali.

CHI RENDERA’ GIUSTIZIA A MADRE AFRICA, che dopo aver partorito l’umanità, continua ad essere da noi depredata “a casa loro”? Certamente non l’egoismo di popoli che si illudono di blindarsi in un sovranismo nazionalista e antievangelico. Sarà piuttosto la testimonianza quotidiana di comunità cristiane accoglienti a rispettare “il diritto alla speranza di chi non dovrà mai più essere lasciato in balìa delle onde dopo aver lasciato la sua terra affamato di pace e giustizia”(papa Francesco)

QUATTRO FIGLI IN UMANITA’ sono stati battezzati stamattina alla Cita e l’antichissima voce dal Cielo –“Tu sei mio figlio, l’amato!”- è risuonata a conferma della vocazione di comune appartenenza all’unica famiglia umana. Per questo, oggi e sempre e nonostante tutto, canteremo con gioia “BENVENUTI IN FAMIGLIA!”

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi
Fonte:

https://www.facebook.com/nandinocapovilla/posts/1835329236529470

 

L’intollerabile odissea forzata della Aquarius è terminata

La nave umanitaria approda a Valencia con i 630 naufraghi dopo otto giorni di mare

La Aquarius, nave di soccorso umanitario noleggiata da SOS MEDITERRANEE e gestita in partnership con Medici senza Frontiere, è entrata nel porto di Valencia in Spagna questa mattina, in convoglio con una nave della Guarda costiera italiana e con una nave militare italiana, per lo sbarco di 630 persone, soccorse nel Mediterraneo otto giorni prima.

Questi 630 tra uomini, donne e bambini sono fuggiti da un calvario inimmaginabile in Libia più di otto giorni fa: spinti su gommoni da trafficanti spietati, hanno trascorso ore terrificanti alla deriva, ammassati su imbarcazioni precarie, prima di essere finalmente soccorsi dalla Aquarius, da navi mercantili e da unità della Guardia costiera italiana, seguendo tutte la stessa legge non negoziabile: la legge del mare che obbliga ad assistere ogni singola persona in situazione di pericolo in mare.

Otto giorni dopo essere fuggite dall’inferno libico, queste 630 persone sono finalmente salve e al sicuro a terra, in Spagna, grazie alla Aquarius e al suo team di marinai professionisti, soccorritori volontari e operatori umanitari.

Il coraggio e la resilienza di questi 630 naufraghi, la professionalità e la profonda umanità dell’equipaggio della Aquarius devono essere elogiate, come lo straordinario supporto che SOS MEDITERRANEE ha ricevuto dalla società civile in Spagna e in tutta Europa.

La nave Aquarius è diventata il simbolo concreto per coloro che in Europa mettono i valori universali di rispetto per la vita umana, dignità e solidarietà prima di ogni altra considerazione.

Detto questo, i diversi ritardi dovuti alla chiusura dei porti italiani e poi l’Odissea forzata, pericolosa e degradante della nave Aquarius nel Mediterraneo devono necessariamente suonare come un campanello d’allarme per i leader europei.

Non è tollerabile per l’Europa che possa ripetersi una situazione come questa.

L’inerzia degli Stati europei è criminale. Si è tradotta in oltre 13.000 morti nel Mediterraneo dal 2014, quando i leader europei hanno detto «mai più» dopo la tragedia di Lampedusa. L’Europa porta questi morti sulla propria coscienza.

Le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate sul rispetto delle vite umane prima di ogni altra considerazione.

SOS MEDITERRANEE esorta una volta ancora tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad assumere le proprie responsabilità e a mettere il soccorso in mare al vertice delle loro agende politiche. Gli Stati membri dell’Unione europea devono immediatamente cooperare per elaborare un modello europeo di ricerca e soccorso per il Mediterraneo:

- le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate innanzitutto sul rispetto delle vite umane, prima di ogni altra considerazione, in conformità con il diritto marittimo internazionale e il diritto umanitario.

- le persone soccorse devono essere trattate con dignità e umanità a bordo delle navi di soccorso e ricevere tutte le cure che il loro stato di vulnerabilità richiede, fino a quando non è raggiunto un porto sicuro.

Alle autorità marittime competenti dovrebbe essere consentito di rispettare i loro obblighi di coordinamento e di ottimizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso.

Un numero sufficiente di navi di soccorso, adeguatamente attrezzate ed equipaggiate, deve essere dispiegato nel Mediterraneo, permettendo una copertura vasta della zona di soccorso.

Lo sbarco delle persone soccorse nel porto sicuro più vicino deve essere assicurato in tutti i casi, senza nessun ritardo, in accordo con i regolamenti marittimi.

SOS MEDITERRANEE invita a una larga mobilizzazione della società civile in Europa e nel Mediterraneo, per trasmettere questo messaggio alle autorità governative.

Salvare vite in pericolo è un obbligo morale e legale. Finché ci saranno persone che rischiano la propria vita in mare, SOS MEDITERRANEE continuerà la propria missione nelle acque internazionali, alle porte dell’Europa, per ricercare, soccorrere, proteggere e testimoniare.

Rassegna stampa: 
- Valencia si prepara ad accogliere l’Aquarius respinta dall’Italia, di Annalisa Camilli, Internazionale
- Aquarius, l’esperto Fulvio Vassallo Paleologo: “Illegale il respingimento collettivo di donne incinte e bambini, l’Italia rischia”, Repubblica.it

[ 17 giugno 2018 ]
Fonte:

 

I bambini abusati nel coro di Ratisbona furono almeno 547. Il legale: «Georg Ratzinger sapeva»

La denuncia nel rapporto finale presentato dall’avvocato Ulrich Weber, e divulgato dai media tedeschi. Cinquecento bambini subirono violenze corporali; 67 anche violenze sessuali. «All’ex direttore del coro va rinfacciato di non aver fatto nulla nonostante sapesse»

Sono almeno 547 i bambini che, tra il 1945 e il 1992, hanno subito violenze nel coro del Duomo di Ratisbona. Ad affermarlo è il rapporto finale di una inchiesta avviata nel 2015 presentato dall’avvocato Ulrich Weber, presentato oggi in una conferenza stampa in Germania. Stando al documento, c’è «un’altissima probabilità» che 500 bambini abbiano subito violenze corporali, e 67 anche violenze sessuali. Secondo Weber 49 colpevoli sono stati identificati. «Nella scuola del coro», si legge nel report», «dominavano paura e senso di impotenza», e «la violenza era un metodo applicato quotidianamente» per ottenere «massimi risultati» e «assoluta disciplina».

