CON TSIPRAS LA GRECIA DIVENTA ALLEATA DI ISRAELE

Per decenni Atene è stata apertamente filo-palestinese e il suo cambio di rotta genera preoccupazione ai vertici dell’Olp, tanto che l’ex ministro degli esteri Nabil Shaath, sulle pagine del quotidiano Haaretz, si è domandato se «la Grecia tradirà la Palestina». Ieri a Nicosia il vertice tra Israele, Grecia e Cipro.

Tispras-Netanyahu

di Michele Giorgio

Gerusalemme, 29 gennaio 2016, Nena News – Annunciato a metà mese da Benyamin Netanyahu, si è svolto ieri a Cipro il vertice a tre con il primo ministro israeliano, il premier greco Tsipras e il presidente cipriota Anastasiades. Un summit preceduto dalla firma due giorni fa di importanti accordi bilaterali tra Atene e Tel Aviv. Tsipras da uomo di sinistra ha stretto un’alleanza con Israele, dall’economia alla cooperazione militare, che non avevano saputo o voluto raggiungere neppure i leader greci di destra. La parola chiave del vertice di Cipro è stata “gas”. I tre Paesi hanno annunciato la costituzione di un comitato per studiare la possibilità di portare il gas naturale che si trova nelle acque al largo di Israele e Cipro, in Europa attraverso la Grecia.

Nonostante la prevalenza dei temi economici, le intese raggiunte a Nicosia sono molto più ampie e riguardano anche la sicurezza. E se la vicinanza tra Cipro e Israele, in funzione anti-Turchia, è nota da tempo, invece la stretta cooperazione tra Grecia e Stato ebraico rappresenta una novità.

Per decenni la Grecia è stata apertamente filo-palestinese e il suo cambio di rotta genera preoccupazione ai vertici dell’Olp, tanto che l’ex ministro degli esteri Nabil Shaath, sulle pagine del quotidiano Haaretz, si è domandato se «la Grecia tradirà la Palestina». Atene ha bisogno di rilanciare la sua disastrata economia ma, ha scritto Shaath, «vantaggi economici a breve termine non devono danneggiare una profonda e preziosa amicizia». Una amicizia tra i popoli, ha sottolineato, «tra greci e palestinesi…purtroppo questo rapporto ha iniziato a cambiare».

A metà gennaio la Grecia e alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, sollecitati da Netanyahu, hanno tentato di bloccare una risoluzione dei ministri degli esteri dell’Ue che ribadisce la separazione territoriale tra Israele e le colonie che ha costruito nei Territori occupati. Nena News

 

Fonte:

http://nena-news.it/con-tsipras-la-grecia-diventa-alleata-di-israele/

 

 

GRECIA-ISRAELE: ACCORDI MILITARI SENZA PRECEDENTI

Ali Abunimah

da A l’encontre

L’esercito greco e quello italiano si addestreranno presto in Israele.

È l’ultimo segnale dell’approfondirsi dell’alleanza militare costruita da Israele e dal governo greco, sotto la guida del partito di sinistra Syriza.

Il mese scorso alcuni piloti elicotteristi israeliani hanno effettuato esercitazioni di combattimento senza precedenti, della durata di 11 giorni, in Grecia, nei paraggi dell’Olimpo.[1]

Nel maggio[2] e poi nel luglio 2015, il governo diretto da Syriza ha addirittura firmato un accordo militare con Israele che non ha uguali se non quello, analogo, che esiste tra Israele e gli Stati Uniti, garantendo immunità legali per tutti i militari indistintamente nel corso dell’addestramento in un altro territorio.[3]

L’accordo militare è stato sottoscritto a nome del governo da Panagiotis Kammenos, il ministro della Difesa, membro dei Greci indipendenti (ANEL), junior partner del governo di coalizione. Non vi è dubbio, tuttavia, che Syriza dia il suo appoggio: in luglio [6 luglio], Nikos Kotzias, il ministro degli Esteri nominato da Syriza,[4] si è recato a Gerusalemme per discussioni al vertice con il Primo ministro israeliano Benyamin Netanyahou per «rafforzare i legami bilaterali tra i due paesi».

Subito quest’anno aerei da guerra israeliani hanno effettuato missioni di addestramento intensive in Grecia, un’esperienza che verrà certamente utilizzata per attaccare la Striscia di Gaza nelle future aggressioni militari israeliane.

 

Elicotteri israeliani in Grecia

 

Stando a un comunicato stampa delle forze aeree israeliane, «la collaborazione greco-israeliana si va estendendo negli ultimi anni e, alla luce dei successi al momento dei recenti dispiegamenti, scambievoli voli probabilmente continueranno nel 2016».

Il comandante della base aerea di Larissa, che era la base degli elicotteri israeliani durante le esercitazioni, cita la dichiarazione del colonnello Dormitis Stephazanki: «Comprendiamo la grande rilevanza di un’attività congiunta con lo Stato di Israele, che contribuisce alla sicurezza di entrambi i paesi. Nel corso degli ultimi giorni, abbiamo lavorato insieme in modo speciale. Il linguaggio comune, l’amicizia profonda e le cose che abbiamo imparato insieme hanno contribuito a migliorare la collaborazione tra le rispettive forze».

Dormitis ha detto di essere convinto che l’addestramento in Grecia aveva migliorato «l’atteggiamento [degli israeliani] nell’assumersi l’incarico dei voli ogni volta che è necessario».

«Abbiamo sorvolato zone montuose che in Israele non esistono e abbiamo sperimentato voli a lunga distanza partendo da basi aeree israeliane verso la Grecia», ha dichiarato il luogotenente colonnello Matan, comandante di una squadra di elicotteri Apache, fabbricati negli Stati Uniti (l’esercito israeliano fornisce solo i cognomi, forse per proteggere il personale da possibili accuse per crimini di guerra).

Gli Apache – battezzati con il nome delle popolazioni di amerindi che sono state bersaglio dell’espansione coloniale genocida in America settentrionalesono stati utilizzati ampiamente da Israele per effettuare esecuzioni estragiudiziali di palestinesi. È l’apparecchio usato nei massacri di civili a Gaza lo scorso anno.

