Torino, donna egiziana denuncia tentato stupro della figlia, ricoverata in TSO, e il marito al CIE

Un momento della rimozione forzata del blocco stradale messo in atto da una donna egiziana, con i suoi 4 figli minorenni, per protestare contro il trattenimento del marito nel Cie, in quanto irregolare, in corso Massimo d'Azeglio a Torino, 29 agosto 2015. ANSA/ALESSANDRO DI MARCOUn momento della rimozione forzata del blocco stradale messo in atto da una donna egiziana, con i suoi 4 figli minorenni, per protestare contro il trattenimento del marito nel Cie, in quanto irregolare, in corso Massimo d’Azeglio a Torino, 29 agosto 2015.
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Video intervista a Samantha Comizzoli, sequestrata ed espulsa dalla Palestina dall’esercito israeliano, rientrata il 18 giugno a Fiumicino dopo una settimana di detenzione

Rapita dai soldati israeliani e rinchiusa per ore in una cella di due metri per uno, Samantha Comizzoli non ha risposto alle domande ed ha dichiarato: “Mi ritengo un prigioniero politico, questo è un rapimento, entro in sciopero della fame e rimango in questa prigione fino a quando non rilasciate i trecento bambini palestinesi che voi detenete nelle prigioni israeliane”. La trascrizione completa della videointervista rilasciata a poche ore dal suo rientro in Italia, dopo una settimana di detenzione nelle carceri israeliane e sotto pesanti torture psicologiche.

Il video completo dell’intervista

 

<<Venerdì 12 giugno 2015 stavo uscendo con un taxi dalla città di Nablus, a pochi km dalla città di Nablus, una strada principale, il taxi era in corsa , è uscita un jeep dei soldati israeliani che era nascosta in mezzo agli ulivi, ha affiancato dapprima il taxi, poi si è posizionata davanti al taxi, tutto questo in corsa, il taxi ha iniziato a rallentare, la jeep ha iniziato a rallentare, e mentre erano in corsa i soldati israeliani sono scesi dalle porte del retro della jeep e hanno assaltato il taxi puntando le armi.
Mi hanno aperto la portiera urlando e hanno iniziato a farmi domande, domande generiche, non mi hanno mai chiesto come mi chiamavo e… continuavano a insistere che stavo andando ad una manifestazione, le domande sono diventate sempre più pressanti nei miei confronti e nel frattempo facevano domande al taxista e ad un ragazzo seduto nel posto davanti, nel taxi.

Il tempo passava, dopo un po’ mi hanno preso la borsa e preciso che nella prima frangia di domande non ho dato i documenti, non ho voluto dare i documenti, l’unica cosa che continuavo a dire è “voglio chiamare il consolato italiano”, e mi è stato negato, ovviamente. Gli ho ricordato che non potevano trattenermi più di due ore, perché conosco i miei diritti, e mi hanno risposto: “facciamo quello che vogliamo perché siamo soldati”. Dopo di che, appunto, mi hanno preso la borsa, mi hanno tirato fuori quello che c’era nella borsa, quindi un giubbino giallo fosforescente con la scritta “PRESS”, la kefiah, il portafoglio, hanno guardato dentro il portafoglio e poi hanno trovato il passaporto e quindi hanno detto “qui c’è il tuo passaporto e non ce l’hai dato prima, e poi hanno tirato fuori, io purtroppo come molte donne non pulisco mai la borsa (e quindi c’era molta spazzatura), oltre a fazzoletti di carta e cose varie c’erano molte carte, e c’era anche una cosa che io ho fatto con Photoshop mettendomi l’hijab musulmano e mettendo le generalità così, false, ma fatta da me in Photoshop e nemmeno in grandezza naturale e hanno detto “Questo è un documento falso?” , ho risposto “beh, no, lo vedete benissimo che questa è una cosa che non posso presentare”, mi hanno detto “Si, certo, ma perché l’hai fatto?” e ho detto “Ma perché è uno scherzo”, l’ho fatto io, così, l’ho fatto io con Photoshop, è una cosa che non posso assolutamente usare”. Sono passate quattro ore, durante queste quattro ore sono arrivati gli shabak israeliani, eh… quindi i servizi segreti, e poi la polizia israeliana. Sia gli shabak che la polizia israeliana sorridevano, quindi erano molto contenti di avermi trovata lì. Anche loro non mi hanno mai chiesto come mi chiamavo, chi ero, cosa facevo, eh… anche se all’inizio i soldati mi hanno chiesto “cosa fai a Nablus” e gli ho risposto “Niente.”.

Dopo un po’ mi hanno detto: “OK, non sei in stato di arresto ma devi venire con noi perché ti dobbiamo interrogare”. Eh… non ho opposto resistenza, perché per me ormai era andata, quello era un chiaro rapimento, e comunque questo momento non poteva che esserci prima o poi, non me l’aspettavo con queste modalità ma sapevo che sarebbe arrivato, e nel taxi c’era una maschera antigas che il ragazzo palestinese ha detto “E’ mia”, ma nonostante questo loro hanno messo la maschera antigas dentro la mia borsa. Ironicamente hanno trovato una bandiera di Fatah e… essere presa con una bandiera di Fatah non mi entusiasmava sinceramente, ma sembrava che sapessero che non fosse mia perché non l’hanno messa né nella mia borsa, e nè l’hanno requisita addebitandola ad altre persone. Se la sono semplicemente messa in tasca, ed è sparita.

