L’Isis contro la piazza: 81 morti a Kabul

Afghanistan. Due kamikaze attaccano una protesta pacifica della minoranza hazara che chiedeva il ripristino di un progetto elettrico nella provincia di Bamyan. A pagare il crescente ruolo del “califfato” e la rivalità con i talebani è la società civile

L’attacco Isis a Kabul

Sono almeno 81 i morti e più di duecento i feriti nell’attentato che ieri ha colpito Kabul. Obiettivo dell’attacco era una manifestazione di protesta della comunità hazara contro un progetto energetico che esclude la provincia di Bamyan, nell’Afghanistan centrale, abitata prevalentemente dagli hazara, minoranza che in passato ha subito discriminazioni e ostracismo e che oggi continua a rivendicare diritti ed uguaglianza.

L’attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico attraverso Amaq, agenzia di informazione del gruppo guidato da al-Baghdadi. Secondo il breve comunicato reso pubblico subito dopo la strage, avvenuta nelle prime ore del pomeriggio, «due combattenti dello Stato Islamico hanno fatto esplodere le loro cinture esplosive in una manifestazione di sciiti nell’area Deh Mazang di Kabul», una delle rotonde principali della città.

Se la matrice fosse confermata, si tratterebbe di un segnale estremamente preoccupante, del più grave attentato dell’Is in Afghanistan e di uno dei più letali dal 2001: lo Stato islamico cerca da quasi due anni di ottenere una presenza significativa nel paese, ma finora i risultati sono stati inferiori alle aspettative.

L’attacco a Kabul segnerebbe un cambio di passo: la capacità operativa di colpire nella capitale, puntando sulle divisioni confessionali e comunitarie che hanno già insanguinato l’Afghanistan. Gli hazara rappresentano infatti la componente sciita, minoritaria, della popolazione afghana, per lo più sunnita.

E lo Stato Islamico, sin dagli “esordi” in Iraq, ha sempre fatto del settarismo uno dei motori portanti del jihad. Soffiare sul fuoco delle divisioni è una strategia scontata per il progetto del “califfo” in Afghanistan: dopo la guerra intestina degli anni ’90, i sospetti tra comunità sono ancora forti e gli hazara continuano a sentirsi discriminati.

La stessa manifestazione di ieri nasce da qui: la valle di Bamyan è stata esclusa dal progetto Tutap che prende il nome dalle iniziali dei paesi coinvolti, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan e Afghanistan. Il progetto, gestito dall’Asian Development Bank e con una pletora di donatori, prevede l’integrazione della rete elettrica afghana in un sistema regionale, una doppia rete elettrica della capacità di 500kV che parta dal Turkmenistan e arrivi a Kabul.

Un progetto ambizioso, e molto costoso, che insieme al Casa-1000 (un’altra linea di trasmissione da 1.000kV che collega Tajikistan, Afghanistan e Pakistan) rientra nella prima fase dello East-Central-South Asia Regional Electricity Market, un progetto di sviluppo con cui si intende creare un sistema energetico comune nei paesi dell’Asia centrale, orientale e meridionale.

Attraverso questi progetti, l’Afghanistan – tra i 5 paesi con il più basso consumo energetico pro-capite – spera di liberarsi dall’eccessiva dipendenza energetica: nel 2014 – come ricordano gli studiosi dell’Afghanistan Analysts Network – più dell’80% del fabbisogno elettrico dipendeva dall’estero (Iran e Turkmenistan, ma soprattutto Uzbekistan e Tajikistan).

Il Tutap dovrebbe rendere autosufficiente il paese entro il 2030, ma ha provocato tensioni sin dal gennaio 2015, quando il secondo vice-presidente, Sarwar Danesh, tra i politici di riferimento degli hazara, ha scritto una lettera al presidente Ghani e al Ministero dell’Energia per contestare la decisione di far passare la rete elettrica non da Bamyan (come suggeriva uno studio del 2013 affidato all’azienda tedesca Fichtner), ma dal passo Salang.

