Ancora un naufragio nel Mediterraneo: oltre 40 i morti, recuperati corpi di donne e bambini

Ancora un naufragio nel Mediterraneo: oltre 40 i morti, recuperati corpi di donne e bambini

6 ore fa

A dare notizia dell’ennesimo naufragio davanti le coste libiche Alarm Phone, l’Oim e l’Unhcr presenti in Libia. Cinque i corpi recuperati tra cui quelli di donne e bambini, dalle testimonianze dei superstiti oltre 40 persone mancherebbero all’appello. La nave Eleonore della Ong Mission LifeLine in attesa di un porto sicuro dopo il divieto d’ingresso di Italia e Malta

Si temono almeno una quarantina di morti nel naufragio avvenuto a largo delle coste libiche come confermato da Alarm Phone, dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dall’Unhcr in Libia. Cinque al momento i corpi recuperati tra cui quelli di donne e bambini.

A dare notizia della richiesta di soccorso era stata proprio la piattaforma di supporto alle operazioni di soccorso dei migranti Alarm Phone che ha riferito di essere stata contattata alle 3.30 di oggi martedì 27 agosto da un‘imbarcazione in difficoltà con a bordo circa 100 persone: «Erano partiti da Al Khums tre ore prima, urlavano e piangevano, dicendo che alcuni di loro erano già morti».

Alarm Phone@alarm_phone

Non siamo più riusciti a comunicare con la barca. Alle 6 di mattina un parente ci ha chiamati preoccupato per le persone a bordo. Teme che siano morti. Non sappiamo cosa sia successo a questo gruppo di . Speriamo che siano ancora vivi ma temiamo il peggio.

Alarm Phone@alarm_phone

Alle h.13.00 abbiamo parlato con le autorità della . Ci hanno detto di aver trovato il luogo del e circa 90 persone, molte delle quali sono morte, non sappiamo ancora quante. Queste morti sono tua responsabilità . Le tue politiche di deterrenza uccidono.

35 utenti ne stanno parlando

A intervenire sul luogo del naufragio sono stati i pescatori locali e secondo quando riferisce l’Unhcr in Libia anche la guardia costiera libica. Dalle testimonianze dei sopravvissuti, provenienti da Sudan, Egitto, Marocco Tunisia,si è appreso come riferisce l’Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati che circa 40 persone mancherebbero all’appello.

UNHCR Libya

@UNHCRLibya

🚨Happening now:
UNHCR partner IMC teams are at Al Khoms disembarkation point assisting some 60 refugees and migrants recently rescued at sea after their boat started sinking off Libyan coast.

Several bodies have been recovered & estimated 40 other persons are still missing.

64 utenti ne stanno parlando

“Questa rappresenta tristemente un’altra tragedia, come dimostrato dal fatto che in tanti hanno cercato di fuggire dalla Libia nei giorni scorsi. Oltre 460 persone a bordo di sei imbarcazioni sono state intercettate e riportate in Libia Sabato e Domenica” riferisce il team di Medici Senza Frontiere presente in Libia.

MSF Sea

@MSF_Sea

🔴 Dreadful reports of another off , east of https://twitter.com/alarm_phone/status/1166272017462640641 

Alarm Phone@alarm_phone

Yet another shipwreck? During the night, at around 3.30am, we were called by a boat off the coast of #Libya, with up to 100 people on board. They had left Al Khums about 3 hours earlier. They were in severe distress, crying and shouting, telling us that people had died already.

MSF Sea

@MSF_Sea

Sadly this represents yet another tragedy, occurring as many have attempted to flee by the sea over the past days.

Over 460 people on board 6 boats were intercepted and returned to on Saturday and Sunday, teams in the field reports.

25 utenti ne stanno parlando

Rimane invece in attesa di un porto di sicuro la nave Eleonore della Ong Mission Lifeline che nella giornata di ieri ha soccorso un gommone con 101 persone a bordo che stava affondando. Per la Ong tedesca dopo il divieto d’ingresso in Italia firmato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini si è aggiunto anche quello di Malta come riferisce la stessa Ong.

Seegezwitscher@seacoverage

Yesterday, the vessel saved around 100 people in the Sea. The rubber boat in distress was already deflating when the RHIB-crew arrived. The so-called Libyan Coastguard tried to intervene in the rescue. Eleonore is now heading north. The MMSI: 211 265 310

Video incorporato

L’UNICA ROTTA DELLA OCEAN VIKING E’ QUELLA DELL’UMANITA’ ❤️

Dal profilo Facebook di
6 h · 

L’unica rotta della #OceanViking è quella dell’umanità ❤️
Abbiamo a bordo da 13 giorni 356 sopravvissuti che hanno già sofferto abbastanza. Uomini, donne e bambini che non possono essere lasciati in mezzo al mare.
Chiediamo di poter sbarcare subito in un porto sicuro.
Aiutateci a diffondere in tutti i modi possibili il nostro messaggio: #apriteiporti #apriteicuori❤️

Ringraziamo Mauro Biani pagina per la sua illustrazione.

Nessuna descrizione della foto disponibile.

FINITA L’ODISSEA DELL’ACQUARIUS

Dal profilo Facebook di don Nandino Capovilla:

“BENVENUTI IN FAMIGLIA!” Come un’eco di preghiera, arriva da Valencia alla Cita una stessa invocazione: “All I have to say, thank you God!”- hanno cantato i sopravvissuti dell’Aquarius, stremati dalle violenze prima libiche e poi italiane, compiute “non in nostro nome”, in violazione di Trattati e Convenzioni Internazionali.

CHI RENDERA’ GIUSTIZIA A MADRE AFRICA, che dopo aver partorito l’umanità, continua ad essere da noi depredata “a casa loro”? Certamente non l’egoismo di popoli che si illudono di blindarsi in un sovranismo nazionalista e antievangelico. Sarà piuttosto la testimonianza quotidiana di comunità cristiane accoglienti a rispettare “il diritto alla speranza di chi non dovrà mai più essere lasciato in balìa delle onde dopo aver lasciato la sua terra affamato di pace e giustizia”(papa Francesco)

QUATTRO FIGLI IN UMANITA’ sono stati battezzati stamattina alla Cita e l’antichissima voce dal Cielo –“Tu sei mio figlio, l’amato!”- è risuonata a conferma della vocazione di comune appartenenza all’unica famiglia umana. Per questo, oggi e sempre e nonostante tutto, canteremo con gioia “BENVENUTI IN FAMIGLIA!”

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi
Fonte:

https://www.facebook.com/nandinocapovilla/posts/1835329236529470

 

L’intollerabile odissea forzata della Aquarius è terminata

La nave umanitaria approda a Valencia con i 630 naufraghi dopo otto giorni di mare

La Aquarius, nave di soccorso umanitario noleggiata da SOS MEDITERRANEE e gestita in partnership con Medici senza Frontiere, è entrata nel porto di Valencia in Spagna questa mattina, in convoglio con una nave della Guarda costiera italiana e con una nave militare italiana, per lo sbarco di 630 persone, soccorse nel Mediterraneo otto giorni prima.

