I bambini abusati nel coro di Ratisbona furono almeno 547. Il legale: «Georg Ratzinger sapeva»

La denuncia nel rapporto finale presentato dall’avvocato Ulrich Weber, e divulgato dai media tedeschi. Cinquecento bambini subirono violenze corporali; 67 anche violenze sessuali. «All’ex direttore del coro va rinfacciato di non aver fatto nulla nonostante sapesse»

Sono almeno 547 i bambini che, tra il 1945 e il 1992, hanno subito violenze nel coro del Duomo di Ratisbona. Ad affermarlo è il rapporto finale di una inchiesta avviata nel 2015 presentato dall’avvocato Ulrich Weber, presentato oggi in una conferenza stampa in Germania. Stando al documento, c’è «un’altissima probabilità» che 500 bambini abbiano subito violenze corporali, e 67 anche violenze sessuali. Secondo Weber 49 colpevoli sono stati identificati. «Nella scuola del coro», si legge nel report», «dominavano paura e senso di impotenza», e «la violenza era un metodo applicato quotidianamente» per ottenere «massimi risultati» e «assoluta disciplina».

Il coro venne diretto, dal 1964 al 1994, dal fratello del Papa emerito Benedetto XVI, Georg Ratzinger (qui l’intervista di Danilo Taino con lui nel 2010: «Io mi occupavo di musica, mai avuto notizia di casi del genere»). Nel suo rapporto Weber attribuisce a Georg Ratzinger delle «corresponsabilità»: nella conferenza stampa di oggi, il legale, secondo la Dpa (riportata dall’agenzia Ansa), ha affermato che all’ex direttore del coro va «rinfacciato di aver fatto finta di non vedere, e di non essere intervenuto nonostante sapesse».

Nel 2010, quando il caso era emerso per la prima volta, Ratzinger aveva detto che alcuni ragazzi gli avevano raccontato come andavano le cose nella scuola di preparazione, ma che le loro storie non lo avevano indotto a pensare di «dover intervenire in qualche modo». Ratzinger ha sempre ammesso di aver saputo delle violenze fisiche, ma di non sapere nulla di abusi sessuali. Secondo quanto riportato nel 2010 dalla Passauer Neuen Presse, lo stesso fratello maggiore del Papa ha ammesso di aver dato qualche schiaffo ai ragazzi fino agli anni ‘70 e di essere stato «sollevato» quando le punizioni fisiche vennero vietate dalla legge all’inizio degli anni ‘80.

Nel 2010 l’allora vescovo di Ratisbona ed ex prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina delle Fede, Gerhard Ludwig Muller, ha ammesso gli abusi nel coro, precisando però che gli episodi di pedofilia «non coincidono con il periodo dell’incarico del maestro professor Ratzinger». Anche Muller viene accusato nel rapporto finale sul caso per la debolezza «strategica, organizzativa e comunicativa» con cui lo scandalo venne affrontato.

Muller divenne capo dell’ex sant’Uffizio nel 2012, dall’allora papa Joseph Ratzinger. Papa Francesco lo ha da pochi giorni sollevato dall’incarico. L’attuale vescovo di Ratisbona, Rudolf Voderholzer, ha già annunciato di voler offrire alle vittime compensazioni finanziarie tra i 5 e i 20 mila euro a testa entro la fine dell’anno.

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http://www.corriere.it/esteri/17_luglio_18/i-bambini-abusati-coro-ratisbona-furono-almeno-547-79dfc3f6-6ba6-11e7-9094-d21d151198e9.shtml

Pedofilia, premiato il docufilm italiano che inguaia papa Bergoglio

«Una vita unicamente dedita alla preghiera e alla penitenza; divieto di qualsiasi contatto con i minori; assidua sorveglianza da parte di responsabili individuati dal vescovo di Verona». È la pena più pesante inflitta ai sacerdoti pedofili protagonisti di una delle più agghiaccianti vicende di violenza su minori compiuti in ambito ecclesiastico mai emerse in Italia: gli stupri di decine di ospiti dell’Istituto per bambini sordomuti A. Provolo di Verona, perpetrati lungo tutta la seconda metà del secolo scorso. Uno dei destinatari di questo «precetto penale» comminato dalla Santa Sede è don Eligio Piccoli, come si legge nella lettera (di cui Left è in possesso) che fu inviata il 24 novembre 2012 dal presidente del Tribunale ecclesiastico di Verona, monsignor Giampietro Mazzoni, all’avvocato delle vittime riunite nell’associazione sordi Provolo. Per le violenze compiute nell’istituto, nel quale era educatore, Piccoli era stato riconosciuto colpevole al termine di una inchiesta indipendente affidata dalla Santa Sede a un magistrato “laico”, Mario Sannite. Si trattava in quel momento, nel 2012, dell’unica inchiesta mai avvenuta sul Provolo. A causa della prescrizione la magistratura italiana non era potuta intervenire. Come i nostri lettori sanno, all’epoca raccontammo questa storia su Left (aggiornandola successivamente diverse volte). Era l’ennesima puntata di una vicenda iniziata nel 2009 quando alcune delle vittime ormai adulte resero pubbliche le violenze subite, dopo aver preso coraggio sulla scia di situazioni analoghe accadute in tutta Europa (Irlanda, Olanda, Belgio, Inghilterra, Germania etc).Oggi si torna a parlare nuovamente di don Eligio Piccoli in occasione dei “DIG Awards 2017”, i premi internazionali per le migliori inchieste e reportage video della scorsa stagione. È lui infatti il protagonista de Il caso Provolo, l’inchiesta realizzata da Sacha Biazzo per Fanpage.it che ha vinto il primo premio della sezione “Short”. Il docufilm di Biazzo dura circa 15 minuti e don Piccoli da un letto di ospedale conferma al bravo giornalista quanto emerse dall’inchiesta di Sannite parlando di almeno 10 preti coinvolti e confessando di aver abusato. Come è noto, molti preti della lista presentata dall’associazione Sordi Provolo al magistrato incaricato dalla Santa Sede oggi sono morti, alcuni sono stati trasferiti in Argentina e altri – come don Piccoli e don Pernigotti per citarne un paio – sono ancora in vita.