Il colonnello Y, comandante di un’unità israeliana di ricognizione, ha descritto la partecipazione di Israele all’esercitazione come «storica», soggiungendo che «era la prima volta che gli aerei che raccolgono informazioni hanno lavorato con apparecchi stranieri su un terreno sconosciuto e complesso».

 

Appoggiare i crimini di guerra?

 

Secondo il Jerusalem Post, i piloti greci di elicotteri si addestreranno in Israele nel corso dei prossimi mesi. Il giornale riferisce che aerei da combattimento greci «parteciperanno all’esercitazione multinazionale Blue Flag che si svolgerà nei cieli sopra il Sud di Israele». In giugno, un reportage di Haaretz ha rivelato che le forze aeree italiane, greche e statunitensi parteciperanno a quell’esercitazione.

La collaborazione militare tra Israele, l’Italia e la Grecia prosegue nonostante il fatto che un’indagine indipendente pubblicata di recente, per ordine del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, abbia scoperto massicce prove di crimini di guerra commessi da Israele al momento del suo attacco a Gaza durante l’estate scorsa, che ha ucciso oltre 2.200 palestinesi

Il mese scorso, Amnesty International ha pubblicato una sua indagine sull’aggressione israeliana contro la città di Rafah, a Sud della Striscia di Gaza. Anche qui, l’indagine ha concluso che centinaia di civili sono stati uccisi nel corso dei gravi crimini di guerra compiuti da Israele.

Amnesty ha scoperto che «alcune dichiarazioni pubbliche di comandanti dell’esercito israeliano e di soldati successive al conflitto forniscono ragioni imperiose per ricavare la conclusione che certi attacchi che hanno ucciso civili e distrutto case e proprietà sono stati effettuati e motivati per desiderio di vendetta – per dare una lezione o punire la popolazione di Rafah».

Inam Ouda Ayed bin Hammad, citato nel Rapporto di Amnesty, rievoca i cannoneggiamenti a tappeto e i bombardamenti che ci sono stati vicino alla sua casa nel quartiere al-Tannur di Rafah: «nel momento in cui sono uscito da casa, un Apache ha preso a spararci addosso».

Magari quegli stessi Apache e quegli stessi piloti hanno condiviso in Grecia occasioni cameratesche.

I Rapporti dell’ONU e di Amnesty hanno lanciato l’appello perché si facciano finalmente i conti con i crimini di guerra perpetrati a Gaza e nella Cisgiordania occupata. Viceversa, i governi di sinistra greco e italiano, come pure, ovviamente, l’amministrazione Barak Obama degli Stati Uniti, si limitano ad offrire la loro complicità e le loro ricompense unicamente ad Israele.

 

(Traduzione in francese di A l’Encontre; l’articolo è uscito il 5 agosto 2015 sul sito Electronic Intifada. L’autore del presente articolo, cofondatore del sito, ha pubblicato di recente The Battle for Justice in Palestine, Editions Haymarket, marzo 2014. Risiede negli Stati Uniti. Probabilmente per questo considera « di sinistra » anche il governo Renzi). Della vicenda avevamo già parlato sul sito : Kouvelakis: Dalla vicenda di Syriza alcuni insegnamenti per il nostro avvenire.

(Traduzione dal francese di Titti Pierini)

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[1]Un comunicato pubblicato il 3 agosto, sul sito «Israeli Air Force» http://www.iaf.org.il/4424-45323-en/IAF.aspx, indicava come, per due settimane, una squadriglia di elicotteri dell’aeronautica dell’IDF (Israeli Defense Forces) ed elicotteri e caccia dell’esercito greco avessero condotto esercitazioni congiunte, partendo dalla base di Larissa. «Era uno dei principali e complessi dispiegamenti di forze fuori da Israele». L’accento era posto soltanto sull’interesse di acquisire esperienza in voli ad alta quota (per gli elicotteri), nonché sulla raccolta di informazioni.

Il 28 luglio 2015, Israël Actualités, settimanale on line, poneva in rilievo una delle principali dimensioni dell’accordo militare (cfr. anche nota 3), concernente le varie poste in gioco disputate nel Mediterraneo orientale rispetto alle riserve di gas, che interessano sia Israele sia la Grecia. «Durante l’esercitazione, i dirigenti hanno discusso in particolare di “sicurezza marittima, energetica e di collaborazione nell’industria militare”, stando al Rapporto del ministero greco. L’accordo stipula che la marina israeliana potrà d’ora in poi intervenire per neutralizzare qualsiasi attacco islamista contro gli interessi greci e dello Stato ebraico, in acque cipriote e del Mediterraneo orientale. Unità scelte di Tsahal potrebbero anche, all’occorrenza, dispiegarsi sulle piattaforme di estrazione di gas di Cipro o installarsi in basi militari greche». Ali Abunimah lascia da parte questo aspetto decisivo dell’accordo (Redazione À l’Encontre).

[2]Il 21 maggio 2015 Israpresse sottolineava come sarebbero proseguiti tra Israele e la Grecia gli accordi «riguardanti prevalentemente la politica, la difesa, l’energia, il turismo, la cultura e l’accademia». «Dei festeggiamenti intervengono a rafforzare i legami tra i due paesi, divenuti incerti dopo l’arrivo al potere di Alexis Tsipras nel gennaio 2015». Il 26 gennaio 2015, l’influente quotidiano Yedioth Aharonoth citava l’ex ambasciatore di Israele in Grecia, Arye Makel, che riprendeva le dichiarazioni di Alexis Tsipras dell’agosto 2014 al momento dell’operazione militare “Protezione dei confini”, il quale «accusava lo Stato ebraico di assassinare bambini palestinesi». Dopo di allora i rapporti militari, tra gli altri, si sono consolidati, ma hanno segnato un nuovo corso. (Redazione À l’Encontre).

[3]Il 19 luglio 2015, così Israpresse presentava l’accordo: «Il capo dell’apparato della difesa israeliana e il ministro greco della Difesa nazionale hanno concluso un Accordo sullo statuto delle forze militari (Status of the force agreement, o SOFA), vale a dire una reciproca intesa giuridica che consente all’Esercito di Israele di stanziare truppe in Grecia e viceversa. Si tratta del primo SOFA che Israele conclude con un paese alleato, oltre agli Stati Uniti.

