Spagna – Proteste, fughe e ora sciopero della fame nel CIE di Zona Franca a Barcellona

CIE BarcellonaIn questo mese di ottobre sono continue le proteste e le rivolte nei CIE spagnoli. Dopo la fuga in massa dal CIE di Sangonera a Murcia e la rivolta e lo sciopero della fame in quello di Aluche a Madrid, è la volta dei reclusi nel centro di detenzione ed espulsione della Zona Franca di Barcellona. Ieri 23 ottobre 68 persone, tutte algerine, tra le 182 recluse nel lager di Barcellona, hanno iniziato uno sciopero della fame, rinunciando al pranzo e alla cena e rimanendo in protesta nel cortile della struttura, rifiutandosi di tornare nelle celle. In vista della deportazione prevista nei prossimi giorni, i migranti hanno deciso di continuare la loro lotta esigendo la liberazione immediata. Lo sciopero della fame arriva infatti dopo ripetute proteste: dalla riapertura del CIE di Barcellona, avvenuta il 7 luglio dopo lavori di ristrutturazione durati alcuni mesi, si segnalano numerosi scontri e tentativi di fuga. Per citare solo quelli del mese in corso: il 7 ottobre c’è stata una rivolta e il 19 un tentativo di fuga fermato dall’intervento della polizia antisommossa. In più il 12 ottobre 40 migranti erano stati trasferiti, dopo la fuga di massa del 5 ottobre, dal CIE di Murcia in quello di Barcellona, e la polizia accusa proprio questi ultimi di aver organizzato le recenti proteste. Nel CIE di Barcellona l’ultimo sciopero della fame era stato portato avanti da 40 reclusi nel dicembre 2013 in seguito alla morte di Aramis Manukyan, un armeno di 32 anni, picchiato dalla polizia e posto in isolamento.
Nel 2015 nei 7 CIE spagnoli di Algeciras, Madrid, Las Palmas, Barcellona, Murcia, Valencia e Tenerife sono state recluse 6.930 persone, 455 donne e 6475 uomini, e 2.871 persone sono state deportate.
La maggior parte delle persone detenute nei CIE e deportate provengono da Algeria e Marocco. Gli/le adult* algerin*, in particolar modo, sono tra le persone che hanno la certezza di essere respinte o direttamente via mare o recluse nei CIE appena sbarcate in Spagna, e rapidamente deportate con voli aerei, in base agli accordi bilaterali vigenti tra i due paesi: per questo motivo le proteste di Murcia, Madrid e Barcellona hanno visto come protagoniste le persone provenienti da questo paese.
Un presidio di solidarietà con i migranti in lotta è stato convocato oggi alle 19, davanti al CIE, dal collettivo Te Kedas Donde Kieras.

Fonte:

https://hurriya.noblogs.org/post/2016/10/24/spagna-proteste-fughe-sciopero-della-fame-cie-barcellona/

Ventimiglia, caricati i migranti alla frontiera. Comunicato del presidio No Borders

 

Fonte:

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1009470369171143&id=782827925168723

Alta tensione al confine tra Ventimiglia e Mentone. La polizia ha sgomberato con violenza circa 200 migranti che – come l’anno scorso – avevano nuovamente occupato la pineta dei Balzi Rossi, a 50 metri dalla frontiera. Tutto ha avuto inizio nella notte del 4 agosto, quando un gruppo di oltre 300 persone è riuscito ad allontanarsi dal centro della Croce rossa a Ventimiglia, passando dalla ferrovia. Cercavano di raggiungere la Francia. Il giorno dopo, il gruppo si è accampato al confine, raggiunto da un imponente schieramento di polizia.

Gli attivisti che l’anno scorso avevano accompagnato i migranti nel campeggio No Border alla frontiera, hanno cercato di portare loro cibo e acqua, ma sono stati respinti dalla polizia e portati in caserma a Ventimiglia. Due persone hanno ricevuto il “foglio di via”, che impedisce loro di accedere a 16 comuni della provincia di Imperia, altre due sono state trattenute nella stazione francese della Police de Frontières (Paf) e gli è stato notificato il divieto di tornare in Italia per cinque anni.

Durante una giornata di trattative, i migranti hanno ribadito le loro richieste e l’indisponibilità a rientrare in quello che considerano un carcere in cui si verificano “quotidiani soprusi”: l’accampamento di container installato alla periferia di Ventimiglia e gestito dalla Croce rossa. Hanno chiesto la libertà di un loro compagno, arrestato giorni prima.
E poi, la carica. Un gruppo di migranti riesce a fuggire oltreconfine, ma parte la caccia della polizia francese.
In totale, 17 attivisti europei sono stati fermati dalla polizia italiana e francese, 7 solidali sono stati portati in questura a Imperia. Un immigrato, rimasto gravemente ferito, è stato ricoverato all’ospedale traumatologico. La polizia ha anche fatto irruzione nei locali del Freespot, uno spazio di solidarietà ai migranti aperto dai No Border a Camporosso.