Riassumiamo in breve la storia. Le accuse formulate da 67 giovani ospiti dell’Istituto sin dalla metà degli anni 80 e inascoltate per quasi 30 anni, riguardavano 25 persone tra sacerdoti e fratelli laici. Al termine dell’indagine nel 2012 Sannite ravvisò elementi di colpevolezza solo per tre di loro: don Piccoli, don Danilo Corradi e frate Lino Gugole. Per Corradi le accuse «non risultano provate», ma «stante il dubbio», la Santa Sede formulò nei suoi confronti un’ammonizione canonica, vale a dire «una stretta vigilanza da parte dei responsabili dei suoi comportamenti». Corradi (come del resto don Piccoli) è pertanto rimasto prete ed è finito sotto il controllo di chi per anni aveva ignorato le accuse nei suoi confronti. Ancor più sconcertante, se possibile, il paragrafo relativo al terzo uomo.

«Gugole – si legge nel testo della Santa sede – è affetto da una grave forma di alzheimer che lo rende del tutto incapace di intendere e di volere. È ricoverato in una casa di riposo presso l’ospedale di Negrar. Nessun provvedimento, stante la sua condizione, è stato preso nei suoi confronti». In realtà sarebbe stato difficile anche solo recapitargli di persona un telegramma, poiché, come mi raccontò nel 2013 il portavoce dell’associazione, Marco Lodi Rizzini, «Lino Gugole è morto nel 2011, con tanto di necrologi pubblicati sui giornali locali e i gazzettini parrocchiali». Cioè un anno prima della “sentenza”.

Riguardo gli altri accusati la Santa Sede liquidò la faccenda affermando che su alcuni di loro – quelli davvero rimasti in vita – avrebbero continuato a indagare. Ma, come vedremo, non risulta. Tra i “prosciolti” infatti figura il nome di don Nicola Corradi (che non è parente di don Danilo) finito in carcere nel novembre del 2016 a Mendoza in Argentina con l’accusa di aver abusato alcuni bambini nella più importante sede sudamericana del Provolo in cui fu trasferito a metà anni 80 dal Vaticano e di cui è stato direttore fino all’arresto. E c’è anche il nome dell’ex vescovo di Verona mons. Giuseppe Carraro, per il quale il 16 luglio 2015 papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto riguardante le sue «virtù eroiche», inserendolo tra i venerabili, primo passo verso la beatificazione. Il loro accusatore, Gianni Bisoli, nel 2012 era stato ritenuto inattendibile nonostante la minuziosa descrizione della stanza in cui era costretto a «masturbazioni, sodomizzazioni e rapporti orali».

In particolare, Bisoli ha sempre raccontato di essere stato violentato dal vescovo anche nel 1964, durante il suo ultimo anno di permanenza nell’istituto. Tuttavia, quando lo intervistai nel 2013 per uno dei miei libri su Chiesa e pedofilia, mi spiegò che il dottor Sannite gli fece vedere un documento firmato da don Danilo Corradi nel quale era apposta come data di sua dismissione dall’Istituto Provolo il 20 giugno 1963. La data quindi non coincideva con la ricostruzione fornita dalla presunta vittima. Ebbene, mi disse Bisoli, «sull’originale che mi fu mostrato la data ha un refuso, appare abrasa e modificata ed è scritta con una grafia diversa rispetto al resto del documento, ma soprattutto è antecedente a quella della mia ultima pagella a firma dell’insegnante don Eligio Piccoli, che ricordavo datata 27 giugno 1964». A nulla portarono le sue perplessità. Nonostante le evidenti manomissioni non fu creduto.

Ma proprio la grossolana manomissione potrebbe costar caro alla diocesi di Verona sotto la cui giurisdizione ricade l’istituto cattolico per sordomuti. A gennaio scorso è stata aperta un’inchiesta nei confronti dei responsabili del Provolo da parte della magistratura scaligera in seguito ad alcuni esposti presentati dall’associazione Rete L’Abuso. E in seguito, il 27 febbraio, anche l’associazione sordi Provolo e Bisoli – che nel frattempo ha ritrovato l’originale della pagella del 1964 – hanno depositato formale querela per la presunta manomissione del documento.

Inoltre, in riferimento all’arresto di don Nicola Corradi, il 29 marzo, la Rete L’Abuso e Bisoli, come riportano diverse testate locali e non, hanno chiesto tramite un esposto alla procura di Verona di accertare eventuali omissioni giuridicamente rilevanti «in capo ai soggetti preposti al controllo dell’operato dei sacerdoti pure in termini di insufficiente vigilanza o di negligenza nel mettere in atto le cautele necessarie ad impedire la reiterazione di gravi reati come quello di pedofilia». Vale a dire i responsabili dell’istituto di Verona. La sede legale dell’istituto Provolo argentino sito in Mendoza e diretto da Corradi fino all’arresto risulta infatti coincidere con quella italiana, in Stradone Provolo 20, a dieci minuti a piedi dalle più famose attrazione turistiche del capoluogo scaligero: l’Arena e la casa di Giulietta.

Nei confronti di don Nicola, oggi 80enne, la magistratura italiana non è mai potuta intervenire per via della prescrizione ma il presidente della Rete l’Abuso, Francesco Zanardi, mi ha spiegato che l’esposto serve ad appurare eventuali responsabilità della diocesi di Verona: «Abbiamo chiesto di verificare se ci sono state omissioni e negligenze, dal momento che Corradi era già stato denunciato dalle vittime italiane ben prima dei fatti di cui è accusato in Argentina, senza che venisse preso alcun provvedimento». L’obiettivo di Rete l’Abuso è far riaprire il caso anche in Italia. «Perché – si chiede Zanardi – don Corradi nonostante le accuse nei suoi confronti venne trasferito dalla Curia di Verona in un’altra sede, sempre a contatto con dei minori, invece di essere rimosso dai suoi incarichi?».

Questa domanda ci riporta a don Eligio Piccoli e al documentario di Sacha Biazzo. Ascoltando ciò che questo sacerdote afferma davanti alla cinepresa appare evidente che la condanna ecclesiastica a «una vita unicamente dedita alla preghiera e alla penitenza» non abbia sortito alcun effetto. Seppur affaticato dalla malattia fisica che lo costringe in ospedale, don Piccoli racconta di aver abusato con estrema naturalezza e che altri suoi “colleghi” preti lo hanno fatto (nel video esibisce un ghigno mostruoso).