Il coro venne diretto, dal 1964 al 1994, dal fratello del Papa emerito Benedetto XVI, Georg Ratzinger (qui l’intervista di Danilo Taino con lui nel 2010: «Io mi occupavo di musica, mai avuto notizia di casi del genere»). Nel suo rapporto Weber attribuisce a Georg Ratzinger delle «corresponsabilità»: nella conferenza stampa di oggi, il legale, secondo la Dpa (riportata dall’agenzia Ansa), ha affermato che all’ex direttore del coro va «rinfacciato di aver fatto finta di non vedere, e di non essere intervenuto nonostante sapesse».

Nel 2010, quando il caso era emerso per la prima volta, Ratzinger aveva detto che alcuni ragazzi gli avevano raccontato come andavano le cose nella scuola di preparazione, ma che le loro storie non lo avevano indotto a pensare di «dover intervenire in qualche modo». Ratzinger ha sempre ammesso di aver saputo delle violenze fisiche, ma di non sapere nulla di abusi sessuali. Secondo quanto riportato nel 2010 dalla Passauer Neuen Presse, lo stesso fratello maggiore del Papa ha ammesso di aver dato qualche schiaffo ai ragazzi fino agli anni ‘70 e di essere stato «sollevato» quando le punizioni fisiche vennero vietate dalla legge all’inizio degli anni ‘80.

Nel 2010 l’allora vescovo di Ratisbona ed ex prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina delle Fede, Gerhard Ludwig Muller, ha ammesso gli abusi nel coro, precisando però che gli episodi di pedofilia «non coincidono con il periodo dell’incarico del maestro professor Ratzinger». Anche Muller viene accusato nel rapporto finale sul caso per la debolezza «strategica, organizzativa e comunicativa» con cui lo scandalo venne affrontato.

Muller divenne capo dell’ex sant’Uffizio nel 2012, dall’allora papa Joseph Ratzinger. Papa Francesco lo ha da pochi giorni sollevato dall’incarico. L’attuale vescovo di Ratisbona, Rudolf Voderholzer, ha già annunciato di voler offrire alle vittime compensazioni finanziarie tra i 5 e i 20 mila euro a testa entro la fine dell’anno.

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http://www.corriere.it/esteri/17_luglio_18/i-bambini-abusati-coro-ratisbona-furono-almeno-547-79dfc3f6-6ba6-11e7-9094-d21d151198e9.shtml

Pedofilia, premiato il docufilm italiano che inguaia papa Bergoglio

«Una vita unicamente dedita alla preghiera e alla penitenza; divieto di qualsiasi contatto con i minori; assidua sorveglianza da parte di responsabili individuati dal vescovo di Verona». È la pena più pesante inflitta ai sacerdoti pedofili protagonisti di una delle più agghiaccianti vicende di violenza su minori compiuti in ambito ecclesiastico mai emerse in Italia: gli stupri di decine di ospiti dell’Istituto per bambini sordomuti A. Provolo di Verona, perpetrati lungo tutta la seconda metà del secolo scorso. Uno dei destinatari di questo «precetto penale» comminato dalla Santa Sede è don Eligio Piccoli, come si legge nella lettera (di cui Left è in possesso) che fu inviata il 24 novembre 2012 dal presidente del Tribunale ecclesiastico di Verona, monsignor Giampietro Mazzoni, all’avvocato delle vittime riunite nell’associazione sordi Provolo. Per le violenze compiute nell’istituto, nel quale era educatore, Piccoli era stato riconosciuto colpevole al termine di una inchiesta indipendente affidata dalla Santa Sede a un magistrato “laico”, Mario Sannite. Si trattava in quel momento, nel 2012, dell’unica inchiesta mai avvenuta sul Provolo. A causa della prescrizione la magistratura italiana non era potuta intervenire. Come i nostri lettori sanno, all’epoca raccontammo questa storia su Left (aggiornandola successivamente diverse volte). Era l’ennesima puntata di una vicenda iniziata nel 2009 quando alcune delle vittime ormai adulte resero pubbliche le violenze subite, dopo aver preso coraggio sulla scia di situazioni analoghe accadute in tutta Europa (Irlanda, Olanda, Belgio, Inghilterra, Germania etc).Oggi si torna a parlare nuovamente di don Eligio Piccoli in occasione dei “DIG Awards 2017”, i premi internazionali per le migliori inchieste e reportage video della scorsa stagione. È lui infatti il protagonista de Il caso Provolo, l’inchiesta realizzata da Sacha Biazzo per Fanpage.it che ha vinto il primo premio della sezione “Short”. Il docufilm di Biazzo dura circa 15 minuti e don Piccoli da un letto di ospedale conferma al bravo giornalista quanto emerse dall’inchiesta di Sannite parlando di almeno 10 preti coinvolti e confessando di aver abusato. Come è noto, molti preti della lista presentata dall’associazione Sordi Provolo al magistrato incaricato dalla Santa Sede oggi sono morti, alcuni sono stati trasferiti in Argentina e altri – come don Piccoli e don Pernigotti per citarne un paio – sono ancora in vita.

Riassumiamo in breve la storia. Le accuse formulate da 67 giovani ospiti dell’Istituto sin dalla metà degli anni 80 e inascoltate per quasi 30 anni, riguardavano 25 persone tra sacerdoti e fratelli laici. Al termine dell’indagine nel 2012 Sannite ravvisò elementi di colpevolezza solo per tre di loro: don Piccoli, don Danilo Corradi e frate Lino Gugole. Per Corradi le accuse «non risultano provate», ma «stante il dubbio», la Santa Sede formulò nei suoi confronti un’ammonizione canonica, vale a dire «una stretta vigilanza da parte dei responsabili dei suoi comportamenti». Corradi (come del resto don Piccoli) è pertanto rimasto prete ed è finito sotto il controllo di chi per anni aveva ignorato le accuse nei suoi confronti. Ancor più sconcertante, se possibile, il paragrafo relativo al terzo uomo.

«Gugole – si legge nel testo della Santa sede – è affetto da una grave forma di alzheimer che lo rende del tutto incapace di intendere e di volere. È ricoverato in una casa di riposo presso l’ospedale di Negrar. Nessun provvedimento, stante la sua condizione, è stato preso nei suoi confronti». In realtà sarebbe stato difficile anche solo recapitargli di persona un telegramma, poiché, come mi raccontò nel 2013 il portavoce dell’associazione, Marco Lodi Rizzini, «Lino Gugole è morto nel 2011, con tanto di necrologi pubblicati sui giornali locali e i gazzettini parrocchiali». Cioè un anno prima della “sentenza”.