Sono tornati nei container 118 migranti, altri 25 sono nelle mani della Paf, altri sono stati mandati nei centri di identificazione nel sud Italia, dove saranno identificati ed espulsi. Gli attivisti denunciano che diversi autobus delle Lignes d’Azur hanno “deportato” i migranti impedendogli di scendere, su indicazione della polizia e che solo 60 di loro sono stati riammessi in Italia. Per oggi è stato indetto un presidio a Ventimiglia.

Intanto, continuano le polemiche e le prese di posizione. La senatrice del Pd, Donatella Albano, dice che “non è tollerabile che si blocchino strade o si ripetano insediamenti abusivi”, ma chiede che “i diritti vengano rispettati”. Il sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano avverte che: «il centro di accoglienza del Parco Merci dev’essere l’unico punto di riferimento. Chi crea disagi a Ventimiglia non ci può stare. La manifestazione è pretestuosa e non porta a alcun risultato. È ormai evidente che attività di questo genere vengono studiate ad hoc per creare disagio e disturbo».
Ed è salito a 400 il numero dei migranti che oramai da un mese sono accampati nei giardini della stazione ferroviaria di Como. Sono in maggior parte etiopi ed eritrei che hanno inutilmente tentato di raggiungere la Germania in treno e che sono stati respinti a Chiasso dalle autorità svizzere.

Geraldina Colotti da il manifesto

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Comunicato del presidio No Borders Ventimiglia – 6 agosto 2016.

Dopo un volantinaggio in spiaggia abbiamo deciso di andare verso il centro della Croce Rossa, dove i migranti erano stati forzati a rientrare in seguito alla protesta dei balzi rossi di ieri.

Stavamo tranquillamente raggiungendo il luogo lungo i binari dismessi del Parco Roja quando d’improvviso una camionetta di polizia antisommossa si è schierata di fronte a noi per bloccarci.

Non c’è stato nessuno “scontro”, i celerini, scudi e manganelli alla mano, hanno sparato diversi gas lacrimogeni per allontanarci. Di fronte alla nostra ritirata, siamo stati inseguiti e attaccati dalle camionette in corsa a tutta velocità.

I poliziotti sono riusciti a fermare alcuni compagni a suon di manganellate.

Le persone fermate sono 11.

Abbiamo poi appreso dalla stampa che un agente è rimasto vittima di un infarto durante questa operazione.

Sappiamo che c’è già chi sarà pronto a strumentalizzare questo episodio, ma la responsabilità di quanto accaduto è tutta della questura e delle istituzioni, della loro assurda gestione dei migranti in transito a Ventimiglia.

Questa giornata ne è l’ennesima prova.

 

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/ventimiglia-caricati-migranti-alla-frontiera-comunicato-del-presidio-no-borders/

IL GOVERNO RIAPRE ALTRI CIE E INSIEME ALLA UE ALLESTISCE GLI HOTSPOT, NUOVI “CAMPI DI CONCENTRAMENTO” PER I MIGRANTI

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“Una sorta di campo di concentramento”: a definire in questo modo gli “hotspots” che Governo e Ue si apprestano ad aprire in Calabria e Sicilia è lo stesso Prefetto Mario Morcone, Capo del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione al Ministero dell’Interno, l’apparato statale che coordina, tra le altre cose, i Centri di Identificazione ed Espulsione.

Lo scorso 8 Settembre durante una tavola rotonda sull’immigrazione a Tirana, Morcone ha detto: “Alcuni Paesi insistono che dovremmo creare gli ‘hotspot’: temo sia un’idea per schiacciare sui Paesi del sud – soprattutto Italia e Grecia – il fenomeno migratorio. Ma su una cosa sono certo: risponderemo sempre no a chi ci chiede di realizzare una sorta di campi di concentramento per migranti in Calabria o Sicilia!” (1).

Al contrario di quanto affermato dal prefetto le procedure per l’apertura di questi campi di concentramento non hanno mai subito interruzioni e sono andate avanti col pieno consenso di governo e UE : ne avevamo scritto qui a proposito della trasformazione del CIE di Trapani-Milo in un hotspot, che sarebbe dovuta avvenire il primo agosto scorso ma in seguito è slittata.

Malgrado le autorità italiane abbiano evidentemente avuto qualche difficoltà organizzativa, il commissario Ue per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha dichiarato che “La Commissione europea è soddisfatta del loro lavoro per la realizzazione di hotspot di identificazione e registrazione dei migranti” (2).

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Il 9 settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento sullo “Stato dell’arte” della realizzazione degli hotspot (3).