Il governo, pur istituendo una nuova commissione di inchiesta, ha difeso la decisione perché più economica, mentre la comunità hazara ha visto nella scelta un’ulteriore discriminazione. Ne è nato un movimento di protesta, Jombesh-e Roshnayi, “Il movimento della luce”, composto da politici, esponenti della società civile, giornalisti, semplici cittadini, che mira a sollecitare le istituzioni afghane a riconoscere le rivendicazioni degli hazara.

Negli ultimi tempi, le proteste si sono moltiplicate, fino a quella di ieri. Una manifestazione pacifica e colorata – con molti giovani e donne, bambini in bicicletta vestiti con la bandiera afgana – trasformata in strage. I Talebani si sono affrettati a dissociarsi dalla carneficina, opera «dei nemici della nazione» che vogliono creare «una guerra civile». Lo Stato Islamico invece ha messo subito il cappello sul duplice attentato.

I due gruppi – antagonisti sul terreno, divisi da questioni strategiche e dottrinarie – sono sempre più ai ferri corti. A pagarne le conseguenze è la popolazione civile. Ma la strage è soprattutto un duro colpo alla fragile società civile: donne e uomini che rivendicano giustizia manifestando nelle strade. E che ora accendono candele in memoria dei loro «martiri».

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/lisis-contro-la-piazza-81-morti-a-kabul/

La satira perdona…O forse no.

E’ passata una settimana dalla strage alla redazione del Charlie Hebdo. Nei giorni a seguire purtroppo la violenza è continuata con altri attentati e altre vittime a Parigi: morti quattro ostaggi e due degli attentatori del Charlie. In questa settimana molte cose sono state scritte: si sono sollevati polveroni su chi fosse Charlie e chi no, se fosse giusto esserlo o no, sul silenzio di tanti su altre stragi come quella di Boko Haram in Nigeria con 2000 vittime, sui palestinesi e i siriani che stanno morendo di freddo oltre che di assedio, sui giornalisti palestinesi uccisi , su chi si sarebbe dimenticato del vignettista Naji al-Ali, il padre di Handala.

© Khalil Bendib

(Fonte: https://www.facebook.com/syrilution/photos/a.1424991651072486.1073741827.1424980901073561/1556075241297459/?type=1&theater

 
Per me, che nelle pagine di questo blog cerco di parlare dei diritti umani in ogni parte del mondo e di argomenti simili non ho mai taciuto, una cosa non esclude l’altra. Così oggi ho acquistato e sfogliato il nuovo numero del giornale satirico Charlie Hebdo, diffuso in Italia in allegato con Il Fatto Quotidiano. Ancora una volta la satira è irriverente, anche stavolta in copertina è raffigurato il profeta Maometto. Però c’è qualcosa di diverso: nella vignetta di Luz il profeta è triste, gli scende una lacrima mentre tiene in mano un cartello con il famoso slogan coniato in questi giorni, sotto una scritta che recita “Tutto è perdonato”. In questo misto di tristezza e irriverenza, la satira, nei panni di un insolito Maometto, sembra voler perdonare quella strage e con essa quella assurda confusione tra fede e intolleranza. Per questo il profeta prende il nome di chi apparentemente lo denigra, per far capire che in realtà non è lui che viene sbeffeggiato ma l’intolleranza e sembra voler dire: “Quello che è successo non doveva succedere. Adesso andiamo avanti.”

 

Ma aprendo e sfogliando il giornale si vede come la stessa satira ha già spostato il velo di tristezza della vignetta in copertina e si fa nuovamente pungente. Si prendono in giro i preti, papa Francesco, suor Emmanuelle. Andando più avanti si vede perfino un simpatico crocifisso sdraiato su una spiaggia che chiede ai bagnanti se possono girarlo, sotto una scritta che dice “ Attenti alle scottature”. All’interno delle pagine ci sono, per ricordarli,  vignette di Wolinski, Charb, Tignous e Cabu. In una vignetta di Tignous tre salafiti dicono: “Non bisogna toccare quelli di Charlie Hebdo. Altrimenti passeranno per martiri e una volta in paradiso ci fregheranno tutte le vergini”. In una vignetta di Cabu si prendono in giro jihadisti armati immaginati in fila all’ufficio di collocamento per un posto di cassiere al Carrefour. Non mancano vignette sullo Stato Islamico e al-Baghdadi. Si prendono in giro politici internazionali. In parole povere non si risparmia nessuno com’è nella satira più irriverente.