Riguardo gli altri accusati la Santa Sede liquidò la faccenda affermando che su alcuni di loro – quelli davvero rimasti in vita – avrebbero continuato a indagare. Ma, come vedremo, non risulta. Tra i “prosciolti” infatti figura il nome di don Nicola Corradi (che non è parente di don Danilo) finito in carcere nel novembre del 2016 a Mendoza in Argentina con l’accusa di aver abusato alcuni bambini nella più importante sede sudamericana del Provolo in cui fu trasferito a metà anni 80 dal Vaticano e di cui è stato direttore fino all’arresto. E c’è anche il nome dell’ex vescovo di Verona mons. Giuseppe Carraro, per il quale il 16 luglio 2015 papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto riguardante le sue «virtù eroiche», inserendolo tra i venerabili, primo passo verso la beatificazione. Il loro accusatore, Gianni Bisoli, nel 2012 era stato ritenuto inattendibile nonostante la minuziosa descrizione della stanza in cui era costretto a «masturbazioni, sodomizzazioni e rapporti orali».

In particolare, Bisoli ha sempre raccontato di essere stato violentato dal vescovo anche nel 1964, durante il suo ultimo anno di permanenza nell’istituto. Tuttavia, quando lo intervistai nel 2013 per uno dei miei libri su Chiesa e pedofilia, mi spiegò che il dottor Sannite gli fece vedere un documento firmato da don Danilo Corradi nel quale era apposta come data di sua dismissione dall’Istituto Provolo il 20 giugno 1963. La data quindi non coincideva con la ricostruzione fornita dalla presunta vittima. Ebbene, mi disse Bisoli, «sull’originale che mi fu mostrato la data ha un refuso, appare abrasa e modificata ed è scritta con una grafia diversa rispetto al resto del documento, ma soprattutto è antecedente a quella della mia ultima pagella a firma dell’insegnante don Eligio Piccoli, che ricordavo datata 27 giugno 1964». A nulla portarono le sue perplessità. Nonostante le evidenti manomissioni non fu creduto.

Ma proprio la grossolana manomissione potrebbe costar caro alla diocesi di Verona sotto la cui giurisdizione ricade l’istituto cattolico per sordomuti. A gennaio scorso è stata aperta un’inchiesta nei confronti dei responsabili del Provolo da parte della magistratura scaligera in seguito ad alcuni esposti presentati dall’associazione Rete L’Abuso. E in seguito, il 27 febbraio, anche l’associazione sordi Provolo e Bisoli – che nel frattempo ha ritrovato l’originale della pagella del 1964 – hanno depositato formale querela per la presunta manomissione del documento.

Inoltre, in riferimento all’arresto di don Nicola Corradi, il 29 marzo, la Rete L’Abuso e Bisoli, come riportano diverse testate locali e non, hanno chiesto tramite un esposto alla procura di Verona di accertare eventuali omissioni giuridicamente rilevanti «in capo ai soggetti preposti al controllo dell’operato dei sacerdoti pure in termini di insufficiente vigilanza o di negligenza nel mettere in atto le cautele necessarie ad impedire la reiterazione di gravi reati come quello di pedofilia». Vale a dire i responsabili dell’istituto di Verona. La sede legale dell’istituto Provolo argentino sito in Mendoza e diretto da Corradi fino all’arresto risulta infatti coincidere con quella italiana, in Stradone Provolo 20, a dieci minuti a piedi dalle più famose attrazione turistiche del capoluogo scaligero: l’Arena e la casa di Giulietta.

Nei confronti di don Nicola, oggi 80enne, la magistratura italiana non è mai potuta intervenire per via della prescrizione ma il presidente della Rete l’Abuso, Francesco Zanardi, mi ha spiegato che l’esposto serve ad appurare eventuali responsabilità della diocesi di Verona: «Abbiamo chiesto di verificare se ci sono state omissioni e negligenze, dal momento che Corradi era già stato denunciato dalle vittime italiane ben prima dei fatti di cui è accusato in Argentina, senza che venisse preso alcun provvedimento». L’obiettivo di Rete l’Abuso è far riaprire il caso anche in Italia. «Perché – si chiede Zanardi – don Corradi nonostante le accuse nei suoi confronti venne trasferito dalla Curia di Verona in un’altra sede, sempre a contatto con dei minori, invece di essere rimosso dai suoi incarichi?».

Questa domanda ci riporta a don Eligio Piccoli e al documentario di Sacha Biazzo. Ascoltando ciò che questo sacerdote afferma davanti alla cinepresa appare evidente che la condanna ecclesiastica a «una vita unicamente dedita alla preghiera e alla penitenza» non abbia sortito alcun effetto. Seppur affaticato dalla malattia fisica che lo costringe in ospedale, don Piccoli racconta di aver abusato con estrema naturalezza e che altri suoi “colleghi” preti lo hanno fatto (nel video esibisce un ghigno mostruoso).

Tipica dei pedofili è la totale assenza di emozioni. Come ho potuto riscontrare più volte, nel caso dei preti l’unica preoccupazione è di aver peccato. Questa idea distorta è figlia di una cultura secondo la quale in fin dei conti è il bambino, diavolo seduttore, a indurre in tentazione il sant’uomo. E questo cede, offendendo Dio.

La realtà però è un’altra e dice senza appello che la pedofilia non è un’offesa alla castità, non è un delitto contro la morale, non è il Male. Non è un atto di lussuria come peraltro scrivono certi giornalisti affermati citando il canone 2351 del Catechismo della Chiesa cattolica. L’abuso non è un rapporto sessuale tra due persone consenzienti che si lasciano andare ma è pura violenza agita da un adulto nei confronti di un bambino “scelto” con “cura” dal suo violentatore. Il pedofilo non prova alcun desiderio, è una persona anaffettiva. La vittima, in quanto in età prepuberale, non ha e non può mai avere né sessualità, né desiderio.

Chi abusa un bambino è un grave malato mentale ma non occorre essere psichiatri per comprendere che non può guarire invocando la madonna. Basta un minimo di buon senso. A meno che non si pensi – come fanno i religiosi cattolici, pedofili e non – che l’abuso è un “atto impuro” (VI Comandamento), cioè, appunto, un peccato. Seppur annoverato tra i delitti più gravi, secondo la visione degli appartenenti al clero si tratta di un crimine contro la morale. “Abuso morale” lo ha definito Benedetto XVI nel 2013 e di recente anche papa Francesco nella premessa all’autobiografia di una vittima di sacerdote pedofilo. Di conseguenza i responsabili devono risponderne a Dio, nella persona del suo rappresentante in terra, e non alle leggi della società civile di cui fanno parte. È sempre stato così ed è così anche oggi sotto il pontificato del presunto innovatore argentino.