Tipica dei pedofili è la totale assenza di emozioni. Come ho potuto riscontrare più volte, nel caso dei preti l’unica preoccupazione è di aver peccato. Questa idea distorta è figlia di una cultura secondo la quale in fin dei conti è il bambino, diavolo seduttore, a indurre in tentazione il sant’uomo. E questo cede, offendendo Dio.

La realtà però è un’altra e dice senza appello che la pedofilia non è un’offesa alla castità, non è un delitto contro la morale, non è il Male. Non è un atto di lussuria come peraltro scrivono certi giornalisti affermati citando il canone 2351 del Catechismo della Chiesa cattolica. L’abuso non è un rapporto sessuale tra due persone consenzienti che si lasciano andare ma è pura violenza agita da un adulto nei confronti di un bambino “scelto” con “cura” dal suo violentatore. Il pedofilo non prova alcun desiderio, è una persona anaffettiva. La vittima, in quanto in età prepuberale, non ha e non può mai avere né sessualità, né desiderio.

Chi abusa un bambino è un grave malato mentale ma non occorre essere psichiatri per comprendere che non può guarire invocando la madonna. Basta un minimo di buon senso. A meno che non si pensi – come fanno i religiosi cattolici, pedofili e non – che l’abuso è un “atto impuro” (VI Comandamento), cioè, appunto, un peccato. Seppur annoverato tra i delitti più gravi, secondo la visione degli appartenenti al clero si tratta di un crimine contro la morale. “Abuso morale” lo ha definito Benedetto XVI nel 2013 e di recente anche papa Francesco nella premessa all’autobiografia di una vittima di sacerdote pedofilo. Di conseguenza i responsabili devono risponderne a Dio, nella persona del suo rappresentante in terra, e non alle leggi della società civile di cui fanno parte. È sempre stato così ed è così anche oggi sotto il pontificato del presunto innovatore argentino.

Appena eletto, papa Francesco ha messo in cima alla agenda pontificia la lotta contro la pedofilia. Dedicando a questo tema almeno un annuncio a settimana, non mancando mai di farsi fotografare con atteggiamenti affettuosi – a volte ricambiati, a volte no – in mezzo a dei bambini, emanando una serie di decreti volti ad accentrare in Vaticano tutte le indagini e le decisioni sui casi più scabrosi e ad avvicinare le norme della Santa Sede alle indicazioni della Convezione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza siglata nel 1991 e ratificata nel 2014. Segnali forti, amplificati dalla parola d’ordine spesso pronunciata dal pontefice argentino e diligentemente rilanciata dai media italiani: «Tolleranza zero». Un passaggio epocale, sulla carta, è avvenuto il 5 settembre 2016, con l’emanazione del decreto Come una madre amorevole che prevede, oltre all’inasprimento delle misure anti-abusi, la rimozione dei vescovi responsabili di condotta negligente del proprio ufficio nei casi di violenza su minori o adulti vulnerabili. Vale a dire, di insabbiamento delle denunce relative a preti pedofili. Poco più di un anno prima, il 5 giugno 2015 al fine di rendere possibile l’individuazione e la punizione di vescovi negligenti, secondo quanto si legge sul sito della Santa Sede, al papa era stata sottoposta, da una commissione consultiva appositamente insediata, la proposta di creare un Tribunale apostolico all’interno della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) alla quale già spetta il compito di giudicare i sacerdoti accusati di pedofilia. Si trattava solo di un suggerimento ma la stampa italiana annunciò il tribunale dei vescovi come cosa fatta descrivendolo come l’ennesimo segnale di svolta rispetto al passato compiuto da Bergoglio. In realtà la stessa pena, ossia la rimozione del porporato insabbiatore, colmava un vuoto procedurale poiché era già disciplinata sin dal 1962 dalla legislazione canonica vigente per cause gravi (Crimen sollicitationis) e rinnovata nel 2001 da un provvedimento di Giovanni Paolo II (De delictis gravioribus). Ma senza essere mai applicata. E cosa ancor più interessante, il tribunale seppur annunciato e osannato non è mai entrato in funzione né mai accadrà perché il papa non lo ha mai creato. A dare la smentita – con quasi due anni di ritardo rispetto ai titoli a nove colonne dei media nostrani – è stato il 5 marzo scorso niente meno che il prefetto della Cdf, card. Gerard Müller, il quale intervistato dal Corriere della sera ha precisato che il tribunale per i vescovi «era solo un progetto».

Questi sono solo alcuni esempi di come la Chiesa di papa Francesco stia affrontando la questione delle violenze sui minori al proprio interno. La strategia è collaudata e vincente: cambiare tutto per non cambiare niente. Alle parole del papa, alle sue intenzioni, ai suoi desiderata raramente, per non dire mai, seguono dei fatti concreti. E su questo i media sono disposti a chiudere un occhio, molto spesso tutti e due (come abbiamo avuto modo di dimostrare su Left n. 20/2017).

In questa ottica il lavoro di Sacha Biazzo andrebbe doppiamente premiato, in quanto contribuisce a mantenere viva l’attenzione sull’inerzia e sulla tolleranza (verso i preti violentatori) del Vaticano che dunque, anche sotto Bergoglio, continua a combattere la pedofilia solo a parole. Al più, a colpi di avemaria.

 

Fonte:

https://left.it/2017/06/26/pedofilia-premiato-il-docufilm-italiano-che-inguaia-papa-bergoglio/

“Così la Chiesa copre i preti pedofili. E su Bergoglio dico che…”

ESCLUSIVO/ “I preti pedofili vengono coperti dai vertici della Chiesa ma anche dalle istituzioni”. Francesco Zanardi è il portavoce di un gruppo di attivisti anti-pedofilia e lavorava con Luisa Bonello, la donna trovata morta a Savona al cui funerale Don Lupino ha attaccato la curia. In un’intervista ad Affaritaliani.it accusa: “Le vittime subiscono pratiche mafiose, dall’omertà allo screditamento. Ratzinger? Era a conoscenza di abusi ma non fece niente. Bergoglio? Vada al di là dei gesti e delle parole. Wesolowski lo hanno fatto scappare loro”. E rivela: “Troppe anomalie sulla sua morte, non credo al suicidio. Stavamo lavorando ai legami tra Chiesa e massoneria, forse ci siamo spinti troppo in là

Venerdì, 26 settembre 2014 – 11:14:00

Francesco Zanardi è il portavoce della Rete L’Abuso, un gruppo di attivisti, vittime e professionisti volontari che opera su tutto il territorio nazionale per portare alla luce i casi, spesso nascosti, di abusi sessuali nella Chiesa. Zanardi conosceva molto bene Luisa Bonello, il medico di di 53 anni ritrovata morta negli scorsi giorni a Savona. Insieme hanno denunciato molestie e stavano indagando sulle coperture di cui godono i preti pedofili. Proprio nei giorni in cui sono emersi casi clamorosi come quello dell’arcivescovo Wesoloswki, Zanardi parla in un’intervista ad Affaritaliani.it del caso di Savona (e non solo), di Luisa e di quello che Papa Francesco sta facendo (o non sta facendo) per combattere questa piaga.