Riportiamo alcuni passaggi da questo documento:

“Il sostegno operativo fornito con il metodo basato sui Hotspots si concentrerà su registrazione, identificazione e rilevamento delle impronte digitali e debriefing dei richiedenti asilo, e sulle operazioni di rimpatrio. Le richieste di asilo trattate più velocemente possibile con l’aiuto delle squadre di supporto dell’EASO. Frontex aiuterà gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale. Europol e Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante nelle indagini per smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti.
In Italia, il quartier generale di Catania (Sicilia) sta coordinando le operazioni in quattro porti, Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani in Sicilia e quello dell’isola di Lampedusa che sono stati identificati come Hotspots. In ciascuno di questi Hotspots vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente circa 1.500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali. Altre due strutture di accoglienza saranno pronte ad Augusta e Taranto entro la fine del 2015.“

La capienza prevista è: Pozzallo (300 posti), Porto Empedocle (300 posti), Trapani (400 posti) e Lampedusa (500 posti) Augusta (300 posti) e Taranto (400 posti).

“In Italia lavorano attualmente 11 esperti di screening e 22 esperti di debriefing di Frontex. Il loro numero e il luogo di assegnazione variano in funzione delle esigenze operative. Frontex fornirà inoltre 12 operatori per il rilevamento delle impronte digitali. Per quanto riguarda i rimpatri, Frontex e l’Italia stanno valutando il sostegno che può essere concretamente fornito dall’Agenzia. L’EASO dispone di 45 esperti pronti a raggiungere l’Italia.”

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Come se non bastasse il Consiglio d’Europa nella seduta del 9 Settembre scorso ha chiesto a Frontex e stati UE il rapido invio di “squadre RABIT presso i confini sensibili, come l’Ungheria, la Grecia e l’Italia”(4). L’acronimo RABIT sta per “Rapid border intervention teams” cioè “ Squadre di intervento rapido alle frontiere” : queste squadre, istituite già dal 2007 dal Consiglio Europeo, sono costituite da guardie di frontiera di altri Stati membri che “intervengono su richiesta di uno Stato membro che si trovi ad affrontare sollecitazioni urgenti ed eccezionali derivanti da un afflusso massiccio di immigrati clandestini” (5).

Una squadra RABIT al confine Grecia-Turchia

Visto che nel solo 2015 ben 41.000 persone migranti giunte in Italia sono riuscite a resistere all’identificazione e al fotosegnalamento (6), come faranno gli sbirri a gestire le prevedibili proteste dei migranti nei nuovi campi di concentramento? Ce lo spiega questo articolo:

“In una lettera inviata ieri al direttore generale Ue per gli Affari Interni e immigrazione Matthias Ruete, il capo della Polizia Alessandro Pansa risponde ai rilievi avanzati dall’Unione europea all’Italia e sottolinea «gli enormi sforzi compiuti dalla polizia italiana per pervenire al rilevamento sistematico delle impronte agli stranieri che sbarcano, rispettando i diritti umani ed evitando forme di coazione». E conferma lo studio di nuove norme per allungare i tempi di trattenimento. Tre le ipotesi sul tavolo: estensione della durata del trattenimento per l’identificazione dalle attuali 12-24 ore fino a 7 giorni; previsione del rilevamento forzoso delle impronte digitali; e previsione del trattenimento fino a 30 giorni del migrante che rifiuti di sottoporsi al rilevamento” (7).

Con gli hotspot funzionanti a pieno regime – si parla del 17 Settembre (8) – il Governo si troverà a dover gestire un sempre maggior numero di persone migranti da recludere in attesa dell’espulsione. Nei primi giorni di Settembre il sottosegretario all’Interno Domenico Manzione (Pd) ha detto, riferendosi ai CIE, “Il sistema deve essere ripensato, lo scenario sta cambiando. Possiamo, anzi forse dobbiamo immaginare un allargamento e un potenziamento di questi centri.Ma con la modifica di quel regime para-detentivo oggi ingiustificato.“ Si parla di arrivare, con i lavori di ristrutturazione in corso in varie strutture danneggiate dalle rivolte dei detenuti, per l’inizio del 2016 a 1.500 posti disponibili nei CIE rispetto ai 750 attuali (8).

Una conferma sembra essere l’apertura, avvenuta nei giorni scorsi senza comunicazioni ufficiali, del CIE di Crotone (9).

In questi giorni in cui si assiste ad una mobilitazione in favore dei migranti, che si appella ai governi per cambiare le cose, ci sentiamo di condividere quanto ha scritto l’organizzazione indipendente Pro Asyl: “La solidarietà con i migranti non può più essere limitata a donazioni di indumenti e a gesti di benvenuto, ma c’è urgente bisogno che sia diretta contro gli attuali piani del governo” (10).