Appena eletto, papa Francesco ha messo in cima alla agenda pontificia la lotta contro la pedofilia. Dedicando a questo tema almeno un annuncio a settimana, non mancando mai di farsi fotografare con atteggiamenti affettuosi – a volte ricambiati, a volte no – in mezzo a dei bambini, emanando una serie di decreti volti ad accentrare in Vaticano tutte le indagini e le decisioni sui casi più scabrosi e ad avvicinare le norme della Santa Sede alle indicazioni della Convezione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza siglata nel 1991 e ratificata nel 2014. Segnali forti, amplificati dalla parola d’ordine spesso pronunciata dal pontefice argentino e diligentemente rilanciata dai media italiani: «Tolleranza zero». Un passaggio epocale, sulla carta, è avvenuto il 5 settembre 2016, con l’emanazione del decreto Come una madre amorevole che prevede, oltre all’inasprimento delle misure anti-abusi, la rimozione dei vescovi responsabili di condotta negligente del proprio ufficio nei casi di violenza su minori o adulti vulnerabili. Vale a dire, di insabbiamento delle denunce relative a preti pedofili. Poco più di un anno prima, il 5 giugno 2015 al fine di rendere possibile l’individuazione e la punizione di vescovi negligenti, secondo quanto si legge sul sito della Santa Sede, al papa era stata sottoposta, da una commissione consultiva appositamente insediata, la proposta di creare un Tribunale apostolico all’interno della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) alla quale già spetta il compito di giudicare i sacerdoti accusati di pedofilia. Si trattava solo di un suggerimento ma la stampa italiana annunciò il tribunale dei vescovi come cosa fatta descrivendolo come l’ennesimo segnale di svolta rispetto al passato compiuto da Bergoglio. In realtà la stessa pena, ossia la rimozione del porporato insabbiatore, colmava un vuoto procedurale poiché era già disciplinata sin dal 1962 dalla legislazione canonica vigente per cause gravi (Crimen sollicitationis) e rinnovata nel 2001 da un provvedimento di Giovanni Paolo II (De delictis gravioribus). Ma senza essere mai applicata. E cosa ancor più interessante, il tribunale seppur annunciato e osannato non è mai entrato in funzione né mai accadrà perché il papa non lo ha mai creato. A dare la smentita – con quasi due anni di ritardo rispetto ai titoli a nove colonne dei media nostrani – è stato il 5 marzo scorso niente meno che il prefetto della Cdf, card. Gerard Müller, il quale intervistato dal Corriere della sera ha precisato che il tribunale per i vescovi «era solo un progetto».

Questi sono solo alcuni esempi di come la Chiesa di papa Francesco stia affrontando la questione delle violenze sui minori al proprio interno. La strategia è collaudata e vincente: cambiare tutto per non cambiare niente. Alle parole del papa, alle sue intenzioni, ai suoi desiderata raramente, per non dire mai, seguono dei fatti concreti. E su questo i media sono disposti a chiudere un occhio, molto spesso tutti e due (come abbiamo avuto modo di dimostrare su Left n. 20/2017).

In questa ottica il lavoro di Sacha Biazzo andrebbe doppiamente premiato, in quanto contribuisce a mantenere viva l’attenzione sull’inerzia e sulla tolleranza (verso i preti violentatori) del Vaticano che dunque, anche sotto Bergoglio, continua a combattere la pedofilia solo a parole. Al più, a colpi di avemaria.

 

Fonte:

https://left.it/2017/06/26/pedofilia-premiato-il-docufilm-italiano-che-inguaia-papa-bergoglio/

ALEPPO, DICEMBRE 2016: MESSAGGIO ALL’UMANITA’

Mentre mancano pochi giorni a Natale, Cristo si è fermato ad Aleppo. Dopo quasi sei anni di uno sterminio sistematico e continuo la città di Aleppo è caduta. Ma a cadere nell’inferno siriano non è solo un popolo,  è l’intera umanità mentre si consuma in diretta mondiale l’ultima parabola di un genocidio. I peggiori criminali della Terra si accaniscono contro un popolo, contro uomini e donne innocenti, contro bambini, compiendo massacri e torture inenarrabili. Un popolo colpito mortalmente lascia i suoi ultimi disperati messaggi a un’umanità sorda e dormiente (https://www.facebook.com/francesco.tronci.71/videos/vb.698384406/10154860016429407/?type=2&theater ; https://www.facebook.com/francesco.tronci.71/posts/10154860483289407?pnref=story). Le donne chiedono ai propri mariti di ucciderle per evitare di finire stuprate e poi uccise dai soldati del regime di Assad  (https://www.facebook.com/francesco.tronci.71/posts/10154861107424407?pnref=story). Considerate se questi sono uomini, se queste sono donne che anelano alla morte per sfuggire alle torture!
Intanto si consumano orrori terrificanti : esecuzioni in massa e persone bruciate vive (https://www.facebook.com/francesco.tronci.71/posts/10154861141004407), altre che uccidono i propri bambini perché non cadano nella tortura https://www.facebook.com/francesco.tronci.71/posts/10154861244114407). Considerate se questi sono uomini, se questi sono bambini!
Dove sono i potenti della Terra? E L’Onu adesso parla di “totale mancanza di umanità” riferendosi agli almeno 82 civili, uomini, donne e bambini massacrati in massa mentre il suo portavoce spera che le segnalazioni siano errate o esagerate anche se provenienti da fonti attendibili (http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2016/12/13/siria-onu-esecuzione-di-almeno-82-civili-ad-aleppo_60e362fc-a7f6-4f3b-b883-a03361085330.html). Come se si stessero svegliando adesso e non credessero alle loro orecchie. Il papa, invece, perso nelle sue preghiere, invia una lettera al boia Assad (http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2016/12/12/siria-papa-ad-assad-garantire-diritto-umanitario-e-aiuti_6f54abb7-f2de-442b-be59-101e3a90119b.html) senza il coraggio di alzare le ginocchia.
Il boia Assad e il boia Putin, festeggiano la “vittoria” (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/13/aleppo-ce-laccordo-per-levacuazione-di-ribelli-e-civili-russia-battaglia-finita-onu-strage-di-bambini-e-carneficina/3257196/)  ottenuta anche con l’aiuto del boia Erdogan che adesso punta  a conquistare la sua parte di territorio siriano (http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/13/siria-turchia-aiuta-damasco-a-riprendere-aleppo-e-punta-a-controllare-al-bab-vuole-completare-la-zona-cuscinetto/3252702/).
Macello! Macelleria siriana!
Ai potenti della Terra, agli attivisti dalla pietà selettiva che inseguono una sola causa e ignorano altre violazioni dei diritti umani e a  tutti gli indifferenti chiedo: quando vi domanderanno dov’eravate mentre fiumi di sangue innocente venivano versati, mentre un popolo veniva assediato, imprigionato, torturato, violentato, affamato e sterminato, che cosa risponderete? Intanto dormite ormai e riposate perché non siete stati capaci di vegliare un’ora soltanto.

