SIRIA: LA COALIZIONE A GUIDA USA HA USATO FOSFORO BIANCO

Siria: la coalizione a guida Usa ha usato fosforo bianco

16 giugno 2017

Siria, Amnesty International conferma: la coalizione a guida usa ha usato fosforo bianco. Possibile crimine di guerra

Amnesty International ha confermato che l’impiego, da parte della coalizione a guida statunitense, di munizioni al fosforo bianco nella zona di al-Raqqa, in Siria, è stato illegale e può costituire crimine di guerra.

L’organizzazione per i diritti umani ha esaminato cinque video, pubblicati in rete l’8 e il 9 giugno, in cui si vede l’artiglieria della coalizione lanciare munizioni al fosforo bianco contro le zone di Jezra ed el-Sebahiya.

Il fosforo bianco è prevalentemente usato per creare una densa cortina fumogena per rendere invisibili al nemico i movimenti delle truppe e per indicare gli obiettivi dei successivi attacchi. In casi del genere, il suo uso non è vietato anche se è richiesta estrema cautela, mentre è assolutamente vietato nelle vicinanze di insediamenti di civili.

L’uso di munizioni al fosforo bianco da parte della coalizione a guida Usa mette gravemente in pericolo la vita di migliaia di civili intrappolati ad al-Raqqa e nei dintorni della città e può costituire un crimine di guerra. Può provocare terribili ferite bruciando la pelle e le ossa e può riattivarsi riprendendo fuoco a distanza di settimane“, ha dichiarato Samah Hadid, direttrice delle campagne sul Medio Oriente di Amnesty International.

Le forze sotto il comando degli Usa devono immediatamente indagare sugli attacchi contro Jezra ed el-Sebahiya e prendere tutte le misure possibili per proteggere i civili. L’uso di fosforo bianco in zone densamente abitate determina un rischio inaccettabilmente alto per i civili e quasi sempre rappresenta un attacco indiscriminato“, ha continuato Hadid.

Amnesty International ha verificato, anche attraverso riscontri incrociati, cinque video pubblicati in rete l’8 e il 9 giugno 2017. Le immagini mostrano chiaramente, da diverse angolature, il lancio di munizioni al fosforo bianco e la loro caduta incendiaria sugli edifici. Il ripetuto impiego del fosforo bianco in circostanze in cui è probabile che le parti incendiarie vengano a contatto con i civili viola il diritto internazionale umanitario.

Secondo l’analisi di Amnesty International, le munizioni al fosforo bianco dovrebbero con ogni probabilità essere degli M825A1 da 155 millimetri di fabbricazione statunitense.

Secondo il gruppo locale di monitoraggio “Raqqa viene massacrata nel silenzio” e altre fonti locali, in uno degli attacchi sono stati uccisi almeno 14 civili. Nelle zone oggetto dell’attacco erano presenti anche molti profughi provenienti dai quartieri occidentali di al-Raqqa. I combattimenti si sono intensificati con l’inizio dell’offensiva delle Forze democratiche siriane, sostenute dalla coalizione a guida Usa, destinata a strappare la città allo Stato islamico. I civili intrappolati in città e nei suoi dintorni sono centinaia di migliaia.

Amnesty International sta monitorando la condotta di tutte le parti coinvolte nel conflitto di al-Raqqa, le quali hanno l’obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario e le norme applicabili in quel contesto del diritto internazionale dei diritti umani.

La protezione delle forze militari non può prendere il sopravvento sulla protezione dei civili. La coalizione a guida Usa e le Forze democratiche siriane devono evitare l’uso di armi esplosive di grande impatto e di armi imprecise contro le zone popolate e devono assumere tutte le misure possibili per proteggere la popolazione civile”, ha sottolineato Hadid.

Fosforo bianco usato anche a Mosul

Anche se non si è ancora espressa su al-Raqqa, la coalizione a guida Usa ha confermato il recente uso di fosforo bianco a Mosul, a suo dire per creare una cortina fumogena che favorisse la fuga dei civili dalle aree ancora sotto il controllo dello Stato islamico.

 

Fonte:

https://www.amnesty.it/siria-amnesty-international-conferma-la-coalizione-guida-usa-usato-fosforo-bianco-possibile-crimine-guerra/

Iraq, iniziata la battaglia per Mosul. Timori per i civili

Bandiera Isis a Mosul – giugno 2014

17 ottobre 2016

Con l’inizio delle operazioni militari per riprendere la città irachena di Mosul dalle mani dello Stato islamico, Amnesty International ha chiesto che sia fatto ogni sforzo per proteggere i civili dalle conseguenze dei combattimenti e da possibili rappresaglie.

Domani, 18 ottobre, Amnesty International renderà noto un nuovo rapporto, intitolato “Uccisi per i crimini di Daesh: violazioni dei diritti umani contro gli sfollati iracheni ad opera delle milizie e delle forze governative”, nel quale documenta le gravi violazioni dei diritti umani – compresi crimini di guerra – commesse dalle milizie e dalle forze governative irachene contro i civili sfollati durante precedenti operazioni militari. Il rapporto evidenzia il rischio che violazioni del genere, persino su scala più ampia, possano aver luogo durante l’offensiva su Mosul.

“Le autorità irachene devono adottare misure concrete per evitare che si ripetano le gravi violazioni dei diritti umani commesse a Falluja e in altre parti dell’Iraq durante gli scontri tra le forze governative e lo Stato islamico” – ha dichiarato Philip Luther, del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

“Le istruzioni del primo ministro iracheno Haydar al-Abadi circa la ‘cautela’ e la ‘vigilanza’ da usare per proteggere i civili devono essere più che semplici parole. Le autorità irachene dovranno esercitare comando e controllo effettivi sulle milizie e assicurare che chi è stato implicato in passate violazioni dei diritti umani non prenda parte alle operazioni di Mosul. Tutte le parti in conflitto dovranno prendere ogni misura possibile per evitare vittime civili” – ha aggiunto Luther.

Le autorità irachene e curde che stanno coordinando le operazioni militari dovranno assicurare vie d’uscita sicure per i civili in fuga dai combattimenti.