 

D. Q.

 

La matita di Charlie

Credo che i valori più alti siano quelli per cui non solo si vive ma si può anche morire. Uno degli ideali per cui si può morire è la libertà in tutte le sue forme, tra cui la libertà di stampa. Oggi, in Francia, nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, dodici persone, tra cui il direttore e altri tre vignettisti, sono rimaste uccise in un attentato terroristico. Stéphane Charbonnier, detto Charb, Cabu, Wolinski e Tignous sono morti per la libertà di espressione, perché hanno osato affermare quello che tutti gridiamo da mesi, cioè che l’Isis, o Stato Islamico, o Is o qualunque delle varie sigle vogliamo usare per chiamarlo, è terrorismo. Ma non lo hanno fatto alla maniera dei comuni mass media di tutto il mondo, che stanno cavalcando l’orrore di stragi e esecuzioni per tenerci incollati a loro, con nuove paure indotte, che la crisi mondiale ce l’eravamo ormai sorbita in tutte le salse. Charb e i suoi hanno voluto metterci un pizzico di coraggio in più, hanno voluto deridere, farsi beffe di questo terrorismo, mostrarlo nella sulla grottesca assurdità. Un coraggio divenuto forse inconsapevole sfida in quella vignetta premonitrice pubblicata nell’ultimo numero. “Ancora nessun attentato in Francia. “Aspettate. Abbiamo ancora tutto gennaio per fare i nostri auguri”.” Poco prima dell’attentato, sul profilo Twitter del giornale è comparsa anche un’altra vignetta satirica contro il leader dell’Isis al Baghdadi.

 

Charlie Hebdo: morto Charb, in vignetta 'previde' attentato
Con buona pace di Salvini, Le Pen, Magdi Cristiano Allam e compagnia cantante, non possiamo lasciare che gli autori della strage siano chiamati musulmani. La frase “Allah u Akbar”, gridata dagli assassini durante l’attentato, è una bestemmia alle orecchie di tutti i veri fedeli musulmani. E non venitemi a dire che quelli sono islamisti moderati e gli altri islamisti radicali. L’islam è una religione come lo è il cristianesimo e tutte le altre fedi che conosciamo. D’altra parte il giornale Charlie Hebdo faceva satira sulle diverse fedi evidentemente perché libero. In questa e in tutte le stragi simili, non c’entra alcun Dio , alcuna religione, solo la cieca volontà di individui e organizzazioni di seminare morte ovunque si condanni la loro folle brama di dominio.
Oggi la matita di Charlie è stata spezzata ma non potranno spezzare tutte le matite del mondo perché d’ora in poi chiunque creda nella libertà di pensiero è Charlie.

 

D. Q.

Qui un articolo sull’attentato:

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2015/01/07/massacro-a-charlie-hebdo12-morti-hollande-e-terrorismo_acb6160d-536e-4cd2-b441-75df75633f8d.html?idPhoto=1

L’ARMA DELLO STUPRO: 5OO DONNE E BAMBINI SIRIANI RAPITI IN UN VILLAGGIO A NORD DI ALEPPO

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L’emittente panaraba Al Arabia ha diffuso ieri la drammatica denuncia del Syrian National Coalition (il principale organismo politico di opposizione) secondo cui almeno 500 donne e bambini del villaggio di Seifat, a Nord di Aleppo, sarebbero stati rapiti dalle truppe di Assad.

“Un’azione sporca e vile”, denuncia il SNC, chiedendo l’immediato rilascio di tutti i civili ingiustamente trattenuti dal regime. Si teme che, come già accaduto in passato in altri villaggi siriani, le donne e i bambini diventino vittime di stupri di massa. Come emerge da un rapporto diffuso dal Human Right Watch per voce della referente per il Medio Oriente, Sarah Leah Whitson, il regime siriano ha usato lo stupro di massa come arma di punizione collettiva in tutti i villaggi dove ha sconfitto la resistenza dei ribelli. Donne, ma anche bambini, violentati e seviziati; una brutalità che, oltre al danno alla singola vittima, è un messaggio forte a tutti gli oppositori; un segno di demarcazione del territorio. “Il regime – ha affermato Whitson – usa sistematicamente e impunemente la violenza sessuale nelle carceri e nei territori dove riesce a vincere sulla resistenza locale. Una forma di abuso e di umiliazione della vittima e di tutta la sua comunità”.