Protesta del 2012  a Pozzallo

Fonte:

http://hurriya.noblogs.org/post/2015/09/12/il-governo-riapre-altri-cie-e-insieme-alla-ue-allestisce-gli-hotspot-nuovi-campi-di-concentramento-per-i-migranti/

MARCIA DELLE DONNE E DEGLI UOMINI SCALZI A REGGIO CALABRIA

SET
11

Organizzato da Arci Reggio Calabria Community

 

Anche a Reggio Calabria è arrivato il momento di decidere da che parte stare.

Programma
ore 17.30 Raduno presso Arena dello Stretto
Il percorso prevede la percorrenza di Via Giulia fino al Corso Garibaldi, sosta davanti al Teatro Cilea, Palazzo San Giorgio e infine in Prefettura.

Per le adesioni, inviare mail a donneuominiscalzi.rc@gmail.com

La marcia è promossa dal Coordinamento permanente per i diritti civili di Reggio Calabria.
Aderiscono:
Arci Provinciale Reggio Calabria
Artemide
Arci Next
Arcigay “I due mari”
Maestri di Speranza
Collettiva Autonomia Reggio Calabria
A rua
Pagliacci Clandestini
Magnolia
GaStretto
Don Cosciotti senza Mancia
Calabria for Harambe
Consigliera di Parità della Provincia di RC
Arci San Pietro di Caridà
International House RC
Fiom- Cgil Reggio Calabria Locri
Azimut Alta Formazione
Anpi Reggio Calabria

Una marcia per chiedere con forza i primi tre necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:
1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2. accoglienza degna e rispettosa per tutti
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4. Creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino.

 

 

Fonte:

https://www.facebook.com/events/1471403966497940/

 

LIDO DI VENEZIA, 11/09/15: LA MARCIA DELLE DONNE E DEGLI UOMINI SCALZI

E’ arrivato il momento di decidere da che parte stare. E’ vero che non ci sono soluzioni semplici e che ogni cosa in questo mondo è sempre più complessa. Ma per affrontare i cambiamenti epocali della storia è necessario avere una posizione, sapere quali sono le priorità per poter prendere delle scelte.

Noi stiamo dalla parte degli uomini scalzi. Di chi ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere. E’ difficile poterlo capire se non hai mai dovuto viverlo. Ma la migrazione assoluta richiede esattamente questo: spogliarsi completamente della propria identità per poter sperare di trovarne un’altra. Abbandonare tutto, mettere il proprio corpo e quello dei tuoi figli dentro ad una barca, ad un tir, ad un tunnel e sperare che arrivi integro al di là, in un ignoto che ti respinge, ma di cui tu hai bisogno.

Sono questi gli uomini scalzi del 21°secolo e noi stiamo con loro. Le loro ragioni possono essere coperte da decine di infamie, paure, minacce, ma è incivile e disumano non ascoltarle.

La Marcia degli Uomini Scalzi parte da queste ragioni e inizia un lungo cammino di civiltà. E’ l’inizio di un percorso di cambiamento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano.

Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie. Dare asilo a chi scappa dalle guerre, significa ripudiare la guerra e costruire la pace.
Dare rifugio a chi scappa dalle discriminazioni religiose, etniche o di genere, significa lottare per i diritti e le libertà di tutte e tutti.
Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà, significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione di ricchezze.

Venerdì 11 settembre lanciamo da Venezia la Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi. In centinaia cammineremo scalzi fino al cuore della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica. Ma invitiamo tutti ad organizzarne in altre città d’Italia e d’Europa.

Per chiedere con forza i primi tre necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:
1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2. accoglienza degna e rispettosa per tutti
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4. creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino

Perché la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme.

L’appuntamento è Venerdì 11 settembre alle 17.00 a Lido S.M.Elisabetta.
Se qualcuno decide di organizzare altre manifestazioni di donne e uomini scalzi lo stesso giorno in altre città ce lo comunichi a: [email protected]

Primi firmatari
Lucia Annunziata
Don Vinicio Albanesi
Gianfranco Bettin
Marco Bellocchio
Don Albino Bizzotto
Elio Germano
Gad Lerner
Giulio Marcon
Valerio Mastrandrea
Grazia Naletto
Giusi Nicolini
Marco Paolini
Costanza Quatriglio
Roberto Saviano
Andrea Segre
Toni Servillo
Sergio Staino
Jasmine Trinca
Daniele Vicari
Don Armando Zappolini (CNCA)
Mauro Biani, vignettista de il Manifesto
Fiorella Mannoia
Frankie Hi Nrg
Maso Notarianni
Ascanio Celestini
Amnesty International Italia
CGIL Nazionale
Emergency
Arci
Acli
Terres des Hommes
Mani Tese
Medici Senza Frontiere

UN ALTRO GIORNO DI LOTTA AI CONFINI INTERNI DELLA FORTEZZA EUROPA

 

La repressione delle autorità europee contro i migranti si intensifica ovunque, e nello stesso tempo crescono le lotte per opporsi al regime dei controlli e delle frontiere.
Una breve panoramica sulle ultime 24 ore.

