Antimafia, una manifestazione in ricordo di Rita Atria e di tutti i testimoni di giustizia

Antimafia, una manifestazione in ricordo di Rita Atria e di tutti i testimoni di giustizia
 
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Regista teatro civile e addetta stampa M5S
Martedì 26 luglio è una giornata importante: a Roma (dalle ore 19.30 alle ore 21 in viale Amelia 23) verrà ricordata la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria a ventiquattro anni dalla sua prematura scomparsa. La storia di Rita è una di quelle storie che deve essere conosciuta e raccontata, è una di quelle storie che arriva dritta al cuore. Figlia del boss di Partanna a soli 17 anni decise di seguire le orme della cognata Piera Aiello e di raccontare alla magistratura tutto ciò che sapeva. Il primo a raccogliere le sue rivelazioni fu il giudice Paolo Borsellino a cui si legò come a un padre. Quando la mafia, dopo la strage di Capaci mise di nuovo in ginocchio Palermo il 19 luglio 1992, Rita si suicidò lanciandosi dal settimo piano di un palazzo: non ce la faceva a vivere senza il suo caro Borsellino.

Troppo giovane, ripudiata dalla famiglia e dagli amici era, proprio come tutti gli adolescenti, fragile. Rita Atria in nome della giustizia, rinunciò a tutto, anche all’affetto di quella madre che, poco dopo, avrebbe distrutto la sua lapide a suon di martellate. La piccola Rita è stata una testimone di giustizia, non una pentita: non commise mai nessun reato di stampo mafioso. In un Paese come l’Italia, così duramente colpito da un profondo radicamento della criminalità organizzata, i testimoni di giustizia rappresentano una linfa vitale e vanno assolutamente protetti. I cittadini devono essere incoraggiati a denunciare e devono sentirsi al contempo tutelati dallo Stato.

Ma qual è la situazione dei testimoni di giustizia in Italia e quali le proposte in Parlamento? La proposta di legge di riforma del sistema tutorio per i testimoni di giustizia è stata assegnata alla Commissione giustizia della Camera, anche se non è ancora iniziato l’iter legislativo. La proposta, a prima firma della presidente dem della Commissione antimafia Rosy Bindi, è stata sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari ed è il frutto del lavoro del V Comitato della Commissione coordinato dal deputato Pd Davide Mattiello, con un sostanziale contributo del deputato M5s Francesco D’Uva.

Quali le novità salienti della proposta?

– se fosse approvata, sarebbe la prima legge dedicata ai testimoni di giustizia: infatti ad oggi le norme che li riguardano sono state inserite nella normativa sui collaboratori di giustizia – che invece risale al 1991 – e questo contribuisce alla confusione grave e dolorosa tra testimoni e collaboratori;

– viene superata la dualità tra le misure di sostegno previste per le speciali misure di protezione e lo speciale programma di protezione in modo da adoperarle tutte con maggior flessibilità e aderenza ai casi particolari;

– è prevista la figura del “referente” che deve accompagnare il protetto e la sua famiglia dall’inizio alla fine del percorso garantendo continuità, affidabilità e capacità di interfacciarsi con le parti dell’amministrazione pubblica;

– è prevista per la prima volta la protezione di coloro, soprattutto donne con minori, che pur non avendo informazioni rilevanti da offrire all’autorità giudiziaria – essendo inserite in contesti familiari criminali e non essendo in alcun modo coinvolte nella commissione dei delitti – decidano di rompere il proprio legame familiare, scegliendo di ricominciare una vita altrove, con nuove generalità.

Segnali forti e importanti, di cui necessita il nostro Paese. E’ fondamentale che la proposta di legge sui testimoni di giustizia venga calendarizzata quanto prima. La relazione sui testimoni, non è un caso, è stata dedicata proprio alla preziosa figura di Rita Atria. Sì, perché Rita è l’emblema della libertà: Rita che voleva essere libera dai codici mafiosi della sua famiglia. Rita che, secondo l’associazione antimafie Rita Atria “comprese molto presto che, per essere veramente liberi e per lottare contro la mafia, si deve intraprendere un percorso continuo, travagliato, nel quale si deve combattere quotidianamente dentro di noi quel pensiero mafioso diffuso che rende accettabili arretramenti morali e che degrada come favore ciò che spetta come diritto”.

“Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi”.

L’appuntamento dunque è nella giornata di martedì 26 luglio dalle ore 19:30 alle ore 21:00 in Viale Amelia 23 per ripercorrerne la storia e la lotta, attraverso la lettura di passi del suo diario e di testi di denuncia sulle mafie. Quest’evento, dal titolo L’unica speranza è non arrendersi mai, è stato organizzato dal presidio romano dell’associazione antimafie “Rita Atria”.

Dal diario di Rita:

“Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo”.

 

 

Fonte:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/25/antimafia-una-manifestazione-in-ricordo-di-rita-atria-e-di-tutti-i-testimoni-di-giustizia/2932163/

Paolo Borsellino

Paolo Borsellino Paolo Borsellino

Nato a Palermo nel quartiere della Kalsa, dove vivono tra gli altri Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta, Paolo Borsellino si laurea in Giurisprudenza il 27 giugno 1962 all’età di 22 anni.  Nel 1963 supera il concorso per entrare in magistratura,nel 1967 diventa pretore a Mazara del Vallo,nel 1969 pretore a Monreale, dove lavora insieme ad Emanuele Basile. Nel 1975 viene trasferito a Palermo e a luglio entra nell’ufficio istruzione affari penali sotto la guida del giudice istruttore Rocco Chinnici.

Il 1980 vede l’arresto dei primi sei mafiosi grazie all’indagine condotta da Basile e Borsellino, ma nello stesso anno arriva la morte di Emanuele Basile e la scorta per la famiglia Borsellino. In quell’anno viene costituito il pool antimafia sotto la guida di Chinnici, Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici nell’esplosione di un’autobomba e pochi giorni dopo arriva da Firenze Antonino Caponnetto. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Tommaso Buscetta. “Don Masino” come viene chiamato nell’ambiente mafioso viene arrestato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia.

Buscetta descrive una mafia di cui fino ad allora si sapeva poco o nulla e la descrive in maniera molto dettagliata. Nel 1985  vengono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l’uno dall’altro, i commissari Beppe Montana e Ninni Cassara’. Falcone e Borsellino vengono trasferiti nella foresteria del carcere dell’Asinara, dove iniziano a scrivere l’istruttoria per il maxiprocesso. Il 19 dicembre 1986 Borsellino viene trasferito alla Procura di Marsala. Nel 1987 Caponnetto lascia il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si aspettano la nomina di Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) non la vede nella stessa maniera e nasce la paura di vedere il pool sciolto. Il 14 settembre Antonino Meli diventa (per anzianità) il capo del pool; Borsellino torna a Marsala, dove riprende a lavorare alacremente e insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Inizia in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porne a capo. Falcone va a Roma per prendere il comando della direzione affari penali e preme per l’istituzione della Superprocura.

Con Falcone a Roma, Borsellino chiede il trasferimento alla Procura di Palermo e l’11 dicembre 1991 Paolo Borsellino, insieme al sostituto Antonio Ingroia, torna operativo alla Procura di Palermo.

La strage di via D’Amelio La strage di via D’Amelio

 

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vive sua madre.

Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia. L’unico sopravvissuto è Antonino Vullo.

Per la strage di via D’Amelio, il 3 luglio 2003, la Cassazione ha confermato le condanne all’ ergastolo inflitte ai mandanti dell’eccidio. In particolare, i giudici della V sezione penale hanno reso definitive le condanne per Totò Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Calascibetta, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino, Cosimo Vernengo, Natale e Antonino Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Scotto, Gaetano Murano e Gaetano Urso.

 

 

Fonte:

http://www.ansa.it/legalita/static/bio/borsellino.shtml

Era il 24 luglio 2011. Ad Alessandro fu sparato un lacrimogeno in faccia.

Dal profilo Facebook di Simonetta Zandiri,attivista No Tav:

 

Era il 24 luglio 2011. Ad Alessandro fu sparato un LACRIMOGENO in FACCIA. Sparato con il lanciagranate, GL-40, uno di quelli con PROPULSORE INTERNO. Se non avesse avuto la mascherina “da verniciatore” forse non sarebbe vivo. IO NON DIMENTICO. Sono passati 3 anni e NON DIMENTICO.
Fu dimesso dall’ospedale Molinette il giorno dopo, trasferito da Susa. Fu dimesso con la faccia che CADEVA A PEZZI, “si riaggiusta”, gli dissero. Tutti d’accordo. OMERTOSI, anche i medici. Qualche giorno dopo lo portai al San Luigi, perché stava ancora male. Videro i referti, telefonarono ai colleghi poi ci dissero “TUTTO A POSTO, SI RIAGGIUSTA”. OMERTOSI.
Fu solo grazie ad un’amica che il 17 agosto fu ricoverato e operato al maxillo-facciale. E non è finita.
Questa storia è complicata, intervengono anche i fantomatici messaggini anonimi che partono dall’email di massimo numa. Misteri archiviati dalla Procura di Torino, insieme a tanti altri. Ma non ho bisogno della procura per conoscere la verità.Ecco quello che scrissi nella notte del 24 luglio:
Hanno di nuovo sparato ad altezza d’uomo per uccidere.

Nella valle che resiste un uomo che decide di stare al posto giusto, nel momento giusto, diventa l’uomo sbagliato nel momento sbagliato, nel luogo peggiore. Era giusto esserci, oggi, insieme a chi ha scelto di indossare il cappello degli alpini e passeggiare al di là delle reti di un cantiere che non c’è. Ed era giusto esserci, questa sera, per partecipare all’evento NO TAV = NO MAFIA organizzato per ricordare Borsellino, Falcone e tutte le vittime della mafia, inclusi gli uomini e le donne della scorta che per lottare contro la mafia hanno perso la vita. Al contrario di chi, oggi, ha ancora una volta attaccato cittadini disarmati, sparando NON per allontanarli per effetto dei gas lacrimogeni (peraltro tossici, al CS), ma con il preciso intento di COLPIRLI con i proiettili, troppo spesso sparati ad altezza uomo, puntando non tanto chi si avvicina al cancello, ma chi si avvicina con una fotocamera o una telecamera in mano. Già, perché di questo hanno paura più che di una pietra, di chi si “arma” di pericolose videocamere e poi è pronto a raccontare la verità, quella che non sentirete a nessun TG.
La verità è che non è stato possibile commemorare le vittime della mafia, non è stato possibile ricordare i nomi di Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo, Eddie Walter, uccisi per mano della mafia e schegge deviate di quello stato che con la mafia aveva scelto di venire a patti piuttosto che combatterla. A.L., Valsusino doc over 45, come tutti noi, voleva tenere viva la memoria di questi uomini e queste donne, ricordandoli nel luogo dove oggi un’intera popolazione resiste e lotta contro l’ennesima grande opera inutile e devastante che vogliono imporre con la forza per favorire gli interessi di pochi, consapevoli e noncuranti dell’altissimo rischio di infiltrazioni di mafia e ‘ndrangheta.

Alle 19:45 stava preparando, insieme ai compagni di Resistenza Viola, il materiale per allestire la videoproiezione del film “IO RICORDO” davanti alla centrale, poiché era previsto di estendere l’invito anche alle forze dell’ordine, alle quali avremmo regalato alcune Agende Rosse. Poi gli spari, alcuni lacrimogeni arrivano nell’area tende ed è il caos. A.L. ha già vissuto quella scena, lo sgombero, il 3 luglio, le notti… è pronto, indossa la maschera antigas, gli occhialini e corre nella zona dove si stava recando per preparare l’evento, tiene in mano la macchina fotografica per documentare ed è pronto ad aiutare chi ne avesse bisogno. Raggiunge il ponte tra una marea di gente che corre, occhi gonfi, tosse, qualcuno sembra disorientato. C’è molto fumo, troppo per capire da dove stanno sparando, quasi una coltre di nebbia. A.L. tenta di filmare e, poco prima di essere colpito al volto riesce a filmare il lancio di un lacrimogeno che parte, presumibilmente, dai mezzi mobili, quelli che hanno montati dei piccoli “cannoni” usati soprattutto per lanciare lacrimogeni a lunghe distanze. Ma qui parliamo di 20, forse 30 metri. Con quei mezzi, infatti, stavano sparando NON SOLO nell’area tende, ma anche sui NO TAV che ancora resistevano nella zona del ponte, a pochi metri dal cancello dietro il quale erano fermi i blindati. UN SECONDO è il tempo impiegato dal colpo che dal blindato raggiunge il ponte. Poi il video s’interrompe. A.L. viene colpito in pieno volto pochi secondi dopo, la maschera distrutta, il colpo è talmente forte da farlo cadere a terra. Alcuni compagni lo aiutano a sollevarsi e allontanarsi, ha il volto coperto di sangue, è confuso, non riesce a parlare. Raggiunge l’area tende dove subito arrivano alcuni medici presenti alla manifestazione e gli prestano le prime cure, la situazione è grave, naso e mascella sono gonfi, perde molto sangue, ha lacerazioni interne, sotto il palato, viene portato in auto al pronto soccorso di Susa.
Arrivato al pronto soccorso i medici, vista la gravità della situazione, lo sottopongono ad una TAC, che rivelerà fratture multiple a naso, mascella, lacerazioni profonde che vengono suturate immediatamente, ma la prognosi resta riservata, in attesa di trasferimento al reparto di chirurgia maxilo facciale di un ospedale di Torino, dove verrà sottoposto ad intervento chirurgico.

Doveva essere una giornata colorata, pacifica, resistente ancora una volta all’insegna della non violenza che da sempre contraddistingue le azioni del movimento NO TAV. Ma la frangia violenta ha agito ancora, presumibilmente usando nel modo peggiore (sparando a distanza troppo ravvicinata) un’arma che avrebbe lo scopo di allontanare le persone per effetto dei GAS e non per la spinta dei PROIETTILI! In questo modo la frangia violenta è quella in divisa, l’ingiustizia è coperta ancora una volta da una legalità svuotata ormai di ogni significato, se non quello di garantire l’impunità a chi commette forse la peggiore delle violenze, perché di questo si tratta quando un esercito armato fino ai denti spara a cittadini disarmati. La macchina del fango ha continuato per giorni nell’azione preventiva di costruire quanto oggi è accaduto, parlando di “infiltrati” reduci dalle manifestazioni per il decimo anniversario del G8 di Genova, oltre ai black bloc dei quali si continua a parlare, ma che nessuno evidentemente è in grado di identificare e arrestare (sarà che sono sempre un’invenzione?), quindi dovevano agire, dovevano creare gli scontri e l’hanno fatto prima del solito. Perché le altre sere attendevano una certa ora, ma questa volta no: hanno gasato il campeggio, dove c’erano anche anziani, donne e bambini, tra le 19:30 e le 20:00, annullando così gli eventi previsti, perché nella valle che resiste non si può dire che NO TAV = NO MAFIA!

Dall’ospedale A.L. manda un messaggio a tutti: “non mollate, ragazzi. Non molliamo. Resistere! Resistere! Resistere!”. Uno dei medici che lo ha accolto al pronto soccorso ha semplicemente detto, dopo averlo esaminato “Lo stato è morto, la democrazia è morta, ma te ne rendi conto solo quando vedi queste cose”. Queste cose noi non vogliamo più vederle. Abbiamo il diritto di conoscere le regole d’ingaggio, e di sapere chi ha ordinato di sparare sulle persone (altezza uomo) da quei blindati, con una potenza che ha rischiato di UCCIDERE perché avrebbe potuto finire così se A.L. fosse stato, come tanti, sprovvisto di maschera. Sappiamo che gli uomini in divisa hanno filmato tutto, sta a loro identificare esecutori e mandanti, inclusi i responsabili politici. Perché ancora una volta è stata ridotto ad una questione di ordine pubblico un problema che ha a che fare con la democrazia, con il fallimento della politica, con uno stato assente. Ora è giusto che nelle forze dell’ordine sia avviata un’inchiesta ed è tempo che la politica torni ad affrontare la questione che da 22 anni non trova soluzione. E’ tempo di riportare il tema sul piano politico, dove da sempre avrebbe dovuto essere affrontato democraticamente. La Valsusa è pronta, ma non chiedeteci di ascoltare, o di discutere “come” accettare quest’opera inutile e devastante, e non tentate di farcela digerire spostandola in Liguria perché il messaggio è sempre stato forte e chiaro: né qui, né altrove.
E’ arrivato il momento di fare allontanare le truppe e riaprire il dialogo. La Valsusa è pronta a spiegare le ragioni del NO, come lo è gran parte degli italiani.
Perché i sogni non si distruggono con i lacrimogeni. Neanche sparandoli in faccia.
Sans pitié, mon ami. Résistance.

Qui l’intervista fatta questa notte alle 01:00 ad A.L. in ospedale: http://www.youtube.com/watch?v=-joCay544Ms&feature=player_embedded

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