“I civili in fuga dovranno anche essere protetti da attacchi per rappresaglia e ricevere riparo e assistenza umanitaria. Di fronte allo scenario che un milione di civili lasci Mosul e le zone limitrofe, la situazione potrebbe rapidamente trasformarsi in una catastrofe umanitaria. Lo Stato islamico dovrà lasciare i civili liberi di abbandonare la città, evitando di usarli come scudi umani” – ha concluso Luther.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/iraq-iniziata-la-battaglia-per-mosul-timori-per-i-civili

SIRIA, DECINE DI CIVILI UCCISI NEI RAID AEREI DELLA COALIZIONE USA

Immagini dal conflitto in Siria
Immagini dal conflitto in Siria

Sulla base di testimonianze di attivisti locali e dell’esame di fotografie e video, Amnesty International ritiene che non meno di 60 civili siano stati uccisi nei raid aerei portati a termine dalla coalizione a guida Usa tra il 18 e il 19 luglio contro il villaggio di al-Tukhar, nei pressi di Manbij, nel governatorato di Aleppo.

Il numero esatto delle vittime verrà difficilmente alla luce, dato che molte persone sono rimaste sepolte sotto le macerie delle loro case di argilla e mattoni.

Il comando centrale Usa (Centcom) ha dichiarato che le forze a guida Usa hanno lanciato 11 attacchi il 17 luglio e 18 attacchi il 18 luglio contro quelle che hanno definito unità tattiche e postazioni di combattimento del gruppo Stato islamico nei pressi di Manbij.

Siamo probabilmente di fronte alla più ingente perdita di vite umane in un’operazione della coalizione Usa in Siria. Occorre un’indagine immediata, indipendente e trasparente per determinare cosa è accaduto e chi sono i responsabili, affinché questi ultimi siano sottoposti a processo e le famiglie delle vittime ottengano pieno risarcimento. È inoltre indispensabile che la coalizione a guida Usa raddoppi gli sforzi per evitare ulteriori perdite di vite umane” – ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Alla luce degli attacchi di al-Tukhar, Amnesty International sta riesaminando tutte le informazioni disponibili su decine di attacchi attribuiti alla coalizione a guida Usa, da questa sempre smentiti, nei quali sarebbero stati uccisi numerosi civili.

Ciò che è purtroppo certo è che da quando, nel settembre 2014, la coalizione a guida Usa ha avviato le sue operazioni militari in Siria, gli attacchi aerei hanno ucciso centinaia di civili. Altre vittime sono state segnalate a seguito degli attacchi aerei della coalizione in Iraq.

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/Siria-decine-civili-uccisi-raid-aerei-coalizione-Usa

BAGHDAD, L’ENNESIMA STRAGE DEGLI INNOCENTI DIMENTICATI

downloadAlmeno 200 persone, tra cui 25 bambini, sono rimaste uccise ieri nella martoriata capitale irachena, Baghdad, a causa di una duplice esplosione in pieno centro. Si contano oltre 300 feriti tra i civili che in quelle ore affollavano la zona commerciale per fare acquisti in occasione di Eid al Futur, la festa per la fine del digiuno, paragonabile per importanza al Natale cristiano.

iraqattentatoL’ennesimo vile e brutale attentato contro civili inermi, prontamente rivendicato dai criminali dell’Isis. È il più sanguinoso atto di sangue dall’inizio dell’anno, in un Paese che da quasi trent’anni non conosce un solo giorno di pace. I bambini, le donne, i giovani e gli anziani iracheni sembrano non avere diritto di essere felici, nemmeno il giorno della vigilia. La mano criminale che si è allungata su Baghdad ha provocato una strage sanguinosa di proporzioni immani. Quelle vittime, quegli innocenti, non sono l’”effetto collaterale” di una guerra, la loro morte non deve apparire ai nostri occhi come un qualcosa di “normale” solo perché l’Iraq non è nuovo agli attentati. Tutti quegli esseri umani privati della loro vita, che si trovavano in quella zona per preparasi a un giorno che avrebbe dovuto essere di festa, meritano la stessa empatia e la stessa pietà che proviamo di fronte alle vittime di ogni azione disumana, di ogni atto terroristico.

L’Iraq ha pagato, dal 1991 a oggi, un tributo di sangue pesantissimo, con oltre 1 milione di morti, uccisi da una guerra infame con cui si “esportava la democrazia” e si puniva il dittatore Saddam per le sue malefatte e per le sue armi chimiche (mai trovate). Menzogne su menzogne che hanno portato alla distruzione di un Paese che è stato culla della civiltà mediorientale e mediterranea, che ha dato un contributo alle scienze, all’arte, alla letteratura impareggiabile e che oggi è ancora ostaggio della violenza che genera violenza, di ingiustizie che trascinano altre ingiustizie, di un orrore che sembra non avere mai fine.

attentato_baghdad.jpgL’Iraq è uno degli esempi più significativi delle conseguenze nefaste delle guerre, che distruggono interi Paesi, sterminano popoli inermi e creano l’humus ideale per il proliferare di organizzazioni e gruppi estremisti e terroristi. Non va dimenticato che criminali del calibro di Al Baghdady sono stati formati e istruiti al crimine proprio nelle carceri irachene.

Gli iracheni nati dagli anni ’90 in poi non hanno vissuto un solo giorno di vita vera; le loro esistenze sono state scandite da bombe, esecuzioni, stupri, fughe di massa, torture. In Iraq è stato ucciso il Diritto internazionale e in nome di evidenti interessi economici internazionali, il Paese continua ad essere nelle mire di diversi attori internazionali. A pagare il prezzo più alto, inutile dirlo, sono sempre i più indifesi, coloro che si illudono che anche chi vive a Baghdad abbia ancora diritto a un giorno di Eid, un un giorno di festa.

L’Iraq è una ferita che ha segnato la mia generazione, così come il Vietnam ha segnato la generazione che ci ha preceduto.  Questo nuovo, terrificante attentato, aggiunge dolore al dolore, pietà per le vittime, pena profonda per i milioni di profughi che ogni notte sognano di tornare in un Paese che sembra non esistere più.