Eh… dopo di che hanno mandato via il taxi con il ragazzo palestinese e io sono rimasta seduta sulla strada, erano passate quattro ore e mezza sotto il sole, senz’acqua, con un soldato che mi puntava un fucile e la jeep della polizia israeliana. Dopo un po’ ho detto al soldato di spostare la canna del fucile e smetterla di puntarmi il fucile addosso, e lui l’ha spostata. E poi mi hanno fatto salire sulla jeep israeliana e mi hanno detto: “Ti ricordiamo che non sei in stato di arresto, al momento sei sotto investigazione, devi venire con noi”. Da lì mi hanno portato all’insediamento illegale di Ariel, dove mi hanno fatto aspettare per l’interrogatorio e gli shabak mi hanno interrogata. Ho risposto alle prime due domande, la prima è stata “a noi risulta che tu sei nel nostro paese, in Israele, in modo illegale da un anno e quattro mesi, ce lo puoi confermare?”, ho detto “Non posso confermarvi nulla e comunque i computer ce li avete voi, siete voi gli investigatori, fate il vostro lavoro”. Poi mi hanno chiesto appunto che cosa fosse quella… loro avevano una fotocopia di questa cosa fatta con Photoshop, e mi hanno detto “Che cos’è questa cosa?”, ho detto “E’ una cosa che ho fatto io con photoshop, vedete non è nemmeno nella grandezza naturale di un documento palestinese e mi hanno detto “Perché i soldati hanno dichiarato che tu non hai dato i documenti e dopo nello stesso verbale hanno dichiarato che tu l’hai dato come documento?”, ho detto “sinceramente io non l’ho dato come documento, non ho dato niente ai soldati perché io non dò nulla ai soldati, soprattutto se mi puntano addosso un’arma, quindi parlate con chi ha fatto il verbale.” . E da quel momento in poi ho detto “Mi state interrogando senza avvisare il consolato, senza un avvocato, quindi mi rifiuto di rispondere a tutte le domande che seguono, mi hanno preso le impronte digitali, il DNA [ prelievo salivare, ndr], fatto le fotografie, e mi hanno fatto aspettare ancora. Verso le dieci di sera mi hanno trasferita nella prigione di Ben Gurion, quando sono arrivata mi hanno fatto aspettare, mentre aspettavo ho chiesto ancora una volta di chiamare il Consolato italiano ma non mi hanno risposto, ho chiesto dell’acqua e non mi è stata data l’acqua nonostante fossero le 22:00, quindi ricordo che mi hanno presa alle 11:00 del mattino, quando sono arrivata all’interrogatorio ho riformulato nuovamente le stesse risposte “Non rispondo alle vostre domande perché non mi fate chiamare il consolato e non è in mia presenza e non c’è un avvocato quindi non rispondo a nessuna domanda” e  mi hanno chiesto: “A noi risulta che sei qua senza visto, questa è l’accusa che ti hanno fatto”, quindi era già sparito il discorso del documento fatto con photoshop, e mi hanno detto “Perché se eri qua senza visto non hai rinnovato il visto e sei stata qua in modo illegale?”, io ho risposto “Beh, perché per quanto mi riguarda se dovessi rinnovare un visto non lo vengo a chiedere a voi in un insediamento illegale, in un posto illegale, perché voi siete illegali, questa è la Palestina, non è Israele, quindi non vengo da voi a chiedere nulla”.

Dopo di che ho smesso di rispondere a tutte le domande e ho fatto questa dichiarazione: “Mi ritengo un prigioniero politico, questo è un rapimento, entro in sciopero della fame e rimango in questa prigione fino a quando non rilasciate i trecento bambini palestinesi che voi detenete nelle prigioni israeliane”.

MaherAbu

Da quel momento mi hanno messo in cella d’isolamento, in sciopero della fame. Sono ritornati di notte, io stavo dormendo, e mi hanno detto: “Ti sei dimenticata di firmare questi fogli”, erano tutti in ebraico, e ho detto, nonostante stessi dormendo, “questi fogli sono in ebraico e io non firmo nulla perché non ho dichiarato nulla”. Ho cercato di continuare a dormire e mi hanno acceso la luce.

Sono stata nella prigione di Ben Gurion due giorni e mezzo in sciopero della fame e in isolamento, mi facevano uscire 5 minuti la mattina e 5 minuti al pomeriggio per fumare una sigaretta. Mi hanno tolto l’unico libro che avevo, nonostante fosse un libro di José Saramago, “Il vangelo secondo Gesù Cristo”. Gli altri prigionieri non erano trattati come me, i prigionieri presenti erano tutti con problemi di immigrazione, potevano stare fuori, potevano fumare, nei miei confronti è partita una serie di punizioni psicologiche. La luce accesa di notte, hanno messo l’aria condizionata facendo raggiungere una temperatura glaciale alla cella, io stavo con due coperte ma ero comunque congelata. Ero in sciopero della fame e lì per resistere ho cercato di pensare non a quello che mi mancava ma a quello che avevo: quello che avevo era il mio corpo e quello spazio, e quindi a quello che potevo fare per resistere. Continuavo a camminare dalla porta alla fine del muro, avanti e indietro. A volte cantavo, ho fatto molti addominali, molte flessioni. Era un posto dove le persone continuavano a picchiare sulle porte di ferro giorno e notte chiedendo acqua, chiedendo di poter uscire, chiedendo di poter telefonare. Io non ho mai picchiato una volta perché non volevo chiedergli nulla. Non volevo chiedere nulla a loro, quello che mi davano mi davano, ma io non chiedevo nulla. Dopo due giorni e mezzo mi hanno trasferita nella prigione di Givon, quando sono arrivata lì avevo una maglietta della Palestina, che raffigurava la Palestina, e ho capito che hanno detto “portala, portala dentro, nella prigione”. Mi hanno fatto camminare in un’ala della prigione dove c’erano quattro o cinque prigionieri fuori che lavoravano e ho capito di essere in una prigione per israeliani, per coloni. I prigionieri mi hanno guardato, quando sono arrivata, con tutto l’odio che avevano e c’è stato un altro interrogatorio, sempre con le stesse domande alle quali io mi sono rifiutata per l’ennesima volta di rispondere e di firmare e ho detto: “Continuo lo sciopero della fame e rimango qua per i trecento bambini palestinesi che voi state detenendo e non esco fino a quando loro non raggiungono prima la libertà. Non posso dargli la mia schiena e uscire da qua pensando che loro rimangono dentro”.

Mi hanno detto: “Va bene, ti portiamo in cella, ti mettiamo in isolamento”. Mi hanno messo in una… non si può definire cella, era una gabbia di due metri per uno dove il soffitto potevo toccarlo con la mano, era un container con un water, e nessuna apertura, solamente una piccola feritoia sulla porta di dieci centimetri, e quindi non c’era luce. Sono rimasta lì un po’ di ore, durante queste ore dall’altra parte della parete del container ho capito che stavano torturando una persona, un uomo, molto probabilmente era su una sedia di quelle tipo da studio, con le rotelle, lo buttavano ripetute volte contro il muro, molto probabilmente con o delle secchiellate d’acqua o con un getto d’acqua e lo sentivo rantolare, era come se fosse nella mia cella perché erano pareti di un container, non erano pareti di muro o di legno, e lo sentivo rantolare… e poi l’acqua ha iniziato ad entrare anche dalla feritoia della mia cella.

