Hotspot, strutture al collasso. A Pozzallo rinchiusi 180 minori

L’hotspot di Pozzallo, in Sicilia, è al collasso. Nei giorni scorsi sono sbarcati oltre 650 immigrati, tra i quali un centinaio di minori. La situazione diventa sempre più critica: a fronte di una capienza di 180 persone, al centro ci sono ancora 182 minori. La Protezione civile ha allestito tende per circa 200 persone, i migranti senza una sistemazione adeguata, seppur provvisoria, sono restati a bordo. L’emergenza in corso non fa che peggiorare la situazione già degradante, uno delle quattro strutture volute dall’Ue e aperte in Italia – gli altri sono a Lampedusa, Trapani e Taranto – dove i migranti dovrebbero rimanere 72 ore per essere identificati e fotosegnalati, per poi essere trasferiti in centri più idonei. A Luglio, la Commissione parlamentare d’inchiesta sui Centri di accoglienza aveva bocciato senza mezzi termini la struttura. L’ hotspot risulta ospitato in un capannone in cemento armato piantato alla fine del porto commerciale, completamente protetto da una recinzione metallica che in alcuni punti è integrata con delle assi di legno che impediscono di vedere all’esterno. Tutto attorno alla recinzione non c’è un filo di verde, solo cemento. Una struttura non adatta ad ospitare vite umane e dove, invece, si trovano centinaia di uomini, donne e minori, tutti insieme. L’hotspot è arrivato ad “accogliere” anche 400-500 persone. Con soli 5 bagni. Come se non bastasse, all’interno del Centro restano per settimane decine di minori non accompagnati: soggetti che dovrebbero essere protetti e trasferiti in strutture sicure. Il presidente della Commissione, Federico Galli, non aveva potuto far altro che evidenziare le carenze: infrastrutture inadeguate, sovraffollamento e permanenze troppo prolungate, soprattutto dei minori.
La Commissione aveva anche ascoltato il prefetto, Maria Carmela Librizzi, il responsabile della cooperativa che gestisce la struttura ed il sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna. «Ho fatto il possibile per mantenere su buoni standard l’hotspot durante questi anni di emergenza, ma con fondi ridotti e senza aiuti dallo Stato non è possibile fare di più – ha sottolineato quest’ultimo – Ho rappresentato le difficoltà del Comune e non ho strutture alternative dove sistemare i minori. Il centro avrebbe bisogno di interventi di manutenzione, ma questi non possono essere a carico del bilancio comunale, già critico». Nonostante i problemi non risolti, la struttura continua ad essere aperta e operativa per contenere i nuovi arrivi.

Le norme
Gli immigrati minori non accompagnati non dovrebbero, per legge, essere rinchiusi negli hotspot. Si trovano in Italia privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano. Si applicano per loro le norme previste in generale dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori e, tra le altre, le norme riguardanti: il collocamento in luogo sicuro del minore che si trovi in stato di abbandono; la competenza in materia di assistenza dei minori stranieri, attribuita, come per i minori italiani, all’ente locale (in genere il Comune), l’affidamento del minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo a una famiglia o a una comunità. L’affidamento può essere disposto dal Tribunale per i minorenni (affidamento giudiziale) oppure, nel caso in cui ci sia il consenso dei genitori o del tutore, dai servizi sociali e reso esecutivo dal giudice tutelare (affidamento consensuale). La legge non prevede che per procedere all’affidamento si debba attendere la decisione del Comitato per i minori stranieri sulla permanenza del minore in Italia.
E quindi perché ci sono minori non accompagnati rinchiusi negli hotspot? Dovrebbero essere inseriti immediatamente in strutture protette, andrebbe avvertito il tribunale dei minori, il giudice tutelare dovrebbe nominare qualcuno che faccia le veci del genitore. Invece dimorano in questo stato per più di un mese. Questi centri sono una zona d’ombra dove è vietato – per ordine del ministro degli interni Alfano – fare entrare i giornalisti. Sono luoghi ancora più oscuri dei Cie, che invece hanno una copertura legislativa affinata e migliorata negli anni anche grazie alle battaglie della società civile.