Il ministro israeliano ha espresso la propria gratitudine nei confronti del suo omologo per la sua visita in Israele, nonostante la difficile situazione del proprio paese, esprimendo la sua speranza di vedere la Grecia superare le grandi sfide che l’attendono. «Apprezziamo molto la collaborazione sicuritaria che si traduce nell’addestramento di nostri soldati e ufficiali in territorio greco. I nostri Stati condividono interessi comuni, dovendo affrontare le conseguenze dell’accordo sottoscritto la scorsa settimana tra le grandi potenze e l’Iran», ha dichiarato Ya’alon.

Da parte sua, il ministro greco ha affermato: «Il popolo greco è molto vicino a quello di Israele. Per quanto riguarda la nostra collaborazione militare, i rapporti sono eccellenti e continueremo a mantenerli e proseguiremo le esercitazioni comuni». Kammenos ha soggiunto: «Il terrorismo e la jihad non colpiscono solo il Medio oriente, ma anche i Balcani e l’Europa. È la guerra. Eravamo molto vicini anche a Israele per tutto ciò che concerne il progetto missilistico iraniano. Ci troviamo a portata di quei missili. Se un missile iraniano si dirige verso il Mediterraneo, questo può voler dire la fine di tutti i paesi dell’area» (Redazione A l’Encontre).

[4] Nikos Kotzias era il consigliere del Primo ministro greco Georgios Papandreou. Dopo la sua nomina agli Esteri, il 27 gennaio 2015, The Times of Israel (28 gennaio 2015) riferiva l’opinione di Emmanuel Karagiannis, greco d’origine, docente presso il King’s College di Londra, dove occupa la cattedra degli Studi militari: «Kotzias è un politico alquanto pragmatico, per cui non mi aspetto un peggioramento dei rapporti bilaterali. Kotzias considera la Turchia la principale potenza competitiva, in termini geopolitici nel Mediterraneo orientale. Credo quindi che il partenariato Grecia-Israele sopravvivrà a questo cambiamento politico [governo Tsipras]» (Redazione A l’encontre).

 

Tratto da: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2328:grecia-israele-accordi-militari-senza-precedenti&catid=7:medio-oriente-e-mondo-arabo-islamico&Itemid=17

Dichiarazione del prigioniero Nikos Romanòs

nicosDurante l’intervista al giornale online «Hit & Run», Nikos Romanòs ha definito «teatro dell’assurdo» la vicenda della negazione dei permessi di studio, al contrario di quanto previsto dall’emendamento votato dopo il suo lungo sciopero della fame, uno sciopero della fame che ha profondamente scosso tutta la società.

Nikos Romanòs ha attribuito al governo Syriza pesanti responsabilità, parlando di «strategie da campagna elettorale» e di «sfruttamento politico senza scrupoli delle persone che fanno parte del multiforme movimento di solidarietà».

Ecco come riassume la sua vicenda da gennaio, cioè da quando Syriza è salito al governo:

«Ho superato un terzo degli esami, come stabilito dalla normativa specifica, e ho fatto domanda per il permesso. Da quel momento in poi è iniziato il teatro dell’assurdo. Il consiglio del carcere non ha ritenuto valida la richiesta perché non è stato emanato nessun decreto ministeriale e ha così rimandato la domanda al giudice di corte d’appello Eftikis Nikòpoulos, sulla base della legge precedente. Nikòpoulos ha dato una risposta negativa perché non è stato pubblicato il decreto ministeriale e non può entrare nel merito dei contenuti della richiesta dal momento che, qualora approvata, la normativa abrogherebbe la legge precedente. Sulla base della decisione di Nikòpoulos, il consiglio del carcere ha rigettato la domanda e, di conseguenza, l’obiezione alla richiesta è ufficiale».

Per quanto riguarda Syriza, Nikos Romanòs annota:

«Ha avuto il ruolo di assorbire le tensioni sociali, di costruire capitale politico partecipando dall’interno alle lotte sociali e presentandosi come il loro braccio istituzionale, ma funzionando come forza anti insurrezionale, perché ha spostato il terreno di scontro dalle strade al parlamento. In poche parole, ha impersonato nel modo migliore possibile il ruolo politico del riformismo a livello centrale».

Di seguito l’intervista a Nikos Romanòs:

Raccontaci in poche parole la vicenda dei permessi di studio che ti spettano di diritto, dopo la normativa approvata in seguito al tuo sciopero della fame del novembre/dicembre 2014.

E’ andata così: ho superato un terzo degli esami, come stabilito dalla normativa in questione, e ho fatto domanda per il permesso. Da quel momento in poi è iniziato il teatro dell’assurdo. Il consiglio del carcere non ha ritenuto valida la richiesta perché non è stato emanato nessun decreto ministeriale e ha così rimandato la domanda al giudice di corte d’appello Eftikis Nikòpoulos, sulla base della legge precedente. Nikòpoulos ha dato una risposta negativa perché non è stato pubblicato il decreto ministeriale e non può entrare nel merito dei contenuti della richiesta dal momento che, qualora approvata, la normativa abrogherebbe la legge precedente. Sulla base della decisione di Nikòpoulos, il consiglio del carcere ha rigettato la domanda e, di conseguenza, l’obiezione alla richiesta è ufficiale.

Di fronte a queste misure Syriza, che durante lo sciopero della fame ha fatto campagna elettorale e ha sfruttato politicamente senza farsi scrupoli le persone del multiforme movimento di solidarietà, ha fatto come Ponzio Pilato, proprio come i suoi predecessori. Certamente non c’è da stupirci, dal momento che parliamo di politici, quindi di camaleontici ruffiani approfittatori, politicanti, opportunisti e ipocriti di professione, che hanno semplicemente vestito per un po’ di tempo i panni dei filantropi per perseguire scopi politici precisi. Chiaramente ci sono dei motivi anche più seri, ma di questo ne parlerò eventualmente nella prossima risposta. Rispetto agli sviluppi del mio caso, teoricamente dovrebbe essere approvata dal parlamento la delibera perché la normativa venga applicata, ma non mi pare ci siano molte possibilità che ciò avvenga.

Ritieni che dietro alle “dilazioni” rispetto alla questione del braccialetto ci siano degli scopi politici o un qualche tipo di rivalsa nei tuoi confronti?

