Urla di aiuto dal Cie: «Ci massacrano»

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Siamo a Guantanamo! Non abbiamo mangiato durante la traversata e adesso siamo in sciopero della fame. Si stanno comportando con noi come se fossimo dei cani! Hanno svegliato un ragazzo colpendolo, ora ci stanno prendendo uno ad uno, hanno un atteggiamento mafioso… urlano, i bambini piangono». Sono frasi raccapriccianti raccolte da un video, che non ha immagini ma solo la voce impaurita di un uomo siriano, sbarcato venerdì a Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Quel video è il tentativo disperato di lanciare un allarme, che è arrivato tra le mani di un’attivista per i diritti umani di “Informare per davvero”. Lei si chiama Nawal Syriahorra, fa l’interprete ed è la prima a ricevere il messaggio disperato di quell’uomo senza nome e senza volto. «Venerdì pomeriggio sono stata contattata da uno dei familiari dei migranti. La loro imbarcazione si è arenata vicino ad uno scoglio – racconta al Garantista -.

Ho segnalato la cosa al comando generale di Roma, che ha subito lanciato l’allarme. I migranti sono stati portati in salvo dalla guardia costiera e poi sono stati condotti al Cie di Isola Capo Rizzuto». La disperazione del lungo viaggio dei migranti siriani, però, non finisce così. La tanto sognata accoglienza diventa presto un incubo o almeno questo è il messaggio che dalla Calabria arriva fino a Catania, dove Nawal si trova e da dove cerca di far girare l’allarme. «Dopo una settimana di traversata senza cibo né acqua il primo pensiero della Polizia è stato quello di prendere le impronte digitali – racconta ancora Nawal.

Uno dei ragazzi che stavano lì seduti, da quanto mi è stato raccontato, ha detto di voler continuare il proprio viaggio fino in Germania e a quel punto è stato colpito dalla Polizia. Sono stati presi uno per uno e fatti entrare in una stanza. Mi sono stati inviati dei messaggi audio in cui si sentono i bambini piangere, perché la Polizia continuava a ripetere, con l’aiuto di un interprete, che avrebbero identificato tutti con l’uso della forza».

In quel gruppo di migranti, arrivati in 124 su un peschereccio dopo esser partiti dalla Turchia, ci sono anche 32 donne e 21 bambini. Qualcuno ha un cellulare e decide di denunciare quanto sta accadendo: accende la videocamera, registra tutto senza farsi vedere e lo invia a Nawal. Che sente le false promesse della Polizia: «Stamattina (ieri per chi legge) hanno promesso che dopo l’identificazione li avrebbero lasciati continuare il viaggio e che in Germania avrebbero accolto la loro richiesta d’asilo, cosa impossibile. Stanno mentendo ed è gravissimo», sottolinea ancora la donna. Per convincerli i poliziotti avrebbero sottolineato che, contrariamente a quanto accade in Libia, «qui non sparano».

E così i migranti hanno cominciato lo sciopero della fame, «mentre la detenzione continua e non verranno rilasciati prima di cinque giorni – insiste Nawal -. Ho detto a tutti loro di tenere i telefoni in mano per documentare i pestaggi ma sappiamo benissimo che in questi casi non lo si fa davanti a tutti. È successo in Sicilia l’anno scorso, è successo ancora a Crotone».

Ma i migranti denunciano anche una condizione igienico – sanitaria pessima, con i pavimenti e i bagni del centro sudici e al limite della decenza. «Nel video che ho ricevuto si sente dire ad un uomo che vuole essere riportato in Siria, che i poliziotti si comportano da razzisti», conclude l’attivista, che in queste ore sta cercando di comprendere meglio la situazione.

Già nel 2012 il centro del crotonese fu teatro di una rivolta drammatica da parte dei migranti e di una risposta durissima degli agenti. Ma poi una sentenza coraggiosissima rovesciò i luoghi comuni: «La rivolta del Cie di Isola del 2012 fu legittima difesa». Non lo disse un discepolo della disobbedienza civile ma un giudice, un giudice dello sperduto Tribunale di Crotone. Una sentenza senza precedenti, quella siglata da Edoardo d’Ambrosio, che non solo assolse tre migranti che si erano barricati nel Cie-lager di Isola capo Rizzuto respingendo a mattonate gli assalti delle forze dell’ordine, ma nello stesso tempo condannò uno Stato torturatore che aveva tolto dignità e sottratto i più elementari diritti umani a tre persone.

I tre erano stati arrestati in varie zone d’Italia e portati lì solo perché privi di documenti. Senza nessuna spiegazione o sentenza i tre rimasero segregati lì dentro per più di un mese. A quel punto si ribellarono e la reazione dei secondini fu durissima.

Ma il giudice D’Ambrosio, mesi dopo, diede loro ragione. E le motivazioni di quella sentenza sono un inno alla libertà e al diritto alla ribellione: «Le condotte addebitate agli imputati si sono dimostrate orientate esclusivamente a manifestare una protesta contro coloro che, ai loro occhi e nelle circostanze concrete dei luoghi, erano i responsabili di quella loro condizione (il personale di vigilanza del Centro e le forze dell’ordine); la protesta fu posta in essere nell’unico modo che – in tali circostanze – poteva essere efficace: ossia l’impedire il regolare svolgimento dell’attività di gestione del Centro. Né può ritenersi che gli imputati avrebbero potuto porre in essere forme di protesta passiva, come, ad esempio, lo sciopero della fame, dato che uno Stato laico di diritto non si può sostituire ad una scelta di valori (quali quelli da porre in conflitto rispetto alla condotta aggressiva subita) che compete esclusivamente all’agente». D’Ambrosio, nella sua sentenza, descrive il centro al pari di un lager: materassi e bagni luridi, pasti consumati a terra e di altre ”amenità”. Una situazione tanto più grave – scrive – se si considera che «sono state costrette ad abbandonare i loro Paesi di origine per migliorare la propria condizione». Dunque, ribellarsi era un loro diritto. Assolti perché il fatto non sussiste.

 

 

Fonte:

http://ilgarantista.it/2014/10/12/urla-di-aiuto-dal-cie-ci-massacrano/