Questi 630 tra uomini, donne e bambini sono fuggiti da un calvario inimmaginabile in Libia più di otto giorni fa: spinti su gommoni da trafficanti spietati, hanno trascorso ore terrificanti alla deriva, ammassati su imbarcazioni precarie, prima di essere finalmente soccorsi dalla Aquarius, da navi mercantili e da unità della Guardia costiera italiana, seguendo tutte la stessa legge non negoziabile: la legge del mare che obbliga ad assistere ogni singola persona in situazione di pericolo in mare.

Otto giorni dopo essere fuggite dall’inferno libico, queste 630 persone sono finalmente salve e al sicuro a terra, in Spagna, grazie alla Aquarius e al suo team di marinai professionisti, soccorritori volontari e operatori umanitari.

Il coraggio e la resilienza di questi 630 naufraghi, la professionalità e la profonda umanità dell’equipaggio della Aquarius devono essere elogiate, come lo straordinario supporto che SOS MEDITERRANEE ha ricevuto dalla società civile in Spagna e in tutta Europa.

La nave Aquarius è diventata il simbolo concreto per coloro che in Europa mettono i valori universali di rispetto per la vita umana, dignità e solidarietà prima di ogni altra considerazione.

Detto questo, i diversi ritardi dovuti alla chiusura dei porti italiani e poi l’Odissea forzata, pericolosa e degradante della nave Aquarius nel Mediterraneo devono necessariamente suonare come un campanello d’allarme per i leader europei.

Non è tollerabile per l’Europa che possa ripetersi una situazione come questa.

L’inerzia degli Stati europei è criminale. Si è tradotta in oltre 13.000 morti nel Mediterraneo dal 2014, quando i leader europei hanno detto «mai più» dopo la tragedia di Lampedusa. L’Europa porta questi morti sulla propria coscienza.

Le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate sul rispetto delle vite umane prima di ogni altra considerazione.

SOS MEDITERRANEE esorta una volta ancora tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad assumere le proprie responsabilità e a mettere il soccorso in mare al vertice delle loro agende politiche. Gli Stati membri dell’Unione europea devono immediatamente cooperare per elaborare un modello europeo di ricerca e soccorso per il Mediterraneo:

- le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate innanzitutto sul rispetto delle vite umane, prima di ogni altra considerazione, in conformità con il diritto marittimo internazionale e il diritto umanitario.

- le persone soccorse devono essere trattate con dignità e umanità a bordo delle navi di soccorso e ricevere tutte le cure che il loro stato di vulnerabilità richiede, fino a quando non è raggiunto un porto sicuro.

Alle autorità marittime competenti dovrebbe essere consentito di rispettare i loro obblighi di coordinamento e di ottimizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso.

Un numero sufficiente di navi di soccorso, adeguatamente attrezzate ed equipaggiate, deve essere dispiegato nel Mediterraneo, permettendo una copertura vasta della zona di soccorso.

Lo sbarco delle persone soccorse nel porto sicuro più vicino deve essere assicurato in tutti i casi, senza nessun ritardo, in accordo con i regolamenti marittimi.

SOS MEDITERRANEE invita a una larga mobilizzazione della società civile in Europa e nel Mediterraneo, per trasmettere questo messaggio alle autorità governative.

Salvare vite in pericolo è un obbligo morale e legale. Finché ci saranno persone che rischiano la propria vita in mare, SOS MEDITERRANEE continuerà la propria missione nelle acque internazionali, alle porte dell’Europa, per ricercare, soccorrere, proteggere e testimoniare.

Rassegna stampa: 
- Valencia si prepara ad accogliere l’Aquarius respinta dall’Italia, di Annalisa Camilli, Internazionale
- Aquarius, l’esperto Fulvio Vassallo Paleologo: “Illegale il respingimento collettivo di donne incinte e bambini, l’Italia rischia”, Repubblica.it

[ 17 giugno 2018 ]
Fonte:

 

Codice di Condotta: perché MSF non ha firmato

31 Luglio 2017

Perchè MSF non ha firmato il Codice di Condotta ONG per le operazioni di ricerca e soccorso?

Nel corso di queste ultime settimane MSF ha avuto una serie di scambi e discussioni aperte e costruttive con il Ministero dell’Interno sul Codice di Condotta. Durante questi incontri abbiamo espresso una serie di preoccupazioni sul documento, richiedendo chiarimenti su temi specifici e sollecitando sostanziali cambiamenti che ci avrebbero messo nelle condizioni di poterlo firmare.Riconosciamo che sono stati fatti sforzi significativi  per rispondere ad alcune delle osservazioni presentate da MSF e dalle altre organizzazioni, tuttavia dopo un’attenta valutazione della versione conclusiva del codice, permangono una serie di preoccupazioni e richieste lasciate inevase.

Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

Al contrario, riteniamo che per la formulazione ancora poco chiara di alcune parti, il Codice rischi nella sua attuazione pratica di contribuire a ridurre l’efficienza e la capacità di quel sistema. Le linee di riferimento e l’impianto generale del Codice sono rimasti sostanzialmente immutati e, per questa ragione, con enorme dispiacere  riteniamo che allo stato attuale non sussistano le condizioni perché MSF possa sottoscrivere il Codice di Condotta proposto dalle autorità italiane.

Quali sono le principali preoccupazioni di MSF riguardo al codice?

Prima di entrare nel merito delle motivazioni che sono alla base di questa decisione è importante sottolineare che le operazioni di ricerca e soccorso di MSF sono sempre state condotte nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali e sotto il coordinamento della guardia costiera italiana (MRCC di Roma).

1) Non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio di vite in mare

La responsabilità di organizzare e condurre le operazioni di ricerca e soccorso in mare risiede – come è sempre stato – negli Stati. L’impegno di MSF nelle attività di ricerca e soccorso mira a colmare un vuoto di responsabilità lasciato dai governi che auspichiamo sia solo temporaneo. Non a caso da tempo chiediamo agli stati UE di creare un meccanismo dedicato e preventivo di ricerca e soccorso che integri gli sforzi compiuti dalle autorità italiane. Dal nostro punto di vista il codice di condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

2) Le limitazioni al trasbordo su altre navi riducono l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare

La richiesta delle autorità italiane che le navi di soccorso concludano le loro operazioni provvedendo allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro di destinazione, invece che attraverso il loro trasbordo su altre navi, riduce l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare. In questo modo si crea un sistema di andata e ritorno di tutte le navi di soccorso verso i luoghi di sbarco, che avrà come conseguenza una minore presenza di quelle navi nella zona di ricerca e soccorso. Le stesse Linee guida per il Trattamento delle persone soccorse in mare raccomandano che le navi impegnate in operazioni SAR portino a termine il soccorso il più presto possibile, anche attraverso i trasferimenti ad altre navi se necessario.