Gli abusi vengono commessi sia dai militari, che dalle milizie paragovernative e dai shabbiha (squadroni della morte). Ma non è solo il regime, secondo lo stesso rapporto, ad usare lo stupro come arma di massa. I militanti di Daesh (Isis) hanno commesso violenze ai danni di donne e bambini in tutti i villaggi che hanno conquistato. Lo conferma anche un rapporto delle Nazioni Unite, secondo cui i seguaci di Al Baghdady e altri gruppi di combattenti legati ad Al Qaeda hanno commesso uccisioni di massa, sequestri e stupri contro i civili, abusando sessualmente delle donne e  coinvolgendo i bambini nei combattimenti.

Chi sopravvive ai bombardamenti spesso si trova a subire forme di violenza brutale e a portarne i segni e le conseguenze per sempre. Allo stato attuale delle cose non esiste alcuna forma di tutela, assistenza, recupero per le vittime di abusi. Donne, bambini e anziani seviziati affrontano il loro dolore in silenzio e spesso in segreto, per paura di essere etichettati e giudicati. Civili doppiamente vittime di barbarie disumane, che oltre alle bombe e agli spari vedono il proprio corpo diventare un terreno di battaglia e conquiste e che lottano disarmati per sopravvivere, lontano da ogni clamore, dimenticati dal mondo.

 

 

Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/10/12/larma-dello-stupro-500-donne-e-bambini-siriani-rapiti-in-un-villaggio-a-nord-di-aleppo/

Quando tra Assad e l’Isis correva buon sangue

Siria. Dal maggio 2011 con lo scoppio delle prime rivolte e la liberazione dei prigionieri

Dopo l’apertura del pre­si­dente siriano ai bom­bar­da­menti sta­tu­ni­tensi, mirati e coor­di­nati con Dama­sco, con­tro i jiha­di­sti dello Stato isla­mico (Isis) in Siria, il tanto odiato regime di Assad è tor­nato a essere cen­trale per gli inte­ressi Usa in Medio oriente. Non solo Stati uniti e Siria stanno col­la­bo­rando per fer­mare i com­bat­tenti radi­cali dell’Isis, hanno anche qualcos’altro in comune: entrambi hanno con­tri­buito alla nascita e all’ascesa del temi­bile movi­mento jihadista.

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La logica di Assad è molto sem­plice e con­di­visa dalle élite mili­tari di altri stati del Medio oriente: in un con­te­sto di rivolte, è sem­pre utile pun­tare sulla paura gene­ra­liz­zata dell’ascesa di estre­mi­sti e ter­ro­ri­sti. In que­sto modo gli isla­mi­sti mode­rati (i Fra­telli musul­mani siriani per esem­pio), ma anche l’opposizione seco­lare, saranno facil­mente messi in un angolo. Que­sto ha fatto l’esercito egi­ziano, atti­vando i movi­menti sala­fiti in occa­sione delle prime ele­zioni libere del 2012. Per poi accu­sare tutti gli isla­mi­sti di ter­ro­ri­smo ed avere le mani libere per repri­mere i mode­rati Fra­telli musul­mani, lasciando fare ai sala­fiti, diven­tati i prin­ci­pali alleati del gene­rale Abdel Fat­tah al-Sisi.

Alti uffi­ciali vicini ad Assad hanno con­fer­mato que­sta rico­stru­zione. In altre parole, i ter­ro­ri­sti dello Stato isla­mico (Isis) hanno deci­mato l’Esercito libero siriano (Els). «Se que­sti gruppi si scon­trano tra loro, il primo a bene­fi­ciarne è il governo siriano. Quando hai così tanti nemici che si com­bat­tono tra di loro, puoi trarne bene­fi­cio», ha aggiunto la fonte.