 

Fonte:

https://diariodisiria.com/2016/07/04/baghdad-lennesima-strage-degli-innocenti-dimenticati/

 

TRE GIORNI DI LUTTO IN IRAQ PER L’ATTENTATO IN CUI SONO MORTE 165 PERSONE

Il punto in cui è esplosa l’autobomba piazzata dai jihadisti del gruppo Stato islamico nel quartiere Karrada di Baghdad, in Iraq, il 3 luglio 2016. - Khalid al Mousily, Reuters/Contrasto
Il punto in cui è esplosa l’autobomba piazzata dai jihadisti del gruppo Stato islamico nel quartiere Karrada di Baghdad, in Iraq, il 3 luglio 2016. (Khalid al Mousily, Reuters/Contrasto)
Fonte: http://www.internazionale.it/notizie/2016/07/03/iraq-baghdad-attentato-is

4 luglio 2016


Tre giorni di lutto in Iraq per l’attentato in cui sono morte 165 persone.
I feriti sono circa 225. Un’autobomba è esplosa nel quartiere di Karrada, a Baghdad, sabato sera dopo il tramonto. La zona commerciale era affollata di persone che erano scese in strada dopo l’interruzione del digiuno del Ramadan. Un’altra bomba è esplosa poche ore dopo in un’area a maggioranza sciita nel nord della capitale, uccidendo altre cinque persone. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo Stato islamico.

Fonte:

http://www.internazionale.it/

Dino Frisullo

 

 

 

 

5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa


5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa

5 giugno 2016


Eh si ci manca. Come ci mancano De Andrè e Rino Gaetano, Monsignor Di Liegro e Amalia Rosselli, Alda Merini e Pier Paolo Pasolini. Come ci mancano nomi rimasti confinati in angoli remoti nella Storia di questo cazzo di Paese. Un Paese tanto bravo a dimenticare, rimuovere,a cui al massimo va una viuzza o un ricordo televisivo, ma solo se fa audience o se porta ad aumentare il consenso politico al leader di turno.

Compagni come Dino Frisullo, forse verranno ricordati diversamente quando saremo in un Paese diverso, quando vivremo in un contesto in cui saremo capaci di vergognarci del nostro egoismo, del nostro razzismo diffuso, dell’ignoranza che ha accompagnato le nostre vite. Se ne andava oggi nel 2003, in tempo per compiere i 51 anni, anni vissuti con intensità totale, con la stessa voracità delle sigarette fumate, degli articoli scritti, dei viaggi fatti senza risparmiarsi. Persona incasellabile: giornalista lo è stato ed a un livello che la mediocrità odierna poco conosce, militante antirazzista che non accettava mediazioni al ribasso, compromessi di bottega, doveri di partito. Kurdo fra i kurdi, in carcere come nei colori del Newroz, palestinese fra i palestinesi, in un corteo a Gerusalemme come in una piazza romana, migrante fra gli immigrati, all’occupazione della Pantanella come in una Piazza Navona orgogliosamente antirazzista.

Una vita senza respiro e senza lasciare respiro a chi gli stava intorno, fatta di discussioni interminabili, di vino buono e di cibo delle regioni che più lo avevano accolto, Puglia ed Umbria. Un sorriso contagioso come la capacità di squadernare la vita di chi con lui ha provato a cambiare il mondo, una determinazione pasticciona ed eternamente precaria, senza il bisogno di pensare al futuro come qualcosa di personale. Perché per Dino il futuro e il presente non potevano essere ridotti alla vita individuale. Ci manchi Dino, manca la tua caparbietà e il tuo radicalismo, la genialità arruffona e il tuo vivere prima che dichiararti, da comunista. E manca ancora un Paese capace di non dimenticarti, in cui prevalga la curiosità e la domanda profonda: “Chi c’era dietro quella foto? Perché c’è ancora chi lo ricorda con nostalgia e rabbia?”

Stefano Galieni

 

*

Dino Frisullo: una poesia

Chi era Dino Frisullo?

 

Dino Frisullo, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita per la lotta del popolo kurdo.

Qui di seguito una sua poesia

 

Livide d’improvviso le luci di montagna.

Ferma e dolente la luce delle stelle.

Ammutoliti i richiami degli uccelli.

Alle quattro del mattino

la luna piena chiede silenzio al mondo.

Poggia l’orecchio al suolo e ascolta.

Le prime bombe su Baghdad

vibrano dalla terra nelle viscere..

Dopo ogni scoppio la lunga eco

è u milione di cuori di madri all’unisono

è il loro respiro affannoso

che l’Eufrate porta al mare come un grido.

Dorme Khawla la principessina

sulla corona di plastica preme un cuscino sua madre

si chiede se dovrà premere più forte

quando giungerà l’onda d’urto della bomba.

Dopo gli scoppi il tuono immenso

non è il mar rosso che s’innalza a spezzare la portaerei una ad una,

non è il deserto che si leva

a spazzare i blindati con fiato rovene di sabia:

è il fragore di milioni di ruote

carri carretti motocicli in fuga

kurdi arabi povera gente stracci

danni correlati.

Nelle basi sibillano i video.

Sono limitati i computer dei signori della guerra.

Non registreranno il respiro il palpito il pianto.

Non avvertono il terrore e l’ira del mondo.

Non sentiranno aprirsi le acque del Mar Rosso.

 

Dino Frisullo 20 marzo 2003

 

 

Fonte:

http://www.deapress.com/culture/caffe-letterario/15024-dino-frisullo-una-poesia-.html

 

 

Leggi anche qui:

Dino Frisullo: 20.03 2003. Le bombe su Bagdad:

 

http://www.peacelink.it/pace/a/37926.html

 

A IDOMENI UNA CRISI UMANITARIA E’ AFFRONTATA CON LE RUSPE

 

 

 

 

Fonte:

 

http://www.internazionale.it/opinione/annalisa-camilli/2016/05/25/idomeni-profughi-sgombero

Baghdad 1991, la notte delle bombe

Da il manifesto

Edizione del 16 gennaio 2016

• aggiornata oggi alle 15:19

Guerre del golfo, 1991/2016. 25 anni fa iniziava Desert Storm. Dal 17 gennaio 1991 l’inviato del manifesto Stefano Chiarini – che poi ci ha dolorosamente lasciato nel 2007 – unico dei giornalisti italiani rimasti a Baghdad, trasmetteva sotto i raid dell’aviazione Usa e Nato, le sue corrispondenze che riproponiamo

Kuwait 1991

INVIATO A BAGHDAD (1991)

 

Sono le 2:30 di notte. Una improvvisa fiammata nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale irachena, seguita dal crepitio della contraerea, sveglia improvvisamente una città già al colmo della tensione. Tutti sanno di che cosa si tratta. La guerra è iniziata.