Mentre ci copriamo di lustrini, un popolo muore in un silenzio assordante, calpestato anche dall’indifferenza di troppi, lanciando, in urla di dolore, un disperato messaggio all’umanità: “Torna presto perché è già tardi. Amen”.

 

D. Q.

Le ambiguità del Vaticano sulla dittatura argentina

Papa Francesco alla basilica di San Pietro, il 20 novembre 2016. - Tiziana Fabi, Reuters/Contrasto
Papa Francesco alla basilica di San Pietro, il 20 novembre 2016. (Tiziana Fabi, Reuters/Contrasto)
  • 28 Nov 2016 16.36

L’annuncio dell’apertura degli archivi della conferenza episcopale argentina e del Vaticano è l’ennesimo tentativo di imbiancare una storia vergognosa senza fare nessuno dei passi previsti dallo stesso catechismo della chiesa cattolica per il sacramento della riconciliazione, del perdono o della penitenza: ammettere e condannare i crimini o i peccati commessi, impegnarsi a non ripeterli e riparare il danno causato. L’apertura si limiterà alla corrispondenza ecclesiastica su circa tremila vittime del terrorismo di stato, che sarà accessibile solo ai familiari diretti, ai superiori degli ordini ecclesiastici e ai giudici sulla base di richieste concrete. Astenersi giornalisti e ricercatori. Questa è un’operazione pubblicitaria e non ha niente a che fare con la ricerca della verità.

Il presidente della conferenza episcopale argentina, José María Arancedo, ha detto che l’apertura è cominciata con lo stesso papa Francesco che, prima di diventare pontefice, decise di pubblicare il documento Chiesa e democrazia, e ha previsto che verranno a galla più luci che ombre nel comportamento episcopale durante il periodo che va dal 1976 al 1983. Le cose andranno così, perché la tecnica applicata da Bergoglio, dai suoi predecessori e dai suoi successori consiste nell’ignorare dei documenti fondamentali, mutilando quelli in cui i vescovi proclamano la loro adesione alla dittatura occidentale e cristiana, organizzando il materiale in ordine cronologico senza indicare quali documenti furono resi pubblici e quali restarono segreti, ammettendo solo quanto è già trapelato e non può essere negato. È la stessa tecnica seguita dal Vaticano per rendere più rispettabile l’immagine di Pio XII rispetto al nazismo.

Un dialogo imbarazzante
Il 15 novembre 1976 la commissione esecutiva dell’episcopato prese parte a un pranzo di cortesia con la giunta militare. Le forbici di Bergoglio tagliarono dalla minuta redatta all’epoca la parte in cui i vescovi espressero la loro adesione alla dittatura, perché “un fallimento porterebbe, con molta probabilità, al marxismo”.

A proposito del dialogo tra i rappresentanti episcopali e il dittatore Jorge Videla del 10 aprile 1978, la raccolta indica solo che i vescovi parlarono della situazione legata alle proteste dei familiari dei detenuti o delle persone scomparse. Ma non cita il testo inviato quello stesso giorno al Vaticano. In quel documento si spiega che i presenti discussero di come impedire ai familiari di continuare a importunare la chiesa.

Gli ecclesiastici suggerirono al governo di riconoscere la morte dei detenuti scomparsi, ma Videla si rifiutò, perché questo avrebbe portato a “una serie di domande sul luogo di sepoltura: in una fossa comune? In quel caso, chi li aveva messi nella fossa? Una serie di domande a cui il governo non può rispondere sinceramente per le conseguenze sulle persone”, ovvero i sequestratori e gli assassini.

L’allora presidente della conferenza episcopale, il cardinale Raúl Primatesta, accettò la posizione di Videla, perché “la chiesa vuole capire, cooperare”, e misurò ogni parola perché sapeva bene “il danno che può fare al governo” (ovvero il bene che avrebbe potuto fare alle sue vittime). Quando ho pubblicato questo documento segreto, una giudice ne ha richiesto la consegna alla conferenza episcopale presieduta da Bergoglio che solo allora, nel 2012, ha inviato una copia presa da quell’archivio la cui stessa esistenza era negata dall’episcopato.

Una pastorale di guerra
Nel 2000, per il Giubileo del terzo millennio, l’episcopato argentino chiese perdono a Dio e non alle vittime, per gli atti altrui e non per i propri (“per la partecipazione effettiva di molti dei tuoi figli allo scontro politico, alla violazione delle libertà, alla tortura e alla delazione, alla persecuzione politica e all’intransigenza ideologica, alle lotte e alle guerre, e alla morte assurda che hanno insanguinato il nostro paese”), e mise sullo stesso piano la guerriglia e il terrorismo di stato.

Per mettere alla prova questa richiesta di perdono, il Centro di studi legali e sociali (presieduto dall’autore di quest’articolo) chiese già all’epoca l’apertura degli archivi. La conferenza episcopale rispose dicendo di avere soltanto il volantino del 1982, Chiesa e diritti umani, con “estratti di alcuni documenti”. In quell’edizione tutti i paragrafi di lusinga alla dittatura, quelli che aprivano i documenti e che finirono sulle prime pagine dei giornali dell’epoca, furono censurati, mentre erano presenti quelli finali, che iniziavano con qualche “tuttavia” o “non è possibile omettere che…”. Invece sono state diffuse, come se fossero stati documenti pubblici, le lettere di critiche e di reclamo che la chiesa consegnava alla giunta militare nel massimo segreto. Così la lettera pastorale collettiva Paese e bene comune, firmata meno di due mesi dopo il colpo di stato, è stata ridotta a quattro brevi paragrafi generici, separati da righe piene di puntini di sospensione.

Questa pastorale di guerra fu elaborata durante l’assemblea plenaria dell’episcopato

È scomparsa invece la giustificazione dei procedimenti illegali diffusa il 15 maggio 1976, secondo cui gli organismi di sicurezza non potevano agire “con la purezza chimica del tempo di pace, mentre scorre il sangue ogni giorno”. Questa pastorale di guerra fu elaborata durante l’assemblea plenaria dell’episcopato, dal 10 al 15 maggio del 1976, in cui ogni vescovo informò dei sequestri, delle torture e delle persone scomparse nella propria diocesi. In mancanza di un accordo, la proposta di denunciare questi gravissimi fatti fu sottoposta al voto: diciannove vescovi si dichiararono a favore, ma altri trentotto, il doppio, si opposero. I vescovi corressero tre versioni della bozza, ognuna più compiacente di quella precedente. Nel 1982 trovarono solo alcuni paragrafi da pubblicare che non fossero vergognosi.