Credo che nel caso specifico non esista alcun dispositivo elettronico (braccialetto), dal momento che, indipendentemente da ciò che il ministero della giustizia avvalla, noi che siamo in carcere sappiamo che non esiste neppure un detenuto in Grecia che sia stato scarcerato in questo modo. Ogni giorno molti detenuti vengono a chiedermi informazioni rispetto a questa questione e tutti si chiedono per quale ragione nessuno di quelli che ne hanno fatto richiesta abbia ricevuto risposta dal tribunale. I detenuti comunicano tra loro nelle carceri e scambiano informazioni sulle questioni che li riguardano, e posso dire con la massima certezza che non esiste neppure un detenuto che abbia messo piede fuori dal carcere in questo modo. Chiaramente, dal momento che una notizia del genere potrebbe paventare lo spettro di uno scandalo, vista la pubblicità sul caso, il mostro apparentemente senza volto della burocrazia dà la soluzione a questo problema.

La burocrazia in realtà non è un mostro senza volto, al contrario, è l’alibi dei volti che detengono le posizioni di potere, per scaricare le responsabilità su qualcosa di potenzialmente più grosso di loro: un alleato invisibile che si nasconde dietro comitati di legislatori, consiglieri tecnici, pile di incartamenti, interpretazioni molteplici e false speranze. Quello che sto dicendo, cioè che non esiste alcun dispositivo elettronico e che il ministero della giustizia sta solo prendendo deliberatamente in giro i detenuti per non destare scandalo, è un fatto che non lascia spazio ad alcun dubbio e che non può essere smentito da nessuno, dal momento che non esiste nessun detenuto che sia stato scarcerato o che abbia ottenuto licenze in questo modo.

Anche se non è necessaria ulteriore riprova, porterò un esempio dal carcere di Korydallòs, di cui conosco personalmente la situazione. Alcuni detenuti che studiano in diversi TEI (istituti tecnici universitari, n.d.t.), in base alla nuova normativa, hanno fatto richiesta al consiglio del carcere per i permessi di studio, ora che è periodo di esami. Visto che nessuno degli studenti era sotto processo, il consiglio del carcere non poteva nascondersi dietro la decisione di qualche magistrato, e ha respinto le richieste con bugie davvero ridicole, ad esempio che non erano riusciti in tempo a contattare le segreterie delle facoltà, invitando gli studenti a tornare a settembre. Questo fatto sta a significare che il consiglio del carcere ha ricevuto disposizioni precise dal ministero della giustizia affinché silenziasse la questione e non venissero alla luce le reali motivazioni di questi maneggiamenti.

Come giudichi la posizione del nuovo governo Syriza?

Per cominciare dal principio: Syriza ha assunto la forma del nemico molto prima di diventare governo. Ha avuto il ruolo di assorbire le tensioni sociali, di costruire capitale politico partecipando dall’interno alle lotte sociali e presentandosi come il loro braccio istituzionale, ma funzionando come forza anti insurrezionale, perché ha spostato il terreno di scontro dalle strade al parlamento. In poche parole, ha impersonato nel modo migliore possibile il ruolo politico del riformismo a livello centrale. Lo stesso Tsipras, prima di diventare primo ministro, aveva dichiarato che se non ci fosse stata Syriza ci sarebbero stati molti più scontri e molte più insurrezioni in Grecia durante gli anni delle manifestazioni contro il governo. Questo significa che l’elaborazione di un’agenda politica di sinistra come opposizione era tra le altre cose una scelta politica strategica per mettere in salvo la pace sociale e per ridisegnare ex novo e su nuove basi le istituzioni sociali distrutte.

La democrazia nasconde molti assi nella manica per rimanere al passo coi tempi, e una delle frecce al suo arco è la velocità di ricambio dei ruoli sulla scena politica, nel rimescolare le carte, nell’assimilare le spinte radicali che potrebbero ritorcerglisi contro. Arrivando ad oggi, e dunque all’ascesa al potere di Syriza, ci sono dei cambamenti strutturali nella sua retorica e delle enormi contraddizioni interne. Ovviamente, nonostante tutte le contraddizioni, la realtà dei fatti è Syriza mantiene in funzione le carceri di tipo “Gamma”, che esistono ancora dal momento che fuori dalla prigione di Domokos (località che ospita il carcere di massima sicurezza, n.d.t.) ci sono ancora mezzi speciali della polizia e i bracci di isolamento ospitano ancora compagni. Syriza permette che i migranti vengano marchiati con dei numeri prima di essere sbattuti dentro ai “campi di concentramento”, che gli spazi occupati vengono sgombrati, che i compagni in sciopero della fame vengono torturati e che i familiari dei compagni delle CCF siano tenuti in ostaggio. Syriza inaugura Salamina come primo luogo di confino dell’era democratica e firma accordi commerciali con gli assassini dei palestinesi; Syriza metetrà in atto tutte le politiche neoliberiste contro cui lottava quand’era all’opposizione.

In poche parole, Syriza mantiene tutti gli impegni geopolitici, economici e militari di uno stato che appartiene alla periferia del capitalismo mentre, contemporaneamente, per gettare fumo negli occhi dei suoi elettori di sinistra mantiene attivo un gruppo variegato di personaggi pittoreschi che contribuiscono a mantenere in piedi una retorica di sinistra e che, quando arriva il momento della trasformazione politica, vengono esclusi dai giochi.

Osservando le cose dalla nostra prospettiva, il fatto che siamo anarchici significa che, anche se quello di Syriza fosse stato davvero un governo con una politica radicale di sinistra, ci saremmo trovati lo stesso dall’altra parte della barricata, senza alcuna intenzione di firmare armistizi con gli apprendisti stregoni dell’inganno e dello sfruttamento organizzato. Tra l’altro, in contraddizione con la cancrena neocomunista che sta infettando le cerchie anarchiche, noi abbiamo tagliato già da molto tempo il cordone ombelicale che lega l’anarchia alla sinistra.