Il cielo si illumina a giorno sulla linea dell’orizzonte, oltre le palme e le luci limpidissime delle strade che conducono verso l’aeroporto in una delle notti più chiare di questa settimana di tensione,. Squadriglie di bombardieri americani arrivano da ogni direzione, invano inseguiti da una contraerea i cui proiettili scrivono strisce rosse e gialle nella notte come in una sorta di fuochi d’artificio tragici e mortali.

L’esplosione delle bombe e dei missili scuote il terreno sotto la capitale dell’Iraq e si sente chiaramente anche nei solidi rifugi dei grandi alberghi, come in quello Al Rashid dove è ospitata la stampa internazionale. Il rumore delle bombe e della contraerea è assordante per tutta la notte, dalle due e mezza fino a quasi alle sei.

Il fischio dell’aereo in picchiata

La gente si precipita, in preda al panico, nei rifugi lungo le scale dell’hotel Al Rashid immerso improvvisamente nel buio più assoluto. Fermi gli ascensori, interrotta l’erogazione dell’acqua e dell’elettricità. Alcuni ospiti dell’albergo sono in pigiama, ma la maggior parte ha preferito non andare neppure a dormire rimanendo a scrutare ansiosamente il cielo della prima notte dopo l’ultimatum, quella che tutti consideravano come la più pericolosa. Il fischio dell’aereo in picchiata è subito seguito da forti boati e da lingue di fuoco che si alzano dal ministero della difesa, dall’aeroporto, dalle centrali di comunicazione, dalla torre delle trasmissioni, tutti obiettivi colpiti pesantemente dai proiettili americani.

Il bombardamento ha un effetto devastante, decine e decine di incursioni a intervalli di 10–15 minuti dalle 2:30 fino all’alba. E poi ancora alle 5, a mezzogiorno e nel primo pomeriggio al calar della sera, verso le 17. Colpito in pieno il ministero della difesa, dove sarebbe rimasto gravemente ferito anche il ministro iracheno. Non si sa se seriamente o meno. Colpiti anche una raffineria nei pressi della città, il ministero dell’informazione, l’aeroporto e tutti i centri di comunicazione del paese con l’estero. Colpite anche zone civili della capitale.

Si ignora il numero delle vittime, ma dovrebbe essere piuttosto elevato. Oltre 400 gli attacchi aerei condotti dagli F15 americani e dagli aerei inglesi contro oltre 70 obiettivi iracheni. I missili Cruise sono partiti dalle navi ancorate al largo del Golfo e si sono diretti sui loro obiettivi. A Baghdad e nelle altre città dell’Iraq sono stati colpiti industrie, impianti militari e rampe missilistiche.

Nelle sale dell’Hotel Rashid, da diverse ore isolato dal resto del mondo, un funzionario del ministero dell’informazione tiene verso l’ora di pranzo una breve improvvisa conferenza stampa: sarebbero 14 gli aerei nemici abbattuti (americani, inglesi e sembra anche francesi). Poi il funzionario lancia un appello attraverso la radio perché la popolazione non faccia del male ai piloti eventualmente lanciatisi col paracadute.

Con l’arrivo del giorno la capitale irachena trattiene di nuovo il fiato e inizia il conto alla rovescia verso una sera e un’altra notte che potrebbero essere ancora più tragiche della precedente. Tutti sono rimasti a casa o nei pressi dei rifugi, pochissimi i passanti. Poi in serata, verso le 17, le sirene urlano di nuovo e tutti corrono nei rifugi dove passeranno questa ultima e interminabile notte.

Un week-end senza sonno

Da venerdì notte è cominciato il primo week-end di bombardamenti e morte dall’inizio della guerra del Golfo. Un week-end che rimarrà impresso per sempre nella memoria degli abitanti di Baghdad e in quella dei giornalisti stranieri, una settantina in tutto, ancora in attesa di lasciare la capitale irachena. Al calar delle tenebre gli aerei americani,come ormai ogni notte, sono tornati a colpire una città immersa nel buio più assoluto, quasi spenta dall’oscuramento.

Una città apparentemente colta nel sonno ma dove invece nessuno oramai dorme, fin da mercoledì scorso. Ogni momento sembra sia quello che precede l’allarme e il sibilo osceno dalle bombe e dai missili che cadono sulla città. Non serve certo a tranquillizzare la gente di Baghdad il fatto che le sirene urlino solamente pochi secondi prima degli attacchi aerei o, assai spesso, persino dopo che sono cadute le prime bombe o i primi missili hanno colpito i loro obiettivi, in un fragore improvviso e violentissimo che lascia tutti senza fiato. Le notti di questo fine settimana sono state, come le precedenti, limpidissime e terse di paura. Strade vuote al calar della sera, con i rari passanti che si affrettano a prendere l’ultimo autobus o un taxi colto al volo prima che il sole scompaia completamente al di là delle palme lungo il fiume Tigri.

Baghdad è una città fantasma, stretta nell’attesa e nella paura ma anche orgogliosa di resistere alla gigantesca forza degli occidentali, nonostante la fortissima ed evidente disparità tecnologica nei confronti degli Stati uniti.

… nel buio assoluto

Questo è il senso dell’ultima conferenza stampa del ministro dell’informazione, Latif Jassim, apparso in divisa verde oliva come, per la prima volta dall’inizio della crisi, tutti i suoi collaboratori. La conferenza stampa si tiene nel buio di un androne, in piedi, mentre suonano le sirene e tutti si chiedono se faranno in tempo a tornare a casa o in albergo, nei rifugi.

Una conferenza stampa, nelle parole di questo ministro tra i più vicini al presidente Saddam Hussein, ben diversa da quelle che lungo questi interminabili cinque mesi hanno scandito l’evolversi della crisi. Facce tirate, barbe lunghe, occhi arrossati dal sonno, sia dei funzionari iracheni che dei giornalisti presenti. Il punto di vista di Baghdad, nelle parole di Jassin, è molto chiaro: nessun paese arabo ha mai osato sfidare gli Stati uniti e Israele e resistere con le proprie forze così a lungo. Quindi, avendo rotto questo tabù, insieme al mito della guerra lampo alimentato dagli Usa, e continuando a resistere, l’Iraq già si considera il vincitore di questo confronto, per avere insegnato al mondo arabo che è possibile dire no agli Stati uniti.