Francesco Zanardi, durante il funerale di Luisa Bonello sono arrivate le dure parole di Don Lupino sulla curia di Savona e le coperture ai pedofili. Lei, da portavoce della Rete L’Abuso, da tempo si occupa di questo argomento. Che cosa succede a Savona?

A Savona abbiamo documentato parecchi casi di abusi sessuali che vedono coinvolti preti. Preti che vengono coperti dall’alto. Ma, come abbiamo raccontato nel docu-film “Parole, opere e omissioni”, quello che è successo a Savona succede un po’ in tutta Italia. Purtroppo chi si oppone a certe cose, anche dall’interno della Chiesa, finisce per essere emarginato e diventa vittima come la vittima stessa degli abusi.

Anche Don Lupino rischia di venire emarginato?

Don Lupino è già abbastanza emarginato dalla diocesi. Non è stato spretato solo perché più di tanto non si osa.

Ma chi ha coperto i preti pedofili?

La copertura arriva dai vertici ed è garantita non solo dalla curia ma anche dalle istituzioni. Per esempio, sul caso di don Giraudo abbiamo depositato un esposto 15 giorni fa perché siamo venuti a conoscenza di altre responsabilità. I suoi abusi sono stati coperti non solo da uomini della Chiesa ma anche da altre persone che hanno cariche istituzionali che lo hanno messo nella situazione di compiere abusi pur sapendo della sua predisposizione… Persino Ratzinger, quando era ancora prefetto della Dottrina della fede prima di diventare Papa, fu avvisato del caso ma non fece nulla. Al funerale di Luisa, tra l’altro, le istituzioni neppure c’erano, nonostante suo marito sia un consigliere comunale.

E’ più difficile punire un prete pedofilo rispetto a un pedofilo, per così dire, comune?

Certamente sì, perché ci sono altri poteri sotto. La pedofilia è come andare a pescare in una palude: tiri su il pesciolino che è il pedofilo ma insieme a lui tiri su anche tanta altra melma perché si vanno a toccare anche altri poteri.

In questi giorni abbiamo assistito ai casi di Wesolowski e dell’altro vescovo rimosso in Paraguay per aver coperto abusi sessuali. Le sembra che con Papa Francesco la Chiesa stia agendo finalmente agendo per combattere la pedofilia?

Sono molto critico verso Bergoglio. Certo, se guardiamo alle parole e al gesto possiamo dire che in tutti questi anni la Chiesa non aveva mai fatto qualcosa del genere, ma non possiamo fermarci alle parole. Guardando ai fatti, mettere Wesolowski ai domiciliari in Vaticano non mi sembra una gran punizione, avrebbe dovuto farlo rimpatriare nel Paese in cui è stato condannato, tenendo conto anche era stato il Vaticano a farlo scappare all’inizio dello scandalo, negando l’estradizione.

Crede che nemmeno con Bergoglio la Chiesa abbia la volontà di affrontare la questione?

Negli scorsi giorni è stato rimosso un vescovo in Paraguay per aver coperto un caso di pedofilia. Benissimo, ma non è che bisogna andare così lontano per fare qualcosa. Qui in Italia di casi del genere ce ne sono tantissimi, noti e meno noti. A Savona la curia ha coperto e tenuto nascosto un prete pedofilo ricercato dalla polizia irlandese. A Napoli e Crotone ci sono preti accusati di pedofilia scomparsi e nascosti non si sa dove. Sono tutti casi attualissimi, se si volesse intervenire sul serio lo si potrebbe fare partendo da qui.

Quanto è difficile per una vittima di abusi da parte di un prete pedofilo riuscire a parlarne?

Difficilissimo. Tra le tantissime vittime che abbiamo conosciuto solo 3 o 4 si vogliono esporre pubblicamente, tutte le altre non ne hanno il coraggio. Quando si è vittime di una cosa del genere si finisce per essere ghettizzati, soprattutto nelle realtà più piccole. Vengono messe in atto pratiche che sembrano quelle mafiose, dall’omertà allo screditamento.

Lei conosceva Luisa. Anche lei collaborava per portare alla luce abusi sessuali nella Chiesa?

Era dal 2010 che collaborava con noi, ma sempre in maniera riservata perché frequentava la Chiesa e dunque non poteva scoprirsi troppo.

La Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio. Lei pensa che possa essere stata indotta da qualcuno a togliersi la vita?

Io non credo all’istigazione al suicidio. Luisa si sarebbe sparata con una calibro 9 x 21, una pistola che fa un botto assurdo. Peccato nel palazzo nessuno ha sentito lo sparo, ed era l’una meno 10 di notte. L’unico elemento che porta a pensare al suicidio è un cane che ha abbaiato e che si ipotizza abbia sentito lo sparo, insieme a un sms di Luisa con una lettera autografa al marito. Ma lei il marito lo chiamava sempre con un nomignolo mentre lì c’era scritto “perdonami Maurizio”, e non è l’unica anomalia di questa storia. Non è facile spararsi in bocca con una calibro 9. Gliel’hanno trovata sul petto ma una pistola del genere vola via, ha un rinculo fortissimo. Ora, non dico che il problema diretto sia la pedofilia, ma magari quella melma che tiri su col pesciolino… In Liguria c’è tanto potere del Vaticano. Stavamo lavorando sui legami tra Chiesa e massoneria, forse ci siamo spinti troppo in là.