Bisogna però essere precisi nelle nostre caratterizzazioni per essere in grado di elaborare la realtà che abbiamo davanti: quello di Syriza è un governo socialdemocratico che utilizza una falsa retorica di sinistra radicale e che usa il suo profilo politico di sinistra per costruire controllo politico e per influenzare i movimenti e le formazioni sovversive che potrebbero andargli contro. E non dimentichiamo che storicamente la rappresentanza politica del capitalismo dal volto socialista ha messo in atto le politiche economiche e repressive più dure, sfruttando il sonno pacifico e complice del “governo dei molti”. La cosa più fastidiosa nelle nostre cerchie è che ci sono diversi imbecilli che fanno gli anarchici che hanno la smania di invitare i membri di Syriza nei loro “centri sociali” e di discorrere insieme a loro di profonde questioni ideologiche, promuovendo un’immagine “ripulita” di Syriza, mentre, nel momento in cui stiamo parlando, è il partito che gestisce lo stato. Un concetto tristemente simile a quello di chi vuole raddrizzare i fascisti di Alba Dorata, come se il problema coi fascisti o con i gestori della macchia statale fosse quello di discutere in cosa siamo in disaccordo, e non di colpirli dovunque li becchiamo. Tutto questo sarebbe una bella conversazione filologica per quelli che credono nella democrazia e nei suoi ideali, dormendo sulle nuvolette rosa e sognando una società post-capitalista. Peccato che gli anarchici siano in guerra con la democrazia e i suoi rappresentanti. Di conseguenza, al punto in cui siamo arrivati, tutti coloro che si impegnano a risciacquare Syriza non hanno alcuna scusa.

Tra l’altro, non è passato molto tempo da quando Stavros Thodorakis ha dato credito ad alcuni di loro in una puntata del suo programma, per le credenziali di legalità che hanno dato allo stato già da molto tempo. Per tutto questo miscuglio di governi di opposizione, cripto-syrizei, falsi ideologi dell’anarchismo e compagnia cantante la soluzione è semplice: un albero robusto e una corda resistente. Noi restiamo al fianco di coloro che restano amici delle insurrezioni anarchiche e continuano a lanciare molotov agli sbirri a Exarchia, che scendono in corteo per vandalizzare le recite dell’egemonia, che armano i loro cervelli con piani sovversivi e le loro mani col fuoco per bruciare i paramenti del nuovo ordine esistente. Con tutti quelli che organizzano la loro azione all’interno delle reti informali dell’azione anarchica. Lì dove le intenzioni sovversive si uniscono orizzontalmente e atipicamente in un fronte caotico che passa per primo all’attacco, colpendo le persone e le strutture che amministrano e difendono il mondo malato che ci circonda.

Qual è secondo te il posto della violenza nel movimento anarchico?

Ci troviamo un’altra volta negli ultimi anni a una svolta critica del processo storico moderno. Il capitalismo greco in bancarotta continua a destabilizzare l’UE e l’economia globale. La realtà è che questa situazione continuerà a prescindere dai dirigenti politici. I confini della Grecia e dell’Italia, primi paesi che ricevono i flussi migratori provenienti da zone di guerra, sono intrisi del sangue dei migranti. Gli antagonismi tra le potenze si acuiscono e gli scontri di interesse geopolitico innescano focolai di disordini in molte parti del mondo. Per gli anarchici l’instabilità e l’acuirsi della violenza sistematica in tutto lo spettro delle relazioni sociali e di sfruttamento è una spinta a organizzarsi efficacemente per diventare un potente fattore di destabilizzazione, per un contrattacco anarchico contro il mondo del potere, gli economisti, i politici, gli sbirri, i fascisti, i giornalisti, gli scienziati, i funzionari statali, i direttori e i membri delle multinazionali, i funzionari giudiziari, i direttori delle prigioni-bordello, i banchieri e i loro collaboratori, i ruffiani e i servitori del potere. Contro tutte queste canaglie, il cuore della macchina capitalista che batte al ritmo della maggioranza della società, la quale per indifferenza e paura, o per connivenza, contribuisce a proteggere il cuore della bestia, l’anarchia risponde con la lingua della violenza, del fuoco, delle esplosioni, della lotta armata. Su questa base fondiamo le nostre strategie, decidendo di insorgere e gettarci nella lotta per la liberazione totale, in un’insurrezione che, oggi come oggi, si giocherà il tutto per tutto, libererà i rapporti umani all’interno delle comunità rivoluzionarie, organizzerà l’offensiva. Diventerà il veicolo per viaggiare sui sentieri della libertà non segnati sulla mappa, dando la possibilità di vivere senza ricevere o dare ordini, senza sottomettersi, senza strisciare, ma in una maniera autentica, che creerà una nuova realtà invertita all’interno delle metropoli capitaliste, un’epoca della paura per i potenti e i loro servi, l’alba della nostra epoca, ora e per sempre, fino alla fine. Di conseguenza la violenza rivoluzionaria nel movimento anarchico è l’Alfa e l’Omega, è la forza trainante per il salto di qualità di un nemico interno che provocherà incubi al potere e ai padroni.

Credi che per un detenuto politico il carcere possa costituire un terreno di scontro?

Prima di tutto dobbiamo abbattere questo mito, cioè l’ideale collettivo secondo cui il detenuto sia un soggetto rivoluzionario in potenza. I migranti, i detenuti, i lavoratori, gli studenti medi e universitari sono sottogruppi sociali che dipendono e a loro volta alimentano il funzionamento del mondo capitalista. Secondo me l’uomo libero compare lì dove vengono distrutte le identità sociali e vengono cancellate tutte le proprietà, al punto che la decisione individuale per la liberazione crea una nuova identità unica e separata. Il ribelle iconoclasta che attacca con tutti i mezzi i nemici della libertà. Per un anarchico che ha deciso di partecipare attivamente all’insurrezione anarchica, il carcere o addirittura la morte sono conseguenze possibili delle sue scelte, fatte nel mondo reale e non nella realtà digitale in cui i parolai e le fantasticherie sono consueti. Il carcere è una stazione temporanea per chi è stato colpito dalla repressione. È il luogo dove ognuno viene messo davvero alla prova, il punto determinante delle grandi decisioni e dei grandi cambiamenti interiori. È una struttura sociale marcia in cui regnano la sottomissione e la ruffianeria, è il regno oscuro del potere, un luogo di degradazione, in cui la libertà non solo viene imprigionata, ma per molti viene umiliata e trascinata tra eroina, disciplina e sporchi corridoi dove gli esseri umani imparano a odiarsi. Esistono migliaia di analisi sul carcere e sui detenuti, io dirò ciò che ha detto anche il guerrigliero di Action Direct Jean Marc Rouillan, cioè che i più adatti a parlare del carcere sono quelli che hanno passato una piccola parte della loro vita lì dentro.

Perché la verità è che più tempo passi qui dentro, più diventa complesso descrivere il funzionamento e la struttura di questa società davvero misera. In sintesi, carcere significa morte lenta, cannibalismo sociale, sopraffazione del più debole, abbandono, distruzione psicosomatica, eroina, psicofarmaci, esseri umani-spazzatura stipati in discariche statali, disciplina, gerarchia, fanatismo religioso, raggruppamenti etnici e divisioni razziste, nazionalismo di ogni tipo, confino, attesa, autodistruzione, vicolo cieco, soppressione delle emozioni, coercizione, immobilità totale, fissità. Non è esagerato dire che la società dei detenuti è il figlio bastardo della società capitalista, un meccanismo ben oliato di morte in cui si nasconde tutta la bruttezza del mondo contemporaneo. Questo non significa che in carcere non ci siano minoranze di persone che hanno la dignità come bussola e con cui puoi costruire rapporti amichevoli o politici. Tornando alla parte principale della domanda, credo che in questa prova non devi mai dimenticare il cammino verso il tuo obiettivo e la dedizione alla causa comune. Mai pentiti, mai a testa bassa, per sempre pericolosi per la cultura della schiavitù e della sottomissione. Per questo anche la lotta anarchica in carcere può trovare sbocchi e aprire strade per diventare pericolosa per il nemico. Con testi e analisi, con piccoli e grandi rifiuti quotidiani, con gli scioperi della fame, con la lima tra le mani, il filo dell’insurrezione anarchica continua a essere tessuto se nei nostri cuori continua a bruciare la fiamma della sovversione. In questo senso, il carcere è un terreno di scontro per promuovere la lotta sovversiva e l’anarchia.

Fonte: hitandrun.gr

Traduzione di AteneCalling.org

AD ATENE IL FRONTE DEL NO TORNA IN PIAZZA

A quanto pare, la Grecia, dopo aver vinto una battaglia, si prepara a perdere la guerra. A una settimana dalla vittoria referendaria, il governo greco di Alexis Tsipras cede al ricatto del gigante tedesco preparandosi a pesanti riforme in cambio di aiuti. Già da ieri il popolo greco è tornato a scendere in piazza per protestare contro questo accordo.  Forse il governo  greco sta tradendo il suo popolo o forse la Grecia è stata lasciata sola da parte di altri paesi europei che avrebbero potuto costituire una coalizione antitedesca, per esempio la Francia. Comunque sia il fronte del No all’austerity, del No alla troika si sta preparando per una mobilitazione europea prevista per domani, termine ultimo per l’approvazione delle riforme.
Staremo a vedere come il popolo greco e i solidali di tutta Europa faranno sentire la loro voce per un No alla resa.

D. Q.

 

  • 14 Lug 2015 12.34

Ad Atene il fronte del no torna in piazza

Il 13 luglio, dopo che Atene ha trovato un accordo con i creditori a Bruxelles, i cittadini sono tornati in piazza Syntagma per esprimere dissenso rispetto all’intesa. “L’Europa ci umilia”, hanno affermato i manifestanti che hanno criticato Alexis Tsipras per la sua decisione di firmare il piano.

Tra i partecipanti alla manifestazione il sindacato del pubblico impiego, Adedy, che ha indetto uno sciopero di 24 ore per il 15 luglio, quando il parlamento dovrà votare le nuove misure di austerità concordate con l’eurozona.

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/video/2015/07/14/atene-proteste

 

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Cosa resta dell’Europa?

L’Eurosummit si chiude con la vendetta della Germania nei confronti di Atene. Entro mercoledì nuova tranche di riforme “lacrime e sangue” e poi via alle privatizzazioni in cambio degli aiuti economici. Dopo la trattativa di questa settimana molte cose non saranno più come prima

Dopo diciassette ore di trattative l’Eurosummit si è chiuso con un accordo che avrà probabilmente conseguenze devastanti. Un pacchetto di aiuti che si aggira tra gli 82 e gli 86 miliardi di euro verrà stanziato per un periodo di tre anni a favore della Grecia, se e solo se in questa settimana la Grecia approverà un pacchetto di riforme enormi. Perciò il parlamento di Atene è chiamato a votare entro il 15 luglio, cioè meno di tre giorni, su: la riforma delle pensioni, del fisco – comprensiva dell’innalzamento dell’IVA – l’autonomizzazione dell’istituto nazionale di statistica e la piena applicazione del Fiscal Compact, che prevede, tra le altre cose, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. Entro il 22 luglio si dovrà riformare il codice civile e applicare pienamente la direttiva sulle crisi bancarie (Brrd).

Una volta approvate queste riforme e quindi ristabilita “la fiducia” dei creditori nei confronti del governo greco, l’Eurogruppo potrà dare il suo via libera per il Memorandum of Understanding, che dovrà essere votato in seguito, secondo le procedure dei singoli stati, da almeno sei parlamenti nazionali, tra cui – chiaramente – il parlamento tedesco. “Al fine di costituire la base per una conclusione di successo del protocollo d’intesa, l’offerta greca di misure di riforma deve essere seriamente rafforzata (…). Il governo greco deve formalmente impegnarsi a rafforzare le proprie proposte in un numero di aree identificate dalle Istituzioni”, con tempi chiari, obiettivi precisi, standard di riferimento e ispirandosi alle buone pratiche europee (traduzione nostra). Cosa bisogna “riformare”? E’ necessaria un’ “ambiziosa” riforma delle pensioni, una piena liberalizzazione del mercato dei beni e servizi (ex: farmacie, traghetti, aperture la domenica…), privatizzazione della compagnia elettrica, “una rigorosa revisione e modernizzazione del mercato del lavoro”, in particolare per ciò che riguarda la contrattazione collettiva e le misure industriali, rafforzare il sistema finanziario, eliminando qualsiasi possibilità di interferenza politica nel sistema bancario.

A queste riforme si aggiunge la costituzione di un fondo di 50 miliardi che si occuperà di gestire un massiccio processo di privatizzazione. Gli assets – o meglio i beni pubblici – considerati “valuables” verranno trasferiti a questo fondo che si occuperà di “monetizzarli” attraverso la loro vendita al migliore offerente. I fondi così ricavati verranno utilizzati per ripagare una parte del prestito triennale, per ammortizzare una parte del debito pubblico e per investimenti per far “ripartire l’economia”. Il fondo avrà sede in Grecia, e non in Lussemburgo come inizialmente previsto, e verrà gestito dalle istituzioni greche, sotto la supervisione delle Istituzioni europee. Ovviamente sono presenti minacciose clausole di salvaguardia, quali anche noi ben conosciamo.

Durante i negoziati la Grecia aveva costruito la propria linea di difesa attorno a quattro punti principali: il rifiuto della partecipazione dell’FMI al terzo programma di aiuti, l’opposizione al fondo per le privatizzazioni, la ristrutturazione del debito, la garanzia di liquidità alle banche. Soltanto sull’ultimo punto – stando al tenore delle dichiarazioni di queste ore – il governo greco sembra essere riuscito a strappare qualcosa, per il resto – a parte il trasferimento del fondo per le privatizzazioni dal Lussemburgo ad Atene – il governo Tsipras è stato costretto a capitolare. La stessa discussione attorno alla ristrutturazione del debito è presente nel testo dell’accordo in termini molto vaghi.

Durante il negoziato, come riporta questa infografica del Guardian di ieri, lo schieramento dei “falchi” dell’austerity, con a capo la Germania, ha portato fino in fondo il progetto ordoliberale europeo: o la Grexit o la capitolazione della Grecia. In entrambi i casi la Germania avrebbe vinto. I termini in cui si sono svolte le trattative e il contenuto stesso dell’accordo fanno emergere in piena luce un progetto di Europa costruito attorno a un blocco tedesco, forte di una maggioranza schiacciante all’interno dell’Eurosummit. La stessa proposta avanzata negli ultimi giorni dal ministro Schäuble sulla possibilità di una Grexit “a tempo” chiarisce la posizione della Grosse Koalition tedesca sul futuro dell’Europa. Se, come sosteneva Varoufakis nei scorsi giorni, l’eurozona è qualcosa di più di un’area a cambi fissi, ma è qualcosa di meno di uno entità statale, è altrettanto vero che il ricatto tedesco in questi giorni si è basato proprio sulla possibilità della Germania di aggredire i capitali ellenici in caso di uscita della Grecia dall’euro. Un’alternativa tra default e austerity che poteva essere rotta solo attraverso la costituzione di un fronte antitedesco al tavolo del negoziato, con la Francia in prima fila. Tutto ciò non è avvenuto e la scommessa di Tsipras sulla trattativa si è rivelata perdente.

Ora il parlamento greco dovrà votare questo pessimo accordo uscito dall’Eurosummit, lo scenario più probabile è che Syriza si divida e una parte voti contro, aprendo di fatto una crisi di governo cui potrebbe seguire la prospettiva di un governo di unità nazionale o addirittura le elezioni anticipate. In ogni caso, un’eventuale crisi di Syriza rappresenterebbe per la Merkel la ciliegina sulla torta. Diverso effetto, soprattutto in vista di elezioni anticipate e di un ricompattamento della sinistra radicale, potrebbe avere un clamoroso gesto di dimissioni di Tsipras al primo rilancio ricattatorio della trojka.

Di fatto sappiamo chi pagherà: i precari, i disoccupati, i lavoratori e un paese pauperizzato e umiliato. Non possiamo negarlo, questo accordo rappresenta una forte battuta di arresto alla possibilità di ridisegnare lo spazio europeo. Il potere economico tedesco ha utilizzato tutto il suo potere di ricatto, ma il più grande merito del governo greco è stato far emergere con forza esplosiva le contraddizioni dell’UE. La vittoria dell’#Oxi della scorsa domenica è stata innanzitutto l’apertura di uno spazio per riprendere in mano la decisione politica, ed è ancora questa la sfida che abbiamo di fronte: comprendere qual è lo spazio e la scala per poter tornare a decidere. In Grecia sono previste manifestazioni già oggi pomeriggio, mentre mercoledì è stato annunciato uno sciopero del settore pubblico, e sta circolando l’appello per una mobilitazione europea nei prossimi giorni. Lo spazio di mobilitazione sociale aperto dal referendum non è chiuso e chi ha votato “no” vuole rimanere in piedi. Su ciò che resta dell’Europa.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/cosa-resta-delleuropa

GREFERENDUM: VITTORIA DEI NO. IL POPOLO FESTEGGIA A PIAZZA SYNTAGMA

Oggi è una giornata storica, non solo per la Grecia ma per tutta l’Europa. Quello che è appena accaduto in Grecia non è solo una lezione di democrazia da parte della terra in cui la democrazia è nata. No, quello che è accaduto a Atene con questo referendum è anche una lezione di coraggio. Il popolo greco ha decido di dire di no all’austerity, di no ai ricatti della troika, di no a questa Europa.
In questi momenti molti si lamentano per la corsa a salire sul “carro del vincitore”, da parte di chi non aveva mai appoggiato prima il neogoverno di Alexis Tsipras. Non me ne vogliano costoro se io, pur riconoscendo il suo merito di aver indetto questo referendum (senza il quale non ci sarebbe stata questa scelta) preferisco porre l’attenzione sul popolo, com’è nel mio sentire.
Onore al popolo greco! No all’austerity! No alla troika!

D. Q.


Da

Drone captures thousands celebrating on Athens’ Square

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Atene, the day before

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Ci sono luoghi nel mondo dove la Storia sembra scorrere a un ritmo lento e rilassato. Ci sono cittá che cambiano verso l’alto, nella skyline, o sotto la scorza di una monotonia che si ripete.

Poi c’é Atene. Atene che cambia dentro. Atene della crisi, che ogni volta ti regala un dettaglio inedito, dietro cui si nasconde un significato piú grande, che a volte sfugge, a volte é chiaro. I ragazzini con le divise addosso e le armi in mano ad ogni angolo di Exarcheia, dopo la rivolta di dicembre 2008. I marmi divelti dei palazzi delle strade che confluiscono a Syntagma, a partire dal 2010. Centinaia di tossici che assediano il perimetro di Exarcheia, a ridosso delle elezioni di giugno 2012. Criminali robusti e vestititi di nero che minacciano con lo sguardo e con le mani, che torturano e uccidono, dopo l’ingresso in Parlamento dei loro camerati. L’entusiasmo inquieto e l’attesa preoccupata dopo la caduta dell’ennesimo governo, poche ore prima che la speranza dell’alternativa diventi fatto concreto.

Oggi Atene regala l’immagine di una cittá sospesa e divisa. Le macchinette della metro sono coperte da un cartello: ‘I trasporti pubblici sono gratuiti fino a nuova comunicazione’. Gli OXI e i NAI si alternano a singhiozzo sui manifesti che coprono i pali e i muri del centro e sulle copertine dei giornali esposti in ogni Periptero [edicole a chiosco, nda]. Nei bar affollati si legge, la carta stampata o le schermate degli smartphone, e si discute.

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Questa é Atene, il giorno prima che la Storia si affacci di nuovo in cittá. Questa é Atene, il giorno dopo le piazze di chiusura della campagna referendaria. Piena quella per il sí. Strabordante, commovente, da brividi quella per il no.

Se gli ultimi giorni avevano segnato una tendenziale rimonta di chi si diceva disposto ad accettare un nuovo memorandum, l’impressione (forse, la speranza) é che la giornata di ieri possa aver invertito questa direzione. Certo é impossibile fare previsioni o avere il polso della situazione. Almeno ad Atene, peró, potrebbe essersi aperta una breccia nel muro di paura cementificato dalla Troika, dalle multinazionali, dai padroni. La capitale, dove vivono la metá degli elettori greci, ha dato una risposta impressionante circondando e inonando Syntagma, mentre Alexis Tsipras teneva il discorso conclusivo.

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Una prova non scontata. Una risposta a chi sta praticando un colpo di Stato non convenzionale. Non con i carrarmati e le armi spianate, senza colonnelli, ma con il blocco della liquiditá alle banche, con le minacce di non pagare gli stipendi e di licenziare in massa, con mille ricatti grandi e piccoli, degni solo dell’arroganza di chi ha affamato il Paese, lo ha costretto al suicidio, lo ha indebitato, ma non é ancora sazio. Ci vorrá grande coraggio e un’infinita dignitá per votare No domani. Non sará certo facile con la pistola alla testa puntata dal fronte pro-austerity.

Intanto, intorno al Greferendum i fronti che si scontrano oggi in Europa e per l’Europa stanno assumendo maggiore concretezza e diventano visibili a un largo pubblico. Da un lato, troviamo chi vuole cancellare qualsiasi prerogativa democratica e distruggere lo Stato sociale e i diritti conquistati dalle lotte. Chi lavora quotidianamente per trasformare il vecchio continente, e in particolare la sua area mediterranea, in una riserva di lavoro a basso costo o gratuito, senza potere contrattuale. Chi spende miliardi per escludere migranti e rifugiati, per costringerli a morire al di lá del mare e delle frontiere. Chi non puó tollerare che agli interessi dei mercati finanziari e delle élite globali si contrappongano politiche differenti, in fondo neanche troppo radicali e comunque legittimate formalmente da un mandato popolare.

Dall’altro lato, peró, c’é un popolo europeo che lentamente, a fatica, sta alzando la testa, cercando di consolidare ed espandere l’incompatibilitá con i diktat neoliberali, con il disprezzo della vita e della democrazia delle istituzioni finanziarie. Lo sciopero europeo del 14 novembre 2012, l’intenso percorso di Blockupy culminato nell’assedio all’Eurotower, l’emersione in diversi Paesi di partiti radicali e anti-austerity, l’esperienza greca in tutta la sua complessitá, gli scontri e i fuochi che dall’inizio della crisi sono scoppiati nelle principali metropoli, fino alle decine di piazze europee di ieri, riempite da migliaia di persone nel silenzio generalizzato dei media di regime.

Questa grande mobilitazione per il No merita un breve approfondimento. Innanzitutto bisogna sottolineare l’importanza della lettura europea di questa consultazione refendaria, che comunque rimane su base nazionale. Le piazze di ieri e le azioni di questi giorni raccontano una crescente capacitá di interpretazione della fase politica e della spazialitá che le é propria. La consapevolezza che il risultato del voto greco riguarda il futuro di tutti i cittadini europei ha travalicato i circoli dei militanti politici da piú tempo impegnati nella costruzione di dinamiche politiche transnazionali. Inoltre, un altro merito di queste piazze é quello di aver contribuito a smascherare la sistematica produzione di menzogne dei centri di potere finanziario e delle istituzioni europee. Stanno raccontando che il No é un voto contro l’Europa, eppure ieri é stata proprio l’Europa che in maniera compatta ha votato No nelle strade: neppure una piazza si é riempita a sostegno del Sí!

Allora diciamo le cose come stanno. La scelta non é pro o contro l’Europa. La scelta é pro o contro quest’Europa. L’Europa del debito, dei ricatti, dello schiavismo, del razzismo, oppure un’Europa in cui ci sia spazio per l’alternativa, per i diritti del lavoro e per i diritti sociali, per l’autodeterminazione, per i movimenti sociali e per una democrazia che va necessariamente radicalizzata. La questione dell’euro é solo una parte di questo tema piú ampio e decisamente piú importante. Di sicuro non si puó pensare di sacrificare la possibilitá dell’alternativa sull’altare della moneta unica e dei ricatti ad essa connessi!

Comunque vada, siamo alla resa dei conti: il nemico vuole colpire SYRIZA e il popolo greco per educare, scoraggiare, sfiancare tutti coloro che in questi anni si sono opposti all’austerity e al progetto di autoritarismo finanziario della Troika e delle istituzioni europee. Da domani, in ogni caso, niente sará come prima. Da domani, in ogni caso, ci sará maggiore bisogno di un movimento europeo reale e di rotture che dal basso e dall’alto facciano male al nemico.

di Giansandro Merli

 

Fonte:

http://atenecalling.org/atene-the-day-before/

 

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Cosa succede, cosa succede in città? Impressioni dalle strade di Atene

supa-500x330Atene, in questi giorni è una città calviniana, invisibilmente presa nei suoi percorsi simbolici, nelle sue linee insieme concrete ed effimere, attraversata dal dubbio. Ma chi sono i protagonisti di questa storia, che non fanno che apparire confusi ai lettori…