Poche parole, qualche domanda, poi, sempre al buio, il ministro, i funzionari e i giornalisti corrono affannati verso i rifugi. Cinque minuti dopo, il silenzio e il buio sono strappati dall’urlo delle sirene che annunciano un’altra incursione. E allora si scatena l’inferno. I protagonisti dei bombardamenti, gli aerei americani e inglesi, sono apparentemente assenti, sono su, nel cielo, invisibili. La loro presenza è avvertibile solo dallo scoppio delle bombe che cadono, grandi palle di fuoco che attraversano la notte, dal sibilo degli ordigni, dalle esplosioni,. E dalle distruzioni che lasciano sul loro cammino, dai mucchi di mattoni e terre che troviamo il giorno dopo al posto di edifici e costruzioni: dove sorgeva il centro postale di via Rashid, la torre per le telecomunicazioni che svettava altissima nel nuovo centro della città, segata da un missile Cruise, è caduta nella rosata luce del tramonto come una quercia spezzata. Il ministero della Difesa nella vecchia Baghdad, le zone di abitazione che sorgono alla periferia nord della città, dove i bombardamenti sono più martellanti, o nella centrale di Duran, costruita con tanta dedizione dagli italiani, è già distrutta, e chissà, potrebbe essere toccato, questo compito, ad altri connazionali.

In this image from television via a nightscope, a cloud of smoke rises, at left, following a U.S.-led air strike attack on a target Thursday morning, March 20, 2003, near Baghdad. The U.S. used cruise missiles and precision-guided bombs during the attack. (AP Photo/APTN)
I bombardamenti Usa su Baghdad nel 2003

Lo spettacolo dei traccianti

Nella notte, ai rari passanti e ai giornalisti che si attardano nei piani alti dell’Hotel Rashid, loro riservato, dopo essere sfuggiti agli inflessibili addetti alla sicurezza che li vorrebbero nei rifugi, si mostra il terribile spettacolo della morte tecnologica. Gli aerei attraversano il cielo scurissimo, inquadrato dalle grandi vetrate delle stanze dell’albergo, come meteore invisibili, inseguiti dai colpi rossogialli e a forma di stella della contraerea. Di tanto in tanto un rumore diverso, un sibilo assordante, un’esplosione. I Cruise invece arrivano da fuori campo con una traiettoria geometrica parallela all’orizzonte. Dell’aviazione irachena non sembra esserci traccia. Distrutta al suolo, come sostengono gli americani, o tenuta di riserva per un eventuale attacco e non certo utilizzabile per una inutile e disperata difesa, come sostengono a Baghdad?

Ogni giorno i bombardamenti sono sempre più intensi e pesanti. Le incursioni in questo fine settimana sono iniziate ancor prima del calar della notte. Poi fino all’alba. Ognuno a circa mezz’ora di distanza dall’altra. Gli ordigni lanciati sulla città e sui suoi dintorni, laggiù verso la zona del canale dove vi sono molte installazioni militari, sembrano più pesanti del solito e le nuove esplosioni scuotono con tonfi sordi e ripetuti la città. L’intero orizzonte, al di là della torre della televisione e dell’hotel Melia Mansur, è illuminato a giorno dalle esplosioni e dai lampi.

Nel rifugio all’Hotel Rashid

Nei rifugi come quello dell’Hotel Rashid centinaia di persone, in un caldo soffocante, passano la notte dormendo sulla moquette illuminata a giorno dalle fredde luci al neon. Il rumore del generatore elettrico renderebbe a chiunque impossibile dormire. Ma pochi tentano davvero di farlo. Nonostante il rifugio del Rashid sia il posto più sicuro della città, grazie alle protezioni antiatomiche e antichimiche. Anche se non si capisce bene come, nel caso di una esplosione nucleare o dell’arrivo di gas, si potrebbe sopravvivere in questo sotterraneo senza l’acqua, che da mercoledì scorso, cioè dall’inizio dei bombardamenti, non raggiunge più l’albergo.

Alcuni anziani, uno dei quali sragiona a voce alta, sono stati sistemati su delle barelle e sono assistiti dal gentilissimo personale medico dell’albergo. Altri ospiti (l’uso di questo termine suscita sempre una certa apprensione e ilarità dopo la vicenda degli ostaggi) guardano la tv, che trasmette marce militari, informazioni di guerra, propaganda e appelli diretti non soltanto alla popolazione irachena ma anche alle masse arabe, perché scendano in campo a fianco dell’Iraq contro Israele e gli Stati uniti. Con il sottofondo metallico dell’impianto di condizionamento, dall’apparecchio televisivo, posto in un angolo del rifugio, si spande per i grandi stanzoni una delle canzoni più popolari di questi giorni: Baghdad, Baghdad, la più bella delle belle, l’amore è tutto, faremo del genere umano la culla della civiltà.… Suonano più o meno così le parole, nella traduzione inglese dell’anziano professore sfatto dal sonno sino a dimostrare vent’anni di più dei suoi 60 compiuti.

Pochi giornalisti frequentano però il rifugio, convinti che l’albergo non dovrebbe comunque essere colpito proprio per la presenza della stampa. Ma non è solo questo il motivo per cui si evita il rifugio. Il caldo, laggiù nei sotterranei, è soffocante, impossibile dormire, impossibile sapere cosa stia effettivamente accadendo. Molti preferiscono cenare insieme ad altri colleghi in questo o quell’ufficio coperti dal buio più assoluto dell’oscuramento, accompagnando il cibo con una buona bottiglia di vino. Un modo assai più efficace di esorcizzare quella paura che non puoi non sentire dentro di te quando si alza il rumore assordante della battaglia aerea e delle bombe che esplodendo scuotono edifici e finestre. E, soprattutto, non puoi non chiederti se potrai rivedere il giorno.