3) Principi umanitari a rischio

Il codice inoltre non fa alcun riferimento ai principi umanitari e alla necessità di mantenere la più assoluta distinzione tra le attività di polizia e repressione delle organizzazioni criminali e l’azione umanitaria, che non può essere che autonoma e indipendente. Il rigoroso rispetto dei principi umanitari riconosciuti a livello internazionale è per noi un presupposto irrinunciabile. Essi rappresentano la sola garanzia di poter accedere alle popolazioni in stato di maggiore necessità ovunque nel mondo, assicurando allo stesso tempo ai nostri operatori un sufficiente livello di sicurezza. Ogni compromesso su questi principi è potenzialmente in grado di ridurre la percezione di MSF come organizzazione medico‐umanitaria effettivamente indipendente e imparziale.

4) L’inserimento del Codice nel contesto attuale del Mediterraneo

Le strategie messe in atto dalle autorità italiane ed europee per contenere migranti e rifugiati in Libia attraverso il supporto alla Guardia Costiera Libica sono, nelle circostanze attuali, estremamente preoccupanti. La situazione in Libia è drammatica. Le persone di cui ci prendiamo cura nei centri di detenzione intorno a Tripoli e quelle che soccorriamo in mare condividono le stesse vicende di violenza e trattamenti disumani. La Libia non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga. Una volta intercettate, saranno condotte in centri di detenzione dove, come le nostre équipe che lavorano in quei centri testimoniano ogni giorno, sono a rischio permanente di essere detenute in modo arbitrario e indefinito, trattenute in condizioni disumane e/o sottoposte a estorsioni o torture, comprese violenze sessuali. Ovviamente le attività di ricerca e soccorso non costituiscono la soluzione per affrontare i problemi causati dai viaggi sui barconi e le morti in mare, ma sono necessarie in assenza di qualunque altra alternativa sicura perché le persone possano trovare sicurezza. Contenere l’ultima e unica via di fuga dallo sfruttamento e dalla violenza non è dal nostro punto di vista accettabile. Il recente annuncio dell’operazione militare italiana nelle acque libiche proposta nel momento in cui il Codice di Condotta è stato introdotto costituisce un elemento di ulteriore preoccupazione che ci ha confermato la necessità di marcare l’assoluta indipendenza delle nostre attività di soccorso in mare dagli obiettivi militari e di sicurezza.

MSF continuerà le sue attività di ricerca e soccorso in mare?

Si, MSF continuerà a salvare vite in mare. Anche se MSF non è nelle condizioni di poter firmare il Codice di Condotta, l’organizzazione rispetta le leggi nazionali e internazionali, coopera sempre con le autorità italiane e conduce tutte le operazioni in pieno coordinamento con l’MRCC e in piena conformità alle norme vigenti. Allo stesso tempo comunichiamo la nostra intenzione di continuare a rispettare quelle disposizioni del Codice che non sono contrarie ai punti problematici per MSF, tra cui quelle relative alle capacità tecniche, alla trasparenza finanziaria, all’uso dei trasponder e dei segnali luminosi. Confermiamo inoltre l’impegno a coordinare ogni nostra iniziativa con l’MRCC e anche a garantire l’accesso a bordo di funzionari di polizia giudiziaria, secondo quanto sopra espresso, così come la collaborazione costruttiva con le autorità italiane, nel pieno rispetto degli obblighi di legge.

Leggi la lettera inviata al Ministro dell’Interno

ATTACCO CHIMICO IN SIRIA: IL DIARIO DI MEDICI SENZA FRONTIERE E UNA PETIZIONE

Attacco chimico in Siria, il diario
di Medici senza Frontiere:
«Portate l’atropina, serve aiuto»

Minuto per minuto così le squadre della ong hanno soccorso i feriti dopo il raid di martedì. Il racconto del capo missione italiano

(Foto Ap)(Foto Ap)

«Sono in Siria da un anno e tre mesi. E un attacco di quest’entità io non l’ho mai visto». Massimiliano Rebaudengo, 43 anni, è capo missione di Medici Senza Frontiere in Siria. Parla al telefono. Racconta una giornata — martedì 4 aprile 2017 — in cui sono morte 75 persone a Khan Sheikhoun, nel nord della Siria. Nomi e date che chi ha visto non dimenticherà mai. «Un attacco chimico di cui va attribuita la responsabilità» per le Nazioni Unite. «Una strage di bambini» per politici e giornali. Ma nel racconto dei dottori non c’è spazio per la retorica del dolore o per il linguaggio diplomatico. In guerra a parlare per prime sono le cifre. Numeri che vanno a braccetto con i nomi dei gas usati per sterminare i civili: sarin, agenti neurotossici, cloro, ammoniaca. «Quando nei nostri ospedali arrivano dieci feriti parliamo di mass casualty (afflusso massiccio di vittime, ndr). Martedì è stato diverso. Solo il nostro staff medico ha visto 92 pazienti». Si parte da qui. Poi, Rebaudengo inizia la cronaca.

Ore 8:30

I dottori di Msf dell’ospedale di Athmeh sono stati avvertiti via telefono che c’è stato un attacco. Nella conversazione, le fonti avvertono che molto probabilmente sono state usate armi chimiche contro i civili. Non è la prima volta che accade. Lo staff di Msf che si trova sul campo— «tutti uomini, tutti siriani» — ha già visto e trattato pazienti intossicati dai gas delle armi chimiche. Solo una settimana prima, un ortopedico è morto durante il trasporto dopo essersi intossicato curando un paziente a Latamneh colpita da un raid con gli elicotteri. Passano pochi minuti e lo staff capisce che questa volta è diverso. O, meglio, non è diverso. «È più grave». Da Gaziantep, al confine tra Siria e Turchia, viene coordinata la missione. In meno di due ore dall’attacco — che è iniziato alle 6:50 — cinque medici e tre équipe si mettono in movimento per raggiungere gli ospedali nella zona dell’attacco. Si deve decidere in fretta, non c’è spazio per le incertezze. Chi va dove? «Tre medici partono per l’ospedale più grande al confine con la Turchia, quello di Bab el Hawa, una squadra viene inviata all’Atmeh Charity dove si trova tutt’ora e un terzo team va all’ospedale di Hass, più piccolo degli altri». Il protocollo è sempre il solito, anche in un contesto del genere. Si viaggia sulle ambulanze e sui minivan, mantenendo costantemente il contatto radio con chi coordina la missione. Prima di partire si forniscono le coordinate dell’itinerario. Ma al di là delle regole e delle procedure, chi sale in auto sa molto bene che rischia di morire in qualsiasi momento. «In questa guerra che dura da sei anni, i nostri medici, le nostre ambulanze, i nostri convogli umanitari e i nostri ospedali sono diventati un target militare come un altro».