Status giuridico
Come già denunciato da Il Dubbio, i nuovi hotspot – centri di contenimento e di selezione dei migranti appena arrivati in Italia – risultano luoghi privi di uno status giuridico certo, nei quali si realizzano forme diverse di limitazione della libertà personale, dove c’è il rilevamento forzato delle impronte digitali. Delle vere e proprie carceri in miniatura. La questione era stata sollevata da un’interrogazione presentata in Parlamento dal senatore Luigi Manconi, che, nel chiedere chiarimenti al governo su queste violazioni, ha ricordato l’articolo 13 della Costituzione, secondo cui «la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto».
Gli hotspot sono il fulcro della nuova strategia dell’unione europea per fronteggiare l’emergenza immigrazione. Si tratta di strutture già esistenti, ma ampliate. In teoria, dovrebbero funzionare trattenendo i migranti fino all’identificazione rapida – entro 48 ore dall’arrivo, prorogabili a 72 – e alla registrazione, prendendo anche le impronte digitali. Sono strutture che funzionano da filtro: vengono selezionati solamente i richiedenti asilo e rimpatriati gli immigrati giunti nel paese per motivi economici. Il dossier di LasciateCIEntrare – gruppo di associazioni che si occupano della detenzione amministrativa dei migranti – denuncia un grave problema di discriminazione: si garantisce la possibilità di accesso a forme di protezione solo a coloro che provengono da paesi i cui profughi sono almeno nel 75% dei casi considerati aventi diritto. Significa che gran parte dei Paesi, tutt’ora in guerra o in situazione politica, economica o ambientale critica, saranno considerati paesi sicuri in cui poter rimpatriare con la forza gli immigrati. Procedure rigide, coercitive e discriminanti. E in questo caso ce lo chiede anche l’Europa.

 

 

Fonte:

http://www.ildubbio.news/stories/carcere/29209_hotspot_strutture_al_collasso_a_pozzallo_rinchiusi_180_minori/

Operazione di polizia intorno all’ex centro Baobab

AGGIORNAMENTO: questa mattina la polizia è ritornata in via Cupa. Altre persone in transito sono state fermate e costrette al fotosegnalamento. È stato minacciato lo sgombero anche dell’altra parte dell’accampamento, interrotto dopo una trattativa.

Intorno alle 7 di ieri mattina, tra via Cupa e via Tiburtina, è scattata un’operazione di polizia contro i migranti in transito che da qualche giorno sono tornati ad accamparsi nei pressi dell’ex centro Baobab. Costrette all’identificazione diverse decine di persone, sgomberato l’accampamento di via Tiburtina.

Ieri mattina, Polizia di Stato e Carabinieri si sono presentati in forze – con autobus, blindati e un gran numero di agenti – su via Tiburtina, all’altezza dell’ex centro Baobab. Una parte dei migranti in transito arrivati a Roma si è infatti sistemata da giorni nella stradina di via Cupa, in tende ordinate in fila per uno lungo il perimetro dello stabile. Un’altra parte, dal lato opposto della Via Tiburtina, a ridosso delle mura del Cimitero del Verano, in uno spiazzo in cui hanno trovato “accoglienza” anche alcune famiglie rom sgomberate da Casalbertone.

I due accampamenti di fortuna sono stati circondati dagli agenti, in modo da impedire il fuggi fuggi, per procedere alle identificazioni. La Questura sostiene che circa 70 persone siano state identificate e 30 fotosegnalate dopo essere state trasferite nel vicino commissariato di San Lorenzo o negli uffici della Questura Immigrazione di via Teofilo Patini.

L’identificazione nel paese di primo approdo, richiesta a gran voce dall’Europa, ostacola ulteriormente il viaggio dei migranti verso l’Europa del Nord, ma generalmente non riesce a fermarlo. In tanti fuggono dagli hotspot situati al Sud Italia, soprattutto nei luoghi di sbarco, per evitare il foto-segnalamento ed avere la possibilità di chiedere asilo in paesi diversi dall’Italia, nei luoghi dove risiedono amici e parenti o dove è più facile costruirsi un futuro. Ma tantissimi continuano il viaggio a prescindere dalle operazioni di identificazione subite. E lo fanno consapevoli delle maggiori complicazioni all’arrivo e nonostante la perenne minaccia di essere respinti nel paese d’approdo.

A via Cupa era da un po’ che le istituzioni non si facevano vedere. Il 6 dicembre scorso si erano presentate, sempre con le forze dell’ordine, per chiudere i cancelli del centro che durante tutta l’estate e l’autunno era stato punto di riferimento dei migranti in transito a Roma. La struttura successivamente è stata resa completamente inagibile. Da allora, l’interlocuzione richiesta alle istituzioni dai volontari non ha, a quanto pare, prodotto granché. Il tentativo di occupazione da parte di “Baobab experience” del vicino Ittiogenico, struttura in disuso di proprietà della Regione Lazio, è durata solo poche ore, interrotta da uno sgombero ordinato da Tronca. Poco o niente si è saputo e si è fatto da allora fino ad arrivare a oggi, fino al puntuale riesplodere dell’ennesima prevedibile emergenza profughi. In questo vuoto e con l’intensificarsi degli sbarchi, intorno a via Cupa hanno ripreso a raccogliersi le persone in transito per Roma, sistemandosi in strada, senza acqua e elettricità, in accampamenti di fortuna, e sostenendosi grazie alle donazioni solidali di vestiti e di cibo di tantissimi cittadini e al volontariato di tanti.