 

 

Fonte:

http://www.affaritaliani.it/cronache/zanardi-savona-curia260914.html

Leggi anche i seguenti articoli:

http://italian.ruvr.ru/news/2014_09_23/Prete-russo-sospettato-di-pedofilia-arrestato-in-Israele-5831/

http://retelabuso.org/blog/32201 (Pedofilia, Papa Francesco rimuove vescovo Paraguay: “Avrebbe coperto abusi”. E il cardinale Domenico Calcagno, quando lo rimuove ?)

http://www.unavoceperledonne.it/2014/09/26/finta-rivoluzione-ecclesiale-papa-bergoglio-trasferisce-vescovo-accusato-di-abusi-sessuali/

http://www.repubblica.it/esteri/2014/09/27/news/kubicki_io_vittima_di_abusi_ora_chiedo_giustizia_il_cardinale_nycz_sapeva_e_ha_taciuto-96781229/

http://www.corriere.it/cronache/14_settembre_27/missioni-all-estero-vescovo-organizzare-festini-minori-05beefc4-4610-11e4-a490-06a66b2e25ed.shtml

http://retelabuso.org/blog/32266 ( Pedofilia a Savona, le dichiarazioni dei “SUA INSAPUTA”. Dai Vescovi al Papa)

 

 

Arrestato in Vaticano l’ex arcivescovo Wesolowski

Santa sede. Wesolowski, 66 anni, era già stato dimesso dallo stato laicale – la massima pena canonica – ed era stato richiamato a Roma da Santo Domingo qualche mese fa

La croce sull’abito di papa Francesco © Reuters

I gen­darmi pon­ti­fici hanno arre­stato ieri pome­rig­gio in Vati­cano l’arcivescovo polacco Jozef Weso­lo­w­ski, accu­sato di abusi ses­suali su minori. La noti­zia è stata data da Enrico Men­tana durante il tg de La7 delle 20 e poco dopo con­fer­mata dalla Sala stampa di Oltretevere.

Weso­lo­w­ski, 66 anni, è stato arre­stato su dispo­si­zione del pro­mo­tore di giu­sti­zia vati­cano (una sorta di pm) per reati di pedo­fi­lia com­piuti quando era nun­zio nella Repub­blica Domi­ni­cana tra il 2008 e il 2013.

Un anno fa era stato richia­mato a Roma e pochi mesi dopo il Vati­cano aveva rifiu­tato la richie­sta di estra­di­zione arri­vata dalla Polo­nia: una deci­sione, giu­sti­fi­cata con l’immunità diplo­ma­tica di cui il nun­zio godeva, che aveva susci­tato diverse cri­ti­che a livello inter­na­zio­nale, anche da parte dell’Onu che più volte ha accu­sato la Santa sede di omis­sioni e silenzi sui casi di pedo­fi­lia.
Nello scorso mese di giu­gno, la Con­gre­ga­zione per la dot­trina della fede (l’ex Sant’Uffizio) lo ha dimesso dallo stato cle­ri­cale, la mas­sima pena cano­nica, con­tro la quale però Weso­lo­w­ski ha fatto ricorso (il giu­di­zio arri­verà nelle pros­sime settimane).

Ieri l’accelerazione, con l’esecuzione dell’arresto. E la pros­sima aper­tura, salvo sor­prese, del pro­cesso penale in Vaticano.

 

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/arrestato-in-vaticano-lex-arcivescovo-wesolowski/

PRETI PEDOFILI, IL VIDEO CHOC CHE IMBARAZZA BERGOGLIO

Vaticano. Clamorosa protesta contro l’immobilismo vaticano nei confronti dei prelati italiani. 17 vittime di preti pedofili italiani consegnano al papa i filmati degli abusi sollecitandolo a denunciare tutto alla magistratura

 

Papa Francesco alla via Crucis di venerdì scorso a Roma

 

 

Un video di 8 minuti per chie­dere giu­sti­zia. Lo hanno inviato ieri a papa Fran­ce­sco 17 donne e uomini che hanno subito abusi e vio­lenze da parte di preti e reli­giosi. L’iniziativa è stata pro­mossa dalla rete L’Abuso, l’associazione che da anni aggrega e difende le vit­time dei preti pedo­fili in Ita­lia.
«Vogliamo solo giu­sti­zia», «chie­diamo che Ber­go­glio ci dia delle rispo­ste e fac­cia giu­sti­zia», ripe­tono nei loro bre­vis­simi video mes­saggi le 17 vittime.

C’è Giada Vitale, 18 anni, abu­sata da un prete da quando aveva 13 anni fino ai 16, che chiede a papa Fran­ce­sco per­ché non ha rispo­sto alla sua let­tera che gli ha con­se­gnato per­so­nal­mente. Erik Zat­toni, 32enne, nato da un abuso subito dalla madre da don Pie­tro Tosi, come rico­no­sciuto dal test del dna, che domanda come mai quel prete – ora morto – non sia nem­meno stato dimesso dallo stato cle­ri­cale. E poi ci sono otto ex ospiti dell’Istituto per sor­do­muti «Pro­volo» di Verona che, insieme ad altre decine di ragazze e ragazzi accolti al «Pro­volo», hanno subito abusi e vio­lenze da parte di 26 preti e fra­telli laici fra gli anni ’50 gli anni ‘80, come sta­bi­lito anche da una com­mis­sione di inchie­sta voluta nel 2009 dal Vati­cano e pre­sie­duta da Mario San­nite, ex pre­si­dente del tri­bu­nale di Verona. «Ini­zial­mente la Curia dichiarò che non avrebbe dato impor­tanza alla pre­scri­zione, ma poi, forse visti anche i risul­tati dell’inchiesta, ritrattò», rileva la rete L’Abuso. Di quei 26 preti e reli­giosi, 12 sono dece­duti. I restanti 14 sono impu­niti, molti – pre­scritti – sono ancora preti e vivono tut­tora al Pro­volo, altri invece sono stati tra­sfe­riti nella suc­cur­sale argen­tina dell’istituto, con sede a La Plata.