Il 25 maggio 2010, in occasione del Te Deum del bicentenario, quando Bergoglio era a capo dell’episcopato, uno dei suoi componenti, il vescovo di Mercedes-Luján, Agustín Radrizzani, consegnò al governo una richiesta di amnistia firmata da Videla e da un altro centinaio di detenuti per crimini contro l’umanità. Nel 2012 Videla ha ammesso i suoi crimini in diverse interviste, si è vantato del sostegno e della cooperazione della nunziatura apostolica e dell’episcopato argentino e ha detto di essere stato amico di Primatesta.

Uno dei giornalisti ha visto arrivare “un uomo dai capelli bianchi con il calice in mano”. In seguito a questo episodio, un gruppo di laici che si fanno chiamare Cristiani per il terzo millennio ha chiesto alla conferenza episcopale di mettere fine allo “scandalo” del “libero e periodico accesso all’eucarestia” dell’ex dittatore, nonostante questi avesse riconosciuto le “sue azioni criminali” senza pentirsi. Nella sua risposta, l’episcopato ha negato che “i fratelli maggiori che ci hanno preceduto” abbiano avuto “qualsiasi complicità con fatti delittuosi”.

I Cristiani per il terzo millennio avevano progettato di andare in Vaticano per insistere davanti alla Santa Sede, un proposito che è rimasto incompiuto quando Benedetto XVI ha deciso di ritirarsi e la burocrazia vaticana ha designato Jorge Bergoglio per sostituirlo. Oggi diversi Cristiani per il terzo millennio fanno parte del gruppo chiamato Laudatianos, che celebra ogni parola di papa Francesco. La chiesa cattolica vuole di più. Ora chiede applausi.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

 

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/opinione/horacio-verbitsky/2016/11/28/vaticano-archivio-argentina

NEI GIORNI DELLA MISERICORDIA I BIMBI ANNEGATI NON FANNO PIU’ NOTIZIA

Nella notte di ieri in un naufragio sulle coste turche sono morti sei bambini tra cui un neonato. E’ stato trovato anche il cadavere di un’altra bimba di cinque anni annegata in un altro naufragio di qualche giorno fa, identificata come Sajida Ali. L’immagine diffusa dai media locali richiama alla mente quella di Aylan Kurdi, anche lui bimbo profugo annegato su una spiaggia turca tre mesi fa. Se ne parlò tanto allora, scattò l’indignazione generale sul web come va di moda adesso, quando succedono tragedie che, per qualche giorno, scuotono coscienze da troppo tempo sopite. E che troppo presto tornano a dormire. Si scatenarono polemiche chiedendosi se fosse giusto o no diffondere l’immagine di quel corpicino esanime. Dibattiti su dibattiti, commenti su commenti com’ è normale che sia per la libertà d’opinione e informazione, ancor di più nell’era digitale. Solo che poi l’indignazione va dove porta il vento, si sposta su nuove “emergenze” e paure di volta in volta indotte. C’è il terrorismo di cui preoccuparsi adesso. La “sicurezza” è la sola cosa che conta, di cui si può parlare  e su cui si deve investire. Ma non è che non abbiamo altri valori e interessi oltre a questo. No, a modo nostro c’è ne abbiamo e le guide non ci mancano: ci sono i grandi della terra che si riuniscono a Parigi (divenuta simbolo della lotta al terrorismo, che ci ha fatto diventare tutti francesi, fino all’ascesa del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, ma questo è un altro discorso) per una conferenza sul clima e, soprattutto, c’è un papa che ama tanto la misericordia da decidere un giubileo straordinario. Proprio oggi papa Bergoglio ha inaugurato quest’anno santo nel bel mezzo del delirio securitario, che schiera truppe di uomini armati a difendere la città eterna da eventuali attacchi di terrorismo.
Ma cos’è la misericordia se non (come dice la parola stessa) aprire il proprio cuore a chi è misero? La nostra smania dei grandi eventi di portata mediatica dirige tutta la nostra attenzione all’apertura della Porta Santa. Siamo ormai capaci solo di guardare quello che ci inducono a guardare, di sentire (non ascoltare, che questo presuppone una profondità d’animo sempre più rara) quello che ci vogliono far sentire e di parlare. Amiamo ormai nella stragrande maggiornaza dei casi solo a  parole. Staremo un anno a parlare di misericordia senza sapere di cosa stiamo parlando.

Fortunatamente c’è ancora chi non si livella, chi resiste,come i No Tav in una valle stuprata da un’idea di progresso che (a dispetto delle conferenze sul clima) se ne sbatte della natura o come i movimenti per il diritto all’abitare che inaugurano il loro “giubileo dei poveri” con due occupazioni di stabili del Vaticano  (eppure in tempi di presepi dovremmo ricordarci che Gesù è nato in una stalla occupata e che le prime persone a averci insegnato che abitare è un diritto sono state proprio la Sacra Famiglia). Ma il resto del mondo è occupato a preoccuparsi ora del terrorismo, della sicurezza, dell’evento Giubileo e del Natale vicino. E’ così la piccola Sajida Ali e gli altri sei bimbi annegati non fanno notizia. Nessun Je suis per loro, nessuna lacrima, nessuna indignazione e nessun dibattito sul web o in Tv.
Buon anno santo, dunque, e amen.

 

D. Q.

 

Qui gli articoli sui naufragi tratti dal sito dell’Ansa:

Migranti, la strage senza fine degli innocenti

Le drammatica immagine del corpo di una bimba sulla spiaggia di Pirlanta, ricorda quella del piccolo Aylan

 – Il corpo di una bimba siriana di 5 anni è stato ritrovato sulla spiaggia di Pirlanta a Cesme, nella provincia turca di Smirne sul mar Egeo. La piccola, identificata come Sajida Ali, sarebbe annegata in un naufragio di alcuni giorni fa.

La drammatica immagine del corpo della bimba sulla spiaggia, diffusa dai media locali, ricorda quella del ritrovamento del piccolo Aylan Kurdi, il bambino curdo-siriano di 3 anni annegato a inizio settembre con la madre e il fratellino di 5 anni. La scorsa notte in un naufragio sempre al largo di Cesme sono annegati altri 6 bambini.