Ai mili­tari siriani hanno fatto eco gli Stati uniti. «Il regime di Assad ha gio­cato un ruolo chiave nell’ascesa dell’Isis», ha detto il por­ta­voce del Dipar­ti­mento di Stato, Marie Harf. Assad ha sem­pre negato di aver dato qual­siasi soste­gno all’Isis. Eppure nel mag­gio del 2011, con lo scop­pio delle prime rivolte in Siria, il governo di Dama­sco ha libe­rato dalla pri­gione mili­tare di Sagnaya i prin­ci­pali dete­nuti accu­sati di ter­ro­ri­smo nella prima di una serie di amni­stie. Molti dei pri­gio­nieri libe­rati quel giorno sono ora arruo­lati nelle file dell’Isis. Qual­cosa del genere è avve­nuto anche in Egitto il 28 gen­naio del 2011, quando con l’acqua alla gola per scio­peri e mani­fe­sta­zioni di piazza, la poli­zia sparì dalle strade, men­tre decine di isla­mi­sti radi­cali e dete­nuti comuni lascia­rono le carceri.

Il diplo­ma­tico siriano Bas­sam Bara­bandi ha spie­gato in que­sto modo gli eventi del mag­gio 2011: «Il timore di una pro­lun­gata rivolta per­mise il rila­scio dei pri­gio­nieri isla­mi­sti: sono alter­na­tivi alla con­te­sta­zione paci­fica». Dal 2012 in poi, i gruppi radi­cali, con il soste­gno indi­retto anche degli aiuti mili­tari sau­diti e occi­den­tali, hanno pro­li­fe­rato in Siria: dal fronte al-Nusra alla costola siriana di al-Qaeda fino allo Stato isla­mico (Isis). Quest’ultimo è chia­ra­mente sfug­gito dal con­trollo anche di Assad a tal punto che i jiha­di­sti sono stati impe­gnati non solo in una guerra senza quar­tiere con­tro l’Els ma hanno creato quasi uno stato nello stato. E così l’Isis ha ine­so­ra­bil­mente con­ti­nuato la sua avan­zata, pren­dendo la città set­ten­trio­nale di Raqqa. Il cen­tro, dove molti degli stra­nieri rapiti negli ultimi mesi sono scom­parsi, è diven­tato il quar­tiere gene­rale dei jiha­di­sti. È qui che Abu Bakr al-Baghdadi ha dichia­rato la fon­da­zione del suo calif­fato. Qual­cosa di simile è acca­duto spesso anche nella sto­ria egi­ziana con il ter­ro­ri­smo isla­mi­sta radi­cale inne­scato dalla con­ni­venza con l’intelligence mili­tare (si veda il Sinai).

Dama­sco e Washing­ton da nemici tor­nano a essere amici, que­sta volta con­tro una crea­tura «ter­ri­bile» che hanno entrambi con­tri­buito a far cre­scere ma che è poi sfug­gita al loro controllo.

Fonte:

http://ilmanifesto.info/quando-tra-assad-e-lisis-correva-buon-sangue/

SIRIA: ISIS E L’INFIBULAZIONE DEI CERVELLI

Dal blog di Asmae Dachan:

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Cosa può legittimare e giustificare il silenzio del mondo di fronte al genocidio in corso in Siria, che in 40 mesi ha causato più di 200 mila vittime accertate, tra cui oltre 15 mila bambini? Nulla, assolutamente nulla e allora è importante creare un capro espiatorio. L’aviazione di bashar al assad sta bombardando le città siriane con i barili Tnt, distruggendo interi quartieri, ospedali, acquedotti, scuole e luoghi di culto, provocando la fuga di oltre 4 milioni di persone (3 milioni si trovano nella condizione di profughi nei paesi limitrofi e circa 1 milione sono partiti per altre destinazioni) e generando 9 milioni di sfollati interni (gente senza più una casa) “perché sta colpendo i terroristi”. Già, perché secondo quanto riportano i media siriani e chi sostiene ancora il regime di Damasco in Siria è scoppiata un’improvvisa epidemia di terrorismo che ha contagiato i bambini, le donne, i giovani, gli anziani, per cui tutti meritano di morire. Via allora, si rada al suolo l’intero paese, si proceda con l’arresto, la tortura e l’uccisione degli oppositori pacifici e di quelli che hanno disertato per non uccidere il proprio stesso popolo e al contempo si liberino tutti quei criminali detenuti da anni per reati legati al terrorismo. Questi ultimi si sono organizzati, sono stati pagati e armati, con il bene placito del regime e la complicità di servizi segreti internazionali e governi che hanno tutto l’interesse a mantenere lo stato di instabilità sociale, politica, economica in Siria.