Tra le 10:30 e le 11:30 secondo le località

Lo staff raggiunge gli ospedali. Altro protocollo da seguire. «Si indossano le tute integrali, le maschere e i guanti rinforzati e solo allora si possono iniziare a visitare i pazienti che vanno prima spogliati e poi lavati». Il rischio contaminazione è altissimo. Basta un errore e il medico si trasforma in paziente. L’elenco dei feriti che arrivano da Khan Sheikhoun e visitati da Msf si allunga con il passare delle ore: «Diciassette a Bab el Hawa,8 ad Hass, 35 ad Atmeh». Lo screening dei sintomi è lungo. «Le pupille ristrette, gli occhi infiammati, l’incoscienza e l’incontinenza lasciano presupporre l’uso di un agente neurotossico che potrebbe essere Sarin». Bambini, donne, vecchi. I pazienti sono di tutte le età, nessuno viene risparmiato. «Mancanza di respiro, cianosi e odore di candeggina sulla pelle indicano l’uso di un agente soffocante come il gas clorino», è il primo report stilato dallo staff. Iniziano anche i primi decessi: «Quattro morti ad Hass, molti di più a Bab el Hawa, di Atmeh non si conoscono ancora le cifre». I sopravvissuti lottano per respirare, non riescono a raccontare nulla. I bambini che ce l’hanno fatta sono in stato di choc. Due infermieri di Bab el Hawa si contaminano. «In tutte le strutture mancano i farmaci, serve atropina, idrocortisone». Msf dona i medicinali che ha portato.

Ore 21:30

I medici sul campo riferiscono via telefono al team di Gaziantep le prime diagnosi. «I sintomi sono coerenti con l’esposizione ad agenti neurotossici come il sarin e ad agenti soffocanti come il gas cloro». Sono parole pesate con cura, che l’indomani verranno trasmesse nei comunicati stampa della ong. Ma non c’è tempo di fermarsi. La squadra all’Atmeh Charity rimane sul campo. Sono appena arrivati altri 35 pazienti, tutti in condizione critiche. Il lavoro da fare è appena iniziato. Intanto, sui telegiornali della sera passano le immagini dei piccoli corpi cianotici. Qualcuno si ferma a guardare. Qualcuno tira dritto o cambia canale. La Siria è lontana. O, almeno, così pare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte:

http://www.corriere.it/esteri/17_aprile_06/attacco-chimico-diario-un-medico-c387cde0-1a3f-11e7-988d-d7c20f1197f1.shtml

*

Il popolo siriano e l’Umanità hanno il medesimo destino!

on

:

A girl waves an opposition flag during an anti-government protest inside a 2nd century Roman amphitheater in the historic Syrian southern town of Bosra al-Sham, in Deraa

Abbiamo appena assistito in diretta all’ennesimo infame crimine di guerra del regime di Asad in Siria! E’ stato documentato e ha già fatto il giro del mondo; è chiaramente una  violazione delle norme internazionali: perciò è tempo di farla finita!

Le istituzioni internazionali si dimostrino finalmente garanti dei trattati internazionali di cui le Nazioni Unite sono depositarie!

L’attacco chimico avvenuto a Khan Sheikhun, in provincia di Idlib oggi 4 aprile 2017, è una ennesima provocazione del regime a tutta la Comunità delle Nazioni che si rifanno ai diritti dell’Uomo e della Donna e alle Convenzioni di Ginevra – firmate dopo la sconfitta del nazi-fascismo. Si tratta di un evidente crimine contro l’Umanità in cui sono stati uccisi decine e decine di civili innocenti e inermi, compresi tantissimi minori.

Come sempre il regime scommette sulla propria impunità. Damasco cerca di provocare maggiore sangue e più spirito di vendetta nella popolazione civile siriana, che ha già subito 6 anni di massacri indiscriminati.

Il ciclo macabro che Bashar al-Asad ha innescato nel 2011 doveva portare il suo regime a vincere la competizione dell’orrore, che lui stesso ha unilateralmente decretato. La popolazione civile con le sue proteste pacifiche e il suo spirito allegro ha invece scelto di percorrere il binario opposto, quello del riscatto sociale e culturale, prima che politico e militare. Questa riconquista della propria dignità di popolo è ciò  che ha spinto  tutti noi dal primo giorno a sostenere le istanze e lo spirito di rinnovamento profondo in Siria – voluto da tutti i settori oppressi della popolazione – e a scendere in piazza insieme ai siriani che stavano riconquistando la propria Libertà.

Dopo l’attentato alla metropolitana di San-Pietroburgo di ieri 5 aprile, in cui sono morti altri civili innocenti, il regime di Asad ha voluto nuovamente imporsi sulla scena come il dittatore capo. Fino a quando non verrà rimosso dal suo incarico il popolo siriano non avrà Pace, né ci sarà pace in Medio-Oriente.

Perciò noi firmatarie e firmatari pretendiamo dal governo italiano e dall’Unione Europea:

– la messa al bando di tutti i funzionari del regime siriano che lavorano ancora all’interno delle istituzioni internazionali;

– la presa di distanza tra le istituzioni internazionali e gli apparati di Stato in Siria in modo che gli aiuti umanitari possano essere distribuiti senza il ricatto delle milizie lealiste;

– la convocazione immediata di una Conferenza Siriana Permanente sotto l’egida ONU che lavori a una formula costituzionale per il Paese e che lo allontani definitivamente dalla dittatura mettendo al bando gli apparati di repressione.

Noi crediamo che il regime siriano cadrà da solo, senza necessità di un intervento militare straniero, dal momento in cui verrà messo al bando.

Nessuna interlocuzione d’ ora in poi! Diciamo al regime la verità: non sei gradito!

E’ finita ora.

Aderisci anche tu: scrivi con il nome esatto che vuoi che figuri a:

libertainsiria@yahoo.it 

oppure indicalo in commento al post:     sulla pagina fb:

Salomo Kilpatrick

Primi firmatari (in ordine alfabetico)