– Sono tutti bambini, tra cui un neonato, i 6 morti nel naufragio avvenuto intorno alle 2:30 della scorsa notte di un gommone di profughi afghani al largo di Cesme, nella provincia di Smirne, sulla costa egea della Turchia. Lo sostiene l’agenzia di stampa statale Anadolu. La Guardia costiera di Ankara ha salvato altre 8 persone.

 

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Fonte:

Naufragio in Turchia, 6 bambini morti. Tra le vittime anche un neonato

Altre otto persone salvate da Guardia costiera, proseguono ricerche in mare

Almeno sei bambini sono annegati la scorsa notte nel naufragio di un barcone di migranti al largo di Cesme, nella provincia di Smirne, sulla costa egea della Turchia. Lo riportano media locali, secondo cui la Guardia costiera di Ankara ha tratto in salvo 8 persone. Proseguono le ricerche di altri possibili dispersi.  Tra le vittime anche un neonato. Lo sostiene l’agenzia di stampa statale Anadolu. La Guardia costiera di Ankara ha salvato altre otto persone.

Il corpo di una bimba siriana di 5 anni è stato ritrovato sulla spiaggia di Pirlanta a Cesme. La piccola, identificata come Sajida Ali, sarebbe annegata in un naufragio di alcuni giorni fa.

 

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Fonte:

MESSICO: UN ANNO SENZA I 43

Messico. Una settimana di mobilitazione per gli studenti scomparsi

Messico, manifestazione per i 43 scomparsi

Grande allarme, in Mes­sico, tra i movi­menti e i fami­gliari dei 43 stu­denti scom­parsi il 26 set­tem­bre dell’anno scorso. Si teme una nuova ondata di repres­sione: annun­ciata dall’intervento vio­lento della poli­zia che mar­tedì ha attac­cato la caro­vana di madri che cer­cava di rag­giun­gere la capi­tale: «Siamo arri­vati al limite della pazienza — ha dichia­rato Roge­lio Ortega, gover­na­tore dello stato del Guer­rero -, da adesso in poi, chiun­que attac­chi le isti­tu­zioni dovrà rispon­derne di fronte alla legge». Si rife­riva alla pro­te­sta dei fami­gliari che hanno fatto irru­zione nei locali della Pro­cura gene­rale per gri­dare slo­gan con­tro l’impunità e il nar­co­stato. Quanto alla lega­lità vigente nel Guer­rero, spec­chio di tutto un paese, val­gono le cifre for­nite dallo stesso pre­si­dente neo­li­be­ri­sta Enri­que Peña Nieto: almeno 25.000 scom­parsi dal 2006, la mag­gio­ranza dei quali durante la sua gestione.

Il 26 set­tem­bre dell’anno scorso, un gruppo di stu­denti delle scuole rurali di Ayo­tzi­napa è stato vio­len­te­mente attac­cato da poli­zia locale e nar­co­traf­fi­canti. Il bilan­cio è stato di sei morti — due stu­denti, due gio­vani cal­cia­tori, un tas­si­sta e una pas­seg­gera -, nume­rosi feriti e 43 desaparecidos.

Gli stu­denti delle com­bat­tive scuole rurali pro­te­sta­vano con­tro le poli­ti­che di pri­va­tiz­za­zione del governo. Erano arri­vati a Iguala per rac­co­gliere fondi per cele­brare un altro mas­sa­cro, com­piuto dall’esercito il 2 otto­bre del 1968: la strage di Tla­te­lolco, una delle tante di cui è costel­lata la sto­ria del Mes­sico. Allora, i reparti spe­ciali dell’esercito e della poli­zia ucci­sero oltre 300 gio­vani, a pochi giorni dalle Olim­piadi di Città del Mes­sico. L’anno scorso, gli stu­denti ave­vano «preso in pre­stito» alcuni auto­bus, com’è loro con­sue­tu­dine durante le mobi­li­ta­zioni. Dopo un primo scon­tro con un gruppo di uomini armati accom­pa­gnati da agenti della poli­zia locale, gli stu­denti hanno cer­cato di rac­con­tare l’episodio ai gior­na­li­sti, ma i loro auto­bus sono stati presi di mira da altri indi­vi­dui armati di fucili mitra­glia­tori. In quel fran­gente è stato attac­cato anche un pull­man di cal­cia­tori che tor­nava da una par­tita. Chi non è riu­scito a fug­gire — all’inizio si è par­lato di 58 scom­parsi — è stato inghiot­tito nel buco nero del Messico.

Secondo la ver­sione uffi­ciale, la poli­zia ha con­se­gnato gli stu­denti ai nar­co­traf­fi­canti, che li hanno uccisi e bru­ciati in una disca­rica del cir­con­da­rio, a Cocula. Un’indagine basata sulle dichia­ra­zioni dei pen­titi, ma subito con­te­stata dalle con­tro­in­chie­ste gior­na­li­sti­che e dalle peri­zie indi­pen­denti. Di recente, il Gruppo Inter­di­sci­pli­nare di Esperti Indi­pen­denti (Giei), isti­tuito dalla Com­mis­sione Inte­ra­me­ri­cana per i Diritti Umani — organo dell’Organizzazione degli stati ame­ri­cani (Osa) -, ha pre­sen­tato un rap­porto di 500 pagine che con­futa i risul­tati uffi­ciali. Per lo stato, quella con­se­gnata ai media e alle fami­glie, è la verità «sto­rica». Così l’aveva defi­nita l’ex Pro­cu­ra­tore gene­rale Murillo Karam. La sua rispo­sta alle domande del pub­blico — «adesso mi sono stu­fato» — è diven­tata lo slo­gan capo­volto dei mani­fe­stanti in piazza, che hanno urlato: «Io mi sono stan­cato» delle false verità di stato.

Il Giei ha invece evi­den­ziato l’impossibilità di bru­ciare un così gran numero di corpi in quella disca­rica. Ha chia­mato in causa le com­pli­cità dell’esercito e della poli­zia fede­rale, ed ha anche avan­zato l’ipotesi che gli stu­denti quel giorno pos­sano aver messo le mani su un grosso carico di droga tra­spor­tata su uno dei pull­man. Finora, sono stati iden­ti­fi­cati i resti cal­ci­fi­cati di due stu­denti. Ma gli esperti indi­pen­denti avan­zano dubbi: intanto, i fram­menti di un dito e di un dente non cer­ti­fi­cano la morte; e poi, nes­suno ha visto il sacco nero con­te­nente i resti nella disca­rica di Cocula; e ancora: se gli stu­denti sono stati ince­ne­riti, dove può esi­stere un forno cre­ma­to­rio così grande? Nelle caserme mili­tari — rispon­dono i fami­gliari — dove si tor­tura e si uccide. Una pra­tica pro­vata in tutti quei paesi — come la Colom­bia e il Mes­sico — dove i para­mi­li­tari fanno scom­pa­rire le loro vit­time con la com­pli­cità dell’esercito.