Silenzio sulle vittime civili

Mancano notizie attendibili sulle vittime di questa guerra. Gli Stati uniti e l’Occidente cercano di nasconderne il numero per evitare le polemiche che già sono esplose intorno alla guerra del Golfo. Le autorità locali da parte loro non sembrano da meno e non intendono fornire dati sull’«efficacia» dei bombardamenti né rilasciare notizie che potrebbero, a loro parere, demoralizzare l’opinione pubblica interna e quella araba. Certo, di vittime ve ne dovrebbero già essere state più di quanto non si creda, anche perché l’«operazione chirurgica», tanto ostentata nei primi giorni dei bombardamenti, sembra lasciar il passo a attacchi indiscriminati. Soprattutto fuori Baghdad e nelle periferie. Anche a pochi passi dallo stesso Hotel Rashid.
Sabato pomeriggio, verso le tre, un gruppo di giornalisti stava lasciando l’albergo distribuito su quattro taxi quando un tremendo boato, spentosi poi in un rovinio di calcinacci e pezzi di ferro, ha scosso l’intero edificio. Un aereo alleato ha pensato bene di lanciare un missile contro il piccolo corteo di auto che stava lasciando l’albergo, sbagliando – fortunatamente – la mira. Un obiettivo «chiaramente» militare. Viene da chiedersi cosa possa avvenire lontano dagli occhi della stampa. Laggiù in Kuwait, per esempio, dove missili Cruise e bombe si rovesciano senza sosta sulla città. O a Bassora, nel sud dell’Iraq, o nel lontano nord.

Dal confine giordano

Lasciando Baghdad verso il confine giordano lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è impressionante: aerei che attraversano il cielo, le lunghe colonne di fumo nero e intenso, lungo tutto l’orizzonte, a segnalare i luoghi dove una volta sorgevano fabbriche, uffici, abitazioni. Dirigendosi a tutta velocità verso la frontiera giordana su taxi dai costi proibitivi – e per questo del resto disposti a rischiare il tutto per tutto e portare i giornalisti stranieri fuori città, verso Amman – non c’è località, lungo le centinaia di chilometri che si percorrono, che non sia stata colpita: Abu Ghraib, Falluja, Ramadi, Ar Rutba. Ogni uscita dall’autostrada deserta è segnalata poco lontano, dopo quelle laggiù all’orizzonte, da alcune colonne di fumo. Aerei americani e della Nato sfrecciano nel cielo sopra l’unica strada di comunicazione con la Giordania, le auto si fermano improvvisamente nella notte, spegnendo i fari, finché laggiù all’orizzonte, verso la capitale, non si accendono i primi bagliori delle bombe che cadono sulla città.

Una sensazione di sollievo fortissima e primitiva: “Questa volta non è toccato a noi”, un sorso di vino o di birra e via di nuovo nella notte e nelle tenebre appena incrinate dalle luci di posizione. Tenere gli anabbaglianti o gli abbaglianti sarebbe troppo pericoloso. Via ancora, finché nel cielo stellato, stupendo come sempre in questi paese, non si sente di nuovo il rombo degli aerei. Le macchine si fermano di nuovo e c’è chi per maggiore sicurezza lascia le auto e si allontana verso i campi, per cercare protezione nel buio. Così per centinaia di chilometri, mentre in senso opposto si muovono colonne di mezzi militari diretti verso il fronte (…).

Fonte:

Parigi, il terrore e i puntini che il mondo non vuole unire

Nella notte di venerdì 13 novembre Parigi è stata nuovamente colpita da tremendi attacchi terroristici rivendicati dall’Isis.

Qui la notizia su Internazionale:

Parigi, il 14 novembre 2015. (Xavier Laine, Getty Images)
  • 14 Nov 2015 20.36

Il punto sugli attentati di Parigi

Almeno 129persone sono morte venerdì 13 novembre a Parigi in una serie di attentati nel centro della città e vicino allo stade de France. I feriti sono 352, di cui 99 in condizioni molto gravi. Gli attacchi, secondo il procuratore di Parigi, sono stati compiuti da tre squadre di attentatori che hanno agito in maniera coordinata, tutti erano dotati di armi da guerra dello stesso tipo e di cinture esplosive. Sette attentatori sono morti negli attacchi.

Ecco la cronologia degli attentati:

  • 21.15 Un gruppo di uomini armati attacca due ristoranti: Le Carillon, in rue Alibert, e Le Petit Cambodge, in rue Bichat. Gli uomini, a bordo di un’automobile, aprono il fuoco contro i passanti e le persone sedute ai tavoli.
  • 21.23 Tre esplosioni vengono avvertite nel giro di pochi minuti vicino allo stade de France, dove è in corso la partita tra Francia e Germania. Le esplosioni causano quattro morti, tra cui i due attentatori che si sono fatti esplodere. I terroristi, secondo il procuratore di Parigi, hanno usato come esplosivo del perossido di acetone( Tatp).
  • 21.30 Quattro uomini armati entrano nella sala da concerto Bataclan, dove si tiene lo spettacolo del gruppo statunitense Eagles of Death Metal, e aprono il fuoco contro la folla. Muoiono almeno 89 persone. Diversi spettatori vengono presi in ostaggio.
  • 21.45 Gli assalitori del Bataclan, o altri assalitori, aprono il fuoco nei pressi del McDonald’s in rue Fabourg-du-Temple e in rue de la Fontaine-au-Roi, nei pressi della pizzeria Casa nostra, causando cinque morti e otto feriti gravi.
  • 21.55 All’incrocio tra rue Faidherbe e rue de Charonne un uomo spara contro la terrazza del caffè La Belle Equipe. Muoiono 19 persone e 14 restano gravemente ferite.
  • 21.55 Un kamikaze si fa esplodere di fronte al McDonald’s di Plaine Saint-Denis.
  • 00.25 Le forze speciali francesi fanno irruzione al Bataclan. Un terrorista viene ucciso, altri tre si fanno saltare in aria l’esplosivo che indossavano sulle cinture.

Dopo gli attentati il presidente francese François Hollande ha dichiarato lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale e ha annunciato il ripristino dei controlli alle frontiere. Sono state sospese le manifestazioni sportive. Chiusi i musei e il parco di divertimenti Disneyland.

Sabato 14 novembre il gruppo Stato islamicoha rivendicato gli attacchi , con un comunicato pubblicato online che definiva Parigi “capitale dell’abominio e della perversione”. In una conferenza stampa, anche Hollande aveva attribuito allo Stato islamico la responsabilità degli attentati, definendoli “un atto di guerra”.

Il 14 novembre la polizia belga ha organizzato un blitz nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles. Sono state arrestate almeno cinque persone.Il procuratore di Parigi ha confermato che gli arresti sono legati agli attentati della capitale francese. La procura belga ha aperto un’inchiesta per terrorismo.