Sono venuti a richiamarmi e mi hanno detto: “Questa sarà la tua cella, dovrai continuare a stare qui, se non smetti di rimanere in sciopero della fame, perché sei un problema di sicurezza per noi.” Ho detto: “Che problema di sicurezza sono? Io ho solo il mio corpo, qual è il problema della sicurezza?”, “Se smetti di essere in sciopero della fame” [hanno risposto, ndr] “ti mettiamo con le altre”. Ho capito che non potevo più continuare, che non avrei resistito per giorni, per me la priorità non era la protesta per il mio arresto, ma resistere in prigione per i bambini. E quindi ho terminato lo sciopero della fame in quel momento perché il mio obiettivo era resistere il più possibile in prigione per smuovere sul rilascio dei bambini. Quindi in quel momento mi hanno dato da mangiare, hanno fatto l’ispezione al mio bagaglio, mi hanno tolto ancora il libro, mi hanno tolto tutte le magliette che riguardavano la Palestina, mi hanno tolto anche una maglietta che era per la libertà degli animali nello zoo [ Samantha ha condotto una lunga battaglia per la chiusura dello zoo di Ravenna ndr] ma nell’incertezza, siccome era scritto in italiano e non capivano bene che cosa fosse mi hanno tolto anche quella, e mi hanno tolto un maglione, forse perché se volevano ancora usare il discorso dell’aria condizionata avere un maglione sarebbe stato un problema, e poi mi hanno tolto il tabacco con la macchinetta per fare le sigarette, mi hanno detto “No, non puoi averla”, e ho detto “Perché? Perché non posso avere il tabacco con la macchinetta per fare le sigarette?” [le hanno risposto, ndr] “Perché puoi metterci dentro della droga”, e ho detto : “dove ce l’ho la droga?” e [le hanno risposto, ndr] “No, la puoi trovare in prigione, però puoi comprare le sigarette qua”, ho detto: “Va bene”.

Poi mi hanno fatto un’ispezione corporale, completamente nuda, facendomi abbassare, aprendomi le chiappe e infilando una mano dentro, mi hanno fatto girare, alzare il seno, dopo che hanno fatto questo mi hanno guardato e mi hanno detto: “Hai una pistola?”…..

OK, poi mi hanno dato una maglietta bianca, perché io, appunto, avevo indosso questa maglietta della Palestina, i vestiti che avevo addosso e mi hanno portato nella cella con le altre donne. Era nel braccio dell’immigrazione e mi hanno messo in una cella dove c’erano due donne, che ho capito subito …due donne della Costa d’Avorio, dove tutta la prigione delle donne non parlava con queste due donne perché avevano un carattere terribile… però siccome anch’io ho un carattere terribile, io sono stata… difendendo quello che avevo di mio, cioé il mio corpo, la mia mente, il mio cuore, e loro difendevano quello che avevano perché erano lì da due anni e sei mesi, e difendevano quella cella che per loro era tutto quello che avevano, come se fosse la loro casa, non uscivano neanche quando aprivano le porte. Dopo di che abbiano iniziato a fare amicizia, quindi ho un ricordo di loro bellissimo, di queste due donne, di grande rispetto, perché facevano resistenza all’interno della prigione per poter diventare rifugiati politici, quindi dovevano passare cinque anni in prigione, con i figli fuori, ho detto loro che non condividevo il posto che avevano scelto per diventare rifugiati politici ma potevano camminare sopra la mia testa e tutto il mio rispetto per la resistenza che avevano a stare lì dentro. Ovviamente con tutti i problemi loro mentali che portava come conseguenza vivere… avere questo tipo di vita. Dunque, la prigione di Givon ovviamente toglie la libertà alle persone, è un cimitero per i vivi come tutte le prigioni. Porte che venivano sbattute ripetutamente, ispezioni di giorno e di notte, non puoi mai alzare la voce verso la polizia, cosa che invece io ho fatto subito per una donna che si era sentita male e ho chiesto l’intervento del dottore [una donna ha perso i sensi, Samantha ha chiesto a gran voce che venisse chiamato un medico, ma sono passati circa 20 minuti prima che le guardie, che osservavano la scena, reagissero chiamando un sanitario, ndr] .

Sono riuscita a contattare il consolato di Tel Aviv, il console Nicola Orlando è stato molto umano, è venuto a trovarmi diverse volte in prigione, ci siamo sentiti molte volte al telefono. Il mio telefono miracolosamente ha iniziato a funzionare dopo un giorno nella prigione di Givon in modalità roaming nonostante Jawal non potesse funzionare lì [operatore di telefonia mobile palestinese attivo a Gaza e in WestBank ma che utilizza l’infrastruttura di rete israeliana al di fuori di quei territori, per tanto il roaming è normalmente interdetto ai numeri Jawal o con costi in accessibili e, in ogni caso, passa direttamente sotto il controllo delle compagnie telefoniche israeliane ndr]. Arrivavano a me e ad altri contatti che avevo sul telefono telefonate strane, ovviamente, quindi mi stavano facendo telefonare i servizi segreti, gli shabak, forse… non lo so, pensavano di scoprire chissà che cosa, io non ho niente da nascondere, quindi… Ero assolutamente tranquilla e facevo le mie telefonate e ricevevo le mie telefonate.
OK, dopo questa parentesi nella prigione di Givon, da quando è intervenuto il consolato devo dire che hanno iniziato ad avere un metodo un po’ più soft nei miei confronti, non più come quello di prima, sebbene continuassero nei miei confronti ad avere questa procedura di “prigioniero politico” e non di problemi con l’immigrazione. Una mattina mi son venuti a chiamare, non mi hanno detto nulla, mi hanno portato in uno stanzino molto piccolo. C’era una persona a un tavolo e poi c’era un traduttore in italiano e un soldato, hanno iniziato a farmi delle domande, ho capito che quello aveva la veste più o meno di un giudice, anche se quello non era un tribunale, non c’era un avvocato, era dentro uno stanzino di un container. Mi hanno chiesto “sei pronta a firmare i fogli che ti abbiamo dato e a lasciare il nostro paese?”, gli ho detto “No”, “Va bene puoi andare”, ho detto “Posso andare cosa, cosa vuol dire, che cos’è questo?”Ci rivediamo tra un mese, se trovi un avvocato che ti rappresenta possiamo dialogare, al momento ci rivediamo fra un mese”.
Ho riferito tutto quello che è stato al consolato, fino a quando appunto non è arrivato il messaggio l’altro ieri del console e in simultanea me lo stavano comunicando a voce, che avevano disposto la mia deportazione da Israele, così come lo chiamano loro, il giorno dopo con volo El Al, volo israeliano. Ho detto che avrei fatto resistenza passiva per non farmi portare via ma sempre con l’obiettivo dei trecento bambini.