In Mes­sico e in altre parti del mondo, è ini­ziata una set­ti­mana di mobi­li­ta­zioni. I fami­gliari degli scom­parsi hanno ini­ziato uno scio­pero della fame. Anche quelli dei gio­vani cal­cia­tori, il cui pull­man è stato attac­cato un anno fa, chie­dono giu­sti­zia e un incon­tro urgente con il pre­si­dente Nieto. Chie­dono anche che gli esperti Giei pos­sano inda­gare per altri sei mesi. Nieto ha pro­messo una com­mis­sione d’inchiesta indi­pen­dente a cui nes­suno crede: anche per­ché, al Senato, l’arco dei par­titi non ha tro­vato un accordo per for­marla. Cin­que madri degli scom­parsi hanno intanto rag­giunto gli Stati uniti, dove con­tano di incon­trare il papa e di espor­gli le ragioni dello scio­pero della fame. Hanno già par­te­ci­pato a una veglia per i diritti dei migranti e con­tano di recarsi al Con­gresso a Washing­ton per chie­dere a Obama che ritiri il soste­gno a Nieto e alle sue poli­ti­che narco-militari. Il 27, andranno poi a Fila­del­fia, dove si recherà Ber­go­glio per pre­sen­ziare all’Incontro mon­diale delle fami­glie. Spe­rano dica qual­cosa con­tro le spa­ri­zioni forzate.

Anche in Ita­lia sono annun­ciati dibat­titi e ini­zia­tive. E’ già attiva una cam­pa­gna per ricor­dare il gior­na­li­sta Ruben Espi­nosa, ucciso di recente. Si sono espresse asso­cia­zioni come Amne­sty inter­na­tio­nal, che ha dedi­cato ampio spa­zio al Mes­sico degli scom­parsi nel suo ultimo rap­porto. Sabato a Roma (Cen­tro sociale La Strada) si pro­iet­terà un video a par­tire dal libro-inchiesta di Fede­rico Mastro­gio­vanni, edito da Derive Approdi. Ieri, alla Camera, il gior­na­li­sta — che vive in Mes­sico — ha par­te­ci­pato a una con­fe­renza stampa indetta da Sel, che chie­derà al governo Renzi san­zioni con­tro Peña Nieto.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/un-anno-senza-i-43/

Monsignor Romero proclamato beato a San Salvador

23 maggio, 20:23

La sua festa sarà il 24 marzo, giorno della morte

Monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso nel marzo del 1980 mentre celebrava la messa, è stato proclamato beato nella cerimonia presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, nella Piazza Salvatore del Mondo di San Salvador.

La sua festa sarà il 24 marzo, giorno della morte.

La lettera apostolica di papa Francesco, letto in latino e spagnolo durante la cerimonia, precisa che la figura del beato Romero sarà ricordata ogni 24 marzo, “la data in cui è nato al Cielo”, ossia nella quale è stato ucciso da un cecchino per aver denunciato le violazioni dei diritti umani da parte della dittatura militare che governava allora il paese centroamericano.

RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Fonte:

http://www.ansa.it/sito/photogallery/primopiano/2015/05/23/romero-messa-di-beatificazione-a-san-salvador-_1353a441-d1d6-4f44-93b1-0b172f2ca5a5.html

La satira perdona…O forse no.

E’ passata una settimana dalla strage alla redazione del Charlie Hebdo. Nei giorni a seguire purtroppo la violenza è continuata con altri attentati e altre vittime a Parigi: morti quattro ostaggi e due degli attentatori del Charlie. In questa settimana molte cose sono state scritte: si sono sollevati polveroni su chi fosse Charlie e chi no, se fosse giusto esserlo o no, sul silenzio di tanti su altre stragi come quella di Boko Haram in Nigeria con 2000 vittime, sui palestinesi e i siriani che stanno morendo di freddo oltre che di assedio, sui giornalisti palestinesi uccisi , su chi si sarebbe dimenticato del vignettista Naji al-Ali, il padre di Handala.

© Khalil Bendib

(Fonte: https://www.facebook.com/syrilution/photos/a.1424991651072486.1073741827.1424980901073561/1556075241297459/?type=1&theater

 
Per me, che nelle pagine di questo blog cerco di parlare dei diritti umani in ogni parte del mondo e di argomenti simili non ho mai taciuto, una cosa non esclude l’altra. Così oggi ho acquistato e sfogliato il nuovo numero del giornale satirico Charlie Hebdo, diffuso in Italia in allegato con Il Fatto Quotidiano. Ancora una volta la satira è irriverente, anche stavolta in copertina è raffigurato il profeta Maometto. Però c’è qualcosa di diverso: nella vignetta di Luz il profeta è triste, gli scende una lacrima mentre tiene in mano un cartello con il famoso slogan coniato in questi giorni, sotto una scritta che recita “Tutto è perdonato”. In questo misto di tristezza e irriverenza, la satira, nei panni di un insolito Maometto, sembra voler perdonare quella strage e con essa quella assurda confusione tra fede e intolleranza. Per questo il profeta prende il nome di chi apparentemente lo denigra, per far capire che in realtà non è lui che viene sbeffeggiato ma l’intolleranza e sembra voler dire: “Quello che è successo non doveva succedere. Adesso andiamo avanti.”

 

Ma aprendo e sfogliando il giornale si vede come la stessa satira ha già spostato il velo di tristezza della vignetta in copertina e si fa nuovamente pungente. Si prendono in giro i preti, papa Francesco, suor Emmanuelle. Andando più avanti si vede perfino un simpatico crocifisso sdraiato su una spiaggia che chiede ai bagnanti se possono girarlo, sotto una scritta che dice “ Attenti alle scottature”. All’interno delle pagine ci sono, per ricordarli,  vignette di Wolinski, Charb, Tignous e Cabu. In una vignetta di Tignous tre salafiti dicono: “Non bisogna toccare quelli di Charlie Hebdo. Altrimenti passeranno per martiri e una volta in paradiso ci fregheranno tutte le vergini”. In una vignetta di Cabu si prendono in giro jihadisti armati immaginati in fila all’ufficio di collocamento per un posto di cassiere al Carrefour. Non mancano vignette sullo Stato Islamico e al-Baghdadi. Si prendono in giro politici internazionali. In parole povere non si risparmia nessuno com’è nella satira più irriverente.

 

D. Q.