Ungheria

A Bicske, a 40 km da Budapest, la maggior parte migranti che erano stati fatti salire con l’inganno, facendogli credere di essere diretti in Germania, ma destinati ad un centro identificazione, hanno resistito alla deportazione e la protesta continua tuttora. Oltre alla segregazione nei centri, rifiutano anche acqua e cibo: tutto quel che vogliono è poter lasciare il paese.

Ungheria: i migranti in protesta a Bicske

Nel centro identificazione , sempre a Bicske, i migranti stamattina sono fuggiti.

Ungheria: i migranti in fuga dal centro identificazione di Bicske

A Budapest, mille persone migranti bloccate alla stazione di Keleti hanno intrapreso stamattina una marcia per raggiungere l’Austria a piedi.

#Ungheria La marcia dei migranti a Budapest, per lasciare il paese

Nel centro di detenzione di Roszke , al confine con la Serbia, stamattina centinaia di persone recluse sono riuscite a scappare. E’ intervenuta la polizia antisommossa con lacrimogeni e spray urticanti.

#Ungheria la fuga dal centro detenzione e la repressione a Röszke

Grecia

Nel centro di detenzione di Amygdaleza, vicino ad Atene, i migranti reclusi hanno cominciato ieri sera uno sciopero della fame. Le condizioni del centro, rimasto aperto malgrado le promesse governative, sono rimaste disastrose, il cibo è pessimo e manca l’assistenza sanitaria.

Nell’isola di Kos ieri sera i migranti sono stati attaccati e picchiati da un gruppo di fascisti, e ciò è avvenuto davanti alla stazione di polizia, senza che questa muovesse un dito. Ne è seguita una protesta e un blocco stradale dei migranti per lasciare l’isola, questa volta la polizia ha caricato e lanciato gas lacrimogeni sui migranti e i solidali.

Grecia: Cariche della polizia contro i migranti

Nell’isola di Lesbo un migliaio dei diecimila e più migranti presenti hanno protestato e provato a imbarcarsi su una nave diretta ad Atene: anche in questo caso la polizia è intervenuta con gas lacrimogeni, sgomberando la zona del porto.

Francia

A Calais ieri sera presidio dei migranti, che hanno rifiutato di entrare nel ghetto di Jules Ferry, uno pseudo centro accoglienza creato dalle autorità . Rifiutano l’assistenza umanitaria, il cibo e l’acqua erogati dal centro di distribuzione Salaam e vogliono libertà di movimento.

Francia: la protesta dei migranti a Calais

Italia

Ieri protesta dei migranti dei centri accoglienza davanti al Municipio di Taranto, per chiedere documenti d’identità per tutti e l’elargizione dei pocket money.

Taranto, presidio davanti al municipio

Oggi a Foggia manifestazione dei lavoratori agricoli migranti e dei solidali per rivendicare permessi di soggiorno, residenza, rispetto dei minimi contrattuali, casa acqua e trasporto gratuiti per tutti.

Domani 5 settembre a Roma, presidio in solidarietà ai/alle reclusi nel CIE di Ponte Galeria.

5settembrePonteGaleria

Fonte:
http://hurriya.noblogs.org/post/2015/09/04/un-altro-giorno-di-lotta-ai-confini-interni-della-fortezza-europa/

Torino, donna egiziana denuncia tentato stupro della figlia, ricoverata in TSO, e il marito al CIE

Un momento della rimozione forzata del blocco stradale messo in atto da una donna egiziana, con i suoi 4 figli minorenni, per protestare contro il trattenimento del marito nel Cie, in quanto irregolare, in corso Massimo d'Azeglio a Torino, 29 agosto 2015. ANSA/ALESSANDRO DI MARCOUn momento della rimozione forzata del blocco stradale messo in atto da una donna egiziana, con i suoi 4 figli minorenni, per protestare contro il trattenimento del marito nel Cie, in quanto irregolare, in corso Massimo d’Azeglio a Torino, 29 agosto 2015.
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

8 gennaio 2010 Rosarno (Reggio Calabria)

Uomini delle n’drine sparano contro i raccoglitori d’arance africani che non hanno pagato il pizzo di 5 euro preteso sul guadagno giornaliero: 20 euro in tutto per un lavoro massacrante e per terminare la giornata in capannoni dismessi e senza servizi. In duecento si ribellano alla schiavitù compiendo blocchi stradali ed appiccando fuoco ad auto e cassonetti, ma le n’drine mobilitano il popolino razzista in una caccia all’uomo e nell’assedio al municipio: “O li cacciate o ne ammazziamo uno per sera”. Il bilancio del pogrom è di 70 feriti, dei quali uno con la testa rotta, 3 gambizzati, altri feriti da colpi d’arma da fuoco o di ascia. La magistratura spicca 8 ordini di arresto, 3 di italiani, fra i quali Antonio Bellocco – nipote del boss Carmelo Bellocco- gli altri africani. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ordina 1.100 trasferimenti coatti in strutture per stranieri, premessa per l’espulsione: tranne “i feriti che non hanno reagito” al pestaggio, una decina in tutto. Diversi riescono a fuggire, senza avere un luogo dove andare.