E così i civili siriani, che nel 2011 hanno dato il via ad un movimento pacifico, laico, eterogeneo, comprensivo di tutte le componenti etniche e religiose della società siriana, oggi si trovano a dover subire i bombardamenti e le incursioni del regime da un lato e dall’altro le aggressioni, le violenze, le barbarie dei terroristi di daesh/isis il cui capo si è anche autoproclamato califfo.

I media internazionali che alla Siria non hanno mai riservato lo spazio che questo dramma richiede, i media che hanno sempre giustificato il fatto di non condividere e diffondere video girati da citizen reporter che documentano in tempo reale la situazione negli ospedali da campo, nelle città colpite dai barili, nelle tendopoli perché “non si possono verificare le fonti”, continuano a citare le agenzie del regime e a dare la più ampia visibilità possibile a isis e al suo capo criminale al baghdady (evidentemente considerato attendibile). In questo modo, sulla Siria si sente solo parlare del giuramento di assad per il prossimo settennato e al contempo delle minacce alle minoranze religiose e alle donne del famigerato isis/califfato. Quindi? La conclusione, per chi della Siria sa poco o nulla, sarà quella di dire che “assad non è poi così male e così cattivo ed è sempre meglio lui che i terroristi fondamentalisti persecutori”. Concetti che vengono ripetuti e argomentati anche da personaggi nostrani…

In questo quadro delirante trovano voce solo quelle che per milioni di siriani e di donne e uomini liberi nel mondo – che non ci stanno a farsi prendere in giro – sono le due facce della stessa medaglia: assad e il suo terrorismo di stato, isis e il terrorismo internazionale in finti abiti religiosi. A tal proposito basta ammirate le vignette disegnate da artisti siriani, come quelli di Kafranbel (https://www.facebook.com/kafrev?fref=ts) per capire cosa pensi veramente la Siria su questo argomento.

Non ci si dimentica di nulla? Già, ma è una dimenticanza “collaterale” … in fondo cosa sono milioni di civili inermi? Da che mondo è mondo in ogni conflitto sono i civili, gli ultimi, i dimenticati a pagare e lo fanno in silenzio, per cui anche ai siriani tocca la stessa sorte. Qualcuno sa quante persone sono cadute ieri in Siria? No, perché i media non ne parlano, non fa più notizia, non ha mai fatto notizia (non dimentichiamo che l’Onu ha cessato la conta dei morti e questo la dice lunga…). Nessuno mostra le immagini dei bombardamenti, che arrivano incessantemente attraverso la rete, nessuno mostra le immagini dei civili pelle e ossa nelle città assediate, nessuno raccoglie le denunce dei medici che di fronte a più di 1 milione di feriti, tra cui circa 650 mila mutilati e a migliaia di casi di malati oncologici, diabetici ecc. rimasti senza cure non sanno più cosa fare, nessuno ascolta gli appelli delle donne che non hanno più nemmeno acqua potabile per dissetare i propri figli. La gente non deve sapere del dolore e delle sofferenze dei civili. La Siria deve morire e deve farlo in silenzio.

Si alzano così solo le bandiere e gli inni all’odio; le preghiere per la pace e le richieste d’aiuto cadono nel vuoto. Così l’alter ego del regime, isis/califfato si è invece guadagnato le copertine dei media di tutto il mondo con la sua nuova uscita: infibulazione alle donne di Iraq e Siria. Come se le donne di questi due paesi non abbiano già subito abbastanza: senza più una casa, senza più alcun sostegno, stuprate, rese vedove, costrette a tumulare i propri figli a causa delle violenze del regime, ora si trovano minacciate da questa nuova barbara, disumana, blasfema sentenza. Blasfema, sì, perché ormai dovrebbero saperlo anche i muri che l’infibulazione è una pratica abominevole che nulla ha a che vedere con l’islam, ma evidentemente dire che è un insegnamento del Profeta (bestemmia) è funzionale ad alimentare il clima di odio anti-islamico e a ritrarre il criminale al baghdady come l’incarnazione dell’”islam fondamentalista, persecutore misogino e criminale che il bravo assad combatte a suon di bombe”.