Yasmine Accardo, Italia
Martina Acone
Daniela Alberghini, Bologna
Amina S. Ali, New York, NY
Amer Al Rassas, Lebanon
Abdulhadi Altaleb
Wael Ammar, Italy
Filomena Annunziata, italia
Ruthanne Ashkar, Manchester, Michigan, USA
Nafeez Aurangzeb, Edmonton, Canada
Alice Azzalin
Marianna Barberio
Mariano Manuel Bartiromo
Farouk Belal, Washingon DC
Maria Bell, New Jersey, USA
Veronica Bellintani, Italy
Andy Berman Minnesota Chapter 27 Veterans for Peace
Pierluigi Blasioli
Alessia Borzacchiello
Sheryl Amal Brill, Canada
Toni Brodelle, House of Lords task group (Syria/refugees)
Anca Budeanu
Terry Burke, Minnesota, CISPOS
Michele Calenzo
Andrea Castelli
Marina Centonze, Italy
Chiara Cetrulo, Italy
Valentina Chiocchi
Giulia Cocca, Italy
Gizele Alves Costa, Brasile
Albina Bianca Maria Cotza
Sasha Crow, Founder (retired) Collateral Repair Project, Jordan
Amina Dachan, Italy
Asmae Dachan, Italy
Michelle Dean, Bristol
Maria De Chiara, Italia
Lorenzo Declich, Italy
Mauro Destefano
Camilla Dixon, Skellefteå, Sweden
Nurah El Assouad
Ofelia Epifanio
Beatrice Esposito, Italy
Ann Eveleth, Anti-War Committees in Solidarity w/ the Struggles for Self-Determination
Loretta Facchinetti, Italy
Samantha Falciatori, Italy
Darren Fenwick, Human Rights Activist, Lawyer
Roberta Ferrullo, Italy
Marinella Fiaschi
Tullio Florio, Napoli, Italy
Simona Fontana
Caricchia Francesca, Italy
Ghiloni Francesca
Raffaella Francesca, Italy
Sandra Friel, UK Ireland
Giuseppe Fuccella
Simone Galanti, Brasile
Cristina Gemmino
Francesca Ghiloni, Italia
Greta Giberti, Italy
Sheena Gleeson, Hackney, London
Deborah Green, Australia
Margaret Green, Newcastle, UK
Bronwen Griffiths, UK
Sami Haddad
Ina Hartgers, Almere, the Netherlands
Zubêr Hatia, Hampshire, UK
Daniel Hayeem, London
Jon Hillström, the Netherlands
Mikael Jungqvist, Sweden
Rami Kamal, USA
Michael Karadjis, Australia
Deidre Kellogg, Human2Human Compassion
Jim Kubik, Chicago suburbs, Illinois, USA
Alessandro Liberatoscioli
Sara Loudayi
Lodi Maria, Los Angeles
Noemi Martinelli
Rachida Mazarie, France
David McDonald, USA
Roberta Milani Italia
Silvia Moroni
Angela Musa, Sardegna
Fiammetta Mura, Italy
Ida Orlando, Italia
Leila Nachawati Rego, professor at Carlos III University
Siria Niviano
Giulia Njem
Rima Njem
Christa Rihani Ooms, the Netherlands
Valentina Pansanella
Giulia Paoli, Italy
Alfredo Pastore, Sesto Fiorentino
Genevieve Penny, Los Angeles, CA
Andrea Pettersson, Malmö Sweden
Eugenio Piccilli, Italy
Laura Piras
Donatella Quattrone
Regiana Queiroz
Claire Richards-Eljadi, Bristol, UK
Therese Rickman-Bull
Mary Rizzo, blogger “We Write What We Like”, Italy
Fouad Roueiha, Italy
Fabio Ruggiero,
Mobin Safi
Alex Salamone, Roehampton, London, UK
Fiorella Sarti, Italy
Alberto Savioli
Cheryl Seelhoff, Seattle, Washington, USA
Noemi Sirignano
Rosanna Sirignano, Italy\Germany
Lindsey Smith
Irene Tavani
David Turpin Jr., Antiwar Committees in Solidarity with Struggles for Self Determination
Ina Varfaj
Elisabetta Vespa
Johannes Waardenburg, the Netherlands
Kelly Warren, Oregon, USA
Joshka Wessels, Sweden
Sina Zekavat, New York, USA
Chiara Zimbili

Sigle/associazioni:

Comitato permanente per la Rivoluzione siriana

Rose di Damasco

Studenti Unior pro Rivoluzione siriana

Syria Solidarity International

IN INGLESE

The Syrian people and humanity have the same fate!

We have just witnessed live the umpteenth heinous war crime of the Assad regime in Syria! It has been documented and has already made news around the world; and it is clearly in violation of international humanitarian laws: the time has come for it to stop!

International institutions must finally demonstrate that they are guarantors of international treaties to which they are United Nations signatories!

The chemical attack in Khan Sheikun, in the province of Idlib today, 4 April 2017, is yet another provocation by the regime to the entire Community of Nations that declare the primacy of observance of human rights and are signatories of the Geneva Conventions – signed after the defeat of Nazism and Fascism. It is a clear crime against humanity in which scores of innocent and unarmed civilians, including many children, have been slaughtered.

As always, the regime is counting on their impunity. Damascus seeks to provoke more blood and the spirit of revenge in the Syrian civilian population, which has already undergone six years of indiscriminate massacres.

The macabre cycle that Bashar has triggered in 2011 was to bring his regime to win the competition of horror that he has unilaterally decreed. The civilian population with its peaceful protests, and its cheerful spirit instead chose to take the opposite track, that of social redemption and cultural renewal before political and military interests. This regaining of their dignity as a people, this is what has brought all of us from day one to support the demands and spirit of profound renewal in Syria – so ardently yearned for by all oppressed sectors of the population – and brought us to the streets along with Syrians who were reconquering their Liberty.

After yesterday’s attack on the subway in St. Petersburg , which killed more innocent civilians, the Assad regime sought to re-establish itself on the scene as the chief dictator. Until the moment he is removed from office, the Syrian people will not have peace, nor will there be peace in the Middle East.

Therefore we signatories demand from the Italian government and the European Union:

– the expulsion of all officials of the Syrian regime still working within international institutions;

– the distancing from the international institutions and state apparatuses in Syria so that humanitarian aid can be delivered without the blackmail of the loyalist militias;

– the immediate convocation of a Syrian Permanent Conference under the aegis of the UN that works to develop a constitutional formula for the country and that definitively will distance it from the dictatorship by dismantling the repressive apparatus.

We believe that the Syrian regime will fall by itself, without the need for a foreign military intervention, in the very same moment that it is rejected by the world.

No more dialogue from now on! Let us say the truth to the regime to its face: You are NOT welcome! Your time is up.

 

 

Fonte:

https://levocidellaliberta.com/2017/04/04/il-popolo-siriano-e-lumanita-hanno-il-medesimo-destino/

ALEPPO EST: ATTACCHI AEREI COLPISCONO ALTRI 4 OSPEDALI. SISTEMA SANITARIO DEVASTATO

Aleppo Est: attacchi aerei colpiscono altri 4 ospedali nelle ultime 24 ore. Sistema sanitario devastato