Hanno disposto il mio trasferimento appunto al mattino presto, avevo detto che avrei fatto resistenza passiva, quindi che mi prendessero con la forza, ricordando loro che gli uomini non mi potevano toccare perché era molestia sessuale, che dovevano esserci le donne. Mi hanno fatto stare ancora una volta in quello stanzino da due metri per uno dove mi avevano messo la prima volta nella prigione di Givon insieme alle altre donne senza chiudere la porta, dopo di che mi hanno ridato tutto il materiale, quasi tutto, il materiale che mi avevano confiscato all’ingresso. Quando è arrivato il momento del trasferimento io ho detto: “Non posso, non posso uscire con le mie gambe, mi sono seduta per terra e hanno fatto salire tutti nell’autobus, compresa la mia telecamera, e mi hanno detto “va bene, noi abbiamo deciso di non usare la forza con te”, sono entrati tutti e mi hanno detto: “Tu resterai qua, in cella d’isolamento, fino al prossimo volo” e in quel momento, primo sapevo che non avrei saputo resistere nella cella d’isolamento ancora, e la mia telecamera era andata; ma, secondo, ho pensato che diventava una scelta irresponsabile per delle persone che mi stavano aspettando in Italia, che si erano trasferite a Roma per venirmi a prendere. E comunque era andata, oramai, ho visto che il consolato non aveva preso posizione sui bambini, che non era partita nessuna trattativa, che se n’erano fottuti dei diritti umani e che, comunque anche il console di Tel Aviv mi aveva confermato, “non sei stata per noi del consolato e della Farnesina presa in considerazione come prigioniero politico ma solamente con problemi d’immigrazione”, quindi per quanto riguarda essere un ago della bilancia per la liberazione dei bambini e per una battaglia dei diritti umani il consolato italiano, ma soprattutto la Farnesina, e questo lo dico io, se n’è sbattuta il cazzo, quindi lascia in prigione trecento bambini, nonostante avesse avuto la possibilità magari di trattare e usare me come ago della bilancia. Quindi in quel momento sono salita sull’autobus e mi hanno poi trasferita con una… jeep israeliana blindata fino all’aereo, io non ho mai visto l’aeroporto Ben Gurion. Quando sono salita sull’aereo è partita una protesta da parte delle persone nell’aereo perché erano tutti israeliani e mi hanno visto arrivare con la kefiah e accompagnata dalla polizia. Sono arrivata a Roma, sono stata accolta in un primo tempo dalla polizia italiana che ha dovuto formulare un report su quello che era successo e poi sono stata accolta dai miei amici e questo è stato un momento di felicità… per me. Nella jeep israeliana che mi ha portata all’aereo sono stata chiusa nella parte del retro, in un posto completamente chiuso e mi hanno messo l’aria calda, bollente, quindi non potevo respirare e quindi ho dovuto bussare dopo un po’ sul vetro e chiedere di poter respirare…e mi hanno detto “scusa, ci siamo dimenticati” e mi hanno dato l’aria.

Dunque, le considerazioni: so che in Italia sono usciti subito sulla stampa, sui media [ es. LA STAMPA, ANSA ndr ] , una dichiarazione ufficiale di questo documento falso che io avrei fornito ai soldati. Ho verificato questa cosa tramite il Consolato e la Farnesina per capire chi aveva rilasciato questa dichiarazione, questo è quello che è successo: mentre mi stavano trasferendo da Ariel alla prima prigione io ero nella jeep con due poliziotti, il poliziotto ha ricevuto una telefonata e ha parlato in inglese, e quindi ho capito che cos’ha detto, ha detto “la signora al momento non è in arresto, è in detenzione amministrativa, perché è priva di visto, quindi è in posizione illegale in Israele, e ha un documento falso palestinese ma è sotto indagine.” Poi, quando ha chiuso la telefonata il poliziotto mi ha detto: “Era il consolato di Gerusalemme, hanno chiesto, appunto, perché eri stata presa”. In quel momento mi sono meravigliata, anche la sera stessa, fino a quando poi non ho parlato con Tel Aviv, perché ho detto: “Caspita, il consolato finalmente ha la possibilità di mettersi in contatto e di sapere come sto e di poter parlare con me, non l’ha fatto, il Consolato di Gerusalemme, ma ha solamente verificato quali erano in quel momento le accuse, accuse che poi sono cadute, e l’ha comunicato alla stampa. Questo comportamento poi non c’è stato dal Consolato di Tel Aviv e dalla Farnesina, quindi io ho ritenuto veramente grave il comportamento del Consolato di Gerusalemme che parrebbe aver avuto un atto di diffamazione di una cittadina italiana che stava vivendo un atto di violenza, che io definisco rapimento perché non c’è nulla di legale, non c’è nessun foglio che mi accusa di qualcosa, non c’è nessun foglio che dice che io sono stata arrestata, che sono stata detenuta, nulla, non c’è nulla, quindi io sono stata a tutti gli effetti rapita da Israele… Quindi in quel momento il Consolato di Gerusalemme ha diffamato una cittadina italiana che era in queste condizioni, non ha cercato di mettersi in contatto e parlare con me per chiedere come stavo, che cosa mi stava accadendo, se mi avevano fatto qualcosa, cioè per chiedere qual erano le mie condizioni di cittadina italiana. [ il Consolato di Gerusalemme è lo stesso che di recente ha negato i visti ai due palestinesi, tra i protagonisti dell’ultimo docufilm “israele, il cancro”, per il tour italiano del film, nel mese di maggio]

Questa è una cosa molto grave, credo che la Farnesina dovrebbe prendere provvedimenti, non per me ma per i futuri cittadini italiani che, io non gli auguro possa capitare questo ma ai quali potrebbe capitare, perché il Consolato deve lavorare, appunto, per la Farnesina e per il governo italiano, non per il governo di Israele o per i media. Altresì dico che i pennivendoli che si affidano veramente alla prima scoreggia di un piccione per pubblicare notizie in questo modo, ecco a loro ricordo che in Palestina i giornalisti per documentare la verità sul posto si fanno sparare, si fanno sparare negli occhi, in faccia, al petto, nelle braccia, perdono le gambe, per documentare sul posto quello che è la verità. Ecco, voi siete la vergogna dei diritti umani,così come è Israele, cioè chi vi paga.

