WORLD PRIDE 2019: I RAGAZZI DI 50 ANNI FA ALLO STONEWALL INN

 In RainbowStorie

La metro, a New York, è un delirio. Per capirsi: la stazione del Rockfeller Center sta proprio dentro il Rockfeller Center. Se hai culo, la trovi perché ci scendi. Poi devi pregare per riveder la luce del giorno, tra un exit messo lì, in mezzo a uno dei tanti corridoi tra le vetrine dei negozi ultra-chic. Ma riprenderla, al contrario, può essere davvero un’impresa, se non impossibile. Per questa ragione, l’altro giorno, abbiamo deciso di uscire sulla 5th Avenue e farci una bella passeggiata, fino allo Stonewall Inn, nel cuore del Greenwich Village.

ALLO STONEWALL INN, SULLE NOTE DI I WILL SURVIVE

Arrivati a destinazione, l’effetto è quello sperato. Tutte le persone che conosco e che sono già state qui mi hanno detto: «Non ti credere. È un bar piccolissimo». Un “nulla di che”, a vederlo così, decontestualizzando il tutto. Ma non è questa la “grandezza” che ci si aspetta da un posto simile. Lo Stonewall Inn sta di fronte una piazzetta. In questa, c’è una ringhiera, sormontata da centinaia di bandierine arcobaleno. Al suo interno, un parco molto piccolo, con delle panchine. Lì c’è il memoriale di Stonewall, diventato monumento nazionale. Dentro ci trovi delle statue: una coppia di maschi, in piedi, e una coppia di donne, sedute. C’è pure un pianoforte. A un certo punto, un ragazzo si siede e suona I will survive. E tutti e tutte, lì intorno, ci mettiamo a cantare. Ed è questo che rende grande quel luogo.

E A UN CERTO PUNTO, I RAGAZZI E LE RAGAZZE DI CINQUANT’ANNI FA

È un viavai di persone, lo Stonewall Inn. Un santuario arcobaleno vero e proprio, con la gente che fa la fila per fare una fotografia di fronte alla vetrina, in cui campeggia l’insegna del locale, a neon. Coppie di donne che si abbracciano, ragazzi che in gruppo si fotografano. A un certo punto, in mezzo a quella calca, un gruppo di persone anziane esce fuori. La gente si raduna in cerchio. Sono i “veterani”. Sono quei/lle giovani di cinquant’anni fa che si ribellarono alle disposizioni legali di allora, quando indossare più di due abiti non conformi al proprio genere comportava l’arresto e la galera. Dopo un iniziale moto di sorpresa, la folla realizza. E tutti e tutte battiamo le mani, nello stesso momento. Un lungo applauso, che è il suono stesso della gratitudine.

LE PAROLE DEL SINDACO DE BLASIO

Il numero 53 di Christopher Street a New York in questi giorni è stato un viavai di varia umanità. Ieri, nel giorno della commemorazione della rivolta, sul palco allestito in fondo alla piazzetta prospiciente al locale si sono alternati attivisti e attiviste, i veterani stessi, drag queen e anche personaggi della politica, nazionale e locale. Come Bill de Blasio, il sindaco della Grande Mela, che ha ricordato il dovere di proseguire quella lotta di liberazione, omaggiando Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson. Con una ferma condanna al suprematismo bianco, che vuole riportarci indietro nella lotta per i diritti civili. Ci guardiamo, noi della delegazione italiana. Gli sguardi un po’ smarriti, un po’ divertiti allo stesso tempo: «Uguale a Virginia, proprio» si sente dire, da un punto imprecisato, in mezzo alla folla.

LA CHIAMATA ALL’ARCOBALENO E IL VALORE DEGLI ALLEATI

E sempre da quel palco gli attivisti e le attiviste che si sono avvicendati ci hanno ricordato, ancora e a chiare lettere, che chi vive la condizione di non aver avuto problemi col colore della sua pelle e con il suo orientamento sessuale, deve usare tale privilegio per rendere migliore la vita agli altri. Un richiamo a fare delle scelte precise, di fronte alle ingiustizie. Una chiamata all’arcobaleno, se preferiamo. Ad un certo punto, in quella piccola marea di orgoglio, ci fermiamo a parlare con una donna. Ha i capelli bianchi, è un’attivista. Lesbica e nera. Il suo nome è Mandy Carter: «Senza gli alleati» ci rivela «non saremmo andati da nessuna parte». Ed è lì, ci dice, perché si sente a casa. Perché sa che non può essere altrove.

LA GRANDEZZA DELLO STONEWALL INN

«Niente di che» mi hanno detto in molti e molte, quando hanno visto questo luogo. Senza alcun intento denigratorio, sia chiaro. Un modo per farmi capire che quel bar è piccolino, niente di ciclopico, in una città in cui i grattacieli incombono e il consumismo più sfrenato corrode le coscienze. Non posso fare a meno di ricordare i versi di Kavafis, in Itaca:

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in cammino: che cos’altro ti aspetti?

La grandezza dello Stonewall Inn la puoi comprendere in questa prospettiva. Recandoti in quel luogo, pullulante di vita. E realizzando che, pur essendo un punto infinitamente piccolo in una città gigantesca, quel posto ti somiglia più di quanto saresti disposto ad ammettere. È piccolo, apparentemente insignificante. Eppure da lì tutto è partito. Un punto infinitamente piccolo, si diceva, che ha generato tutto ciò che è stato. Il nostro big bang. La vita che esplode, tutta insieme, e che crea il tempo a venire, mettendo in moto il circuito degli eventi.

Fonte:

LA LUNGA NOTTE DELLA CAPITANA CAROLA RACKETE. MOBILITAZIONE A ROMA.

Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3, a bordo della nave, il 27 giugno 2019. (Till Moritz Egen, Sea Watch)

La lunga notte della comandante 

“Idda si è messa in mente cose. Idda non è italiana, vero? Dicono che Idda vuole comandare. Ma io mi chiedo perché non li ha portati a Malta questi migranti”. Francesco avrà sessant’anni, fa l’autista per i turisti a Lampedusa e non si dà pace al pensiero che una donna si sia messa alla guida di una nave per condurla nel porto della sua isola. Ma è anche convinto che “Idda” porterà a termine quello che ha promesso. “Devono sbarcare prima o poi, stanotte o domani. Sbarcheranno”, assicura.

Al di là della banchina, al di là delle barchette turistiche in fila sul molo, al di là dei frangiflutti, c’è la nave umanitaria che batte bandiera olandese. È ferma dal mattino a un miglio dalla costa, all’entrata del porto. Si è spostata di parecchie miglia nelle ultime ore, non è in fonda, sembra come in balia della corrente. A qualche metro di distanza, una nave militare della guardia di finanza la sorveglia. Gli agenti hanno consegnato a Carola Rackete un avviso di garanzia.

Le accuse contro di lei sono favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione per non aver rispettato l’alt imposto dalla guardia di finanza il 26 giugno. “Idda”, come la chiama Francesco, è la comandate della SeaWatch 3 e sembra determinata a portare a terra i quaranta migranti che da diciassette giorni sono bloccati a bordo dell’imbarcazione che li ha soccorsi al largo della Libia per effetto del decreto sicurezza bis voluto dal ministro dell’interno Matteo Salvini.

Così all’una e mezza di notte, Rackete si mette al timone e decide di fare l’ultimo miglio, come aveva detto da giorni, se le autorità non fossero intervenute. “Abbiamo dichiarato lo stato di emergenza da sessanta ore, nessuno ci ha ascoltato, nessuno si è preso la responsabilità, ancora una volta sta a noi portare queste quaranta persone in salvo”, scrive su Twitter, poi comincia la manovra di avvicinamento al porto.

Le luci di Lampedusa si avvicinano. Punta la prua verso il molo e procede a una velocità molto bassa. La nave militare che ha il compito di sorvegliarla non è impreparata, intima l’alt come aveva fatto qualche giorno prima, ma la comandante tira dritto. Allora i militari le sbarrano la strada, senza riuscire a fermarla. La SeaWatch 3 entra lentamente nel porto commerciale. Sembra una piattaforma di luci che emerge dal buio della notte. La guardia di finanza fa cenno di accostare alla banchina. Nella manovra le due navi si urtano.

L’arresto
A terra c’è trambusto, tutti quelli che sono ancora svegli sull’isola corrono al molo. C’è Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa da poco diventato europarlamentare, c’è l’ex sindaca Giusi Nicolini, c’è il parroco don Carmelo, ci sono gli attivisti del Forum Lampedusa solidale, ci sono i valdesi di Mediterranean Hope e ci sono i turisti con gli smartphone alzati, i giornalisti e le telecamere. Se l’aspettavano tutti che “Idda” sarebbe alla fine arrivata a terra, che altri giorni non si potevano aspettare. C’era il rischio che qualcuno si buttasse in mare, vedendo l’isola così vicina e così incomprensibilmente inaccessibile. La nave tocca la banchina, sul molo scoppia un applauso, le persone si abbracciano.

“Ce l’abbiamo fatta”, dicono gli attivisti che per giorni hanno dormito sul sagrato della chiesa avvolti con coperte termiche per chiedere lo sbarco dei naufraghi. Il parroco grida: “Buon Natale, buon Natale”. Carola Rackete si affaccia dal ponte, alza le braccia al cielo per qualche minuto, poi torna all’interno del ponte di comando. È in quel momento, mentre in molti sono emozionati che si alzano le urla dell’ex senatrice della Lega Angela Maraventano. “Non li fate scendere, fanno commercio di carne umana, assassini, andatevene a casa vostra. Se scendono ci scappa il morto”, strilla Maraventano e dietro a lei un gruppo di persone che da giorni presidia il molo con lo striscione “Porti chiusi”.

A un’ora dall’attracco un lungo schieramento di polizia e agenti della guardia di finanza presidiano la nave, alcuni salgono a bordo, fino al ponte di comando e poco dopo ne escono portandosi via Carola Rackete, la comandante. La donna ha un’espressione austera, regale. La bloccano, prima che salga sulla macchina della guardia di finanza, guarda per terra. Sembra serena. Partono gli applausi, cominciano anche i fischi. Un gruppo di leghisti le urlano: “Zingara, vattene, mettitici ‘e manette”. Altri in siciliano le augurano lo stupro. “Le mogli vi devono stuprare questi clandestini”. Carola Rackete si infila in macchina e sparisce dietro le spalle di un poliziotto per riapparire dietro al finestrino, sempre assorta nei suoi pensieri.

“Ho provato un’emozione straordinaria”, si commuove Lillo Maggiore del Forum Lampedusa Solidale. “La cosa più straziante è stata vedere la comandante farsi arrestare per l’umanità”. Don Carmelo vorrebbe che i migranti fossero fatti scendere il prima possibile e invece dovrà aspettare l’alba prima di vedere il primo ragazzo mettere piede a terra: “È una storia che è durata fin troppo” e ora bisogna avere fiducia “che le autorità sappiano comprendere lo stato di necessità nella quale si è trovata la comandante”.

Ma le accuse a carico di Rackete sono gravi: c’è la violazione del codice della navigazione, “resistenza o violenza contro nave da guerra”. Saranno i magistrati a dover confermare i capi di imputazione. Su Rackete è aperta anche un’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Se le accuse dovessero essere confermate, la comandante rischia pene sono molto severe: da tre a dieci anni di carcere per resistenza a nave da guerra, da cinque a quindici anni di reclusione e una multa di 15mila euro per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La comandante è trasferita nella caserma della guardia di finanza, poi all’hotspot per essere identificata e lasciare le impronte digitali. Dopo aver concluso tutti passaggi formali, Rackete esce dall’hotspot e incontra tutti i migranti, che nel frattempo sono stati portati nel centro di Contrada Imbriacola. I ragazzi, quando la vedono scortata dagli agenti, la salutano, battono le mani.

È l’alba, le case dei pescatori intorno alla spiaggia riflettono una luce rosa. Tutti sono scesi dalla nave e a poco a poco sono portati nell’hotspot con degli autobus. Scendono anche i cinque parlamentari – Riccardo Magi, Nicola Fratoianni, Graziano Delrio, Matteo Orfini e Davide Faraone – che avevano deciso di non lasciare la nave fino all’attracco. “Non dovrebbe succedere che dopo un soccorso le persone siano trattenute per così tanto tempo su una nave”, dice l’ex ministro dei trasporti Delrio, visibilmente provato dalle lunghe ore a bordo. “Queste non sono politiche migratorie, non ci si può confrontare in questo modo sulla vita delle persone”.

Matteo Orfini del Partito democratico è ancora più duro: “Resta la vergogna di aver tenuto per giorni senza alcuna ragione 42 persone su questa nave. La comandante ha svolto un lavoro difficilissimo in un momento di enorme tensione”. Per Magi l’imputazione di tentato naufragio è un’assurdità: “Mentre la SeaWatch aveva cominciato la manovra di attracco la motovedetta si è posizionata lungo la banchina, spostandosi via via per chiudere lo spazio”.

Il piazzale del molo commerciale lentamente si svuota, due soccorritrici ancora bordo si abbracciano. Una delle due scoppia in lacrime: “Come europei dovremmo vergognarci di quello che è successo in questi giorni, noi siamo stati costretti a fare quello che i governi non vogliono più fare”, dice Heidi Steder, un’olandese di 29 anni. “La nostra comandante è stata dipinta come una criminale per aver fatto il suo dovere e avere difeso la legge e ora invece dovrà subire un processo”. Dal porto sale un odore forte di gasolio e salsedine, i pescatori stanno tornando dalla pesca notturna, qualche anziano è sceso in strada e siede sui muretti del porto, le strade sono deserte. Il piazzale è diventato improvvisamente silenzioso, dopo il trambusto della notte, la nave sembra fluttuare sulla superficie del mare. È una visione rassicurante, ma eterea. Per “Idda” è cominciato il giorno più lungo: la procura di Agrigento ha disposto gli arresti domiciliari in attesa che si svolga il processo per direttissima.

Fonte:
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Free Carola: mobilitazione permanente

Dopo 17 giorni in mare, Carola Rackete, la comandante della Sea Watch, ha attraccato e portato in salvo i migranti soccorsi.

 

La rete Restiamo Umani e Mediterranea Saving Humans lancia per oggi (sabato 29 giugno) un presidio a Piazza dell’Esquilino alle ore 20.

 

Di seguito il testo di convocazione:

Rivolgiamo un appello a tutta la società civile e democratica di questa città, ai cittadini e alle cittadine, alle associazioni, al mondo della cultura e dello spettacolo, alla stampa, alle forze politiche e sindacali, a partecipare al presidio di solidarietà contro l’arresto della capitana della Sea Watch Carola Rackete, che si terrà questa sera a partire dalle ore 20 presso piazza dell’Esquilino.

E’ in corso un attacco senza precedenti da parte di questo Governo alle libertà fondamentali delle persone, al diritto alla solidarietà e alla cooperazione. Finalmente tiriamo un sospiro di sollievo per lo sbarco dei 40 migranti, ma rimaniamo sconcertati di fronte all’arresto immediato della Comandante, entrata in porto a Lampedusa sospinta dallo stato di necessità.

Le accuse formulate sono pesantissime e sembrano essere dettate unicamente da ragioni politiche. La chiusura dei porti è la causa del crescere del razzismo e dell’incomprensione. Difendiamo i diritti dei migranti, il diritto alla solidarietà!

Costruiamo tutt* insieme una piazza colorata e attraversata da molteplici voci che sappia dare una risposta di civiltà a questa barbarie e gridare con forza il nostro no al razzismo e alla discriminazione.

Vogliamo il rilascio immediato di Carola, la libertà di movimento per tutt* i/le migranti che sbarcano in Italia, il dissequestro immediato della nave Mare Jonio e il ritiro del Decreto Sicurezza Bis!

MOBILITAZIONE PERMANENTE

 

Fonte:

https://www.dinamopress.it/news/free-carola-mobilitazione-permanente/

LA SEA WATCH ENTRA A LAMPEDUSA, MOBILITAZIONE DI SOSTEGNO IN TUTTA ITALIA

La decisione della capitana della Sea Watch di entrare nonostante i divieti e la sentenza della Corte europea nel porto di Lampedusa è un atto di disobbedienza coraggioso. Dalle città, si preparano iniziative di sostegno

«Basta, siamo entrati, ora fate scendere i migranti». Così la Sea Watch 3 annuncia l’arrivo nel porto di Lampedusa contravvenendo al divieto espresso dal governo italiano e in assenza di autorizzazione da parte delle autorità. La replica del Ministro Salvini alle parole della capitana Carola Rackete – definita come una «sbruffoncella che fa politica» – all’annuncio della nave di dirigersi verso il porto arriva nell’immediato: «l’autorizzazione allo sbarco non c’è, piuttosto schiero la forza pubblica, il diritto alla difesa dei nostri confini è sacra». E così sia: le motovedette della Guardia di Finanza si sono dirette verso la nave per ordinare l’alt all’imbarcazione, la quale, però, non si è fermata all’alt continuando la sua rotta verso Lampedusa.

La decisione della capitana della nave arriva il giorno successivo della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso presentato dai migranti e dalla comandante della Sea Watch per ottenere l’autorizzazione allo sbarco in Italia. Secondo Alessandra Sciurba «è una sentenza alla Ponzio Pilato: non è uno schiaffo alle Ong come vorrebbe il governo, però non è coraggiosa. Pone un problema di giurisdizione, ma dice all’Italia di dare assistenza alle persone che sono a bordo della nave». Secondo la Corte infatti, il trattamento subito dai migranti ospitati dalla nave della ONG tedesca non sarebbe sufficientemente grave da giustificare l’applicazione di misure umanitarie d’urgenza.

La valutazione, oltre che essere contraddetta dall’indicazione data alle autorità italiane di offrire adeguata assistenza, stride con la reale situazione dei migranti ridotti allo stremo dal viaggio e dall’estenuante attesa in nave, e soprattutto dalla condizione subita nell’inferno libico, dal quale stavano fuggendo e nel quale paradossalmente dovrebbero essere riportati.

Ma oltre le questioni di carattere giuridico, al centro della contesa è lo scontro politico innescato dal governo italiano contro l’organizzazione della solidarietà e dei salvataggi in mare. Come ribadisce la stessa Sea Watch: «la colpa dei migranti: essere stati soccorsi da una ONG. La punizione: friggere sul ponte di una nave per settimane. Rifiutati e abbandonati dall’Europa. Intanto – continua Sea Watch –  sono più di 200 le persone nei giorni scorso a Lampedusa».

Il Governo italiano è infatti il responsabile dell’attuale situazione di blocco: l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza Bis sta avendo i suoi primi effetti, determinando gravissime violazioni dei diritti dei naufraghi ai quali dovrebbe essere riconosciuto nel più breve tempo possibile un luogo sicuro dove sbarcare.

La coraggiosa decisione della capitana della ONG tedesca, che così facendo rischia una multa fino a 50mila euro e il sequestro della nave, sta però innescando una serie di reazioni. Nonostante la maggioranza del Pd insista nel ratificare i vecchi accordi siglati da Minniti con la Libia in merito al voto sulle missioni all’estero, alcuni parlamentari stanno accorrendo a Lampedusa per sostenere lo sbarco della nave, mentre dalle città (come Napoli e Livorno) cominciano ad arrivare indicazioni di mobilitazioni immediate.

Mediterranea lancia per questa sera stessa azioni diffuse nei sagrati delle chiese: «proponiamo a tutti e tutte, agli equipaggi di terra e di mare, di andare stasera su un sagrato di una chiesa della propria città, di portare le coperte termiche e di dire che siamo al fianco di SW, del suo carico di umanità e speranza così violentato in questi 14 giorni. Che abbracciamo la comandante Carola che ha deciso, nonostante leggi e divieti ingiusti, di rispettare i diritti umani».

La l’azione di disobbedienza della Sea Watch avrà in ogni caso la forza di rendere evidente le criminali responsabilità del ministro Salvini e la vigliacca complicità dei loro partner di governo, quanto l’ignobile immobilismo delle opposizioni e la vergognosa indifferenza dell’Europa.

Fonte:

https://www.dinamopress.it/news/la-sea-watch-entra-lampedusa-mobilitazione-sostegno-tutta-italia/

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A FOGGIA LA DOPPIA PROTESTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO

A FOGGIA LA DOPPIA PROTESTA CONTRO LO SFRUTTAMENTO
Neri di rabbia. Le due manifestazioni dopo la strage dei braccianti stranieri. I campi chiusi per sciopero
di Gianmario Leone, il Manifesto 09.08.18

Una giornata di protesta e di lotta come non si vedeva da tempo. Uno sciopero che ha avuto un’adesione totale da parte dei braccianti stagionali e due grandi manifestazioni che hanno riempito le strade di Foggia e della sua provincia. Per dimostrare che nonostante l’indifferenza e un sistema difficile da debellare, fatto di caporalato, di sfruttamento dei migranti in molte aziende agricole, dell’ombra della mafia e degli interessi enormi della filiera della grande distribuzione, c’è ancora voglia di lottare e non arrendersi.

LA GIORNATA è iniziata molto presto. Alle 8 è infatti partita dal ghetto di Rignano, nel comune di San Severo, cuore della protesta, la marcia dei berretti rossi organizzata dall’ Usb e Rete Iside alla quale ha partecipato anche il governatore Michele Emiliano. «È stata totale l’adesione dei lavoratori allo sciopero. Nessuno è al lavoro nei campi intorno al ghetto di Rignano» hanno assicurato dall’Usb. Centinaia di lavoratori hanno sfilato con i cappellini indossati dalle vittime, distribuiti da Usb e Rete Iside «per aiutare i braccianti a proteggersi dal solleone e idealmente dallo sfruttamento e dalla mancanza di diritti». Le rivendicazioni della marcia sono state le stesse esposte un mese fa al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, «che aveva accolto le richieste – sottolinea il sindacato – promettendo un tavolo che non c’è mai stato. Chiediamo sicurezza, diritti e dignità per tutti i lavoratori agricoli».

«BASTA MORTI sul lavoro», «schiavi mai» alcuni degli slogan che hanno accompagnato la manifestazione mattutina, giunta davanti alla prefettura di Foggia dove centinaia di migranti, sostenuti da cittadini e associazioni, si sono radunati durante l’incontro che la delegazione ha avuto con il prefetto. All’arrivo è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare i 16 morti nei due incidenti stradali avvenuti negli ultimi giorni sulle strade foggiane e tutti i caduti sul lavoro, compresi gli italiani morti nella miniera di Marcinelle l’8 agosto del 1956.

ABOUBAKAR SOUMAHORO, sindacalista italo-ivoriano dell’Usb, al termine della riunione ha raccontato di «risposte immediate» ricevute da prefetto e questura. Aggiungendo che il prefetto si è impegnato a «convocare dopo ferragosto una conferenza sul lavoro», mentre sul rinnovo dei permessi di soggiorno, che in tanti aspettano da mesi, «la questura ha dato la disponibilità a ricevere un elenco che l’Usb presenterà ogni due settimane per affrontare i casi di rinnovo».

IN PIÙ DI DUEMILA hanno invece sfilato per le strade del capoluogo dauno nella seconda manifestazione organizzata da Cgil, Cisl, Uil, con l’adesione di Arci, Libera e altre associazioni. In marcia, accanto a sindacalisti e migranti, ancora il governatore Emiliano e poi l’europarlamentare pugliese Elena Gentile, il deputato Roberto Speranza e l’attore Michele Placido. «Un senso di sconfitta è quello che si avverte quando accadono queste tragedie immani» hanno sottolineato i sindacalisti, per i quali «questa manifestazione è il momento del cambiamento, per dire basta a morti ammazzati di lavoro».

IL MOMENTO PIÙ TOCCANTE c’è stato quando sul palco ha preso la parola Mohamed, lavoratore migrante: «Non è una pacchia lavorare tutto il giorno per pochi euro o pagare 5 euro per salire sui furgoni della morte – ha gridato -. Come siamo giunti a questo punto? Come siamo passati dall’accoglienza diffusa al degrado diffuso? Chiediamo diritti, non l’impossibile. Vogliamo pari diritti per pari doveri».

UN ALTRO LAVORATORE ha ricordato il dramma vissuto da ogni singolo migrante: «Le famiglie di quelle 16 persone in Africa soffrono per i loro cari che avevano lasciato tutto per venire in Italia a lavorare. Prima sono stati trattati come animali e poi sono morti». Sul palco si sono poi alternati gli interventi dei segretari di Cgil, Cisl, Uil, le cui delegazioni sono giunte da tutta Italia, e dei presidenti delle associazioni che hanno aderito alla manifestazione. «Non sono incidenti, sono omicidi. Siamo stanchi – le ultime parole dal palco – di chi incita all’odio e ci accusa di buonismo».

Fonte:

https://ilmanifesto.it/a-foggia-la-doppia-protesta-contro-…/

Da Mauro Biani :

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MANIFESTAZIONE A REGGIO CALABRIA PER SOUMAILA SACHO

foto di USB Federazione provinciale di Reggio Calabria.

23 giugno a Reggio Calabria per Soumaila Sacko!

  • sabato dalle ore 10:00 alle ore 13:00
  • Piazza Giuseppe De Nava, 89125 Reggio di Calabria RC, Italia

  • Organizzato da USB Federazione provinciale di Reggio Calabria

APPELLO

Verità e Giustizia per Soumaila Sacko

Tutti/tutte a Reggio Calabria Sabato 23 giugno per proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti

Vogliamo Verità e Giustizia: chiediamo insieme ai familiari che sia fatta piena luce sull’assassinio di Soumaila Sacko, bracciante e militante sindacale USB, come abbiamo chiesto quando abbiamo rifiutato senza indugio la notizia della reazione a un furto.

Vogliamo proseguire la marcia per i diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza geografica: insieme ai lavoratori ed alle lavoratrici di qualsiasi provenienza geografica, alle associazioni e movimenti per la giustizia sociale e la solidarietà, ai disoccupati e precari, agli studenti, alle famiglie e alle persone che già in tutta Italia si sono mobilitate dopo questo tragico delitto, proseguiamo la lotta che stavamo conducendo assieme al nostro compagno e fratello Soumaila Sacko.

Vogliamo diritti e dignità per i lavoratori e le lavoratrici di tutta la filiera agricola: vogliamo e dobbiamo onorare la memoria di Soumaila, e come ci hanno chiesto di fare anche i suoi familiari,
rilanciamo la lotta dei dannati e delle dannate della terra, di chi si spezza la schiena per pochi euro al giorno e ha deciso di non chinare più la testa contro le prepotenze, i caporali e lo sfruttamento. Di chi lavora senza alcuna sicurezza, costretto ad accettarne qualsivoglia conseguenza.

Vogliamo diritti sociali per i lavoratori e le lavoratrici delle campagne: viviamo spesso una condizione assimilabile alla schiavitù ed in condizioni di segregazione sociale, in non luoghi dove si produce l’annullamento delle persone che lo abitano e la privazione dei fondamentali diritti umani. Spesso non abbiamo elettricità, acqua e riscaldamento. Non abbiamo una casa, ma solo rifugi di fortuna. Siamo esclusi dalle società, siamo non-umani che vivono in non-luoghi. Siamo invisibili, salvo ridiventare visibili quando torniamo a lavorare nei campi e veniamo sfruttati e sfruttate. Rivendichiamo l’urgenza di un inserimento abitativo dignitoso.

Vogliamo la bonifica dell’area dell’Ex-Fornace “TRANQUILLA” riportata agli onori della cronaca dopo i fatti del 2 giugno 2018, considerata la discarica dei veleni più pericolosa d’Europa a
causa dell’interramento di 130mila tonnellate di rifiuti industriali tossici. Il processo si sta per chiudere con un nulla di fatto, mentre la gente del circondario continua ad ammalarsi e a morire di cancro. Lo chiediamo insieme agli abitanti delle comunità locali che spesso vengono ingannate da campagne strumentali e razziste mentre vivono sulla propria pelle le conseguenza della crisi economica e sociale.

Vogliamo sicurezza per le lavoratrici delle campagne: esse vivono doppiamente lo sfruttamento e la vulnerabilità sulla propria pelle in quanto lavoratrici braccianti e in quanto donne. Esattamente come
accadeva nel bracciantato della seconda parte dell’Ottocento negli USA nei confronti delle donne nere schiavizzate.
Non vogliamo la guerra tra poveri: rifiutiamo la guerra tra poveri che ci vorrebbe contrapposti ai cittadini e alle cittadine del comprensorio, agli italiani e alle italiane, agli abitanti e alle abitanti della Piana di Gioia Tauro. Rifiutiamo la contrapposizione non solo nel mondo dell’agricoltura ma anche, ad esempio, dei 400 licenziati del porto di Gioia Tauro. Siamo consapevoli che i nostri problemi non sono generati dall’altro, dal diverso, ma dalle politiche attuate dai diversi Governi, che ci vogliono contrapposti per distogliere la nostra attenzione dal vero nemico, da ciò che ci ha impoverito, resi privi di diritti e diseguali. Siamo esseri umani non sudditi e (R)Esistiamo.

Mandiamo un abbraccio ai nostri fratelli che lavorano nella logistica che il 23 giugno marceranno a Piacenza. A fianco dei compagni di Abd Elsalam, ucciso perché difendeva i diritti dei
suoi compagni contro i soprusi delle multinazionali della logistica. La lotta di noi sfruttati non ha confini, insieme diventiamo imbattibili.

Vogliamo manifestare con gli abitanti della Piana di Gioia Tauro e della Calabria tutta, che non ci stanno a essere etichettati come razzisti e che quotidianamente sono impegnati nel promuovere la
cultura del rispetto delle diversità, ma che ancora una volta vengono cancellati nella rappresentazione mediatica di un territorio che non corrisponde alla realtà.

Invitiamo tutti e tutte alla manifestazione di Sabato 23 giugno 2018 dalle ore 10.00 con partenza da Piazza De Nava (Reggio Calabria): per Soumaila Sacko e per proseguire la marcia per i
diritti sindacali e sociali dei braccianti e delle braccianti e di tutti i lavoratori della terra.

#SoumailaSacko#Primaglisfruttati#Restiamoumani

Per adesione: [email protected]

USB (Unione Sindacale di Base) – Coordinamento Lavoratori agricoli USB – Associazione maliana di solidarietà – Potere al Popolo – Sinistra Anticapitalista – Partito della Rifondazione Comunista Sinistra Europea – Partito Comunista Calabria – Fronte della Gioventù Comunista Calabria – Coalizione Internazionale Sans-Papiers Migranti e Rifugiati (Italia) – Movimento Migranti e Rifugiati – Associazione Ivoriani e West Africa – FuoriMercato Autogestione in Movimento – Associazione Rurale Italiana (ARI), membro del Coordinamento Europeo Via Campesina (ECVC) – Mimmo Lucano, Sindaco di Riace – Campagna LasciateCIEntrare – ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa) – Rete dei Comuni Solidali – Il Sud che sogna – Società dei territorialisti – Rete Restiamo Umani – Osservatorio sul disagio abitativo – SOS Rosarno – CoSMi (Comitato Solidarietà Migranti) – c.s.c. Nuvola Rossa – EquoSud – Ass. Yairaiha – Ass. Il Brigante Serra San Bruno – Ass. La Kasbah Cosenza – Ass. Magnolia – Ass. Ponti Pialesi – Ass. Un mondo di mondi – c.s.o.a Angelina Cartella – Spazio Autogestito Sparrow Cosenza – Sportello Sociale Autogestito Lamezia Terme – Comitato Piazza Piccola Cosenza – Comitato PrendoCasa Cosenza – CPOA Rialzo Cosenza – RASPA (Rete delle associazioni Sibaritide-Pollino per l’autotutela) – Comitato Verità Democrazia e Partecipazione Crotone – Rete Antirazzista Catanese – Arci provinciale Reggio Calabria – Arci provinciale Crotone – Circolo Arci “Il Barrio” – Circolo Arci “Gli spalatori di nuvole” – Circolo ARCI “Culture in… Movimento” – Legambiente Reggio Calabria – Collettiva AutonoMia – Non una di meno Reggio Calabria – Mani e Terra SCS Onlus – Cooperativa Agorà Kroton – Società Cooperativa Sankara – ReggioNonTace – Ciavula.it – Cobas telecomunicazioni Cosenza – Associazione dei Comuni della Locride – Francesca Danese, già Assessora alle Politiche Sociali, Salute, Casa ed Emergenza Abitativa del Comune di Roma – Circolo del Cinema “Cesare Zavattini” Reggio Calabria – Eleonora Forenza, Eurodeputata GUE/NGL – Progetto Diritti onlus – Transform Italia – Francesco Piobbichi, operatore sociale – Associazione “Il Viandante” – Collettivo studentesco Catanzaro – Gruppo Scuola Hospital(ity) School – Collettivo Mamadou Bolzano – Baobab Experience – A buon diritto

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GIORNATA DELLA TERRA NELLA STRISCIA DI GAZA: 17 PALESTINESI UCCISI E OLTRE 2000 FERITI

Giornata della Terra nella Striscia di Gaza: 17 Palestinesi uccisi e oltre 2000 feriti

InfoPal. E’ alto il bilancio delle vittime palestinesi della giornata di proteste nella Striscia di Gaza: venerdì, 17 Palestinesi sono stati uccisi e oltre 2000 sono stati feriti dall’esercito israeliano.

Fare il tiro al bersaglio, per l’esercito sionista, è stato facilissimo: una moltitudine umana sfilava inerme davanti a robo-killer posizionati su collinette. Sparare a questa enorme massa è stato come un video-game: uno dopo l’altro, cadevano a terra uomini, donne e bambini, uccisi o feriti dalle truppe criminali israeliane, che come consueto, nonostante le dichiarazioni delle Nazioni Unite, mai saranno perseguite e punite per i loro massacri. Vergogna dopo vergogna, l’entità israeliana “born-to-kill” continuerà a macchiarsi di feroci violazioni ai danni della popolazione autoctona palestinese, cioè i Nativi.

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Nella Striscia di Gaza sotto assedio israelo-egiziani la popolazione è in marcia, pacificamente, per commemorare la Giornata della Terra, Yom al-Ard.

Da giorni, Israele ha piazzato cecchini, truppe e droni pronti a sparare.

Venerdì, decine di migliaia di palestinesi nella Striscia di Gaza sono confluiti al confine orientale della Striscia con Israele, radunandosi per affermare il loro diritto di tornare alle loro case native nella Palestina storica.

I raduni sono sostenuti da praticamente tutte le fazioni politiche palestinesi, che hanno ripetutamente sottolineato la natura pacifica dell’evento.

A mezzogiorno, decine di migliaia di palestinesi erano già arrivati in diverse aree lungo il confine nella Striscia di Gaza settentrionale, centrale e meridionale, secondo i corrispondenti della zona.

Gli accampamenti sono stati allestiti lungo il confine – a soli 700 metri dalla barriera, in alcuni casi -per i sit-in a tempo indeterminato programmati dopo le marce del venerdì.

Gli attivisti palestinesi hanno descritto gli accampamenti come “il punto d’inizio per il nostro ritorno alla terra da cui siamo stati espulsi nel 1948”.

Alcuni di quelli che hanno preso parte alle marce di venerdì hanno scritto, all’entrata delle loro tende, i nomi delle città o dei villaggi da cui le loro famiglie furono sfollate.

Gli organizzatori hanno anche fornito un servizio di autobus gratuito al confine per chiunque voglia prendere parte all’evento.

A mezzogiorno, i funzionari sanitari palestinesi stavano già segnalando alcuni feriti alla frontiera.

Soprannominata “Great Return March”, i raduni di questo venerdì nella Striscia di Gaza coincidono anche con la Giornata della Terra, che commemora l’assassinio di sei palestinesi da parte delle forze israeliane nel 1976.

© “Agenzia stampa Infopal www.infopal.it”

Fonte:

http://www.infopal.it/giornata-della-terra-nella-striscia-di-gaza-17-palestinesi-uccisi-e-oltre-2000-feriti/

IL COORDINAMENTO AREA GRECANICA: “LA SEI RINUNCIA A CAUSA CONTRO ATTIVISTI CESSANDO DI ESISTERE”

Saline Joniche centrale a carbonenuova

“La SEI S.p.A., la società italoelvetica che aveva promesso di portare le navi da crociera al porto di Saline Joniche, che sosteneva che le qualità dell’aria del basso jonio reggino sarebbe migliorata grazie ai fumi emessi dalla centrale a carbone, la società che aveva garantito 1500 posti di lavoro per l’Area Grecanica, pare non esista più. Copia dell’istanza di cancellazione depositata presso la camera di commercio di Milano, è stata presentata dai legali della multinazionale al giudice Plutino, nel corso dell’udienza svoltasi il 24 gennaio scorso unitamente alla richiesta di interruzione del processo contro gli attivisti citati in giudizio.

Dopo la decisione di abbandonare definitivamente il progetto di costruzione della centrale a carbone all’indomani della riapertura dell’iter autorizzativo decretata dalla decisione del Consiglio di Stato nel novembre scorso, oggi SEI S.p.A. rinuncia alla causa contro Paolo Catanoso, Noemi Evoli e Domenico Larosa, cessando di esistere.

SEI cessa! e cessa vigliaccamente. Probabilmente terrorizzata dal esito negativo che avrebbe avuto per essa il processo e dalle consequenziali ripercussioni su coloro che il processo lo hanno fortemente voluto avanzando una richiesta di risarcimento danni, da più parti e a gran voce, ritenuta una mossa per intimidire e censurare il fronte del NO, non curanti di aver giocato per quasi tre anni con la vita di tre cittadini della nostra terra ritenuti colpevoli di aver sostenuto ragioni contrarie al carbone e ai suoi veleni insieme alla stragrande maggioranza deicittadinidell’AreaGrecanica.

SEI cessa! dopo avere chiesto agli attivisti No Carbone l’esorbitante cifra di 4 milioni di euro, ponendo sulle loro vite una enorme spada di Damocle, decidendo, un bel giorno e come se niente fosse, di non esistere più. E cosa importa se la citazione in giudizio ha causato sofferenza agli attivisti ed alle loro famiglie, cosa importa se ha rubato tempo e risorse ai tribunali, impegnati per anni a deliberare inutilmente, cosa importa dal momento che per la SEI è stato tutto un gioco, come dimostrerebbe la dichiarazione rilasciata alla stampa dal loro legale difensore Renato Vitetta “la citazione è stata presentata esclusivamente con l’obiettivo di responsabilizzare certi interlocutori”.

SEI cessa! e la legge glielo permette, perché una società può cessare di esistere con buona pace di coloro che hanno pendenze nei suoi confronti. Il processo si interrompe senza se e senza ma. Continuare vorrebbe dire scontrarsi contro un fantasma, perché della società italoelvetica non esiste più nulla di fisico, tranne un documento che ne dichiarerebbe la definitiva cancellazione.

Aspettando la decisione del giudice, prevista per il 20 marzo p.v., cogliamo l’occasione per rinnovare il nostro più profondo ringraziamento a chi in questi anni, con grandissimo impegno ed eccellente professionalità, ha sostenuto il No Carbone in tribunale contro la SEI, gli avvocati Angiolino Palermo ed Angela De Tommasi. Tutta l’attività da loro espletata ha avuto come incentivo la difesa di un ideale in cui credono, e questo ideale è stato il motore del loro lavoro svolto pressoché gratuitamente se si guarda ai possibili compensi del valore della causa. L’esigua parcella a loro corrisposta non potrà mai ripagare, neanche in parte, tutta la cura, l’attenzione e lo studio profusi nel corso di tutti questi anni.

SEI cessa! ma non cesserà mai la lotta affinché la nostra terra abbia lo sviluppo che merita basato sull’immenso patrimonio che custodisce”. Lo scrive in una nota il coordinamento associazioni area grecanica.

Per approfondire: 

IL MAXI RISARICMENTO RICHIESTO DALLA SEI: http://ildispaccio.it/reggio-calabria/114903-l-11-luglio-udienza-del-processo-della-sei-contro-gli-attivisti-no-carbone-chiesto-maxi-risarcimento-di-4-mln-di-euro

 

Fonte:

http://ildispaccio.it/reggio-calabria/133956-il-coordinamento-area-grecanica-la-sei-rinuncia-a-causa-contro-attivisti-cessando-di-esistere

Nicoletta Dosio è libera!

La Cassazione annulla i domiciliari per Nicoletta Dosio e Fulvio Tapparo. Resta il divieto di dimora a Susa. Si decompone il teorema contro i No Tav

di Checchino Antonini

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Scrive Nicoletta Dosio: «La lotta paga e non è vero che il più prepotente ha sempre ragione. Quest’esperienza ci dimostra che l’opposizione collettiva all’ingiustizia è l’unica arma vincente. Ma la strada della ribellione non si interrompe qui: ora dobbiamo batterci per la libertà di tutte e tutti. Un grazie a Valentina ed Emanuele, i nostri avvocati per i quali diritto e giustizia vanno ben oltre i banchi dei tribunali. Un abbraccio a voi che avete condiviso con me quest’esperienza e che continuate testardamente, giorno dopo giorno questa nostra avventura di liberazione: il viaggio non è finito, la lotta continua». Per effetto di una decisione della Cassazione sono state cancellate le misure restrittive a carico di Nicoletta Dosio, la militante No Tav che viola sistematicamente gli arresti domiciliari per protesta contro una misura evidentemente “politica” della magistratura. Si tratta di quelle emesse nell’inchiesta sugli incidenti avvenuti in Valle di Susa nel giugno del 2015. Nicoletta, comunque, non torna completamente in libertà perché nell’ambito di un altro provvedimento è sottoposta al divieto di dimora a Susa, anche questo teso a evitare che prenda parte alla lotta contro il mega elettrodotto. La Suprema Corte, in particolare, nell’inchiesta sugli episodi del giugno 2015 ha annullato la prima misura restrittiva, l’obbligo di firma dai carabinieri, emessa la scorsa estate. La Dosio aveva cominciato subito a non rispettare la disposizione e, di conseguenza, era stato disposto un aggravamento del regime cautelare. Non si conoscono le motivazioni, ma gli avvocati difensori avevano sollevato una questione sull’uso di video da parte della accusa. Il provvedimento degli ermellini riguarda anche un altro No Tav, Fulvio Tapparo. Dosio resta soggetta al divieto di dimora a Susa in una seconda indagine, relativa a dimostrazioni in Valle di Susa del dicembre 2015 e gennaio 2016.

Ecco come riassume la vicenda il sito www.notav.info/

Con il provvedimento della Cassazione, reso operativo da oggi, Nicoletta non è più agli arresti domiciliari. Con tutto l’adoperarsi del procuratore Spataro, che voleva libera Nicoletta, per sminuire la sua resistenza individuale e collettiva, sono venuti alla luce inquietanti giochi di potere sulla pelle di tutti noi.

Nicoletta da oggi non è più sottoposta agli arresti domiciliari, dai quali è sempre evasa, con la sentenza della Cassazione alla quale si erano rivolti gli avvocati notav.

Spataro stai sereno, alla fine ci pensa la lotta: del movimento e degli avvocati notav!

Ci pare sia giunto il momento, anche alla luce delle ormai frequenti esternazioni della Procura, ed in particolare del suo Capo Spataro, di cercare di ricapitolare la complicata vicenda giudiziaria di Nicoletta, caratterizzata dai maldestri e goffi tentativi dello stesso Spataro di porre grossolane pezze ad una situazione creata dai suoi sottoposti e che sta evidentemente generando non pochi imbarazzi e conflitti tra gli stessi magistrati. E’ una storia che dovrebbe interessare tutti.

Partiamo da una necessaria cronistoria:

  • All’alba del 21.6.2016 la Digos notifica ad un nutrito gruppo di militanti Notav un ordinanza applicativa di misure cautelari richieste dai pp.mm. Rinaudo e Gianoglio nei confronti di 21 persone ed emessa dal G.I.P. Ferracane nei confronti di 17 persone. 8 Notav finiscono quindi agli arresti domiciliari con divieto di comunicare con soggetti non coabitanti ed ad altre 9 persone viene imposto l’obbligo quotidiano di firma. I fatti per i quali procede la magistratura torinese sono quelli relativi alla manifestazione del 28.6.2015 quando, dopo che Questura e Prefettura ha limitato provocatoriamente il percorso del corteo allontanandolo di alcuni km dall’area del cantiere Tav, si verificano alcuni tafferugli con esplosione di artifici pirotecnici ed abbattimento di due betafence.

Il provvedimento giudiziario appare subito l’ennesimo atto vessatorio: segue all’applicazione di innumerevoli precedenti misure cautelari con il chiaro intento di indebolire il Movimento, di piegarne le ragioni alla forza della repressione e di dividerlo tra violenti e non. Le misure vengono applicate, come d’altronde quasi sempre anche precedentemente, nei confronti di soggetti incensurati; colpisce diversi ultrasettantenni; si caratterizza per il consueto sovradimensionamento dei fatti addebitati e, soprattutto, viene applicato a distanza di un anno dai fatti contestati, quando, come insegna la Cassazione e persino la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, più passa tempo dalla commissione dei supposti reati, meno senso ha applicare le misure cautelari, che già di loro dovrebbero costituire una “extrema ratio” da applicarsi esclusivamente in presenza di gravi ed impellenti ragioni.

Tutti i destinatari delle misure cautelari vengono considerati ugualmente responsabili, al di là delle rispettive e singole posizioni o condotte, di tutti gli episodi che si verificano quel giorno e tutti, egualmente, vengono additati come portatori di “elevata pericolosità”.

Subito dopo l’applicazione delle misure cautelari fa il giro dei media la vergognosa fotografia di Marisa che si reca a firmare dai Carabinieri di Susa. L’immagine di una donna canuta, che riesce a camminare solo grazie all’ausilio di un bastone induce il G.I.P. ad una immediata revoca della misura cautelare, che rimane però inalterata per gli altri due indagati a cui vengono contestate le medesime condotte.

  • La sera stessa del 21.6.2016, durante un’assemblea, alcuni dei destinatari delle misure cautelari, denunciando l’abuso di tali limitazioni, annunciano che non avrebbero rispettato le prescrizioni imposte. Nicoletta non si reca a firmare.
  • Il 3.7.2016 Luca e Giuliano vengono arrestati per evasione, essendosi sottratti agli arresti domiciliari.
  • L’8.7.2016 il Tribunale della Libertà riconosce, anche se solo in parte, l’eccessività delle misure e delle prescrizioni imposte, così revocando, per chi rimane agli arresti domiciliari, il divieto di comunicazione con soggetti non conviventi.
  • Il 18.7.2016 Luca e Giuliano vengono condannati per evasione; trascorrono due mesi in carcere ed il 2.9.2016 tornano agli arresti domiciliari, dove ancora si trovano.
  • Nicoletta il 26.7.2016 si vede notificare un’ordinanza di aggravamento della misura cautelare: poiché non era mai andata a firmare, poiché, come suggerito dalla Procura, denota “una personalità estremamente negativa”, poiché si dimostra “intollerante alle regole e totalmente priva del minimo spirito collaborativo” ed attesa la“persistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari”, le viene dunque imposto l’obbligo di dimora nel comune di Bussoleno con la prescrizione di non uscire di casa dalle ore 18,00 alle ore 8,00. Nicoletta persevera nel non rispettare neppure quest’ultima misura.
  • Il 2.9.2016 il G.I.P., su richiesta della Procura, aggrava ulteriormente la misura cautelare, applicando gli arresti domiciliari. Nicoletta non rispetta neppure questa ultima misura, partecipando, per contro, ad innumerevoli incontri pubblici in tutta Italia, denunciando l’attività repressiva dell’Autorità Giudiziaria torinese che, mentre indaga migliaia di attivisti Notav, immancabilmente archivia gli innumerevoli procedimenti penali aperti per le denunce sporte da manifestanti vilmente aggrediti, picchiati e molestati dalle forze dell’ordine.
  • Il 3.11.2016 Nicoletta viene arrestata all’ingresso del Palagiustizia di Torino, dove si reca per portare solidarietà ai 47 imputati in appello per lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena del 27.6.2011 e la seguente manifestazione nazionale del 3.7 dello stesso anno.
  • Giudicata per direttissima per il reato di evasione, la Procura chiede subito che, in attesa della sentenza, il Tribunale applichi un’ulteriore misura cautelare degli arresti domiciliari. Il Tribunale respinge tale richiesta e, mentre i suoi difensori ne chiedono il proscioglimento poiché la condotta non è finalizzata a sottrarsi alle autorità preposte ai controlli, ma a denunciare pubblicamente gli abusi e le storture di un sistema giudiziario tutto volto a reprimere le manifestazioni di dissenso, la Procura il 23.11.2016 ne chiede la condanna ad 8 mesi di reclusione ed il Tribunale rinvia per la sentenza al 14.12.2016.
  • Intanto, il 28.11.2016, i Sostituti Procuratori Gianoglio e Rinaudo, unitamente al Procuratore Capo Spataro chiedono al G.I.P. la revoca della misura cautelare via via aggravata e relativa ai fatti del 28.6.2015. La lunga e dettagliata istanza, dopo aver percorso le svariate tappe delle violazioni di Nicoletta, nega la sussistenza di qualsivoglia esigenza cautelare, aggiungendo che le condotte dell’evasa “non sono finalizzate a sottrarsi alla giustizia, ma a “sfidarla”….”, tanto che “per tali ragioni si deve anzi parlare di assoluta “innocuità” e – per certi versi – di non tipicità delle descritte condotte della DOSIO”. Infine – dopo una lunga disquisizione sugli effetti mediatici della disobbedienza di Nicoletta che Spataro ritiene però ininfluenti ai fini della richiesta -, escludendo di poter chiedere un aggravamento degli arresti domiciliari, con consequenziale ingresso in carcere, chiede la revoca della misura e la libertà di Nicoletta.
  • Il G.I.P. rigetta immediatamente la richiesta, suggerendo, implicitamente, la necessità, o almeno l’opportunità, di una richiesta della Procura di aggravamento della misura, e dunque, di ingresso in carcere.
  • Il 7.12.2016 il Procuratore Capo Spataro deposita invece personalmente al Tribunale della Libertà un appello con cui insiste nella richiesta di revoca della misura cautelare, ribadendo le ragioni già poste a base della richiesta al G.I.P. ed insistendo sulla ritenuta inoffensività dell’evasione. Pur rimarcandone l’irrilevanza, il Procuratore si dilunga ancora sugli effetti mediatici della condotta di Nicoletta: “appare allora evidente che proprio per porre fine a questa situazione ed impedire che la posizione e la condotta della Dosio, in quanto sottoposta a misura cautelare non ottemperata, diventino a loro volta strumento di propaganda di attività di quella parte del movimento che le pratica ed a cui ella appartiene e, addirittura, di proselitismo, la soluzione più coerente è quella di richiedere la revoca degli arresti domiciliari”.
  • Il 14.12.2016 il Tribunale condanna Nicoletta ad 8 mesi di reclusione senza la condizionale per l’evasione, evidentemente escludendo che la sua condotta, come sostenuto dalla Procura con la richiesta di revoca degli arresti domiciliari, sia effettivamente innocua ed inoffensiva.

E qui ci sta subito un commento: l’Ufficio della Procura della Repubblica è un Ufficio unico che agisce per il mezzo dei suoi vari P.M., tutti coordinati ed organizzati dal loro capo, il Procuratore Capo. Ed allora come è possibile che la medesima Procura da un lato chiede la condanna di Nicoletta per evasione e dall’altro chiede la revoca della misura a cui è seguita quella evasione perché ritiene che in fin dei conti non si tratta di una vera e propria evasione, dal momento che Nicoletta non si è di fatto sottratta ai controlli facendo sempre sapere pubblicamente (siti e fb) dove andava e cosa faceva? Ma soprattutto: com’è che Nicoletta il 21.6.2016 viene sottoposta a misura cautelare perché pericolosa e quando invece la sua evasione diventa difficilmente gestibile dalla Procura, quella pericolosità di colpo non è mai esistita e per questo Spataro chiede la revoca della misura cautelare?

Ed ancora: com’è che Nicoletta è l’unica dei vari raggiunti da misura cautelare per cui non esiste più, o – a leggere le varie istanze di revoca degli arresti domiciliari – addirittura non è mai esistito il pericolo di commissione di altri reati? Per quale ragione invece tutti gli altri suoi coindagati, magari avendo pure rispettato le misure e le restrizioni imposte, continuano ad essere così pericolosi?

Ma proseguiamo nella narrazione e vediamo poi che conclusioni trarre.

  • Il 21.12.2016 il Tribunale della Libertà rigetta l’appello del dott. Spataro e conferma gli arresti domiciliari per Nicoletta.
  • Lo stesso giorno il Tribunale di Torino recapita, a mezzo Digos, una nuova misura cautelare a 5 militanti in relazione alle proteste per i sondaggi relativi al progetto dell’elettrodotto Grand Ile-Piossasco. Il P.M. Padalino aveva chiesto l’applicazione di arresti domiciliari ed obbligo di firma per 23 attivisti; il G.I.P. concede la misura solo per 5, tra cui Nicoletta, raggiunta dal divieto di dimora nel Comune di Susa. L’ordinanza applicativa della nuova misura viene però notificata soltanto a 4 degli indagati, Nicoletta non la riceve. Perché? Perché il Procuratore Capo, evidentemente appena venuto a conoscenza della notizia (ma tra di loro non si parlano?) chiede immediatamente al G.I.P. la revoca della misura, solo per Nicoletta, ritenendo che, poiché la richiesta della Procura era stata formulata ben sei mesi prima rispetto alla decisione del G.I.P., nel frattempo il decorso del tempo ed il fatto che intanto Nicoletta non avesse commesso altri reati, ha fatto venir meno le esigenze cautelari (che in tutti i nostri casi è sempre e solamente quella del pericolo di reiterazione del reato): in sostanza il pericolo che Nicoletta commettesse altri reati, proprio in ragione di tali ultime due circostanze, non poteva più dirsi né attuale né concreto (presupposti indefettibili per l’applicazione di qualsivoglia misura cautelare). Il G.I.P. ancora una volta non è d’accordo con il Procuratore Capo e respinge la richiesta. Ma c’è di più: il P.M. titolare del fascicolo, il dott. Padalino chiede a Spataro di essere esonerato dalla gestione del fascicolo disapprovando la richiesta di revoca della misura. Spataro gli ricorda allora che i suoi poteri gli consentono scelte autonome ed anche non condivise, che decide lui chi deve gestire i fascicoli e respinge la sua richiesta. Il fascicolo resta dunque al P.M. Padalino.

Queste però sono beghe interne risibili, quello che indigna in quest’ultima vicenda, così come nella precedente, è che se le esigenze cautelari (pericolo di commissione di nuovi reati) poste a fondamento della richiesta della misura cautelare per Nicoletta fossero cessate perché negli ultimi sei mesi non avrebbe più commesso reati (cosa peraltro non vera anche solo alla luce della condanna per evasione), ma allora perché per gli altri 4 attivisti non è stata formulata analoga richiesta? Forse che hanno commesso altri reati negli ultimi sei mesi? Non ci risulta.

  • Il 28.12.2016 la Cassazione, previa ricorso dei difensori di Nicoletta e Fulvio, annulla l’originaria ordinanza applicativa delle misure cautelari per i fatti del 28.6.2016 ed il 30.12.2016 Nicoletta e Fulvio tornano liberi, venendo annullati anche tutti i successivi aggravamenti.

Le mal riuscite acrobazie della Procura e del suo Capo, con tutti i suoi strascichi mediatici e d’immagine, subiscono l’ennesimo schiaffo da opera della Cassazione.

Questo dunque quanto successo a Nicoletta e, sia pure diversamente, ai suoi numerosi coindagati. La situazione è evidentemente ancora in divenire e ne seguiremo gli sviluppi. E’ necessaria però ancora qualche ulteriore considerazione.

Come la Storia (e non solo quella del Movimento Notav) insegna, all’Autorità Giudiziaria è stata delegata l’attività di repressione del dissenso in assenza di una politica capace di rispondere nel merito alla contestazione di scelte economiche, politiche e sociali devastanti adottate da chi pretende di agire in nostro conto secondo dinamiche di rappresentanza che di democratico non hanno più nulla.

L’Autorità Giudiziaria non è mai stata capace di sottrarsi a tale inappropriata delega, trincerandosi dietro il sempre verde “noi interveniamo a fronte della commissione di reati”. Tale locuzione in realtà dimostra tutta la sua fragilità e la sua mendacità se solo si vogliono ricordare tutti quei provvedimenti dalle motivazioni imbarazzanti e vergognose che hanno chiuso i procedimenti a carico di appartenenti alle ff.oo. e che hanno palesato la chiara volontà di non perseguire chi si è macchiato di violenze odiose nei confronti di donne e uomini di qualsiasi età che si opponevano al Tav come ad altre scelte delinquenziali e criminogene. Certo, quando la Procura ha la possibilità, a differenza nostra, di scrivere su La Stampa, su La Repubblica o sul Fatto Quotidiano millantando una attività giudiziaria equa e misurata e mascherandosi dietro un operato corretto, una parte dell’opinione pubblica, magari quella più disattenta e superficiale ma ancora maggioritaria, potrà ancora nutrire quella fiducia invocata da Saluzzo (Procuratore Generale), Spataro (Procuratore della Repubblica) e Perduca (Procuratore Aggiunto) con la lettera a La Stampa del 14.7.2016. Ma chi, a qualunque titolo, frequenta le aule di giustizia sa e sperimenta sulla sua pelle gli esiti di una politica giudiziaria che risponde perfettamente a quella delega politica che abbiamo detto sopra e che non ha interesse a colpire chi dietro il Tav guadagna e specula a dispetto della volontà e della salute popolari e della tutela del territorio. E non ha nessun interesse a perseguire chi esercita violenza sui manifestanti, perché quegli agenti costituiscono il loro indispensabile braccio armato. La fiducia nella giustizia continuate dunque a chiederla a chi scientemente viene mantenuto all’oscuro di queste dinamiche; noi quella fiducia, purtroppo, l’abbiamo persa da tempo.

E d’altronde: come si può avere fiducia nella giustizia quando il più alto rappresentante della Procura torinese, pur di mettere a tacere le ragioni di Nicoletta, si perita di chiedere la revoca di misure cautelari negandone la fondatezza poco prima sostenuta per mezzo dei suoi sottoposti? Come si può avere fiducia nella giustizia quando i suoi rappresentanti, pur di togliersi di mezzo una settantenne che sta portando alla luce tutte le contraddizioni e le ingiustizie che quotidianamente vengono perpetrate nelle aule del palazzo di giustizia, si presta a piegare il diritto e le norme a discapito di coloro che, pur potendo beneficiare delle medesime attenzioni e ragioni, vengono invece ignorati e lasciati a gestire quelle stesse misure cautelari che solo per Nicoletta vengono ritenute ormai superate? Più concretamente: perché l’evasione di Nicoletta può comportare la richiesta di revoca degli arresti domiciliari e non ottiene lo stesso risultato chi invece ottempera alle prescrizioni imposte? Perché dopo sei mesi le esigenze cautelari, poste alla base dell’ultima misura cautelare imposta a 5 militanti per un sit-in, per Nicoletta sono superate e per gli altri no, quando si trovano tutti nelle medesime condizioni?

Perchè non fare invece i conti con il problema di fondo: la politica giudiziaria di aperti intenti repressivi nei confronti del Movimento Notav sta facendo acqua da tutte le parti. Quando si indagano migliaia di persone per fatti bagatellari se non inesistenti (vedi le ultime assoluzioni) mettendo in campo un apparato investigativo mastodontico e sproporzionato, quando non anche discutibile nei suoi aspetti più tecnici; quando si elargiscono a piene mani misure cautelari a soggetti incensurati anche ultrasettantenni (e il caso di Nicoletta non è l’unico) per fatti di oggettiva modestia; quando si costruiscono teoremi accusatori fantasiosi; quando si persevera, al limite del ridicolo, nel sostenere accuse di terrorismo ripetutamente smentite dalla Cassazione; quando ci si spinge a contestare reati d’opinione che ogni società civile ormai ripugna; quando si accusa di atti persecutori per poter sequestrare ed intercettare impunemente sulla scorta di evidenti vaneggiamenti, come tali poi riconosciuti dal Tribunale; quando nelle aule di giustizia si paragona il Movimento Notav alle FARC con intenti chiaramente allarmistici e denigratori; quando si sostiene la divisione del Movimento tra violenti e non violenti al di là di ogni evidenza e senza considerare il costante e pieno appoggio di tutto il Movimento a tutti i suoi indagati ed i suoi incarcerati; quando insomma si fanno carte false per distruggere, per conto terzi, un movimento popolare, senza neppure fare lo sforzo di capirlo e conoscerlo…..beh, quando tutto questo viene fatto prima o poi i nodi vengono al pettine ed, in ogni caso, il Movimento ha già vinto, forte delle sue ragioni e della debolezza di una siffatta magistratura.

E allora, cari Procuratori, vecchi e nuovi, continuate pure a scrivere sui servili quotidiani nazionali, continuate, se vi fa stare meglio, a propagandare le vostre ragioni….provate però a farlo con una maggiore onestà e limpidità e ricordate che noi non smetteremo, sia pure con i nostri più modesti ed onesti mezzi, a smentirvi laddove continuerete a smerciare per equità quella che è invece un’applicazione distorta della legge che contraddice quanto ci costringete a leggere dietro ai vostri scranni: la legge è uguale per tutti. Ci rivediamo in Tribunale nel 2017!

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2016/12/30/nicoletta-dosio-e-libera/

Ancora misure preventive a carico di Nicoletta Dosio.Vietato il soggiorno a Susa.

Dichiarazione di Nicoletta Dosio, fatta pervenire stamattina, tramite avvocati, al Tribunale di Torino, per l’interrogatorio di garanzia relativo alla contestazione al mega-elettrodotto Grand Ile Piossasco.
Ancora misure preventive, da firme quotidiane a divieti di soggiorno. A Nicoletta è stato vietato il soggiorno a Susa.

La mobilitazione della Valle di Susa contro il progetto del mega-elettrodotto Grand Ile- Piossasco non nasce ora.
Tra la fine anni ’80 e gli inizi anni ’90 riuscimmo a fermare la grande mala opera, con una lotta che coinvolse le popolazioni e le amministrazioni pubbliche non solo della Valle di Susa, ma della Val Sangone e della Maurienne.
Il parere negativo da parte del Ministero dell’ambiente fermò quella che veniva gabellata come infrastruttura irrinunciabile e quindi vinsero le nostre ragioni: l’esigenza di tutela ambientale e sanitaria, la necessità di un modello di sviluppo e di società alternativi, il rifiuto del nucleare, il diritto alla sovranità popolare, l’opposizione dei territori al destino di corridoi degradati e desertificati, dove tutto passa e nulla rimane.
Quelle ragioni non sono mutate e per rivendicarle, lotteremo sempre, con i metodi della lotta popolare, che rifiuta la guerra tra poveri, ma non fa sconti al sistema e alla prepotenza del partito trasversale degli affari teso, come sempre, anche attraverso le reti di traffico, a perpetuare i propri enormi profitti ed a portare avanti la guerra infinita all’uomo e alla natura.
Le motivazioni del nostro impegno e del nostro agire sono le stesse che migliaia di cittadini hanno sottoscritto in una raccolta di firme, il cui testo riporto:

I Sottoscritti Cittadini della Valle di Susa e dei territori interessati dal progettato Megaelettrodotto a 320.000 Volt Grand Ile – Piossasco

Respingono tale progetto e chiedono alle Amministrazioni ed ai Consigli Comunali dei territori interessati di respingerlo:
perché finalizzato al trasporto energetico dalle centrali nucleari francesi all’Italia e all’Europa, dunque funzionale ad un modello di sviluppo insostenibile e pericoloso, a cui il popolo Italiano ha detto NO con ben due referendum contro il nucleare, nel 1987 e nel 2011;
perché inutile: infatti l’Italia ha un surplus di energia disponibile di ben 25 GigaWatt, cioè il 50% in più del fabbisogno totale italiano, e l’utente paga in bolletta il non utilizzo come rimborso per il mancato profitto dell’ente gestore;
perché costosissimo, pagato per la quasi totalità con denaro pubblico a totale profitto privato;
perché causa di pesanti servitù ai danni dei territori attraversati e di disagi infiniti nel momento della posa in opera; infatti il megaelettrodotto, da Salbertrand a Bussoleno compresi, passerebbe lungo la strada statale 24 e dentro i paesi, a poco più di un metro di profondità;
perché in aperta contraddizione con i principi del risparmio energetico, della salute, della salvaguardia ambientale e della sovranità popolare, nonché in contrasto con lo sviluppo delle fonti energetiche piccole, pulite e rinnovabili.

Rifiutano il metodo delle consultazioni private adottato da Terna, in quanto lo considerano un espediente per aggirare l’obbligo della consultazione e dell’informazione pubblica e trasparente.
Valle di Susa, giugno 2015.

La necessità di dare concretezza e visibilità a tali motivazioni sta alla base degli episodi che codesto tribunale contesta a me e ad altri attivisti.
In realtà, con la nostra presenza sui luoghi dei sondaggi, abbiamo inteso praticare quel controllo popolare e quella sovranità che, secondo la Costituzione nata dall’antifascismo e dalla Resistenza, dovrebbe “appartenere al popolo”, ma che di fatto gli è stata scippata da grandi, sporchi, sempre più incontrollabili interessi: costoro riteniamo nostri nemici e non gli esecutori materiali dei sondaggi, contro cui, ad esercitare intimidazioni o violenze, non siamo stati certo noi, ma, caso mai, il ricatto occupazionale sempre presente.
Per questo motivo rivendico, come diritto e dovere di resistenza e scelta di responsabilità nei confronti delle generazioni future, l’opposizione ai sondaggi funzionali alla costruzione del Cavidotto Grand Ile-Piossasco, per la quale sono state inflitte a me e ad altri attivisti misure preventive, e dichiaro che, per quanto mi riguarda, non intendo rispettarle: le ritengo infatti un tentativo inammissibile, di impedire, con provvedimenti intimidatori, dettati da ragioni politiche e non di merito, il libero esercizio del controllo e dell’opposizione popolare, garantiti dallo spirito e dalla lettera della Carta Costituzionale.

Bussoleno, 29 dicembre 2016

Nicoletta Dosio

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/ancora-misure-preventive-carico-nicoletta-dosio-vietato-soggiorno-susa/

Donald Trump potrebbe autorizzare la costruzione dell’oleodotto in North Dakota

Attivisti marciano contro la costruzione dell’oleodotto Dakota Access, vicino a Cannon Ball, il 5 dicembre 2016. - Lucas Jackson, Reuters/Contrasto
Attivisti marciano contro la costruzione dell’oleodotto Dakota Access, vicino a Cannon Ball, il 5 dicembre 2016. (Lucas Jackson, Reuters/Contrasto)
  • 06 Dic 2016 18.26

Gli ingegneri dell’esercito statunitense hanno negato il 4 dicembre l’autorizzazione per la costruzione dell’oleodotto vicino alla riserva di Standing Rock Sioux, a cavallo tra il North Dakota e il South Dakota, ripagando i lunghi mesi di proteste dei nativi americani. Fin dal 2014, quando il progetto è stato presentato la prima volta, i sioux si sono opposti, affermando che il progetto profanerebbe le terre sacre e metterebbe in pericolo le risorse idriche.

L’oleodotto Dakota Access, la cui lunghezza dovrebbe essere di 2.047 chilometri, è quasi completo, manca poco più di un chilometro per essere terminato definitivamente. Quel chilometro sarebbe dovuto passare sotto il lago Oahe, punto che necessitava del permesso delle autorità federali. Il permesso chiave non è stato concesso e quindi l’azienda costruttrice, Energy transfer partners, è stata costretta a fermarsi.

Il portavoce del presidente eletto Donald Trump, Jason Miller, ha detto che la futura amministrazione potrebbe rivedere questa decisione, dato che è favorevole al completamento dell’oleodotto: quindi sarà Trump a decidere dopo il 20 gennaio, giorno del suo insediamento. Per i sioux, invece, quella dell’azienda è una decisione storica per la quale saranno per sempre grati all’amministrazione di Obama, che “ha fatto la cosa giusta”. Alcuni dei veterani non hanno intenzione di lasciare il campo di Oceti Sakowin, nel North Dakota, dove si sono riuniti finora, perché sospettano che la notizia di domenica sia solo una tattica per bloccare le loro proteste e poi riprendere i lavori.

Infatti i nativi americani, gli ambientalisti e i veterani che hanno protestato contro il progetto da 3,8 miliardi di dollari, temono molto la prossima amministrazione e che la compagnia di costruzione – nella quale Trump è perfino un investitore – possa presentare un ricorso.

Il leader della tribù Standing Rock Sioux, Dave Archambault, ha invitato i “protettori dell’acqua” ad abbandonare il campo e andare a casa, ma non è ancora chiaro se i manifestanti seguiranno il suo consiglio. Il corpo degli ingegneri dell’esercito ha detto che sarà necessaria una valutazione degli impatti ambientali dell’oleodotto, che richiederà anni, e trovare una soluzione alternativa se necessario.

 

Fonte:

http://www.internazionale.it/notizie/2016/12/06/oleodotto-north-dakota-nativi-trump