Un passaporto siriano e uno egiziano sono stati trovati vicino ai corpi dei due attentatori allo stade de France, ma le autorità non hanno ancora confermato l’identità dei due aggressori. Uno dei veicoli usati dai terroristi era stato immatricolato in Belgio e apparteneva a un cittadino francese residente in Belgio.

Uno dei terroristi dell’attacco al Bataclan, ha scritto Libération, era un francese di circa trent’anni originario di Courcouronnes, nell’Essonne. Era già noto alle forze dell’ordine per i suoi legami con il jihadismo. L’altro era siriano.

Le autorità tedesche sono convinte che un uomo arrestato in Bavaria all’inizio del mese, mentre era a bordo di un’automobile carica di esplosivi, sia legato agli attacchi di Parigi.

Il premier britannico David Cameron ha dichiarato che tra le vittime potrebbero esserci cittadini del Regno Unito. Tra i morti finora accertati ci sono anche cittadini romeni, tunisini, belgi, svedesi e una statunitense. Secondo la Cnn ci sarebbe anche una cittadina statunitense tra le vittime.

Due italiani sono rimasti lievemente feriti. Una ragazza veneta di 28 anni risulta ancora dispersa.

 

Fonte: http://www.internazionale.it/notizie/2015/11/14/il-punto-sugli-attentati-di-parigi

 

Qui l’aggiornamento dell’Ansa con la notizia della morte della studentessa italiana dispersa:

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2015/11/13/tre-sparatorie-a-parigi-vittime_1a91057f-5905-49e3-8d4a-592668bf11cc.html

 

Non si è fatta aspettare l’ondata vergognosa di islamofobia da parte di alcuni quotidiani.

Prima Pagina Il Giornale

Prima Pagina Libero

Tutti al gridare al terrorismo islamico ( anche in modo offensivo: il caso più eclatante è, come abbiamo visto, quello della prima pagina di ieri del quotidiano di Belpietro, anche se gli altri non scherzano) forse perchè è più comodo pensare che sia tutto solo fanatismo religioso. Nessuno che allargi lo sguardo sul mondo per cercare di capire cosa sta succedendo. Io sono convinta che per capire veramente cosa è accaduto a Parigi bisogna comprendere  quello che sta accadendo in Medioriente. E’ un caso che questi attentati siano stati compiuti nella Francia che ha aperto un’inchiesta per  crimini di guerra contro Assad ( fonte: http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/francia-inchiesta-contro-assad_2135957-201502a.shtml )? E’ un caso che, nei giorni predenti, Putin abbia iniziato a bombardare la Siria, col pretesto della lotta all’Isis, uccidendo civili e colpendo anche un villaggio con bombe al fosforo bianco (qui il video dell’attacco russo col fosforo bianco: https://www.facebook.com/albertosavioli1972/posts/10207747605229222?pnref=story )? E’ un caso che questa strage sia avvenuta mentre in Palestina si parla di terza intifada e i soldati israeliani uccidono i palestinesi fingendo di esserne aggrediti (leggere, a esempio, le notizie del sito Infopal ) e mentre l’esercito turco bombarda il popolo curdo (leggi qui: http://www.retekurdistan.it/2015/11/assemblea-politica-basta-alle-politiche-di-oppressione-e-di-terrore-sul-popolo-curdo/ )? E’ un caso anche che gli ultimi attentati di Parigi siano accaduti all’indomani del più grave attentato da parte dell’Isis in Libano e esattamente un anno dopo la conquista da parte sempre dell’Isis di Ramadi e Mosul in Iraq? ( fonte: http://arabpress.eu/libano-in-lutto-per-le-vittime-del-duplice-attentato-suicida-a-beirut/70470/ ).
A fare le spese di tutto ciò sono sempre i popoli tutti e le persone di fede musulmana ancora una volta strumentalizzate. Eppure basterebbe unire i puntini per farsi almeno venire il dubbio che il sedicente Stato Islamico sia solo un pretesto – creato dai potenti del mondo e camuffato da organizzazione terroristica di matrice islamista (molti di questi terroristi si scopre ogni volta essere in realtà di origine occidentale) –  per distogliere la già scarsa attenzione dall’occupazione israeliana in Palestina, dalla dittatura di Assad in Siria, da quella di Putin in Russia, da quella di Erdogan in Turchia e contro i curdi e da tutto ciò che succede nel resto del Medioriente. E anche nel resto del mondo come accade con tutte le paure indotte dai potenti.

D. Q.

MACELLERIA MIGRANTE

Da che mondo è mondo gli esseri umani migrano per lavoro, per conoscere il mondo, per sfuggire alla fame, alle persecuzioni, alle guerre, ecc. Eppure c’è chi spera si fermino o addirittura vorrebbe fermarli a qualunque costo. C’è chi parla di “emergenza” per un fenomeno che esiste da sempre. C’è chi lo vede come una minaccia e parla addirittura di “invasione”. Nel frattempo i migranti, questi uomini, donne e bambini (a migrare spesso sono famiglie intere che cercano un futuro migliore), che terrorizzano tutti coloro che “Io non sono razzista ma dovremmo pensare prima a noi” ( come se l’umanità non fosse tutta figlia della stessa Madre Terra e si potesse distinguere un “noi” e un “loro” su criteri nazionalistici), vanno incontro a morti talmente atroci che non ce le sogneremmo mai. Muoino soffocati nelle stive di barconi perchè non hanno abbastanza denaro per comprare – in questo mondo dove tutto è in vendita – dai loro trafficanti senza scrupoli, oltre a un viaggio disperato, l’aria per provare a respirare ancora. Muoino soffocati mentre sono trasportati, peggio che se fossero bestiame, su un tir. E continuano a morire in massa annegati nel mare “nostro” perchè nella Fortezza Europa non c’è la possibilità per chi è disperato di giungere legalmente, senza rischiare la vita. Nel “cimitero” Mediterraneo non c’è spazio per i diritti umani ma solo per i confini. E così la carne umana diventa merce per chi non ha scrupoli, una merce deperibile. Solo così a molti scuote. Forse è questa la cosa più triste.