E sono stati proprio i volontari a diffondere la notizia in mattinata, attraverso un post sulla loro pagina facebook. Lo hanno fatto concludendo con queste parole: “Cauti nel dare notizie, amareggiati ma anche fiduciosi in una conclusione dell’operazione rispettosa della dignità umana, vi terremo informati il prima possibile”. Parole che sono state riprese su tutti i giornali e che lasciano ampi margini di incertezza su quale sia il futuro di via Cupa o su quale soluzione alternativa e più dignitosa, che tuteli la libertà di movimento dei transitanti, possa essere praticabile. di fiducia, di certo, se ne può avere davvero poca se l’interlocuzione con le istituzioni porta a un esito simile a quello di oggi: lo scopo dell’operazione sembrava essere inizialmente quello dell’identificazione dei migranti in transito, ma le operazioni di bonifica dell’area si sono di fatto trasformate anche nello sgombero delle tende sistemate su via Tiburtina.

Non è ancora chiaro cosa succederà nei prossimi giorni e se i migranti sgomberati potranno fare ritorno nelle tende, oppure se e dove saranno trasferiti. Tanto più che questa mattina la polizia è intervenuta nuovamente, fermando altri transitanti e minacciando di denuncia alcuni volontari. Non è ancora chiaro, ma vorremmo saperlo. Vorremmo che la città solidale – fatta di migranti, attivisti, operatori sociali, volontari, progetti solidali, sportelli autogestiti, … – non fosse la stampella di un sistema di accoglienza al collasso e di un’Europa che alza muri. Vorremmo continuare a praticare dal basso la trasformazione di un sistema che viola la dignità e la libertà delle persone che sono e saranno in transito a Roma. Di sicuro, per il momento, dopo le operazioni che nei giorni scorsi hanno colpito transitanti e solidali a Ventimiglia (con deportazioni e fogli di via), la guerra contro le persone che praticano la libertà di movimento contro frontiere e leggi liberticide conosce oggi un nuovo capitolo.

Mentre migliaia di persone perdono la vita nel Mediterraneo, mentre gli hotspot producono centinaia di clandestini, intorno ai transitanti continua a giocarsi una partita importante per il governo italiano, che ha bisogno di dimostrarsi affidabile di fronte ai partner europei. In questa partita, non ci sono dubbi, bisogna schierarsi dalla parte di chi transita. Contro ogni frontiera e per la libertà di movimento.

Fonte:

IL GOVERNO RIAPRE ALTRI CIE E INSIEME ALLA UE ALLESTISCE GLI HOTSPOT, NUOVI “CAMPI DI CONCENTRAMENTO” PER I MIGRANTI

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“Una sorta di campo di concentramento”: a definire in questo modo gli “hotspots” che Governo e Ue si apprestano ad aprire in Calabria e Sicilia è lo stesso Prefetto Mario Morcone, Capo del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione al Ministero dell’Interno, l’apparato statale che coordina, tra le altre cose, i Centri di Identificazione ed Espulsione.

Lo scorso 8 Settembre durante una tavola rotonda sull’immigrazione a Tirana, Morcone ha detto: “Alcuni Paesi insistono che dovremmo creare gli ‘hotspot’: temo sia un’idea per schiacciare sui Paesi del sud – soprattutto Italia e Grecia – il fenomeno migratorio. Ma su una cosa sono certo: risponderemo sempre no a chi ci chiede di realizzare una sorta di campi di concentramento per migranti in Calabria o Sicilia!” (1).

Al contrario di quanto affermato dal prefetto le procedure per l’apertura di questi campi di concentramento non hanno mai subito interruzioni e sono andate avanti col pieno consenso di governo e UE : ne avevamo scritto qui a proposito della trasformazione del CIE di Trapani-Milo in un hotspot, che sarebbe dovuta avvenire il primo agosto scorso ma in seguito è slittata.

Malgrado le autorità italiane abbiano evidentemente avuto qualche difficoltà organizzativa, il commissario Ue per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha dichiarato che “La Commissione europea è soddisfatta del loro lavoro per la realizzazione di hotspot di identificazione e registrazione dei migranti” (2).

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Il 9 settembre la Commissione europea ha pubblicato un documento sullo “Stato dell’arte” della realizzazione degli hotspot (3).