 

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/8-gennaio-2010-rosarno-reggio-calabria/

 

 

L’accoglienza diventa detenzione arbitraria per eseguire il rilievo delle impronte digitali. E centri di detenzione (CIE) vengono trasformati in centri di accoglienza, succede a Milano.

giovedì 16 ottobre 2014

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A Pozzallo sono in corso identificazioni violente dei profughi siriani forzati a rilasciare le impronte digitali. Sembra che almeno duecento profughi siano entrati in sciopero della fame all’interno del CPSA ubicato dentro il porto.
Si teme anche che siano in corso iniziative di identificazione nei confronti di cittadini solidali che si sono recati nei pressi del centro per verificare di persona cosa stava accadendo. Vedremo domani con quali risultati.
Intanto di risultati delle attività di polizia sono ben visibili questi, impressi sulla schiena di un profugo. Qualcuno avrebbe detto : “Con le buone o con le cattive prenderemo le vostre impronte”

https://www.facebook.com/video.php?v=877363518970667&set=vb.100000910804762&type=2&theater

Prima e dopo l’operazione congiunta di polizia “Mos maiorum”, che alla fine servirà probabilmente solo a qualche stratega della sicurezza per aggiornare le statistiche e dimostrare quanto sono efficienti gli apparati di contrasto di quella che definiscono “immigrazione illegale”, una trasformazione strutturale sta interessando i centri di accoglienza ed i centri di detenzione (CIE) in Italia.

Da tempo del resto, anche i CIE erano “centri di accoglienza” ed i migranti trattenuti, meglio sarebbe dire internati, ma si dovevano chiamare “ospiti”, parola del ministero dell’interno… Adesso succede con i profughi.

http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/immigrazione/sottotema006.html

Mentre  a sud, in particolare in Calabria ed in Sicilia non si sta assistendo a grandi retate, come nelle città del nord,  nelle regioni meridionali si verifica una trasformazione dei luoghi di accoglienza, variamente denominati, CSPA, centri di soccorso e prima accoglienza, come quelli di Pozzallo e di Lampedusa ( ormai riaperto), centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) come il centro S.Anna di Crotone-Isola capo Rizzuto. Cambiano natura anche i luoghi di detenzione amministrativa, come il CIE Corelli di Milano che starebbe per essere trasformato in un centro di accoglienza. Ed a Messina hanno riattivato una caserma dismessa, ma con una recinzione militare, per “accogliere” profughi e talvolta anche minori. Pratiche di confinamento e di esclusione che a Messina hanno trovato da mesi un primo terreno di sperimentazione nella tendopoli, aperta estate ed inverno, nel campo sportivo a ridosso del Palaspedini.

http://www.lurlo.info/index.php/rubriche/inchieste/item/896-l-affare-cara-20-000-euro-per-l-assistenza-ai-migranti-al-palaspedini

http://www.messinaoggi.it/News/Messina/Cronaca/2014/08/27/Nuovo-sbarco-aperta-lex-caserma-Bisconte-16691.html

Di fronte alla conclamata ingestibilità del sistema dei CIE, per i quali si è comunque prevista la riduzione del trattenimento amministrativo da 18 a 2 mesi, si sta organizzando un sistema di prima accoglienza e di seconda accoglienza con tutte le caratteristiche strutturali dei luoghi di detenzione, anche perchè i profughi siriani, somali, eritrei e di altre nazionalità, dopo lo sbarco, possono essere trattenuti arbitrariamente per giorni e giorni senza alcun provvedimento amministrativo, senza convalida del magistrato, senza garanzie di difesa se vengono sottoposti ad attività di indagine, senza mediatori linguistico-culturali indipendenti, senza informazione legale e senza assistenza psicosociale. Di fatto queste persone vengono sequestrate, o allo scopo di portare avanti le indagini per rintracciare gli scafisti, oppure più di recente, per costringerli con la violenza psicologica, se non con la violenza fisica al rilascio delle impronte digitali.