15 Ottobre 2016
Il sistema sanitario già devastato nell’area assediata di Aleppo Est ha vissuto ieri una giornata ancora peggiore, con attacchi confermati contro quattro ospedali e un’ambulanza, che hanno ferito almeno due medici e ucciso l’autista del veicolo. È stato il peggior danno alle strutture sanitarie provocato dagli attacchi aerei siriani e russi dopo l’interruzione del cessate il fuoco a fine settembre.
Quest’ultimo episodio di distruzione avviene nell’ambito di un’intensificazione della campagna di bombardamenti contro la città assediata, che ha visto almeno 62 persone uccise e 467 ferite, tra cui 98 bambini, solo tra l’11 e il 13 ottobre, secondo rapporti ottenuti dalla Direzione della Sanità e dal centro forense di Aleppo Est. Questi dati possono essere sottostimati perché molte famiglie stanno seppellendo i propri cari per proprio conto, invece di portare i loro corpi negli ospedali.
“La campagna di bombardamenti indiscriminati ha preso una chiara svolta verso il peggio” dichiara Carlos Francisco, capo missione di MSF per la Siria.“Uno degli ospedali colpiti ieri è stato gravemente danneggiato. Era un centro traumatologico importante che era stato già colpito tre volte nelle ultime settimane. Il ritmo degli attacchi sta soffocando la scarsa capacità di cure che il sistema sanitario è ancora in grado di offrire, in una città che sta rapidamente collassando, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Danneggiando i pochi luoghi rimasti dove si possono salvare delle vite, è chiaro che la Siria e la Russia stanno spremendo la vita fuori da Aleppo Est.”
Stando ai resoconti condivisi con MSF dalle fonti ospedaliere, il custode del magazzino di uno degli ospedali è rimasto ustionato nell’attacco di ieri e due medici sono rimasti feriti. Prima di ieri, c’erano solo 35 medici rimasti per una popolazione assediata di circa 250.000 persone, di cui sette chirurghi con le capacità necessarie per curare i molti feriti di guerra, secondo la Direzione della Sanità. Dall’inizio dell’assedio di Aleppo Est a luglio, gli ospedali sono stati colpiti 27 voltee non un singolo ospedale in questo periodo è rimasto intatto.
Oltre a questo, il bombardamento di ieri ha completamente distrutto un’ambulanza gestita dalla Al Sham Humanitarian Foundation (AHF), ONG che fornisce cure mediche gratuite alla popolazione siriana dal 2011, e ha ucciso il suo autista. All’inizio della settimana la Direzione della Sanità ha dichiarato che c’erano solo 11 ambulanze ancora funzionanti in città a seguito degli ultimi attacchi e che a causa del blocco mancano pezzi di ricambio per le riparazioni. Un piccolo numero di veicoli per il trasporto dei feriti è gestito da volontari e ONG come AHF.
“Lo abbiamo detto in passato e lo diciamo ancora una volta: tutte le parti del conflitto devono consentire – oggi, prima che sia troppo tardi – l’evacuazione sicura dei feriti e malati gravi da Aleppo Est, e devono far entrare forniture mediche essenziali e beni di prima necessità per una popolazione che sta soffrendo non solo per la costante pioggia di bombe, ma anche per la mancanza di qualunque forma di assistenza” dichiara Pablo Marco, direttore delle operazioni di MSF in Medio Oriente.
MSF supporta otto ospedali ad Aleppo Est. Gestisce sei strutture mediche nel nord della Siria e supporta oltre 150 centri sanitari e ospedali in tutto il paese, molti dei quali nelle aree assediate.
Fonte:

MSF condanna l’attacco alla sua nave di ricerca e soccorso nel Mediterraneo da parte di aggressori non identificati

Julie Remy/MSF
25 Agosto 2016

Il 17 agosto, un motoscafo non identificato ha attaccato e sparato contro la Bourbon Argos, una delle navi di Medici Senza Frontiere (MSF), mentre svolgeva attività di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale. MSF condanna fermamente questo atto vergognoso verso un’organizzazione medico-umanitaria il cui unico obiettivo è salvare e fornire assistenza medica ai migranti e ai rifugiati che – in mancanza di vie legali e sicure – ogni giorno cercano di attraversare il mare.

L’attacco è avvenuto in acque internazionali, a 24 miglia nautiche a nord della costa libica. Uomini armati a bordo del motoscafo hanno sparato da una distanza di 400-500 metri verso la Bourbon Argos e poi sono saliti a bordo, dove non c’erano persone soccorse durante la giornata. Né i membri dell’equipaggio né i membri dello staff di MSF sono stati feriti.

“Anche se non conosciamo l’identità degli aggressori o la loro motivazione, da una nostra prima ricostruzione dei fatti riteniamo che fossero dei professionisti e ben addestrati”, dichiara Stefano Argenziano, coordinatore delle operazioni di MSF. “Si tratta di un attacco serio e preoccupante, perché gli spari verso la nave avrebbero potuto mettere in serio pericolo il nostro staff”.

Il motoscafo è stato avvistato alle 9.15 di mattina. Vista la mancanza di una chiara identificazione, di comunicazione e di una qualsiasi risposta radio dal motoscafo che si stava avvicinando alla Bourbon Argos, il team ha preso la misura precauzionale di spostarsi nell’area sicura designata all’interno della nave. Uomini armati sono saliti a bordo della Bourbon Argos e hanno cominciato a perlustrarla, lasciandola circa 50 minuti dopo, senza rubare o portar via nulla. Il danno alla nave è stato minimo, solo qualche segno dei diversi proiettili sparati. Grazie alle procedure di sicurezza messe in atto, tutti i membri del team sono stati al sicuro, rimanendo per tutto il tempo nell’area protetta.

Dopo l’incidente, la Bourbon Argos ha raggiunto la Sicilia, dove rimarrà mentre verrà analizzato quanto accaduto. Nel frattempo, le attività di ricerca e soccorso di MSF nel Mediterraneo centrale, sia dall’Italia sia da Malta, proseguono attraverso le navi Dignity I e Aquarius (in collaborazione con SOS Mediterranee), fornendo assistenza salvavita d’emergenza e cure mediche alle persone tratte in salvo.

“Nonostante il numero di morti continui ad aumentare in modo drammatico, e la situazione in Libia a deteriorarsi, l’attenzione europea continua a essere concentrata sulla deterrenza e sulla sicurezza, un approccio che consideriamo pericolosamente miope e completamente inadeguato a rispondere a questa crisi”, continua Argenziano. “La ricerca e il soccorso sono solo misure palliative per far fronte alla mancanza di vie legali e sicure: oggi più che mai l’Europa e gli Stati membri devono mettere in atto un meccanismo proattivo per salvare vite umane e aiutare coloro in cerca di sicurezza”. MSF continua a insistere sulla necessità di alternative legali e sicure per chi attraversa il Mediterraneo centrale per fermare le morti in mare.

Dall’inizio delle operazioni lo scorso 21 aprile, i team MSF a bordo della Dignity I, Bourbon Argos e Aquarius (in collaborazione con SOS Mediterranee) hanno recuperato 10.925 persone in 84 diverse operazioni di soccorso.

 

 

Fonte:

http://www.medicisenzafrontiere.it/notizie/news/msf-condanna-lattacco-alla-sua-nave-di-ricerca-e-soccorso-nel-mediterraneo-da-parte-di

Yemen, ospedale Msf colpito in bombardamento: 11 morti e 20 feriti

Situato vicino a Saada, città-roccaforte dei ribelli sciiti Houthi

 E’ salito a 11 morti e 20 feriti il bilancio del raid aereo che ha colpito un ospedale di Medici senza frontiere (Msf) nello Yemen settentrionale. Lo ha comunicato la stessa organizzazione umanitaria, precisando che l’ospedale è situato vicino a Saada, città-roccaforte dei ribelli sciiti Houthi dove pochi giorni fa i bombardamenti della coalizione a guida saudita avevano colpito una scuola affollata di bambini.