«La nostra vuole essere una denun­cia pacata ma netta, per­ché nes­suno di noi ha rice­vuto rispo­ste. Sem­bra che papa Fran­ce­sco stia facendo molto per le vit­time della pedo­fi­lia, ma dal nostro punto di vista non è cam­biato nulla», spiega Fran­ce­sco Zanardi, por­ta­voce della rete L’Abuso. La denun­cia alle auto­rità civili e alla magi­stra­tura resta, per Zanardi, l’unico stru­mento vera­mente effi­cace di giu­sti­zia e di risar­ci­mento per le vit­time. Ed è un passo che le auto­rità reli­giose non inten­dono fare. «L’istituzione eccle­sia­stica nel migliore dei casi avvia un pro­cesso cano­nico nei con­fronti del prete pedo­filo – aggiunge – e la pena più severa è la dimis­sione dalla stato cle­ri­cale. In que­sto modo, secondo noi, la Chiesa risolve il «suo» pro­blema, per­ché allon­tana da sé chi ha sba­gliato. Ma se non c’è l’intervento della magi­stra­tura, non si può dire che giu­sti­zia sia stata fatta. Per­lo­meno dal punto di vista delle vit­time. E a que­sto pro­po­sito, il fatto che le Linee guida anti­pe­do­fi­lia della Cei, rese note poche set­ti­mane fa, non pre­ve­dano per i vescovi un obbligo strin­gente di denun­cia alla magi­stra­tura ma solo un gene­rico «dovere morale di con­tri­buire al bene comune» ci sem­bra un fatto gravissimo».

La Con­gre­ga­zione per la dot­trina della fede – ha comu­ni­cato qual­che giorno fa mon­si­gnor Sil­vano Tomasi al Comi­tato Onu sulla Con­ven­zione con­tro la tor­tura – fra il 2004 e il 2013 ha rite­nuto atten­di­bili 3.420 casi di abuso su minori com­messi tra gli anni ’50 e gli anni ’80. I preti dimessi dallo stato cle­ri­cale sono 848, men­tre 2.572 sono stati puniti dalla Santa Sede con «altre misure cano­ni­che e disci­pli­nari». «Ma que­sti numeri non val­gono per l’Italia, dove le vit­time non hanno rice­vuto nes­sun soste­gno», dice Zanardi, che annun­cia: «Nelle pros­sime set­ti­mane pre­sen­te­remo un dos­sier all’Onu con i casi di 150 preti ita­liani con­dan­nati in via defi­ni­tiva per abuso e vio­lenze ses­suali su minori. Ma se con­si­de­riamo anche i pre­scritti e quelli in attesa di giu­di­zio il numero aumenta notevolmente».

Fonte:

http://ilmanifesto.it/preti-pedofili-il-video-choc-che-imbarazza-bergoglio/

 

Qui il video:

ABUSI SESSUALI, STERILIZZAZIONI DI MASSA E DECINE DI MIGLIAIA DI BAMBINI MORTI NELLE SCUOLE CATTOLICHE RESIDENZIALI DEL CANADA DAL 1922 AL 1984 CON LA COMPLICITA’ DELLE ALTRE CHIESE

Dal blog di Daniele Barbieri:
6 aprile 2010 

 

Con l’autorizzazione dell’autore, pubblico questa inchiesta di Marco Cinque uscita sul quotidiano «il manifesto» del 4 aprile 2010.  

 

 
Sono ormai diversi anni che Kevin Annet denuncia gli abusi e le stragi dei nativi canadesi nelle cosiddette “scuole residenziali” cattoliche. Prima col libro The Canadian Holocaust, poi col film documentario Unrepentant, diretto da Louie Lawless, Annet sta cercando di scuotere l’opinione pubblica internazionale sulle sistematiche violenze fisiche, gli abusi sessuali, gli elettroshock, le sterilizzazioni di massa e gli omicidi perpetrati ai danni delle popolazioni native nella seconda metà del XX secolo. «È necessario che il mondo sappia quello che è successo», recitava una donna nativa in lacrime all’inizio di Unrepentant, ma bisogna vedere se il mondo a cui viene rivolto questo drammatico appello abbia davvero voglia di sapere.

 

 

Sia il governo canadese che il capo della Chiesa cattolica hanno ammesso i crimini commessi nelle scuole residenziali. Infatti, l’11 giugno 2008 il presidente del Consiglio dei ministri, Stephen Harper, ha chiesto ufficialmente scusa per il genocidio e per gli abusi inflitti agli aborigeni. Dal canto suo papa Ratzinger, durante un’udienza con  Phil  Fontaine, leader discusso e non riconosciuto dalle First Nation, ha espresso «il proprio dolore per l’angoscia causata dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa», che ha causato sofferenza «ad alcuni bimbi indigeni, nell’ambito del sistema scolastico residenziale canadese».  Queste scuse però, oltre a sminuire il senso delle proporzioni, somigliano a una sorta di confessione che in un sol colpo pretenderebbe di cancellare le responsabilità dei peccatori e di redimerne automaticamente  i peccati.  Se crimini sono stati commessi e ammessi, si presume che debbano esistere anche i criminali che li hanno compiuti e risulta strano che gli stessi non vengano né identificati né perseguiti a norma di legge.
Ammontano almeno a 50mila i bambini morti nelle scuole residenziali cattoliche, senza contare tutti coloro che resteranno segnati per sempre, fisicamente e psicologicamente, dalle torture e dalle violenze subite. Ma la situazione attuale nelle riserve indiane canadesi continua a essere tragica e i nativi  sono  ancora vittime di deprivazioni, violenze razziste, discriminazioni e misteriose sparizioni.  Negli ultimi 20 anni, circa 500 donne native americane sono svanite nel nulla in tutto il Canada.  Annet ha denunciato la scomparsa di molte ospiti aborigene del centro di Vancouver Eastside e il coinvolgimento di agenti della Royal Canadian Mounted Police (RCMP), della Chiesa e dello stesso governo. Tale coinvolgimento, supportato da prove documentali e da dichiarazioni di testimoni oculari, farebbe capo a una rete di pedofili e a un traffico di film porno e pedopornografia. Più volte Annet, attraverso il suo programma radiofonico Hidden from History, trasmesso dalla Vancouver Co-op Radio, ha rivelato l’esistenza di luoghi di sepoltura di massa per occultare i resti delle donne assassinate nell’area intorno a Vancouver.  Un esame necroscopico sui resti di ossa riesumate, rinvenute nella riserva degli Indiani Musqueam, vicino all’Università della British Columbia nel 2004, ha rivelato infatti che queste appartengono a giovani donne mischiate a ossa di maiale.L’11 ottobre 2009, Annet si è recato a Roma per consegnare le richieste dei parenti delle vittime native ai vertici vaticani. A tutt’oggi, nessuna risposta è arrivata dalla Santa Sede.  Annet ha ufficialmente richiesto che il 15 aprile venga celebrato come giorno della memoria per l’olocausto dei nativi in Canada. L’autore di Unrepentant sarà di nuovo a Roma per presentare il suo documentario presso la Camera dei deputati, martedì 7 aprile, alle ore 14,30. Lo accompagneranno anche due anziani che hanno frequentato le Boarding School, in rappresentanza delle vittime native.

 

In attesa della sua visita gli abbiamo rivolto alcune domande:

 

Signor Annet, dall’inizio della sua denuncia pubblica, che sviluppi ci sono stati e quali le reazioni del governo canadese e del Vaticano?

 

La mia campagna è cominciata nel 1996, ma solo dal 2008 la Chiesa e il Governo canadese hanno cominciato a rispondere all’evidenza delle morti avvenute nelle scuole residenziali. I cattolici e le altre Chiese ancora si rifiutano di restituire i resti dei bambini che morirono sotto la loro responsabilità o di indicare i nomi dei responsabili. Le Chiese si nascondono dietro i loro avvocati e alle cosiddette “scuse” fatte dal Governo a nome di tutti. Nessuno è stato ancora processato o arrestato per quelle morti, anche se noi abbiamo dimostrato che più di 50.000 bambini indiani morirono lì.

 

Che risalto è stato dato a questa tragedia dai media canadesi, internazionali e anche italiani?

 

I media hanno generalmente ignorato questa storia, specialmente in Canada, dove questi crimini e le prove di questo genocidio sono deliberatamente censurati. In altri Paesi, i media ancora non si stanno occupando di questa storia, forse perchè il Canada dal punto di vista dei diritti umani ha la reputazione di Paese attento ed evoluto, cosa che non è. Ho inviato prove documentate e testimonianze dei crimini accaduti ai media per più di 10 anni, ma raramente le hanno pubblicate  e tantomeno trasmesse su radio o televisioni.

 

Ha mai ricevuto intimidazioni o minacce?

 

Ricevo regolarmente minacce di morte e di attentati. Ho perso il mio lavoro come pastore, la mia famiglia, il sostentamento. Sono stato aggredito fisicamente, picchiato, minacciato di azioni legali, sottoposto a campagne diffamatorie, censurato e molestato ad ogni livello.

 

In Europa e in Italia c’è una visione edulcorata, turistica e un po’ new-age dei nativi canadesi. Qual è la situazione reale nelle riserve e fra le comunità native?

 

Lavoro con diversi aborigeni a Vancouver e altre città canadesi, e nelle riserve indiane di tutto l’ovest canadese. La situazione è da terzo mondo: continue morti per malattia, malnutrizione, violenza, suicidi, e gli effetti delle scuole residenziali. C’è gente che muore e scompare tutti i mesi. È un piano per sterminare più indiani possibile e costringerli fuori dalle loro terre per arricchire le multinazionali.

 

In un documento, dodici anziani del Consiglio, in rappresentanza delle nazioni Cree, Haida, Metis, Squamish e Anishinabe hanno fatto una serie di richieste a papa Ratzinger e ai vertici vaticani, fra cui quella di presentarsi davanti al Tribunale internazionale sui crimini di guerra e sul genocidio in Canada. Che ne pensa?

 

Io sostengo le richieste di questi capi tribali al papa e credo che Joseph Ratzinger debba presentarsi davanti al Tribunale per i crimini di guerra per rispondere alle accuse di genocidio rivolte alla sua Chiesa. Il papa è direttamente implicato nella copertura dei crimini contro quei bambini, sin da quando scrisse la lettera al vescovo del Nordamerica ordinando di celare le aggressioni sessuali da parte di preti sui fedeli delle loro diocesi. Questo insabbiamento è lo stesso motivo per cui il mondo ancora conosce poco gli omicidi, le torture e le sterilizzazioni perpetrate per decenni nelle scuole residenziali indiane cattoliche in Canada.

 

IL CASO CANADESE

 

Dal Consiglio delle tribù sette domande al Vaticano

 

Le richieste rivolte a papa Ratzingher e ai vertici vaticani da dodici anziani del Consiglio che rappresentano le nazioni Cree, Squamish, Haida e Metis.

 

1. Identificare il posto dove sono sepolti i bambini morti in queste scuole cattoliche e ordinare che i loro resti vengano restituiti ai familiari per una degna sepoltura.

 

2. Identificare e consegnare le persone responsabili per queste morti.

 

3. Divulgare tutte le prove riguardanti questi decessi e i crimini commessi nelle scuole residenziali, consentendo il pubblico accesso agli archivi del Vaticano e altri registri delle altre Chiese coinvolte.

 

4. Revocare le bolle pontificie “Romanus Pontifex” (1455) e “Inter Catera” (1493), e tutte le altre leggi che sanzionarono la conquista e la distruzione dei popoli indigeni non-cristiani nel Nuovo Mondo.

 

5. Revocare la politica del Vaticano, in parte formulata dall’attuale papa, che richiede che vescovi e preti tengano segrete le prove degli abusi subiti da bambini indigeni nelle loro chiese invitando le vittime al silenzio.

 

6. Venire in Canada di persona per visitare i quartieri più poveri, dove abitano i sopravvissuti delle scuole residenziali e chiedere perdono a queste persone per il genocidio e per la politica messa in atto dalla sua Chiesa nei loro confronti, e giurare pubblicamente che tali azioni e politiche non si ripeteranno mai più.

 

7. Presentarsi davanti al Tribunale internazionale sui crimini di guerra e sul genocidio in Canada per rispondere alle accuse che lui e la sua Chiesa siano responsabili per la distruzione e la morte di milioni di Nativi Americani.

 

Il menù delle torture
Dai capelli strappati alle bastonate, dall’isolamento all’acqua ghiacciata

 

Decine e decine di sopravvissuti provenienti da dieci diverse scuole residenziali della British Columbia e dell’Ontario hanno descritto sotto giuramento le seguenti torture, inflitte fra il 1922 e il 1984, a loro stessi e ad altri bambini, alcuni di soli cinque anni di età:

 

Stringere fili e lenze da pesca attorno al pene dei bambini;
Inserire aghi nelle loro mani, guance, lingue, orecchie e pene;
Tenerli sospesi sopra tombe aperte minacciando di seppellirli vivi;
Costringerli a mangiare cibo pieno di vermi o rigurgitato;
Dire loro che i genitori erano morti o che stavano per essere uccisi;
Denudarli di fronte alla scolaresca riunita e umiliarli verbalmente e sessualmente;
Costringerli a stare eretti per oltre 12 ore di seguito sino a quando non crollavano;
Immergerli nell’acqua ghiacciata;
Costringerli a dormire all’aperto durante l’inverno;
Strappare loro i capelli dalla testa;
Sbattere ripetutamente le loro teste contro superfici in muratura o in legno;
Colpirli quotidianamente senza preavviso tramite fruste, bastoni, finimenti da cavallo, cinghie metalliche, stecche da biliardo e tubi di ferro;
Estrarre loro i denti senza analgesici;
Rinchiuderli per giorni in stanzini non ventilati senza acqua né cibo;
Somministrare loro regolarmente scosse elettriche alla testa, ai genitali e agli arti.

 

LE TESTIMONIANZE

 

«Quando avevo sei anni, proprio davanti ai miei occhi vidi una suora ammazzare una bambina. Era suor Pierre, ma il suo vero nome era Ethel Lynn. La bambina che uccise si chiamava Elaine Dik e aveva cinque anni. La suora la colpì con violenza dietro il collo e io udii quell’orribile schiocco. Morì proprio dinanzi a noi. Poi la suora ci disse di scavalcarne il corpo e andare in classe. Era il 1966». Steven H., St Paul’s Catholic day School, North Vancouver

 

«Nè io né nessuno dei miei fratelli potè avere figli dopo che fummo sottoposti ai raggi x nella scuola residenziale Carcross Angelican School, nello Yukon. Presero ognuno di noi e ci misero sotto la macchina a raggi x per 10-20 minuti. Proprio sulla zona pelvica. Avevo 10 anni. Io e i miei fratelli non avemmo mai figli». Steve John, Denè Nation, 7 giugno 2005

 

«Il primo a subire l’operazione fu il maggiore dei miei figli, quando aveva quattro anni. Era il 1975. Lo portarono via mentre io non ero in casa. Nel luglio del 1981 sterilizzarono il mio figlio più giovane, aveva nove anni. Lo portarono al Victoria General Hospital e lo tennero là per giorni. Nessuno dei due ragazzi può avere figli. Ci fecero questo perchè siamo discendenti dei capi originali, eredi di questi territori. Il governo sta ancora cercando di farci fuori». (Nomi non mostrati su richiesta) Vancouver Island, 18 maggio 2005

 

«Il dott. James Goodbrand sterilizzò molte delle nostre donne. Ho sentito personalmente Goodbrand dire che il governo lo pagava 300 dollari per ogni donna che sterilizzava». Sarah Modeste, Cowichan Nation, Vancouver Island, 12 agosto 2000

 

«Mia sorella Maggie fu scaraventata da una suora dalla finestra del terzo piano della scuola di Kuper Island, e morì. Tutto venne insabbiato, né venne svolta alcuna indagine. All’epoca, essendo indiani, non potevamo assumere un avvocato e così non venne mai fatto alcunché». Bill Steward, Duncan, BC, 13 agosto 1998

 

«Mio fratello morì a causa di una scossa elettrica data da un ago da bestiame. Aveva quattro anni, i pastori lo trascinarono e lo ferirono, gli tagliarono la pelle sotto la fronte con una frusta. Come la frusta dei cavalli. Era tagliente e aveva sopra delle lame. Io ero lì, lo sentivo gridare aiuto. Subito dopo c’era un mare di sangue sul pavimento, ma non lo portarono all’ospedale, in infermeria o altrove, e quello accadde allora, quando ero lì. Lo sento ancora che grida aiuto: “Rick, aiuto, mi stanno torturando! Sto morendo!”. E poi morì. Era il mio unico.. Il mio unico… Il mio miglior amico e il mio unico fratello che ho sempre amato». Rick La Vallee, Portage La Praire Residential School (Catholic Curch).

 

«Avevo soltanto otto anni, e ci avevano mandato dalla scuola residenziale anglicana di Alert Bay al Nanaimo Indian Hospital, quello gestito dalla Chiesa Unitaria. Lì mi hanno tenuto in isolamento in una piccola stanza per più di tre anni, come se fossi un topo da laboratorio, somministrandomi pillole e facendomi iniezioni che mi facevano star male. Due miei cugini fecero un gran chiasso, urlando e ribellandosi ogni volta. Così le infermiere fecero loro delle iniezioni, ed entrambi morirono subito. Lo fecero per farli stare zitti». Jasper Jospeh Port Hardy, British Columbia 10 novembre 2000

 

«Una sorta di accordo sulla parola fu in vigore per molti anni: le chiese ci fornivano i bambini dalle scuole residenziali e noi incaricavamo l’RCMP di consegnarli a chiunque avesse bisogno di un’infornata di soggetti da esperimento: in genere medici, a volte elementi del Dipartimento della Difesa. I cattolici lo fecero ad alto livello nel Quebec, quando trasferirono in larga scala ragazzi dagli orfanotrofi ai manicomi. Lo scopo era il medesimo: sperimentazione. A quei tempi i settori militari e dell’Intelligence davano molte sovvenzioni: tutto quello che si doveva fare era fornire i soggetti. I funzionari ecclesiastici erano più che contenti di soddisfare quelle richieste. Non erano solo i presidi delle scuole residenziali a prendere tangenti da questo traffico: tutti ne approfittavano, e questo è il motivo per cui la cosa è andata avanti così a lungo; essa coinvolge proprio un sacco di alti papaveri». (Dai fascicoli riservati del tribunale dell’IHRAAM, contenenti le dichiarazioni di fonti confidenziali, 12-14 giugno 1998)

Fonte:

http://danielebarbieri.wordpress.com/2010/04/06/marco-cinque-genocidio-canadese/

La responsabilità della Chiesa cattolica nel genocidio dei Nativi Americani è certa!

 

 

A questa pagina del sito http://www.nativiamericani.it/ 
è possibile vedere il documentario Unrepentant con i sottotitoli in italiano:

http://www.nativiamericani.it/?p=561