Riportiamo alcuni passaggi da questo documento:

“Il sostegno operativo fornito con il metodo basato sui Hotspots si concentrerà su registrazione, identificazione e rilevamento delle impronte digitali e debriefing dei richiedenti asilo, e sulle operazioni di rimpatrio. Le richieste di asilo trattate più velocemente possibile con l’aiuto delle squadre di supporto dell’EASO. Frontex aiuterà gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale. Europol e Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante nelle indagini per smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti.
In Italia, il quartier generale di Catania (Sicilia) sta coordinando le operazioni in quattro porti, Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani in Sicilia e quello dell’isola di Lampedusa che sono stati identificati come Hotspots. In ciascuno di questi Hotspots vi sono strutture di prima accoglienza che possono ospitare complessivamente circa 1.500 persone ai fini dell’identificazione, della registrazione e del rilevamento delle impronte digitali. Altre due strutture di accoglienza saranno pronte ad Augusta e Taranto entro la fine del 2015.“

La capienza prevista è: Pozzallo (300 posti), Porto Empedocle (300 posti), Trapani (400 posti) e Lampedusa (500 posti) Augusta (300 posti) e Taranto (400 posti).

“In Italia lavorano attualmente 11 esperti di screening e 22 esperti di debriefing di Frontex. Il loro numero e il luogo di assegnazione variano in funzione delle esigenze operative. Frontex fornirà inoltre 12 operatori per il rilevamento delle impronte digitali. Per quanto riguarda i rimpatri, Frontex e l’Italia stanno valutando il sostegno che può essere concretamente fornito dall’Agenzia. L’EASO dispone di 45 esperti pronti a raggiungere l’Italia.”

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Come se non bastasse il Consiglio d’Europa nella seduta del 9 Settembre scorso ha chiesto a Frontex e stati UE il rapido invio di “squadre RABIT presso i confini sensibili, come l’Ungheria, la Grecia e l’Italia”(4). L’acronimo RABIT sta per “Rapid border intervention teams” cioè “ Squadre di intervento rapido alle frontiere” : queste squadre, istituite già dal 2007 dal Consiglio Europeo, sono costituite da guardie di frontiera di altri Stati membri che “intervengono su richiesta di uno Stato membro che si trovi ad affrontare sollecitazioni urgenti ed eccezionali derivanti da un afflusso massiccio di immigrati clandestini” (5).

Una squadra RABIT al confine Grecia-Turchia

Visto che nel solo 2015 ben 41.000 persone migranti giunte in Italia sono riuscite a resistere all’identificazione e al fotosegnalamento (6), come faranno gli sbirri a gestire le prevedibili proteste dei migranti nei nuovi campi di concentramento? Ce lo spiega questo articolo:

“In una lettera inviata ieri al direttore generale Ue per gli Affari Interni e immigrazione Matthias Ruete, il capo della Polizia Alessandro Pansa risponde ai rilievi avanzati dall’Unione europea all’Italia e sottolinea «gli enormi sforzi compiuti dalla polizia italiana per pervenire al rilevamento sistematico delle impronte agli stranieri che sbarcano, rispettando i diritti umani ed evitando forme di coazione». E conferma lo studio di nuove norme per allungare i tempi di trattenimento. Tre le ipotesi sul tavolo: estensione della durata del trattenimento per l’identificazione dalle attuali 12-24 ore fino a 7 giorni; previsione del rilevamento forzoso delle impronte digitali; e previsione del trattenimento fino a 30 giorni del migrante che rifiuti di sottoporsi al rilevamento” (7).

Con gli hotspot funzionanti a pieno regime – si parla del 17 Settembre (8) – il Governo si troverà a dover gestire un sempre maggior numero di persone migranti da recludere in attesa dell’espulsione. Nei primi giorni di Settembre il sottosegretario all’Interno Domenico Manzione (Pd) ha detto, riferendosi ai CIE, “Il sistema deve essere ripensato, lo scenario sta cambiando. Possiamo, anzi forse dobbiamo immaginare un allargamento e un potenziamento di questi centri.Ma con la modifica di quel regime para-detentivo oggi ingiustificato.“ Si parla di arrivare, con i lavori di ristrutturazione in corso in varie strutture danneggiate dalle rivolte dei detenuti, per l’inizio del 2016 a 1.500 posti disponibili nei CIE rispetto ai 750 attuali (8).

Una conferma sembra essere l’apertura, avvenuta nei giorni scorsi senza comunicazioni ufficiali, del CIE di Crotone (9).

In questi giorni in cui si assiste ad una mobilitazione in favore dei migranti, che si appella ai governi per cambiare le cose, ci sentiamo di condividere quanto ha scritto l’organizzazione indipendente Pro Asyl: “La solidarietà con i migranti non può più essere limitata a donazioni di indumenti e a gesti di benvenuto, ma c’è urgente bisogno che sia diretta contro gli attuali piani del governo” (10).

Protesta del 2012  a Pozzallo

Fonte:

http://hurriya.noblogs.org/post/2015/09/12/il-governo-riapre-altri-cie-e-insieme-alla-ue-allestisce-gli-hotspot-nuovi-campi-di-concentramento-per-i-migranti/