GiornalistiPalestina

Io in questo momento sono ovviamente provata, non ho mai parlato, non ho mai bussato su quelle porte per chiedere qualcosa loro, ho resistito perché avevo una missione in testa, che non era per me, era per i diritti umani e per i bambini e… continuerò a supportare la resistenza palestinese e a lavorare per i diritti umani. Adesso ho solo bisogno di un po’ di tempo per cercare di svuotare la mia mente dalla merda che Israele ha infilato dentro e fare entrare nuove idee. Grazie a tutti quelli che mi hanno supportato, so che siete stati in tanti, ma non avete supportato me, avete supportato i diritti umani quindi, visto che è responsabilità di tutti io vi ringrazio.

Ho chiesto di fornirmi documentazione di quello che è accaduto, di avere uno stralcio di qualcosa, del mio stato, a voce mi  hanno detto che sono stata deportata per 10 anni dalla Palestina, che non potrò più rientrare, ma che è tutto nei loro computer e che quindi non rilasciano nulla, nulla di cartaceo, di nero su bianco. Ovviamente quello che mi fa soffrire è il pensiero di non tornare più in Palestina e di non poter riabbracciare più i miei amici, e che loro sono là e che non posso più aiutarli sul posto, non posso più fare da scudo umano per tanti mini-shebab, tanti shebab , questa è la cosa che mi fa più male..

Non sono mai stata sola, ho sempre avuto i diritti umani con me, ma soprattutto ho sempre avuto, con me, anche quando non riuscivo a mettermi in contatto perché ero in isolamento, ho sempre avuto con me Simone, Simonetta e Sauro. E dire grazie è troppo poco, mi stanno accogliendo anche ora che non ho più nulla, perché quando sono partita per la Palestina io ho venduto tutto quello che avevo perché ho perso la residenza, e quindi  i problemi sono parecchi in questo momento ma, insomma, sono con loro… sono la mia famiglia in questo momento e lo saranno sempre.

Samantha Comizzoli>>

Per supportare e diffondere il preciso e puntuale lavoro d’informazione di Samantha Comizzoli:

Il BLOG di SAMANTHA COMIZZOLI

Il primo documentario sulla resistenza palestinese (2014), SHOOT (qui il video in streaming)

Il blog del documentario presentato in un tour italiano lo scorso mese, “israele, il cancro”

TGMaddalena, nel condividere e sostenere la battaglia di Samantha per la liberazione di tutti i bambini palestinesi, detenuti e torturati nelle carceri israeliane, ha aperto una campagna per supportare le prossime iniziative e consentire a Samantha di proseguire nel suo impegno per i diritti umani, per la Palestina e per la Libertà.

 

Trascrizione completa della videointervista, a cura di Simonetta Zandiri – TGMaddalena.it

 

 

Fonte:

http://www.tgmaddalena.it/intervista-samantha-comizzoli-sequestrata-ed-espulsa-da-israele/

 

SAMANTHA E’ LIBERA

La nostra sorella e compagna Samantha Comizzoli è appena arrivata all’aeroporto di Fiumicino.
Dopo un anno e 4 mesi passati a Nablus, documentando quotidianamente ed appassionatamente l’oppressione sionista e la corruzione della polizia palestinese dalla sua pagina FB e dal suo blog (http://samanthacomizzoli.blogspot.it/ ), è stata fermata il 12 giugno dall’esercito nazisionista mentre da Nablus andava a Kuffr Qaddum per la mobilitazione settimanale. Il motivo dell’arresto è stato, ufficialmente, il visto scaduto.

E’ stata condotta prima in un carcere sionista dell’insediamento di Ariel, e poi al centro di identificazione ed espulsione dell’aeroporto Ben Gurion, a tel aviv. Messa in ISOLAMENTO, ha rifiutato la difesa di un avvocato procuratole di rito da israele, ha rifiutato l’espulsione a meno che non fossero liberati le centinaia di bambini Palestinesi detenuti, ed ha lottato strenuamente per non lasciare la Palestina.
I media hanno dapprima taciuto, poi il tamtam sui socials li ha costretti a dare qualche notizia, comunque omissiva o distorta, se non infamante.

Le sigle “pro Pal”, dopo averla ignorata per mesi, ne hanno dato notizia in termini del tutto diplomatici.

Samantha ha guardato il mostro nazisionista negli occhi da molto vicino, e ne è uscita più Umana di prima. E’ stata ed E’ un’attivista LIBERA, al di sopra delle ideologie di comodo. E per questo, obiettiva.
I suoi due film-documentari su israele, “SHOOT” e “israele, IL CANCRO”, sono una coraggiosa denuncia della brutalità e della pervasività dell’occupazione.

israele ha riservato anche a lei una Nakba, l’allontanamento forzato dalla sua gente.

Sapendo quanto amaro è per lei questo rientro forzato, la abbracciamo dal profondo del nostro cuore, ed ora la nostra voce deve diventare più forte, a sostegno della sua e di chi, laggiù, si ritroverà un po’ più solo.
Ha lasciato la terra ed il popolo che erano diventati praticamente la sua vita e la sua gente.
Qui, ora ha tutti noi che l’abbiamo conosciuta ed amata.
In ogni caso, bentornata, Samantha!
FREE PALESTINE!!!

(grazie a Simonetta Zandiri e Sauro Trombini per le foto e la cura con cui hanno aggiornato)

foto di ‎Ogni popolo è Palestina - كل شعب فى العالم هو فلسطين‎.
foto di ‎Ogni popolo è Palestina - كل شعب فى العالم هو فلسطين‎.
foto di ‎Ogni popolo è Palestina - كل شعب فى العالم هو فلسطين‎.