È evidente che questi criminali non conoscono la Siria e i siriani se pensano che avranno campo libero nel voler allungare le loro insulse mani sulle donne: gli uomini e le donne siriani pagheranno anche con la vita pur di non farli avvicinare. Ma in fondo è quello che loro vogliono, nuove vittime, nuove morti. L’infibulazione non fa parte della cultura siriana ed è un’abominevole violenza che non trova alcun riscontro negli insegnamenti dell’islam e questo bisogna ripeterlo fino allo sfinimento perché la gente capisca. Bisogna che la politica, la società civile, gli intellettuali comprendano che questi terroristi sono funzionali ai regimi liberticidi e che catalizzando su se stessi e sui loro deliri l’attenzione del mondo tolgono importanza al dramma taciuto di un popolo che continua a morire sotto le bombe, che continua a fuggire e che spesso, cercando di raggiungere l’Europa, non trova altro che la morte in mare.

Ma la cosa forse più importante è che la notizia di questo decreto, ripresa, amplificata, pubblicata e commentata ovunque, si basa su un fake. A tal proposito si legga la ricostruzione minuziosa e approfondita del collega Lorenzo Trombetta: http://www.sirialibano.com/short_news/infibulate-tutte-le-donne-come-un-falso-fa-notizia.html. L’ennesima bufala mediatica, come quella della crocifissione dei cristiani (vedi http://www.diariodisiria.wordpress.com/2014/05/10/siria-sulla-croce-lumanita-intera/) costruita ad arte per distogliere la già flebile attenzione sul dramma dei civili e alimentare nella gente la convinzione che in Siria sia in atto un’offensiva contro le minoranze a cui il regime si trova a dover rispondere. Naturalmente molti discutibili personaggi hanno colto la palla al balzo per far parlare di sé denunciando questo famigerato proclama, pur non essendosi mai interessati al genocidio in atto da più di tre anni in Siria.

Anche in questo caso, le macchinazioni del regime e dei suoi sostenitori, compresi quindi coloro che questi mercenari barbari li stanno pagando, hanno prodotto un’infibulazione dei cervelli e delle coscienze della gente. Quella gente che ora grida giustamente contro l’infibulazione ma che in 40 mesi non si è accorta degli stupri e delle torture subite dalle donne, persino dalle bambine per mano degli uomini di assad. Quella gente che ora applaude soddisfatta dicendo “come volevasi dimostrare, l’alternativa ad assad è solo il terrorismo fondamentalista”. Quella stessa gente che è pronta a gridare il suo dissenso per altri drammi che si stanno consumando nel mondo, come il genocidio a Gaza, ma che sulla morte quotidiana di civili siriani non si pronuncia e arriva persino a negare ciò che sta accadendo.

La Siria sta morendo con i suoi figli, i suoi giovani, le sue donne e i suoi uomini, la sua storia, le sue città. Non fingiamo di non saperlo. Bisogna gridare contro l’infibulazione e contro tutti i crimini commessi ai danni dei civili, ma non farlo a spot, farlo prendendo una posizione ferma e urgente, chiedendo che si parli del dramma dei civili e si ascoltino le loro voci, senza lasciarle soffocare dalle grida dei violenti guerrafondai. I piccoli angeli morti nella sacralità delle loro case, i giovani uccisi in piazza mentre cantavano libertà, gli innocenti inghiottiti dal mare mentre tentavano di fuggire dalla morte, meritano rispetto e considerazione, non di finire nel dimenticatoio o, peggio ancora, di essere inseriti nell’elenco degli “effetti collaterali di una guerra”. La guerra è crimine contro l’umanità intera.

 

 

Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/07/24/siria-isis-e-linfibulazione-dei-cervelli/