D. Q.

Qui una vignetta di Mauro Biani nella sua tremenda verità:

Fonte: https://www.facebook.com/ilmanifesto/photos/a.86900427984.101789.61480282984/10153778202512985/?type=1&theater

Qui un articolo di Redattore Sociale:

Migrazioni, è un bollettino di guerra: più di 300 vittime in quattro giorni

Sono 71 i migranti morti ritrovati in un tir in Austria, si pensa siano tutti siriani. Tra loro 4 bambini. Ma in mare si muore ancora. Portate a Palermo 52 vittime ritrovate in una stiva e sulle coste libiche una nuova tragedia: sarebbero 200 i corpi in mare

28 agosto 2015

ROMA – Un bollettino di guerra. È quello che sta diventando la cronaca dei flussi migratori in questi giorni in Europa. Mentre sui media di tutto il mondo si discute sui termini da utilizzare per descrivere il fenomeno (migranti o rifugiati), sul web si susseguono le notizie di nuove tragedie che non avvengono più lontano dagli occhi europei, ma che giorno per giorno si avvicinano al cuore di un continente comunemente definito come “vecchio” e chiuso come una “fortezza”. Dopo la notizia che ha sconvolto l’Austria (e non solo), dal Mediterraneo giungono nuove notizie di morte con più di cento migranti che avrebbero perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Un dato, quello delle vittime, che cresce di giorno in giorno, come testimoniano le quasi 2.500 morti catalogate dal nuovo sito dell’alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr).

Sul tir c’erano rifugiati siriani. Dall’Austria, intanto, arrivano maggiori dettagli sul ritrovamento di un tir al cui interno sono stati trovati i corpi senza vita di 71 migranti. Le autorità austriache hanno riferito che le vittime rinvenute all’interno della cella frigorifera del tir abbandonato sull’autostrada sono “probabilmente rifugiati siriani”, per via di alcuni documenti ritrovati. Tra le vittime 59 uomini, 8 donne e anche 4 bambini. Migranti morti per soffocamento, conferma la polizia austriaca, che rende noto anche di aver arrestato tre persone coinvolte nella vicenda. “Questa tragedia sottolinea la spietatezza degli scafisti, che hanno ampliato la loro attività dal Mediterraneo alle autostrade d’Europa – spiega l’Unhcr -. Ciò dimostra che non hanno alcun riguardo per la vita umana, ma ricercano solo il profitto. E mostra anche la disperazione delle persone in cerca di protezione o di una nuova vita in Europa. Speriamo che questo nuovo incidente porterà a una forte cooperazione tra le forze di polizia europee, le agenzie di intelligence e le organizzazioni internazionali per reprimere il traffico di esseri umani mettendo in atto misure per la protezione e la cura delle vittime”.

Mediterraneo, tragedia senza fine. Intanto, a largo della Libia, la situazione resta drammatica. Secondo quanto reso noto dalla Mezzaluna rossa, nelle ultime ore sarebbero naufragate due imbarcazioni piene di migranti al largo della costa libica, nei pressi di Zuwara: si parla di circa 450 persone. I soccorsi hanno portato in salvo circa 198 migranti, mentre, secondo il Guardian, non ce l’avrebbero fatta circa 200 persone. Notizie che giungono a breve distanza da un altro ritrovamento di corpi senza di vita di migranti. È di pochi giorni fa la notizia della scoperta di 52 migranti morti nella stiva di una imbarcazione da parte del pattugliatore della marina svedese Poseidon, impegnato nelle operazioni di Triton. Le salme sono state portate a Palermo, insieme ad altri 571 migranti salvati in mare. Solo il 15 agosto scorso, spiega l’Unhcr, una tragedia dal medesimo copione: in una stiva di un barcone sono stati trovati i corpi di 49 persone morti, probabilmente, per le inalazioni di fumi velenosi. E’ di mercoledì 26 agosto, infine, l’ennesima tradecia. Secondo quanto riportato dall’Unhcr, “un gommone con a bordo circa 145 rifugiati e migranti ha avuto dei problemi. Alcune persone sono cadute in mare e due uomini si sono tuffati in acqua per salvarle. Nel panico che ne è seguito le persone hanno cominciato a spintonare e a spingere, e tre donne sul gommone sono morte schiacciate. Di coloro che sono caduti in acqua, 18 mancano ancora all’appello e si teme che siano morti. I sopravvissuti sono stati salvati e portati a Lampedusa, compreso il figlio di due mesi di una delle donne rimaste uccise. La maggior parte dei sopravvissuti è in condizioni critiche e presenta segni di shock, ferite e contusioni”. Sale, così, a più di 300 il numero delle vittime negli ultimi quattro giorni, ma il bilancio delle tragedie dell’immigrazione, in mare e sulla terraferma, purtroppo sembra destinato a salire.Le proteste dei libici contro i trafficanti. Dopo la scoperta da parte della guardia costiera libica dei 200 corpi a largo della città libica di Zuwara, secondo quanto riporta il Guardian, tanti tra i residenti del posto sarebbero scesi in piazza per protestare contro il traffico di esseri umani. Una manifestazione che ricorda quella dell’estate 2014, dopo il ritrovamento di un corpo di un migrante morto in mare, raccontata da Redattore sociale con un reportage da quello che ancora oggi è considerato uno dei maggiori snodi del traffico di esseri umani verso l’Europa.

I numeri dei flussi gestibili solo con risposte coordinate. Per l’Unhcr, nonostante gli sforzi dell’operazione di Frontex “il Mediterraneo è ancora la rotta più mortale per rifugiati e migranti. Molte delle persone che raggiungono via mare l’Europa meridionale, in particolare la Grecia, provengono da paesi colpiti da violenze e conflitti, come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan; hanno tutti bisogno di protezione internazionale e sono spesso fisicamente esausti e psicologicamente traumatizzati”. Ai governi, l’Unhcr chiede di “fornire risposte comuni e agire con umanità e in confomità ai loro obblighi internazionali”. Nonostante i numeri dei flussi siano “schiaccianti” per alcuni paesi “sovraccarichi”, aggiunge l’Alto commissariato, si tratta di “numeri gestibili attraverso risposte congiunte e coordinate a livello europeo. Tutti i paesi europei e l’Unione Europea devono agire insieme per rispondere alla crescente emergenza e dimostrare responsabilità e solidarietà”. (ga)

© Copyright Redattore Sociale

Fonte:

http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/489413/Migrazioni-e-un-bollettino-di-guerra-piu-di-300-vittime-in-quattro-giorni