Si espongono dunque molti profughi,  tutti quelli che fuggono dalla Libia in guerra oggi lo sono, che in passato erano sottoposti soltanto alla formalità del fotosegnalamento subito dopo lo sbarco, al rischio di una vera e propria schedatura che ne compromette il successivo passaggio in un altro paese europeo per chiedere asilo.
Ricordiamo che quasi la metà dei circa 140.000 migranti che sono entrati quest’anno in Italia, la quasi totalità dei siriani, moltissimi eritrei, hanno lasciato l’Italia per un paese dove al riconoscimento dello status di protezione seguissero concrete possibilità di inserimento sociale.

Si diffondono quindi i comportamenti violenti delle forze di polizia, con un avvitamento delle pratiche di identificazione forzata che, nei giorni dell’operazione congiunta di polizia “Mos maiorum”,  corrisponde all’ordine lanciato da Alfano qualche giorno fa di “serrare i bulloni”. Cosa abbia significato questo vero e proprio atto di indirizzo del Viminale lo provano le fotografie riprese oggi che circolano in rete, di persone che già traumatizzate dalle violenze subite in patria e durante il viaggio, hanno trovato al loro arrivo in Italia altre percosse, al solo scopo di ottenere da loro, con la violenza, il rilascio delle impronte digitali.

La mutata destinazione del CIE di Milano a centro di accoglienza per richiedenti asilo se è da salutare come un successo, perchè significa la chiusura di uno dei peggiori centri di identificazione ed espulsione in Italia, potrebbe però corrispondere ad un progetto di trattenimento informale dei richiedenti asilo, come si è già verificato nei giorni scorsi nel CARA di Crotone, quando dopo le denunce degli abusi di polizia sugli ultimi arrivati dalla Siria, a tutti gli “ospiti” è stato impedito di uscire quotidianamente, dalle 8 alle 20, come invece facevano in passato. Si è voluto forse evitare che qualcuno testimoniasse sulle condizioni della struttura e sul trattamento subito dai siriani.

A Milano si sta pensando forse anche alla elevata probabilità che, dopo la fine dell’operazione Mos maiorum, una operazione congiunta di polizia che si sta svolgendo in molti paesi europei contemporaneamente, ci possa essere un forte aumento dei rinvii Dublino verso l’Italia. Il Cie Corelli di Milano, trasformato in centro di accoglienza, potrebbe essere il luogo migliore per “accogliere” queste persone e costringerle di fatto ad una segregazione informale, a tempo indeterminato, senza le pur deboli garanzie formali che ci possono essere nei centri di detenzione ( avvocati e comvalida giurisdizionale)

http://www.meltingpot.org/Milano-Il-CIE-di-via-Corelli-diventa-un-centro-di.html#.VD771kYcRsc

Questa è la ragione per cui le campagne, le commissioni di inchiesta e le visite parlamentari o di altre organizzazioni che difendono i diritti umani, che finora hanno chiesto di entrare nei CIE devono rivolgere le loro attività di indagine verso i centri di accoglienza, in molti dei quali, senza una particolare autorizzazione del ministero dell’interno, non è neppure possibile entrare, esattamente come succedeva, fino a qualche anno fa nei Centri di identificazione ed espulsione.

Ormai è possibile parlare di accoglienza/detenzione, come lo scorso anno si verificava anche a Lampedusa dopo la tragedia del 3 ottobre, su tutto il territorio nazionale, e sarà necessario rivolgersi agli organi della giustizia internazionale perchè l’Italia non adotti sistematicamente, magari con la scusa del prelievo delle impronte digitali, misure limitative della libertà personale, o peggio di respingimento, nei confronti di profughi e di veri e propri sfollati di guerra.

Fonte:
http://dirittiefrontiere.blogspot.it/2014/10/laccoglienza-diventa-detenzione.html

Urla di aiuto dal Cie: «Ci massacrano»

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Siamo a Guantanamo! Non abbiamo mangiato durante la traversata e adesso siamo in sciopero della fame. Si stanno comportando con noi come se fossimo dei cani! Hanno svegliato un ragazzo colpendolo, ora ci stanno prendendo uno ad uno, hanno un atteggiamento mafioso… urlano, i bambini piangono». Sono frasi raccapriccianti raccolte da un video, che non ha immagini ma solo la voce impaurita di un uomo siriano, sbarcato venerdì a Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Quel video è il tentativo disperato di lanciare un allarme, che è arrivato tra le mani di un’attivista per i diritti umani di “Informare per davvero”. Lei si chiama Nawal Syriahorra, fa l’interprete ed è la prima a ricevere il messaggio disperato di quell’uomo senza nome e senza volto. «Venerdì pomeriggio sono stata contattata da uno dei familiari dei migranti. La loro imbarcazione si è arenata vicino ad uno scoglio – racconta al Garantista -.