SAMANTHA COMIZZOLI RIFIUTA DECRETO DI ESPULSIONE E DIFESA LEGALE: ” SE C’E’ UN AVVOCATO PRONTO A BATTERSI CON ME PER LA LIBERAZIONE DEI BAMBINI DETENUTI NELLE CARCERI ISRAELIANE ALLORA LO ACCETTO”

15/06/2015 ore 19:30
FreeSam6Arrestata il 12 giugno mentre da Nablus si stava recando ad una manifestazione a Kufr Qaddum in quello che sembra essere stato più un blitz mirato che non un fermo casuale, è stata detenuta prima nella prigione dell’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, in ISOLAMENTO (per non meglio precisati “motivi di sicurezza”), e poi trasferita nel carcere di GIVON, dove è stata costretta sotto pesanti torture psicologiche ad interrompere il digiuno intrapreso dal momento dell’arresto, come unica forma possibile per proseguire la sua battaglia per la liberazione di tutti i bambini detenuti nelle carceri israeliane.
Samantha è stata arrestata in detenzione amministrativa perché il visto con il quale era entrata nel febbraio 2014 era scaduto da oltre un anno. Ha rifiutato l’assegnazione di un legale perché consapevole che non esiste alcuna possibilità di difesa in casi come questo: il visto è scaduto ed è quindi stata attivata la procedura di espulsione dopo una rapida udienza che si è svolta oggi nel carcere di Givon, alla presenza di un giudice, agenti di polizia, e nessun difensore. In realtà Samantha avrebbe anche accettato di buon grado un avvocato, se ne avesse trovato uno disposto ad affiancarla nella sua lotta per la liberazione dei bambini detenuti da Israele. Dal 1967 ad oggi secondo l’ong Military Court Watch sono 95.000 i bambini arrestati dal governo israeliano in Cisgiordania. Nel rapporto presentato a Ramallah sono documentate le testimonianze degli abusi perpetrati sui bambini, che Sam aveva già documentato nel suo primo film, Shoot, e nel documentario presentato di recente in un tour italiano “israele, il cancro”. Questo pomeriggio ha ricevuto la visita del console italiano, rientrato oggi da una vacanza. Proprio il console le ha spiegato che nella sua situazione potrebbero tenerla in carcere anche per un mese, ma pare che israele sia intenzionato ad attivare la sua espulsione entro le prossime 24, 48 ore e, poiché Samantha si è rifiutata di firmare l’accettazione di questa misura, è probabile che utilizzino la forza per assicurarsi il suo rientro in Italia (detenzione e viaggio di rientro saranno a carico del governo israeliano, precisazione utile per prevenire tormentoni del tipo “cos’è andata a fare in Palestina, era meglio se stava a casa sua” con tanto di “e ora le paghiamo pure il volo”).

Ieri il suo avvocato in Italia, Luca Bauccio, ha emesso un comunicato a seguito di alcuni articoli usciti su media nazionali che riferivano informazioni non veritiere, articoli che rischiavano di alimentare una diffamazione della quale Samantha è più volte stata vittima. “La vita e la storia di Samantha sono alla luce del sole: lei vive e opera per la libertà dei palestinesi e perché la giustizia e il diritto vengano ripristinati in quei territori.Questo è già noto.”, ha scritto ieri il legale, ed ha aggiunto “Nessuna mistificazione verrà accettata e subita come il prezzo da pagare per avere avuto la passione e il coraggio di dedicare la propria vita per la causa di vittime innocenti del più intollerabile e prolungato esproprio della storia. Samantha vive e opera per questo da sempre nel segno della sua convinzione democratica e del suo rifiuto di qualunque forma di persecuzione di razzismo, di antisemitismo e di odio religioso.”
A proposito di odio religioso, sarà questo che ha spinto i carcerieri a sequestrare a Samantha il libro di José Saramago “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”?

Sabato 13 giugno sotto la RAI di Torino si è tenuto un presidio per richiedere la liberazione di Samantha ed in solidarietà con i prigionieri palestinesi; attualmente sono circa 7000, di essi 450 in detenzione amministrativa, cioè senza capi d’accusa. Per il loro numero e la loro condizione essi sono un elemento cardine della Resistenza palestinese. E proprio in questi giorni tra i prigionieri ci sono forti avvisaglie di un nuovo sciopero della fame di massa. Sarà anche per questo, probabilmente, che oggi il Consiglio dei Ministri israeliano ha approvato un disegno di legge per contrastare la “minaccia” per il paese (da non credere!) costituita dai “detenuti che effettuano lo sciopero della fame”.

Il gruppo di solidali ha chiesto alla redazione del TGR Piemonte di diffondere la notizia dell’arresto e dell’anomala detenzione in isolamento, ma la risposta è stata chiara e senza spazi di discussione: c’erano notizie più importanti, un incidente, il salone dell’auto, etc.  Le informazioni vengono diffuse principalmente tramite social network, Twitter, Facebook, il volo di rientro è previsto ormai nelle prossime 24-48 ore ma si presume che la notizia verrà data solo successivamente all’imbarco di Samantha sul volo di rientro, per le stesse non meglio note “ragioni di sicurezza” che hanno spinto israele a detenere Samantha in isolamento.
FreeSam2

Simonetta Zandiri – TGMaddalena.it

 

 

Fonte:

http://www.tgmaddalena.it/samantha-comizzoli-rifiuta-decreto-di-espulsione-e-difesa-legale-se-ce-un-avvocato-pronto-a-battersi-con-me-per-la-liberazione-dei-bambini-detenuti-nelle-carceri-israeliane-allora-lo-accetto/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PALESTINA, ARRESTATA L’ATTIVISTA ITALIANA SAMANTHA COMIZZOLI

Da Simonetta Zandiri :

Ultime notizie, Samantha Comizzoli è stata trasferita nella prigione dell’aeroporto, cercheranno di espellerla domenica…

Fonte:

https://www.facebook.com/samantha.comizzoli/posts/10205895300695263?pnref=story

 

#‎Palestina‬, confermato l’arresto di Samantha Comizzoli , al momento si sa che dopo che le è stato sequestrato il passaporto ed è stata fotografata, è stata portata al posto di polizia nell’insediamento di Ariel, in attesa di essere espulsa e rimpatriata. Chi la conosce sa quanto è forte e per questo immagino si opporrà a suo modo all’espulsione, non possiamo fare altro se non divulgare la notizia in attesa di capire da un avvocato che si occuperà del suo caso se e cosa è meglio fare per aiutarla. Scusate se non aggiungo altro, ma ora vorrei solo poterla abbracciare e dirle che andrà tutto bene, solo che sapendola nelle mani del mostro, quel mostro che ha combattuto con tutta sé stessa, proprio non ci riesco.

foto di Simonetta Zandiri.
Fonte:
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Foto del tweet prima dell’arresto:
 
foto di Simonetta Zandiri.
Fonte:https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205804227698823&set=a.1132510726891.20704.1650964386&type=1&theaterIntanto è partita una raccolta firme per sollecitare i parlamentari italiani ad impegnarsi per la liberazione di Samantha Comizzoli

Samantha Comizzoli, attivista da diversi anni e punto di riferimento informativo per i soprusi e crimini israeliani perpetrati nei confronti dei Palestinesi e’ stata fermata e…
change.org
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Qui il blog di Samantha Comizzoli:

PALESTINA: L’ATTIVISTA ITALIANA SAMANTHA COMIZZOLI FERITA DA RUBBER BULLETS

Samantha

Attivista  italiana ferita dai soldati israeliani durante una manifestazione per i 67 anni dalla Nakba

 

Samantha Comizzoli, attivista per i diritti umani (e di tutti gli esseri viventi), oggi è stata ferita dai soldati Israeliani durante una manifestazione per i 67 anni dalla Nakba al checkpoint di Howara, come quella che si è svolta ieri,  ad Ofer (Ramallah), durante la quale ha documentato l’attacco dei soldati israeliani al villaggio di Betunia ed al gruppo di giornalisti.

