Omicidio giudice Scopelliti, l’Antimafia: faremo la nostra parte

Antimafia a commemorazione giudice Scopelliti

«Non possiamo rassegnarci al fatto che il delitto Scopelliti resti un delitto perfetto. Senza mandanti e senza esecutori. La Commissione parlamentare antimafia, anche questa volta, è pronta a fare la propria parte». Lo ha detto Rosi Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia a Campo Calabro, in occasione del ricordo del magistrato calabrese, assassinato in un agguato mafioso il 9 agosto 1991 . «Siamo qui – ha aggiunto Bindi – anche per chiedere che, dopo 23 anni, si possa provare ad affermare la verità. Siamo intanto accanto a Rosanna, a questi giovani e a tutte le istituzioni della Calabria perché si è rotto l’oblio. Oggi si ricorda. Non si ha paura di parlarne. Spesso si negano mandanti ed esecutori perché si vuole negare l’esistenza delle mafie. Questo non avviene più ed è un grande passo in avanti». Presente anche la figlia del giudice Scopelliti, Rosanna, oggi parlamentare e membro della stessa commissione Antimafia: «Mi emoziono ogni anno – ha detto Rosanna Scopelliti – per partecipare ad una memoria che per troppi anni è stata un po’ ferma e trascurata ma che oggi cammina sulle gambe dei calabresi onesti, dei giusti che papà non lo hanno mai dimenticato e che oggi hanno il coraggio di dire di essere contro la ‘ndrangheta e ammettere che la ‘ndrangheta c’è e ha ammazzato il giudice Scopelliti. Mio padre – ha proseguito Scopelliti – non è un eroe ma un martire di questa terra ed il mio più grande rammarico è che non ci sia stata ancora verità e giustizia su questo delitto».

Fonte:

Il triangolo chimico delle Bermuda

30 luglio 2014 – 16:13

bermuda

Alcuni anni fa la BBC, volendo dimostrare che le teorie sul Triangolo delle Bermuda sono una leggenda metropolitana, ha cominciato a raccogliere i dati sulle sparizioni di navi nelle zone marittime di diverse parti del mondo.

La conclusione è stata che ci sono decine di siti con livelli molto più elevati di incidenti nautici.

Un’indagine più attenta avrebbe mostrato che il triangolo più “misterioso” non è quello in Florida, ma nel tratto di mare tra l’Italia, la Grecia e le coste dell’Africa.

Questo è il “Triangolo Mediterraneo delle Bermuda”, dove la ‘ndrangheta calabrese per decenni avrebbe affondato navi che trasportavano rifiuti tossici e radioattivi.

Anche se meno noto al grande pubblico, rispetto a “Cosa Nostra” siciliana e alla “Camorra” napoletana, la ‘ndrangheta calabrese era il più forte sindacato del crimine nell’Italia degli anni ’90.

Con un fatturato superiore a quello della FIAT, la ‘ndrangheta è sospettata della “scomparsa” di almeno 30 navi con rifiuti tossici che altrimenti dovevano essere smaltiti con costosi processi, e che saranno un pericolo per l’ambiente.

Non è esagerato pensare che queste azioni illegali hanno avuto anche un ruolo geopolitico in un’area che si estende dalla costa Italiana del Mediterraneo al Corno d’Africa.

L’esempio più eclatante è stata la Somalia. Gli sforzi dei pescatori locali per evitare l’affondamento di sostanze tossiche nei pressi delle loro coste, con la creazione di gruppi di autodifesa armata, a poco a poco hanno portato al fenomeno della pirateria.

Il circolo vizioso è evidente: la Somalia, è rimasto nel caos dopo l’intervento americano nel 1993, è diventata facile preda delle mafie italiane, generando in risposta il fenomeno della pirateria e quindi nuovi interventi e bombardamenti americani con il pretesto di trattare … la pirateria.

Nelle ultime settimane, però, il “Triangolo Mediterraneo delle Bermuda” è tornato di attualità. Questa volta non per inghiottire vecchie e rugginose imbarcazioni della mafia italiana, ma per la presenza di navi più moderne della Marina degli Stati Uniti e di altri paesi che accompagnano la famosa «Cape Ray», che porta a bordo tonnellate di Armi Chimiche Siriane.

Essi sono “criminali in segreto”, ha detto il Prof. Pissias, leader dell’organizzazione “Free Mediterraneo”, partecipando alla manifestazione contro l’idrolisi.

Giovedi 24 Luglio in una conferenza stampa congiunta a organizzazioni e istituzioni coinvolte nella protesta in mare a Chania, il Prof. Pissias ha parlato di “governi tossici” e “regimi tossici”, e collega il caso con il dramma costante dei Palestinesi a Gaza.

Non è un caso che l’iniziativa “Free Mediterraneo” partecipa con la leggendaria imbarcazione “Agios Nikolaos” che forzò per la prima volta, nel 2008, l’assedio israeliano di Gaza.

E’ ironico constatare che la Cape Ray ha ricevuto il carico tossico nel porto di Gioia Tauro (l’antica Metauros), porto di cui si sono servite le organizzazioni criminali italiane per allestire le navi tossiche che oggi giacciono nel fondo del Mediterraneo

Questa volta, tuttavia, non saranno i rifiuti tossici che porteranno sviluppi geopolitici, come nel caso della Somalia, ma gli sviluppi geopolitici che ripristineranno lo stato di tossico al Mediterraneo.

E mentre i responsabili dell’Idrolisi continuano a ripetere che non vi è alcun rischio, le condizioni di assoluta segretezza imposte sin dall’inizio sembrano simili alla omertà delle mafie italiane, nonostante siano coordinate da organismi internazionali e supervisionate dalle Nazioni Unite.

Anche se non ci saranno incidenti, il processo sperimentale di Idrolisi è solo il primo passo alla riconversione del Mediterraneo in discarica.

fonte : www.efsyn.gr/?p=220521

[ndr] per approfondire il contenuto del post si consiglia la lettura delle informazioni redatte e gestite da Legambiente sul sito : www.navideiveleni.it

 

Tratto da http://www.sosmediterraneo.org/triangolo-chimico-bermuda/

Era il 24 luglio 2011. Ad Alessandro fu sparato un lacrimogeno in faccia.

Dal profilo Facebook di Simonetta Zandiri,attivista No Tav:

 

Era il 24 luglio 2011. Ad Alessandro fu sparato un LACRIMOGENO in FACCIA. Sparato con il lanciagranate, GL-40, uno di quelli con PROPULSORE INTERNO. Se non avesse avuto la mascherina “da verniciatore” forse non sarebbe vivo. IO NON DIMENTICO. Sono passati 3 anni e NON DIMENTICO.
Fu dimesso dall’ospedale Molinette il giorno dopo, trasferito da Susa. Fu dimesso con la faccia che CADEVA A PEZZI, “si riaggiusta”, gli dissero. Tutti d’accordo. OMERTOSI, anche i medici. Qualche giorno dopo lo portai al San Luigi, perché stava ancora male. Videro i referti, telefonarono ai colleghi poi ci dissero “TUTTO A POSTO, SI RIAGGIUSTA”. OMERTOSI.
Fu solo grazie ad un’amica che il 17 agosto fu ricoverato e operato al maxillo-facciale. E non è finita.
Questa storia è complicata, intervengono anche i fantomatici messaggini anonimi che partono dall’email di massimo numa. Misteri archiviati dalla Procura di Torino, insieme a tanti altri. Ma non ho bisogno della procura per conoscere la verità.Ecco quello che scrissi nella notte del 24 luglio:
Hanno di nuovo sparato ad altezza d’uomo per uccidere.

Nella valle che resiste un uomo che decide di stare al posto giusto, nel momento giusto, diventa l’uomo sbagliato nel momento sbagliato, nel luogo peggiore. Era giusto esserci, oggi, insieme a chi ha scelto di indossare il cappello degli alpini e passeggiare al di là delle reti di un cantiere che non c’è. Ed era giusto esserci, questa sera, per partecipare all’evento NO TAV = NO MAFIA organizzato per ricordare Borsellino, Falcone e tutte le vittime della mafia, inclusi gli uomini e le donne della scorta che per lottare contro la mafia hanno perso la vita. Al contrario di chi, oggi, ha ancora una volta attaccato cittadini disarmati, sparando NON per allontanarli per effetto dei gas lacrimogeni (peraltro tossici, al CS), ma con il preciso intento di COLPIRLI con i proiettili, troppo spesso sparati ad altezza uomo, puntando non tanto chi si avvicina al cancello, ma chi si avvicina con una fotocamera o una telecamera in mano. Già, perché di questo hanno paura più che di una pietra, di chi si “arma” di pericolose videocamere e poi è pronto a raccontare la verità, quella che non sentirete a nessun TG.
La verità è che non è stato possibile commemorare le vittime della mafia, non è stato possibile ricordare i nomi di Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo, Eddie Walter, uccisi per mano della mafia e schegge deviate di quello stato che con la mafia aveva scelto di venire a patti piuttosto che combatterla. A.L., Valsusino doc over 45, come tutti noi, voleva tenere viva la memoria di questi uomini e queste donne, ricordandoli nel luogo dove oggi un’intera popolazione resiste e lotta contro l’ennesima grande opera inutile e devastante che vogliono imporre con la forza per favorire gli interessi di pochi, consapevoli e noncuranti dell’altissimo rischio di infiltrazioni di mafia e ‘ndrangheta.

Alle 19:45 stava preparando, insieme ai compagni di Resistenza Viola, il materiale per allestire la videoproiezione del film “IO RICORDO” davanti alla centrale, poiché era previsto di estendere l’invito anche alle forze dell’ordine, alle quali avremmo regalato alcune Agende Rosse. Poi gli spari, alcuni lacrimogeni arrivano nell’area tende ed è il caos. A.L. ha già vissuto quella scena, lo sgombero, il 3 luglio, le notti… è pronto, indossa la maschera antigas, gli occhialini e corre nella zona dove si stava recando per preparare l’evento, tiene in mano la macchina fotografica per documentare ed è pronto ad aiutare chi ne avesse bisogno. Raggiunge il ponte tra una marea di gente che corre, occhi gonfi, tosse, qualcuno sembra disorientato. C’è molto fumo, troppo per capire da dove stanno sparando, quasi una coltre di nebbia. A.L. tenta di filmare e, poco prima di essere colpito al volto riesce a filmare il lancio di un lacrimogeno che parte, presumibilmente, dai mezzi mobili, quelli che hanno montati dei piccoli “cannoni” usati soprattutto per lanciare lacrimogeni a lunghe distanze. Ma qui parliamo di 20, forse 30 metri. Con quei mezzi, infatti, stavano sparando NON SOLO nell’area tende, ma anche sui NO TAV che ancora resistevano nella zona del ponte, a pochi metri dal cancello dietro il quale erano fermi i blindati. UN SECONDO è il tempo impiegato dal colpo che dal blindato raggiunge il ponte. Poi il video s’interrompe. A.L. viene colpito in pieno volto pochi secondi dopo, la maschera distrutta, il colpo è talmente forte da farlo cadere a terra. Alcuni compagni lo aiutano a sollevarsi e allontanarsi, ha il volto coperto di sangue, è confuso, non riesce a parlare. Raggiunge l’area tende dove subito arrivano alcuni medici presenti alla manifestazione e gli prestano le prime cure, la situazione è grave, naso e mascella sono gonfi, perde molto sangue, ha lacerazioni interne, sotto il palato, viene portato in auto al pronto soccorso di Susa.
Arrivato al pronto soccorso i medici, vista la gravità della situazione, lo sottopongono ad una TAC, che rivelerà fratture multiple a naso, mascella, lacerazioni profonde che vengono suturate immediatamente, ma la prognosi resta riservata, in attesa di trasferimento al reparto di chirurgia maxilo facciale di un ospedale di Torino, dove verrà sottoposto ad intervento chirurgico.

Doveva essere una giornata colorata, pacifica, resistente ancora una volta all’insegna della non violenza che da sempre contraddistingue le azioni del movimento NO TAV. Ma la frangia violenta ha agito ancora, presumibilmente usando nel modo peggiore (sparando a distanza troppo ravvicinata) un’arma che avrebbe lo scopo di allontanare le persone per effetto dei GAS e non per la spinta dei PROIETTILI! In questo modo la frangia violenta è quella in divisa, l’ingiustizia è coperta ancora una volta da una legalità svuotata ormai di ogni significato, se non quello di garantire l’impunità a chi commette forse la peggiore delle violenze, perché di questo si tratta quando un esercito armato fino ai denti spara a cittadini disarmati. La macchina del fango ha continuato per giorni nell’azione preventiva di costruire quanto oggi è accaduto, parlando di “infiltrati” reduci dalle manifestazioni per il decimo anniversario del G8 di Genova, oltre ai black bloc dei quali si continua a parlare, ma che nessuno evidentemente è in grado di identificare e arrestare (sarà che sono sempre un’invenzione?), quindi dovevano agire, dovevano creare gli scontri e l’hanno fatto prima del solito. Perché le altre sere attendevano una certa ora, ma questa volta no: hanno gasato il campeggio, dove c’erano anche anziani, donne e bambini, tra le 19:30 e le 20:00, annullando così gli eventi previsti, perché nella valle che resiste non si può dire che NO TAV = NO MAFIA!

Dall’ospedale A.L. manda un messaggio a tutti: “non mollate, ragazzi. Non molliamo. Resistere! Resistere! Resistere!”. Uno dei medici che lo ha accolto al pronto soccorso ha semplicemente detto, dopo averlo esaminato “Lo stato è morto, la democrazia è morta, ma te ne rendi conto solo quando vedi queste cose”. Queste cose noi non vogliamo più vederle. Abbiamo il diritto di conoscere le regole d’ingaggio, e di sapere chi ha ordinato di sparare sulle persone (altezza uomo) da quei blindati, con una potenza che ha rischiato di UCCIDERE perché avrebbe potuto finire così se A.L. fosse stato, come tanti, sprovvisto di maschera. Sappiamo che gli uomini in divisa hanno filmato tutto, sta a loro identificare esecutori e mandanti, inclusi i responsabili politici. Perché ancora una volta è stata ridotto ad una questione di ordine pubblico un problema che ha a che fare con la democrazia, con il fallimento della politica, con uno stato assente. Ora è giusto che nelle forze dell’ordine sia avviata un’inchiesta ed è tempo che la politica torni ad affrontare la questione che da 22 anni non trova soluzione. E’ tempo di riportare il tema sul piano politico, dove da sempre avrebbe dovuto essere affrontato democraticamente. La Valsusa è pronta, ma non chiedeteci di ascoltare, o di discutere “come” accettare quest’opera inutile e devastante, e non tentate di farcela digerire spostandola in Liguria perché il messaggio è sempre stato forte e chiaro: né qui, né altrove.
E’ arrivato il momento di fare allontanare le truppe e riaprire il dialogo. La Valsusa è pronta a spiegare le ragioni del NO, come lo è gran parte degli italiani.
Perché i sogni non si distruggono con i lacrimogeni. Neanche sparandoli in faccia.
Sans pitié, mon ami. Résistance.

Qui l’intervista fatta questa notte alle 01:00 ad A.L. in ospedale: http://www.youtube.com/watch?v=-joCay544Ms&feature=player_embedded

Fonte:

Oppido Mamertina: processione della Madonna con inchino al boss

Published On: lun, lug 7th, 2014

 

Il cognome “Mazzagatti ha un ceppo nel teramano ed uno nel messinese e  dovrebbe derivare da soprannomi scherzosi originati forse da episodi particolari o dalla spacconeria del capostipite”…questo ho trovato in merito nel web, anche se in italiano chi ammazza i gatti non è solo uno spaccone, anche se la regione implicata è la Calabria e per precisione il comune è quello di Oppido Mamertina. Si è reso omaggio una volta ancora ai boss delle varie cosche mafiodelinquenziali e sono centinaia le occasioni pubbliche in cui si è perpetrato questo sacrilegio…: si inchinano anche  i santi e la Madonna nelle processioni delle feste patronali. E’  accaduto  a “Oppido Mamertina, cittadina di faide e di morti ammazzati diNdrangheta“,  che durante la processione della Madonna delle Grazie,  i carabinieri abbiano  improvvisamente abbandonato la funzione religiosa, perchè la statua della Vergine, preceduta da sacerdoti e da mezzo consiglio comunale, è stata fermata davanti al portone della casa del boss del paese, Giuseppe Mazzagatti,  capoclan 82enne condannato all’ergastolo per reati di mafia, agli arresti domiciliari. La notizia è girata velocemente , riportata dal Quotidiano della Calabria, facendo notare che la statua della Madonna delle Grazie, portata da numerose persone, era preceduta da alcuni sacerdoti e da un gruppo di amministratori locali, tutti rimasti al loro posto.Solo il maresciallo dei carabinieri Andrea Marino,  insieme ai suoi uomini, ha lasciato il corteo dopo aver assistito a quella scena: nessuno, infatti, tra le autorità civili e religiose presenti avrebbe fatto la stessa cosa.

 

C’è stato per la verità, il vescovo antimafia Giuseppe Fiorini Morosini che recentemente aveva chiesto di sospendere per dieci anni la figura dei padrini nei battesimi e cresime.

 

Ma chi è questo Mazzagatti di 82 anni a cui è stato fatto omaggio, rimbalzato alla cronaca? “Agli inizi degli anni settanta, infatti, Giuseppe Mazzagatti, dopo anni dedicati alla vendita della frutta con un piccolo camion, in supporto perlopiù dell’attività di fruttivendolo del padre, avvia l’attività di trasporto del cemento su strada. L’uomo fu coinvolto anche nell’omicidio di un autotrasportatore con il quale aveva avuto contrasti per il predominio nel settore del trasporto del cemento su strada. Mazzagatti, dopo alcuni anni, riuscì ad acquistare un autocarro e successivamente un autocementiera ed iniziò ad esercitare l’attività in regime di monopolio. Nel 1980 il Tribunale di Vibo Valentia condannò Peppe Mazzagatti ed il fratello Carmelo, per il reato di estorsione ai danni degli autotrasportatori di cemento che rifornivano diversi imprenditori della zona. Mazzagatti, infatti, vantando una amicizia con Giacomo Piromalli riuscì ad imporre agli autotrasportatori di astenersi dall’effettuare carichi di cemento destinati ai cantieri per i lavori della strada Rosarno – Gioiosa Jonica, costringendo l’azienda produttrice di cemento a rivolgersi direttamente a lui per la fornitura del materiale.Il presunto boss, condannato all’ergastolo per omicidio ed associazione mafiosa, è ritenuto uno dei principali protagonisti della faida tra le cosche della ‘ndrangheta di Oppido Mamertina verificatasi negli anni ’90. Nel 1993 gli uccisero in un agguato mafioso il figlio Pasquale, di 33 anni. Nel 2003, dopo una lunga detenzione in carcere, ha ottenuto gli arresti domiciliari per motivi di salute e per la sua età.”

 

 

Alla parola ‛ndrangheta, su Wikipedia, l’enciclopedia libera, risulta: “La ‛ndràngheta [‘ndraŋgeta] (o Famiglia Montalbano, Onorata società, la Santa e Picciotteria) è un’organizzazione criminale italiana di connotazione mafiosa originaria della Calabria.La ‘ndrangheta si è sviluppata a partire da organizzazioni criminali operanti nella provincia di Reggio Calabria, dove oggi è fortemente radicata, anche se il potere mafioso è in forte espansione nelle province di Vibo Valentia, Catanzaro, Crotone e Cosenza.Oggi la ‘ndrangheta è considerata tra le più pericolose organizzazioni criminali del mondo con un fatturato che si aggira intorno ai 53 miliardi di euro, con numerose ramificazioni all’estero (dal Canada all’Australia e nei paesi europei meta dell’emigrazione calabrese)Secondo le forze dell’ordine, in Calabria sono attualmente operanti circa 155 famiglie chiamate ‘ndrine che affiliano circa 6.000 persone dedite ad attività criminali, legate quasi sempre tra loro da vincoli familiari.Secondo una indagine demoscopica del 2013 in Calabria operano 141 ‘ndrine di cui 122 anche nel resto d’Italia, in particolare Piemonte, Liguria, Lazio e Lombardia, e 113 nel mondo. Tra quelle di caratura internazionale se ne segnalano 19 in Australia, 14 in Colombia, 13 in Germania e 10 in Canada ed alcune opererebbero anche in Thailandia, Antille olandesi e Togo.Nella regione Calabria la ‘ndrangheta svolge un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi che sul ruolo economico attualmente raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro sporco. Attività questa, che le ha permesso di controllare ampi settori dell’economia dall’impresa al commercio e all’agricoltura, spesso con una forte connivenza di aree della pubblica amministrazione a livello locale e regionale di tutti gli schieramenti politici. La sua attività principale è il narcotraffico, seguita dalla partecipazione in appalti, condizionamento del voto elettorale, estorsione, usura, traffico di armi, gioco d’azzardo, traffico di esseri umani, e smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi. Secondo il rapporto Eurispes 2008 ha un giro d’affari di 44 miliardi di euro annui…”

 

La Dda di Reggio Calabria ha avviato un’indagine su quanto accaduto a Oppido Mamertina. Istintivamente  ho redatto  questo articolo, sapendo bene che fra pochi giorni, tutto tornerà come sempre, sotto le cupole e i cupoloni del malaffare e del silenzio.E qualcuno pagherà, caro molto caro, questa mancanza di “rispetto”.

 

Doriana Goracci

 
Fonte:

http://www.reset-italia.net/2014/07/07/inchino-processione-ndrangheta/#.U7rHprH4Uqh

 

EXPO 2015: CORRUZIONE, MAFIE, GRANDI EVENTI

 

 

 

 

Dopo l’ennesima inchiesta che ha travolto la gestione dell’Expo milanese del 2015, abbiamo fatto il punto della situazione con Roberto Maggioni, giornalista di Radio Popolare coautore del libro “Expopolis” (ed. Agenzia X).

 

Cosa emerge dall’ultimo giro di vite su Expo?

 

Se stiamo a quello che scrivono i magistrati antimafia milanesi emerge l’esistenza di una cupola per pilotare gli appalti di Expo 2015 e non solo. Dentro all’inchiesta c’è anche tutto il filone della sanità lombarda, il settore di cui più si è nutrito il ventennale sistema di potere formigoniano. Ora bisognerà capire chi siano i referenti politici di vecchi arnesi di tangentopoli rispuntati fuori, come il compagno G Primo Greganti e GianStefano Frigerio, entrambi reduci di quegli anni ma evidentemente con ancora una discreta voglia di sguazzare nel torbido. Il sindaco Pisapia ha sposato la tesi delle mele marce, altri parlano di sistema e nuova tangentopoli, poi ci sono i giustizialisti populisti.

 

Per quanto mi riguarda credo che al di là degli aspetti giudiziari che avranno il loro iter e sveleranno altre connessioni, una cosa importante da mettre in evidenza è l’esistenza di un “sistema Expo” fatto di appalti al ribasso, rincari record, extra-costi, poteri speciali. Un sistema a maglie larghe e di larghissime intese, dove in tanti hanno deciso di arraffare, fare affari, condizionare, scambiarsi favori, ridisegnare poteri. La spartizione è inscindibile dall’essenza del grande evento, che è inclusivo e accogliente pee tutti: la ricerca di un consenso totalizzante.

 

Prima dei reati ci sono le persone e chi sta governando Expo, a partire dal commissario Sala, potrebbe anche non essersi accorto che i suoi più stretti collaboratori si spartivano appalti e mazzette (difficile, ma tutto è possibile, in questo caso sarebbe forse inadatto a ricoprire quel ruolo) ma di sicuro ha firmato tutti i ribassi, i rincari e gli allentamenti dei controlli antimafia.

 

Commissari, gestione emergenziale, corruzione sembra una costante per quanto riguarda i grandi eventi…

 

I grandi eventi vivono di eccezionalità: quella raccontata e propagandata nell’accezione di “occasione unica” e quella del governo dell’eccezione, che apre percorse inediti di governo della cosa pubblica. Parola d’ordine derogare, forzare le maglie del diritto, il grande evento -in questo caso Expo- è a suo modo un evento abusivo, che si svolge in un contesto di illegalità diffusa, che per costruirsi ha bisogno di infrangere leggi e consuetudini. E’ la contraddizione di chi propaganda legalità e lotta alla criminalità da un pulpito poco credibile. Di più, il rispetto delle regole diventa un intralcio e rischia di rallentare la costruzione del’evento. I casi della Mantovani, della Maltauro, della CMC dimostrano che anche di fronte ad appalti assegnati in modo poco chiari, bisogna andare avanti e lasciare che il rito salvifico dell’Expo si compia.

 

D’altronde gli appalti sono diverse decine, i miliardi da incassare fino a 10, la possibilità di incidere anche sul post-evento e intessere relazioni nella ragnatela del grande evento sono una occasione troppo ghiotta.

 

Expo è lo shock che permette di fare quello che normalmente non si fa o si fa a rilento.

 

C’è davvero pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione di Expo 2015?

 

Parlare di infiltrazioni è riduttivo. La Lombardia è stata colonizzata dalla criminalità organizzata, in particolare dalla ‘ndrangheta. È organica a una parte importante dell’economia e condiziona la politica. L’inchiesta “infinito” del 2010 ha portato in carcere quasi 300 affiliati e anche l’inchiesta che ha pprtato agli arresti di giovedì su Expo nasce da una costola di “infinito”. Da stupidi pensare che le mafie possano stare fuori da Expo. Il grande evento ha una funzione acceleratrice e aggregatrice e le mafie stanno dentro questo schema.

 

Dal cantiere di Expo e da alcune opere collegate (soprattutto le nuove autostrade Pedemontana e Teem) sono state fin’ora interdette dalla Prefettura di Milano 33 aziende. Senza contare quelle che poi con un semplice ricorso al Tar sono rientrate al lavoro. Sempre sulle mafie segnalo che pochi giorni fa Expo Spa ha deciso di alzare la soglia del valore dell’appalto oltre cui far partire i controlli antimafia: da 50 mila a 100. La conseguenza, secondo me, sarà quella di una drastica riduzione dei controlli, perchè gli appalti grossi sono più legati alla criminalità imprenditoriale, i subappalti, dove lavora la mafia “tradizionale”, si frazioneranno ancora di più per stare sotto alla soglia alzata: tanti lavori sotto ai 100mila euro.

 

Expo e diritto alla città: come sta modificando l’area metropolitana milanese l’esposizione universale?

 

Expo è l’antitesi del diritto alla città: è un evento che non nasce dai bisogni reali di chi vive la città e i territori, è calato dall’alto e gioca sul brand della partecipazione senza praticarla, è un format chiuso condizionato dalle regole e dagli interessi del comitato organizzatore, il BIE (Expo è come un pacchetto turistico per la città che lo ospita: prendere o lasciare).

 

Lo spazio della politica è limitato, quello degli interessi privati ampio. Expo resuscita strada vecchie di 50 anni di cui nessuno sentiva il bisogno (Pedemontana) se ne inventa di nuove funzionali ai sei mesi dell’evento (Rho-Monza), propone al turista che arriverà una visione della metroregione lombarda falsa e falsata. E dal primo novembre 2015? Tutti morti? Il mondo finisce?

 

Non credo, ma se Expo si dipana nel tempo e ha una data di inizio e una fine, le conseguenze e le nocività di Expo no, resteranno e saranno usate ancora per un bel po’.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/expo-2015-corruzione-mafie-grandi-eventi

Per l’antimafia Scajola era la proiezione di Matacena. E l’ex ministro prometteva soldi a Chiara Rizzo

I magistrati della Dda sostengono che Scajola era la proiezione degli affari di Matacena ma per il gip le cose non stanno così e nega l’aggravante mafiosa. La Procura è pronta al ricorso. Intanto emerge dalle carte la promessa dell’ex ministro alla moglie di Matacena di 15 mila euro per una casa a Montecarlo
Per l'antimafia Scajola era la proiezione di Matacena<br /><br />
E l'ex ministro prometteva soldi a Chiara Rizzo
Claudio Scajola e Chiara Rizzo
REGGIO CALABRIA – Scajola «rappresenta la proiezione degli accordi e degli impegni assunti da Matacena». Questo il principio sostenuto dalla Dda di Reggio Calabria nella richiesta al gip di emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell’ex ministro e di altre sette persone per chiedere l’aggravante per avere agevolato la ‘ndrangheta. Richiesta che però non è stata accolta dal gip. Secondo il giudice, infatti, «manca un supporto indiziario idoneo a superare il mero dato congetturale secondo il quale lo Scajola rappresenta la proiezione degli accordi e degli impegni assunti dal Matacena: invero, anche se è emerso un coinvolgimento economico del primo negli affari dell’imprenditore, non emerge un interesse politico sovranazionale orientato a favorire, attraverso possibili ‘finanziamenti pubblici’ soggetti di vertice della ‘ndrangheta reggina». Una tesi contro la quale la Dda ha già predisposto un ricorso da presentare al tribunale del riesame.

La contestazione dell’aggravante è contenuta, scrive il gip, in una «integrazione alla richiesta di misura cautelare nella quale recepisce e riporta ulteriori elementi di prova a carico» degli indagati, «ricavabili dalla nota della Dia di Reggio nella quale si riportano elementi dai quali sono evincibili rapporti stabili del Matacena con la ‘ndrangheta, in particolare con la cosca dei Rosmini, utilizzati sia a fini elettorali sia nell’ambito di attività imprenditoriali interessanti sia Matacena che esponenti della ‘ndrangheta».
A detta del gip, però, «può affermarsi che mancano nel caso in esame elementi che depongano per l’idoneità oggettiva della condotta in ordine all’obiettivo di contribuire al rafforzamento di una specifica articolazione criminosa facente parte dell’unicum criminale ‘ndranghetistico».
Nel frattempo, mentre Matacena smentisce dal Dubai la propria volontà di andare in Libano (LEGGI L’INTERVISTA) dalle carte dell’inchiesta emergono diversi altri dettagli tra cui quelli riguardanti il presunto aiuto economico che Scajola avrebbe dovuto dare a Chiara Rizzo, moglie di Matacena, per prendere in locazione una abitazione a Montecarlo.
LA CANDIDATURA ALLE EUROPEE – Secondo l’accusa Scajola attendeva la candidatura al Parlamento europeo e la probabile elezione per poter dare, col proprio stipendio, 15.500 euro a Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena, per l’anticipo di una nuova casa in fitto a Montecarlo. E’ uno dei passaggi dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio Calabria nei confronti di Scajola ed altre sette persone, tra le quali la stessa Rizzo. Nel provvedimento è riportato il sunto di una telefonata intercettata dalla Dia, risalente al 4 aprile 2014. «Claudio – è scritto nella sintesi riportata nell’ordinanza – chiama Chiara e parlano della soluzione migliore affinché Claudio possa dare 15.500 euro a Chiara che deve dare l’anticipo per l’affitto di un nuovo appartamento senza che risulti il suo nome».
«Claudio – prosegue l’ordinanza – dice che per lui era meglio aspettare un pò di tempo perché se lo candidano, la sua elezione sarebbe molto probabile, per la certezza devono aspettare il 25 di maggio, e comunque con la carica di europarlamentare lui potrà darle una grossa cifra per la copertura delle spese della casa. In caso di mancata candidatura Forza Italia gli proporrà un incarico di prestigio e anche in questo caso l’incentivo economico sarebbe importante. Claudio ribadisce che il ritardo di un mese-un mese e mezzo porterebbe più tranquillità di copertura finanziaria. Chiara dice che comunque, se non aiutata, non vuole rischiare l’affitto della nuova casa, ritarderà comunque la risposta all’agenzia immobiliare per vedere come si evolve la situazione».
LA DIFESA DELLA MOGLIE – «Claudio Scajola è un galantuomo, con una grande testa e un grande cuore». È quanto dichiara Maria Teresa Scajola in riferimento all’inchiesta giudiziaria della Dda di Reggio Calabria che ha portato all’arrestato dell’ex ministro. La signora era rimasta in silenzio dal giorno dell’arresto del marito.

sabato 10 maggio 2014 16:18

Fonte:

http://www.ilquotidianodellacalabria.it/news/crotone/725387/Per-l-antimafia-Scajola-era-la.html

Caso Alpi, via il segreto dopo vent’anni

Aggiornamento.Qui il video della trasmissione di Rai 3 per celebrare il ventesimo anniversario dell’omicidio di Ilaria Alpi:
*

Di

 

Caso Alpi-Hrovatin. Il governo annuncia l’operazione trasparenza. La procura pronta ad acquisire dalla Camera i documenti utili all’inchiesta. Articolo21: «È la vittoria delle 70mila firme»

 

Miran Hrovatin e Ilaria Alpi in Somalia

 

 

Vent’anni di misteri, depi­staggi, falsi testi­moni e inchie­ste finite nel nulla. E una pila di docu­menti segreti, tenuti sotto chiave per tutti que­sti anni negli archivi della Camera dei depu­tati per deci­sione dei ser­vizi segreti civili e mili­tari. Ieri il governo, nel giorno dell’anniversario dell’agguato di Moga­di­scio del 20 marzo ‘94, ha annun­ciato l’apertura degli archivi riser­vati dei ser­vizi sul caso di Ila­ria Alpi e Miran Hro­va­tin, la gior­na­li­sta e l’operatore del Tg3 assas­si­nati in Soma­lia men­tre erano sulle tracce dei traf­fici di armi e rifiuti tos­sici tra le pie­ghe della coo­pe­ra­zione italiana.

 

La deci­sione del governo è arri­vata in rispo­sta a una let­tera di inter­pello della pre­si­dente della Camera Laura Bol­drini, che ha rece­pito la richie­sta di Green­peace e una peti­zione lan­ciata da Arti­colo 21 che ha rag­giunto in pochi giorni 70mila firme: «Abbiamo avviato la pro­ce­dura di dese­cre­ta­zione degli atti sul caso Ila­ria Alpi. Il governo è for­te­mente impe­gnato su que­sto fronte — ha spie­gato alla Camera il sot­to­se­gre­ta­rio ai rap­porti con il Par­la­mento Sesa Amici — e vent’anni sono un tempo suf­fi­ciente per man­te­nere la sicu­rezza nazionale».

 

Sono carte che potreb­bero impri­mere una svolta alla ricerca della verità sui man­danti, sul con­te­sto dell’agguato, sui tanti depi­staggi che hanno impe­dito fino a ora il rag­giun­gi­mento della verità. Sull’omicidio di Ila­ria Alpi è ancora aperto un fasci­colo presso la pro­cura di Roma, affi­dato al pm Eli­sa­betta Penic­cola. Ieri alla noti­zia della pros­sima aper­tura degli archivi segreti il pro­cu­ra­tore di Roma, Giu­seppe Pigna­tone, ha dichia­rato di voler acqui­sire gli atti utili all’inchiesta.

 

L’unico con­dan­nato per l’esecuzione di Ila­ria e Miran, il somalo Omar Hashi Has­san, è dete­nuto da dodici anni sulla base di un testi­mone che avrebbe dichia­rato di aver inven­tato tutto, d’accordo con le auto­rità italiane.

 

Alla comu­ni­ca­zione del sot­to­se­gre­ta­rio Amici ha subito rispo­sto entu­sia­sta Laura Bol­drini: «È un segnale impor­tante con­tro il muro di silen­zio». Anche se nelle scorse set­ti­mane non erano man­cati dubbi e per­ples­sità sull’operazione di dese­cre­ta­zione dei fasci­coli sul traf­fico inter­na­zio­nale di rifiuti e sulle «navi a per­dere» — pra­tica che com­pren­deva anche gli atti segreti rela­tivi al caso Alpi — avviata dall’ufficio di pre­si­denza di Mon­te­ci­to­rio. La richie­sta di aper­tura degli archivi era arri­vata da Green­peace nel dicem­bre 2013, e dopo una prima rispo­sta posi­tiva di Bol­drini la noti­zia — sol­le­vata dal mani­fe­sto — di una rimo­zione sol­tanto par­ziale del segreto dai dos­sier riser­vati (solo 152 su diverse migliaia acqui­siti negli anni dalle com­mis­sioni par­la­men­tari d’inchiesta) aveva fatto sor­gere la neces­sità di una domanda di dese­cre­ta­zione «allargata».

 

Un’esigenza di verità cui ha cer­cato di rispon­dere la peti­zione lan­ciata da Arti­colo 21 pro­mossa da Ste­fano Cor­ra­dino e Beppe Giu­lietti, anche per­ché nel frat­tempo fonti di Mon­te­ci­to­rio ave­vano rive­lato al mani­fe­sto che i ser­vizi segreti mili­tari, nella pri­ma­vera scorsa, hanno negato l’autorizzazione all’apertura dei dos­sier riser­vati sui rifiuti e sulla Soma­lia a un uffi­cio di Montecitorio.

 

Non è ancora noto quanti e quali docu­menti ver­ranno avviati alla dese­cre­ta­zione: i dos­sier dei ser­vizi sul caso Alpi-Hrovatin sono 1.500 (ma il gene­rale Ser­gio Sira­cusa, ex diret­tore del Sismi, ne aveva mostrati circa 8mila alla com­mis­sione pre­sie­duta da Carlo Taor­mina), cui vanno aggiunti 750 docu­menti dell’ultima com­mis­sione sui rifiuti e le migliaia di atti acqui­siti dalle com­mis­sioni eco­ma­fia dalla XII alla XV legi­sla­tura. «È il miglior modo di ono­rare, più che la memo­ria, il lavoro di Ila­ria», ha com­men­tato in serata la mini­stra degli Esteri Fede­rica Moghe­rini. Entu­sia­sti anche tutti i sog­getti che nei giorni scorsi ave­vano ade­rito alla peti­zione di Arti­colo 21, dal segre­ta­rio della Fnsi Franco Siddi («è una svolta straor­di­na­ria che apre final­mente una brec­cia per verità e giu­sti­zia») all’associazione Ila­ria Alpi, agli stessi pro­mo­tori: «Segui­remo passo passo — assi­cu­rano Cor­ra­dino e Giu­lietti di Arti­colo 21 — l’iter e le rispo­ste che saranno for­nite da chi aveva appo­sto il segreto. Que­sto risul­tato è anche il frutto delle 70 mila per­sone che hanno chie­sto di met­tere fine al regime dei segreti e della clandestinità».

 

Ora la palla passa al governo e ai ser­vizi segreti — Aise e Aisi, ex Sismi e Sisde — gli stessi ser­vizi che solo nel mag­gio scorso ave­vano negato l’apertura degli archivi. Ma i ser­vizi di sicu­rezza sono con­trol­lati dalla pre­si­denza del Con­si­glio e dal governo, che sem­bra aver espresso una volontà poli­tica chiara. Non è pos­si­bile pre­ve­dere se gli atti declas­si­fi­cati daranno un impulso nuovo all’inchiesta sulla morte di Ila­ria e Miran. La madre di Ila­ria, Luciana Alpi, dopo un lungo periodo di disil­lu­sione ha detto di aver ritro­vato la spe­ranza. Dopo vent’anni di oblio, inqui­na­menti e omissioni.

 

* Toxi­cLeaks

 

Fonte:

http://ilmanifesto.it/archivi-via-il-segreto-dopo-ventanni/

 

 

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http://ilmanifesto.it/bazar-somalia-ventanni-dopo-ilaria-alpi/