Ho segnalato la cosa al comando generale di Roma, che ha subito lanciato l’allarme. I migranti sono stati portati in salvo dalla guardia costiera e poi sono stati condotti al Cie di Isola Capo Rizzuto». La disperazione del lungo viaggio dei migranti siriani, però, non finisce così. La tanto sognata accoglienza diventa presto un incubo o almeno questo è il messaggio che dalla Calabria arriva fino a Catania, dove Nawal si trova e da dove cerca di far girare l’allarme. «Dopo una settimana di traversata senza cibo né acqua il primo pensiero della Polizia è stato quello di prendere le impronte digitali – racconta ancora Nawal.

Uno dei ragazzi che stavano lì seduti, da quanto mi è stato raccontato, ha detto di voler continuare il proprio viaggio fino in Germania e a quel punto è stato colpito dalla Polizia. Sono stati presi uno per uno e fatti entrare in una stanza. Mi sono stati inviati dei messaggi audio in cui si sentono i bambini piangere, perché la Polizia continuava a ripetere, con l’aiuto di un interprete, che avrebbero identificato tutti con l’uso della forza».

In quel gruppo di migranti, arrivati in 124 su un peschereccio dopo esser partiti dalla Turchia, ci sono anche 32 donne e 21 bambini. Qualcuno ha un cellulare e decide di denunciare quanto sta accadendo: accende la videocamera, registra tutto senza farsi vedere e lo invia a Nawal. Che sente le false promesse della Polizia: «Stamattina (ieri per chi legge) hanno promesso che dopo l’identificazione li avrebbero lasciati continuare il viaggio e che in Germania avrebbero accolto la loro richiesta d’asilo, cosa impossibile. Stanno mentendo ed è gravissimo», sottolinea ancora la donna. Per convincerli i poliziotti avrebbero sottolineato che, contrariamente a quanto accade in Libia, «qui non sparano».

E così i migranti hanno cominciato lo sciopero della fame, «mentre la detenzione continua e non verranno rilasciati prima di cinque giorni – insiste Nawal -. Ho detto a tutti loro di tenere i telefoni in mano per documentare i pestaggi ma sappiamo benissimo che in questi casi non lo si fa davanti a tutti. È successo in Sicilia l’anno scorso, è successo ancora a Crotone».

Ma i migranti denunciano anche una condizione igienico – sanitaria pessima, con i pavimenti e i bagni del centro sudici e al limite della decenza. «Nel video che ho ricevuto si sente dire ad un uomo che vuole essere riportato in Siria, che i poliziotti si comportano da razzisti», conclude l’attivista, che in queste ore sta cercando di comprendere meglio la situazione.

Già nel 2012 il centro del crotonese fu teatro di una rivolta drammatica da parte dei migranti e di una risposta durissima degli agenti. Ma poi una sentenza coraggiosissima rovesciò i luoghi comuni: «La rivolta del Cie di Isola del 2012 fu legittima difesa». Non lo disse un discepolo della disobbedienza civile ma un giudice, un giudice dello sperduto Tribunale di Crotone. Una sentenza senza precedenti, quella siglata da Edoardo d’Ambrosio, che non solo assolse tre migranti che si erano barricati nel Cie-lager di Isola capo Rizzuto respingendo a mattonate gli assalti delle forze dell’ordine, ma nello stesso tempo condannò uno Stato torturatore che aveva tolto dignità e sottratto i più elementari diritti umani a tre persone.

I tre erano stati arrestati in varie zone d’Italia e portati lì solo perché privi di documenti. Senza nessuna spiegazione o sentenza i tre rimasero segregati lì dentro per più di un mese. A quel punto si ribellarono e la reazione dei secondini fu durissima.

Ma il giudice D’Ambrosio, mesi dopo, diede loro ragione. E le motivazioni di quella sentenza sono un inno alla libertà e al diritto alla ribellione: «Le condotte addebitate agli imputati si sono dimostrate orientate esclusivamente a manifestare una protesta contro coloro che, ai loro occhi e nelle circostanze concrete dei luoghi, erano i responsabili di quella loro condizione (il personale di vigilanza del Centro e le forze dell’ordine); la protesta fu posta in essere nell’unico modo che – in tali circostanze – poteva essere efficace: ossia l’impedire il regolare svolgimento dell’attività di gestione del Centro. Né può ritenersi che gli imputati avrebbero potuto porre in essere forme di protesta passiva, come, ad esempio, lo sciopero della fame, dato che uno Stato laico di diritto non si può sostituire ad una scelta di valori (quali quelli da porre in conflitto rispetto alla condotta aggressiva subita) che compete esclusivamente all’agente». D’Ambrosio, nella sua sentenza, descrive il centro al pari di un lager: materassi e bagni luridi, pasti consumati a terra e di altre ”amenità”. Una situazione tanto più grave – scrive – se si considera che «sono state costrette ad abbandonare i loro Paesi di origine per migliorare la propria condizione». Dunque, ribellarsi era un loro diritto. Assolti perché il fatto non sussiste.

 

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/10/12/urla-di-aiuto-dal-cie-ci-massacrano/