Da quanto racconta Samantha si trovava con altri manifestanti al checkpoint di Howara, per marciare per la Nakba. “Stavo semplicemente camminando verso il checkpoint con le braccia aperte”, scrive sul suo profilo FB, “quando hanno iniziato a sparare le sound bomb ed i gas NON mi sono spostata. Hanno piazzato il cecchino e, sempre cno le braccia aperte, mi muovevo veloce orizzontalmente per fare da scudo agli shebab [i giovani attivisti, ndr]. Essendo donna ed internazionale pensavo fermasse il cecchino che, invece, mi ha sparato due rubber bullet e ha sparato un’altra rubber bullet a Nidal che stava fotografando”.
Ancora una volta ci corre l’obbligo di ricordare che chi è disposto a fare da scudo umano non necessariamente autorizza il nemico a trasformarlo in un bersaglio. Ma vallo a spiegare a quei vigliacchi in divisa….

Samantha è stata colpita da due rubber bullet, ad un braccio e al seno, si trova in ospedale e speriamo di avere al più presto buone notizie. Qui i suoi ultimi messaggi su Twitter.

 

Qui una foto di una delle ferite riportate:

FeritaBraccio

Nel mese di aprile è iniziato il tour italiano del suo secondo documentario, “israele, il cancro”, proiettato anche a Torino in una sala piena presso la Cascina Roccafranca, con un collegamento via Skype con Samantha e con uno dei protagonisti ai quali il Consolato italiano ha negato il visto per il tour italiano del docufilm.

Tutta la nostra solidarietà a Samantha Comizzoli, vediamo se il consolato così attento a selezionare i visitatori palestinesi sarà altrettanto solerte nell’agire per tutelare la vita degli attivisti italiani.

Aggiornamento ore 14:20 – Scrive Samantha Comizzoli sul suo profilo FB: “sono a casa, non è nulla di grave, ovviamente fa male. no posso pubblicare le foto ora perchè mi hanno fatto delle medicazioni che devo tenere per 3 ore ed anche perchè ho bisogno di riposare. a dopo…scusate se non sto su fb ora e grazie a tutti per i messaggi. un abbraccio.”

Per capire di cosa stiamo parlando, questo è un RUBBER BULLET:

RubberBullet

 

 

 

 

 

 

 

 

Simonetta Zandiri – TGMaddalena.it

 

Fonte:

http://www.tgmaddalena.it/palestina-samantha-comizzoli-attivista-e-regista-di-due-documentari-ferita-da-rubber-bullet/

 

NO TAV, NON fu TERRORISMO. Condannati a 3 anni e 6 mesi.

Era il 24 luglio 2011. Ad Alessandro fu sparato un lacrimogeno in faccia.

Dal profilo Facebook di Simonetta Zandiri,attivista No Tav:

 

Era il 24 luglio 2011. Ad Alessandro fu sparato un LACRIMOGENO in FACCIA. Sparato con il lanciagranate, GL-40, uno di quelli con PROPULSORE INTERNO. Se non avesse avuto la mascherina “da verniciatore” forse non sarebbe vivo. IO NON DIMENTICO. Sono passati 3 anni e NON DIMENTICO.
Fu dimesso dall’ospedale Molinette il giorno dopo, trasferito da Susa. Fu dimesso con la faccia che CADEVA A PEZZI, “si riaggiusta”, gli dissero. Tutti d’accordo. OMERTOSI, anche i medici. Qualche giorno dopo lo portai al San Luigi, perché stava ancora male. Videro i referti, telefonarono ai colleghi poi ci dissero “TUTTO A POSTO, SI RIAGGIUSTA”. OMERTOSI.
Fu solo grazie ad un’amica che il 17 agosto fu ricoverato e operato al maxillo-facciale. E non è finita.
Questa storia è complicata, intervengono anche i fantomatici messaggini anonimi che partono dall’email di massimo numa. Misteri archiviati dalla Procura di Torino, insieme a tanti altri. Ma non ho bisogno della procura per conoscere la verità.Ecco quello che scrissi nella notte del 24 luglio:
Hanno di nuovo sparato ad altezza d’uomo per uccidere.

Nella valle che resiste un uomo che decide di stare al posto giusto, nel momento giusto, diventa l’uomo sbagliato nel momento sbagliato, nel luogo peggiore. Era giusto esserci, oggi, insieme a chi ha scelto di indossare il cappello degli alpini e passeggiare al di là delle reti di un cantiere che non c’è. Ed era giusto esserci, questa sera, per partecipare all’evento NO TAV = NO MAFIA organizzato per ricordare Borsellino, Falcone e tutte le vittime della mafia, inclusi gli uomini e le donne della scorta che per lottare contro la mafia hanno perso la vita. Al contrario di chi, oggi, ha ancora una volta attaccato cittadini disarmati, sparando NON per allontanarli per effetto dei gas lacrimogeni (peraltro tossici, al CS), ma con il preciso intento di COLPIRLI con i proiettili, troppo spesso sparati ad altezza uomo, puntando non tanto chi si avvicina al cancello, ma chi si avvicina con una fotocamera o una telecamera in mano. Già, perché di questo hanno paura più che di una pietra, di chi si “arma” di pericolose videocamere e poi è pronto a raccontare la verità, quella che non sentirete a nessun TG.
La verità è che non è stato possibile commemorare le vittime della mafia, non è stato possibile ricordare i nomi di Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo, Eddie Walter, uccisi per mano della mafia e schegge deviate di quello stato che con la mafia aveva scelto di venire a patti piuttosto che combatterla. A.L., Valsusino doc over 45, come tutti noi, voleva tenere viva la memoria di questi uomini e queste donne, ricordandoli nel luogo dove oggi un’intera popolazione resiste e lotta contro l’ennesima grande opera inutile e devastante che vogliono imporre con la forza per favorire gli interessi di pochi, consapevoli e noncuranti dell’altissimo rischio di infiltrazioni di mafia e ‘ndrangheta.