 

 

Fonte:

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/08/15/yemen-ospedale-msf-colpito-in-bombardamento-vittime_35b8ddd4-cb41-4dad-9c28-db9684de4407.html

 

Yemen: Msf,attacco ospedale inaccettabile

Quarto contro una struttura Msf in Yemen in meno di 12 mesi

(ANSA) – ROMA, 16 AGO – L’organizzazione Medici senza frontiere (Msf) ha definito “inaccettabile” l’attacco contro l’ospedale di Abs che ha causato ieri la morte di almeno 11 persone, incluso un membro del personale di Msf. Si tratta del quarto attacco contro una struttura Msf in Yemen in meno di 12 mesi.
“Nonostante la recente risoluzione dell’Onu che chiede di porre fine agli attacchi contro le strutture mediche e nonostante le dichiarazioni di alto livello perché sia rispettato il Diritto Internazionale Umanitario, non sembra venga fatto nulla perché le parti coinvolte nel conflitto in Yemen rispettino il personale medico e i pazienti – ha sottolineato in una nota la responsabile dell’unità di emergenza in Yemen, Teresa Sancristóval -. Senza azioni, questi gesti pubblici restano privi di significato per le vittime di oggi”. L’ospedale di Abs, supportato da Msf dal luglio 2015, è stato parzialmente distrutto e tutti i pazienti e il personale sopravvissuti sono stati evacuati.

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http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2016/08/16/yemenmsfattacco-ospedale-inaccettabile_a67577f7-1e44-4eec-930e-a4ba4c3238cc.html

«A morsi le donne cercavano di vivere»

Arrestiamo umani. Medici senza Frontiere ha raccolto gli aggiaccianti racconti dei superstiti e dei soccorritori della strage di donne a bordo di uno dei due gommoni intercettati giovedì dalla nave Aquarius. Una testimonianza che pubblichiamo integralmente.

«Il fondo del gommone si è rotto, il peso delle persone lo ha lacerato e l’acqua ha cominciato a entrare. Quando l’acqua ha raggiunto l’altezza delle ginocchia, le ragazze che erano sedute al centro sono state prese dal panico, urlavano e gridavano. Alcune di loro hanno provato ad alzarsi ma scivolavano indietro nella pozza di acqua e benzina. Alcune mordevano gli uomini con i denti, perché erano intrappolate sul fondo del barcone».

È l’agghiacciante racconto di David, 30enne nigeriano sbarcato ieri a Trapani con altri 208 superstiti recuperati dalla nave di soccorso Aquarius. È una delle testimonianze raccolte da Msf.

La traversata del Mediterraneo per David è iniziata in Libia di notte. «Mi sono imbarcato sul gommone tre notti fa», inizia così il suo racconto. «È stata una notte orribile, alcuni uomini sparavano colpi in aria, hanno radunato le persone e le hanno spinte verso il mare. Hanno caricato troppe persone sulla nostra barca, troppe persone».

Ricorda il momento della tragedia, del panico assoluto, dopo giorni di navigazione in mare aperto, quando il gommone dove si trovava si è squarciato sul fondo: «Tutti nel gommone si muovevano in modo concitato. Non potevamo andare da nessuna parte ma si spostavano, cercavano di non scivolare, di non rimanere intrappolate nella pozza di benzina e acqua, ma quando si muovevano da un lato o dall’altro entrava sempre più acqua. Abbiamo cominciato a buttare fuori acqua, l’imbarcazione era completamente piena».

Poi i soccorsi: «Quando è arrivata la nave italiana, sono state portate via per prime tutte le donne ancora in vita. C’era una ragazza ancora viva sotto i corpi dei morti. È stata tirata fuori da sotto i corpi senza vita». «Sono salvo e penso che ringraziamo Dio – è la sua conclusione – . Salire sulla barca è davvero pericoloso. Questa è la verità. Non consiglio a nessuno di prendere la barca. Non posso dimenticare quello che ho visto con questi occhi».

Mary, violentata in Libia

La testimonianza di Mary, 24 anni, nigeriana anche lei, anche lei sul gommone sfondato insieme al marito, è persino più cruda. «Durante la traversata, l’acqua entrava nella barca. Stavo annegando – racconta – lottavo per sopravvivere. Invece di aiutarmi le persone mi calpestavano e mi usavano per cercare di stare a galla. Una donna incinta chiedeva aiuto, alcune persone erano già morte.

Continuavo a chiedere aiuto ma nessuno mi aiutava. Non respiravo, ho dovuto mordere per cercare di respirare. Ho detto a Dio che non volevo morire. Poi qualcuno ha urlato “tua moglie ti sta chiamando” e mio marito mi ha preso la mano e mi ha trascinato per farmi riuscire a respirare. Le persone mi camminavano addosso. Alcuni mordevano mio marito, il suo corpo era pieno di morsi. Ha usato tutta la forza che gli rimaneva, mi ha preso e mi ha stretto contro il bordo del gommone. Così l’acqua ha iniziato a uscire dalla mia bocca. Quando è passato un elicottero abbiamo cercato di farci vedere muovendo le mani chiedendo aiuto. Ho pensato che anche la polizia libica sarebbe andata bene. Sarei tornata in quella prigione piuttosto che morire in mare. Dio mi ha dato una seconda possibilità».

«Sulla nave che ci ha salvato ho visto un uomo che non mi aveva aiutato – continua Mary – Mi ha detto che non era colpa sua, stava lottando per la sua stessa vita». Mary ha passato due mesi in Libia. È stata in prigione là e racconta di essere stata violentata dai suoi carcerieri: «Non puoi dire di no. Loro hanno le pistole, urlano, parlano nella loro lingua. Speravo non mi guardassero, che mi vedessero come una donna adulta. Cercano giovani ragazze attraenti. Ti toccano il seno, fanno quello che vogliono, ti picchiano come animali.

Tutti i giorni le persone piangevano, svenivano, se chiedevi aiuto ti ridevano in faccia. Ogni tanto aprivano la prigione e dicevano di scappare, ma poi ti raggiungevano e ti riportavano dentro. Questa è la mia testimonianza – conclude – voglio usarla per dire alle persone quanto grande sia Dio».

Il silenzio dei sopravvissuti

La dottoressa Erna Rijnierse, è a capo dell’èquipe medica di Msf a bordo della Aquarius e racconta: «Quando siamo arrivati ci ha colpito subito il silenzio. Di solito quando ti avvicini a un barcone le persone agitano le braccia, urlano. Stavolta erano tutti in silenzio. Ho chiesto il permesso di salire a bordo.

L’acqua mi arrivava ai polpacci. C’era un odore fortissimo di carburante misto a urina e altro. Era difficilissimo non calpestare i corpi, ma volevo essere assolutamente certa che le donne fossero davvero oltre il punto di una possibile rianimazione. Alcune di loro erano già in rigor mortis. Era chiaro che non erano morte negli ultimi minuti e potevi vedere nei loro occhi che avevano lottato per sopravvivere. Dal punto di vista medico non c’era più niente da fare. Così sono tornata al nostro gommone per vedere i sopravvissuti. Molti avevano bruciore agli occhi dovuto ai gas o al carburante. Altri avevano graffi e morsi sulle gambe, sulla schiena e sulle braccia. Probabilmente glieli avevano procurati le ragazze schiacciate a terra mentre cercavano di liberarsi. Dev’essere stato un inferno».

«I sopravvissuti sono traumatizzati – aggiunge la dottoressa -, guardano nel vuoto, sguardi persi. Quanto hanno vissuto qui è oltre ogni immaginazione. Non riescono nemmeno a riconoscere i propri cari. Quello che davvero non posso sopportare è che queste ragazze siano morte di una morte orribile per l’unica ragione che non avevano altro modo di venire in Europa. Sono furiosa. Sono arrabbiata contro le politiche che tengono lontane queste persone, che non hanno per loro alcuna importanza. Queste ragazze avrebbero potuto comprare un biglietto aereo e fare un viaggio comodo e sicuro. E avrebbero pagato meno della metà di quanto hanno pagato per questa traversata maledetta. Allo stesso tempo sono estremamente triste perché queste persone non avevano commesso alcun crimine. Non erano malate. Erano persone normali con tutta la vita davanti».

Sotto il cumulo dei corpi

Ferry Schippers, coordinatore di Msf a bordo della Aquarius racconta a sua volta: «Dopo la chiamata di emergenza, ci è stato chiesto di dirigerci verso est il più velocemente possibile. Le prime informazioni parlavano di 15 morti su uno dei due gommoni. Il numero di corpi senza vita che abbiamo portato a bordo era poi ancora più alto: ventidue, 22 morti evitabili. I miei pensieri sono subito andati a chi era ancora a bordo del gommone in attesa di essere soccorso mentre fissava i propri cari o le persone conosciute senza vita ai propri piedi. Dovevamo portare queste persone a bordo il più velocemente possibile. Abbiamo soccorso prima i 104 sopravvissuti, poi le 105 persone a bordo dell’altra imbarcazione. Infine, abbiamo recuperato i corpi, forse l’azione più impegnativa».

«Le persone che salivano a bordo – riferisce ancora Schippers – guardavano nel vuoto, verso un punto lontano. La maggior parte di loro non rispondeva nemmeno quando gli chiedevamo che lingua parlassero. Abbiamo dato loro una piccola borsa con una coperta, biscotti energetici, dell’acqua che bevevano d’un fiato, calze e un asciugamano. Un uomo, in francese, mi ha detto: “Mia moglie è morta ed è ancora sul gommone, non so cosa fare…”».

L’ultima parte dell’operazione è stata recuperare i corpi senza vita. «Tre uomini sono scesi sul gommone, pieno di corpi che galleggiavano in una pozza di acqua e carburante – spiega il coordinatore -. Con una barella e una carrucola li abbiamo tirati a bordo uno a uno, nel massimo rispetto. Non importa quanti corpi prendessimo, il gommone sembrava non svuotarsi mai. Nella mia mente c’erano moltissimi pensieri. Ero arrabbiato e pieno di tristezza per quelle persone sfortunate, soprattutto donne, che avevano sofferto così tanto. Non avevano commesso alcun crimine tranne quello di cercare una vita migliore in Europa».

La morte avrà i tuoi occhi

Ablaygalo Diallo è il mediatore culturale dell’équipe di Msf che ha partecipato al Pfa (Psychological First Aid), il supporto psicologico allo sbarco sul molo di Trapani. Ha soccorso tra gli altri l’uomo nigeriano che ha visto la moglie morire davanti ai suoi occhi. «Sono rimasto a lungo vicino a lui – dice – all’interno della tenda di Msf dove garantiamo privacy e senso di sicurezza ai più vulnerabili.

Mi ha raccontato di come insieme alla moglie sono fuggiti dalla Nigeria, hanno attraversato il deserto. La donna, incinta, durante il viaggio ha perso il bambino. Nonostante le enormi difficoltà, sono riusciti a partire insieme, imbarcandosi per una traversata pericolosissima. Il gommone stracarico su cui viaggiavano ha ceduto sotto il peso delle persone, più di cento, creando una falla. Le donne che stavano al centro sono morte asfissiate e affogate, mi ha spiegato lui in lacrime. Non ha più visto sua moglie e si è reso conto solo a bordo dell’Aquarius che era tra i cadaveri, riconoscendola dalla maglietta che indossava».

Diallo è riuscito a farlo sfogare e a calmarlo, convincendolo a chiamare la famiglia a casa, «per dire alla madre che era ancora vivo». «Quando ha sentito la voce della madre dopo mesi, ho visto un sorriso spuntare sul suo viso». «È stato difficilissimo per me – dice il mediatore – spiegargli quale sarà il suo futuro ora che è arrivato qui».

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/a-morsi-le-donne-cercavano-di-vivere/

SIRIA: RAID GOVERNATIVO BOMBARDA OSPEDALE DI MSF A ALEPPO. DECINE DI MORTI.

Siria: Msf, raid ospedale Aleppo, 30 morti

Allarme Onu, nella città situazione catastrofica

E’ di oltre trenta civili uccisi, tra cui donne e bambini, il bilancio provvisorio dei raid governativi siriani su un ospedale ad Aleppo gestito da Medici Senza Frontiere. Lo riferisce l’Aleppo Media Center, una piattaforma di giornalisti e fotoreporter dei quartieri della città da sei giorni sotto il fuoco di bombe del regime di Damasco. Le fonti affermano che il raid ha colpito anche abitazioni nel quartiere di Sukkari, dove sorgeva l’ospedale al Quds. Il bilancio è destinato a salire, affermano le fonti, a causa dell’alto numero di civili gravemente feriti.

Intanto, il capo degli aiuti umanitari dell’Onu, Stephen O’Brien, ha allertato il Consiglio di Sicurezza sul “nuovo serio deterioramento della situazione umanitaria in Siria”. “La situazione ad Aleppo e’ catastrofica”, ha spiegato ai Quindici. Al termine della riunione del Consiglio, l’ambasciatore neozelandese Gerard van Bohemen ha affermato che si sta lavorando ad una risoluzione sugli attacchi alle strutture sanitarie, che spera verra’ adottata all’unanimita’ dall’organo Onu la prossima settimana. Anche il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha denunciato che la città è sull’orlo del disastro umanitario e milioni di persone sono in grave pericolo. Negli intensi combattimenti che infuriano l’ospedale Al Quds nella parte orientale della città è “stato completamente distrutto”, diverse persone sono state uccise e molte di più sono private di cure salva-vita, afferma l’organizzazione umanitaria in un comunicato.

Sempre, l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), una piattaforma che dal 2007 monitora le violazioni sul terreno, ha reso noto che 140 civili sono stati uccisi in sei giorni ad Aleppo dai raid del regime siriano. Secondo il conteggio dell’Ondus, 139 civili sono morti sotto le bombe sganciate da elicotteri e jet di Damasco. Tra i morti si contano 23 tra bambini e adolescenti e 15 donne. I quartieri colpiti sono quelli fuori dal controllo governativo nella parte est della città contesa nel nord del Paese.

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