Alle 19:45 stava preparando, insieme ai compagni di Resistenza Viola, il materiale per allestire la videoproiezione del film “IO RICORDO” davanti alla centrale, poiché era previsto di estendere l’invito anche alle forze dell’ordine, alle quali avremmo regalato alcune Agende Rosse. Poi gli spari, alcuni lacrimogeni arrivano nell’area tende ed è il caos. A.L. ha già vissuto quella scena, lo sgombero, il 3 luglio, le notti… è pronto, indossa la maschera antigas, gli occhialini e corre nella zona dove si stava recando per preparare l’evento, tiene in mano la macchina fotografica per documentare ed è pronto ad aiutare chi ne avesse bisogno. Raggiunge il ponte tra una marea di gente che corre, occhi gonfi, tosse, qualcuno sembra disorientato. C’è molto fumo, troppo per capire da dove stanno sparando, quasi una coltre di nebbia. A.L. tenta di filmare e, poco prima di essere colpito al volto riesce a filmare il lancio di un lacrimogeno che parte, presumibilmente, dai mezzi mobili, quelli che hanno montati dei piccoli “cannoni” usati soprattutto per lanciare lacrimogeni a lunghe distanze. Ma qui parliamo di 20, forse 30 metri. Con quei mezzi, infatti, stavano sparando NON SOLO nell’area tende, ma anche sui NO TAV che ancora resistevano nella zona del ponte, a pochi metri dal cancello dietro il quale erano fermi i blindati. UN SECONDO è il tempo impiegato dal colpo che dal blindato raggiunge il ponte. Poi il video s’interrompe. A.L. viene colpito in pieno volto pochi secondi dopo, la maschera distrutta, il colpo è talmente forte da farlo cadere a terra. Alcuni compagni lo aiutano a sollevarsi e allontanarsi, ha il volto coperto di sangue, è confuso, non riesce a parlare. Raggiunge l’area tende dove subito arrivano alcuni medici presenti alla manifestazione e gli prestano le prime cure, la situazione è grave, naso e mascella sono gonfi, perde molto sangue, ha lacerazioni interne, sotto il palato, viene portato in auto al pronto soccorso di Susa.
Arrivato al pronto soccorso i medici, vista la gravità della situazione, lo sottopongono ad una TAC, che rivelerà fratture multiple a naso, mascella, lacerazioni profonde che vengono suturate immediatamente, ma la prognosi resta riservata, in attesa di trasferimento al reparto di chirurgia maxilo facciale di un ospedale di Torino, dove verrà sottoposto ad intervento chirurgico.

Doveva essere una giornata colorata, pacifica, resistente ancora una volta all’insegna della non violenza che da sempre contraddistingue le azioni del movimento NO TAV. Ma la frangia violenta ha agito ancora, presumibilmente usando nel modo peggiore (sparando a distanza troppo ravvicinata) un’arma che avrebbe lo scopo di allontanare le persone per effetto dei GAS e non per la spinta dei PROIETTILI! In questo modo la frangia violenta è quella in divisa, l’ingiustizia è coperta ancora una volta da una legalità svuotata ormai di ogni significato, se non quello di garantire l’impunità a chi commette forse la peggiore delle violenze, perché di questo si tratta quando un esercito armato fino ai denti spara a cittadini disarmati. La macchina del fango ha continuato per giorni nell’azione preventiva di costruire quanto oggi è accaduto, parlando di “infiltrati” reduci dalle manifestazioni per il decimo anniversario del G8 di Genova, oltre ai black bloc dei quali si continua a parlare, ma che nessuno evidentemente è in grado di identificare e arrestare (sarà che sono sempre un’invenzione?), quindi dovevano agire, dovevano creare gli scontri e l’hanno fatto prima del solito. Perché le altre sere attendevano una certa ora, ma questa volta no: hanno gasato il campeggio, dove c’erano anche anziani, donne e bambini, tra le 19:30 e le 20:00, annullando così gli eventi previsti, perché nella valle che resiste non si può dire che NO TAV = NO MAFIA!

Dall’ospedale A.L. manda un messaggio a tutti: “non mollate, ragazzi. Non molliamo. Resistere! Resistere! Resistere!”. Uno dei medici che lo ha accolto al pronto soccorso ha semplicemente detto, dopo averlo esaminato “Lo stato è morto, la democrazia è morta, ma te ne rendi conto solo quando vedi queste cose”. Queste cose noi non vogliamo più vederle. Abbiamo il diritto di conoscere le regole d’ingaggio, e di sapere chi ha ordinato di sparare sulle persone (altezza uomo) da quei blindati, con una potenza che ha rischiato di UCCIDERE perché avrebbe potuto finire così se A.L. fosse stato, come tanti, sprovvisto di maschera. Sappiamo che gli uomini in divisa hanno filmato tutto, sta a loro identificare esecutori e mandanti, inclusi i responsabili politici. Perché ancora una volta è stata ridotto ad una questione di ordine pubblico un problema che ha a che fare con la democrazia, con il fallimento della politica, con uno stato assente. Ora è giusto che nelle forze dell’ordine sia avviata un’inchiesta ed è tempo che la politica torni ad affrontare la questione che da 22 anni non trova soluzione. E’ tempo di riportare il tema sul piano politico, dove da sempre avrebbe dovuto essere affrontato democraticamente. La Valsusa è pronta, ma non chiedeteci di ascoltare, o di discutere “come” accettare quest’opera inutile e devastante, e non tentate di farcela digerire spostandola in Liguria perché il messaggio è sempre stato forte e chiaro: né qui, né altrove.
E’ arrivato il momento di fare allontanare le truppe e riaprire il dialogo. La Valsusa è pronta a spiegare le ragioni del NO, come lo è gran parte degli italiani.
Perché i sogni non si distruggono con i lacrimogeni. Neanche sparandoli in faccia.
Sans pitié, mon ami. Résistance.

Qui l’intervista fatta questa notte alle 01:00 ad A.L. in ospedale: http://www.youtube.com/watch?v=-joCay544Ms&feature=player_embedded

Fonte: