Roma, pestaggio in diretta e in divisa davanti a Magherini e Cucchi

30 luglio 2014

Tornavano dalla commemorazione di Dino Budroni, erano in auto con Fabio Anselmo, il loro legale, e Ilaria e Guido hanno visto tre agenti penitenziari in azione contro una persona ammanettata e sanguinante

di Checchino Antonini

10511216_722762577785019_406387647616319346_n

 

 

Perché tre agenti di polizia penitenziaria pestavano una persona, verosimilmente un migrante, già ammanettato e malconcio, di fronte al Verano, a Roma, all’altezza di Piazzale delle Crociate? Dall’altro lato della carreggiata, in direzione est, c’era una donna dello stesso corpo di polizia a bordo di un’auto. La segnalazione a Popoff arriva da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ed è stata confermata da diversi testimoni.

Erano le 18.50 quando i tre secondini si sono sentiti urlare «Lo sapete chi sono io? Sono di Firenze, mio figlio è stato ucciso in un intervento dei carabinieri!». L’uomo che urlava si è sentito dire più o meno di farsi i cazzi suoi ma quell’uomo è Guido Magherini, il padre di Riccardo, ucciso in uno dei casi più recenti di “malapolizia”. E storie come questa, purtroppo, sono proprio cavoli suoi.

Pochi istanti prima, Magherini aveva iniziato a urlare dentro l’auto che lo portava verso il centro di Roma: «Guardate che gli stanno facendo!». Con lui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto sette giorni dopo essere rimasto in balia proprio del sistema pentitenziario (l’appello inizierà a settembre), e Fabio Anselmo, legale sia dei Cucchi, sia dei Magherini. Avvocato anche della famiglia Aldrovandi, e dei parenti di Michele Ferrulli, Giuseppe Uva (ha appena strappato dopo sei anni il rinvio a giudizio per chi lo arrestò) e di Dino Budroni.

I tre testimoni tornavano proprio dalla cerimonia per il terzo anniversario della morte di Budroni, freddato da un agente dopo un inseguimento quando l’auto era ormai ferma. Per il pm, solo un paio di settimane fa, quell’agente meritava due anni e mezzo di carcere ma un giudice l’ha assolto per uso legittimo delle armi. La cerimonia, non lontano dallo svincolo del Raccordo anulare di Roma dove si concluse la vita di Budroni, è stata ancora più straziante proprio per via della sensazione di una giustizia strabica, frettolosa e distratta nei confronti di storie come questa. Anche Acad ha preso parte alla ricorrenza, assieme alla famiglia di Dino e con iniziative a Firenze, Roma e sul web.

Domani, dopo che qualche giornale blasonato, parlerà di questa denuncia, sapremo forse anche la versione ufficiale della polizia penitenziaria.

Sul posto è arrivata un’ambulanza del 118. L’operatore telefonico si sarebbe perfino complimentato con la ragazza che li ha allertati e le avrebbe raccomandato di aver fiducia nella polizia penitenziaria. All’altro capo del filo (ma lui non lo sapeva), c’era Ilaria Cucchi.

10447863_722703434457600_8305249164625175453_n

 

 

Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2014/07/30/roma-pestaggio-in-diretta-e-in-divisa-davanti-a-magherini-e-cucchi/

Leggi anche qui: http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/07/31/news/_ammanettato_e_picchiato_da_agenti_ilaria_cucchi_assiste_alla_scena_e_presenta_denuncia-92821012/

Poliziotti che abusano della divisa: la rotta è stata invertita

on 11 giugno 2014
poliziotti

I casi Gugliotta, Ferrulli e Androne e le condanne pesanti per gli agenti. I giudici non sono più disposti a coprire chi sbaglia.

 

Tutto si può cambiare. Qualsiasi cosa, basta semplicemente avere la volontà giusta per farlo. Ed il coraggio di andare ad intaccare e combattere anche quelli che sono diventati  malcostumi. Quelle pessime e vergognose abitudini che sembrano radicate ed impossibili da modificare. Perché non sempre i “buoni” si comportano da buoni ed i “cattivi” da cattivi. Questo non è un segreto. Troppe volte abbiamo assistito a casi in cui alcuni (non tutti ci mancherebbe, parliamo sempre di una minoranza) poliziotti hanno pestato le persone fermate,  riducendole spesso in fin di vita. Talvolta le hanno pure ammazzate. Spesso, storie di questo tipo, non sono nemmeno mai uscite fuori. Perché i “tutori dell’ordine”, sulla loro strada, hanno incontrato pubblici ministeri compiacenti che, di fronte al colore della divisa, hanno sempre chiuso un occhio. Anche due. E giudici disposti ad accettare tutto questo. Così facendo, gli agenti, che si sono macchiati del peccato di aver abusato del loro ruolo, spesso l’hanno fatta franca. Non sono stati puniti. Perché l’assenza di regole certe e di un diverso trattamento di fronte alla legge, nei confronti dei poliziotti, ha fatto cadere la paura delle sanzioni da parte di questi ultimi. Che avrebbero il compito di far rispettare quelle stesse leggi che hanno infranto. Proprio l’importanza dei compiti affidati alle forze dell’ordine, richiede, necessariamente ed obbligatoriamente, norme più chiare di quelle attuali per tutelare la fiducia nelle istituzioni e il lavoro di chi mette a repentaglio la propria vita per difendere la legge. E rischia invece di trovarsi schierato al fianco di chi l’ha violata.

Ed esistono, purtroppo, molti casi in cui gli agenti, non sospesi dopo una condanna, sono tornati ad infrangere la legge. Altri non sono proprio mai stati proprio giudicati.

Questi abusi non sono semplicemente una questione di “mele marce”, bensì un problema strutturale nella gestione dell’ordine pubblico fermo al modello degli anni ’70. Ma gli anni di Piombo sono ormai un ricordo, doloroso ma lontano. E non si può rimanere ancorati ad un determinato modus operandi che viene usato ancora oggi. Facendo finta di nulla.

La rotta che il nostro paese (e non solo il nostro) ha intrapreso, sta però cambiando. Lentamente e a fatica, ma sta cambiando. Gli ultimi casi di Roma, Firenze, Milano, Frosinone, Napoli e Monza, ma anche le condanne dei poliziotti per gli omicidi di Gabriele Sandri e Federico Aldrovandi, lo dimostrano. Statistiche ufficiali non ce ne sono, ma solamente nell’ultimo anno 228 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e guardie penitenziarie sono finiti sotto inchiesta.

I giudici, alcuni, hanno trovato il coraggio di punire e di condannare, anche se non sempre finiscono in galera, tutti quei servitori dello Stato che hanno abusato della divisa. Massacrando manifestanti inermi, torturando detenuti, picchiando ragazzi dopo averli fermati per un controllo. Sparando e uccidendo. I pm no, ancora non sono entrati nell’ordine di idee di cambiarla quella rotta e non si capacitano che anche la polizia possa sbagliare. E cercano sempre di proteggere il suo operato.

Roma Quella di Stefano Gugliotta è la notizia più recente, probabilmente la più eclatante. La condanna di quattro anni di reclusione per i nove poliziotti che nel 2010 lo picchiarono a sangue,  rappresenta un passo in avanti importante. Che certifica come le cose stiano davvero cambiando.

Il pestaggio avvenne a Roma, nel dopo partita della finale di Coppa Italia tra Roma e Inter, il 5 maggio di quattro anni fa. Gugliotta, quella notte, stava andando col motorino ad una festa e venne fermato al quartiere Flaminio, vicino allo stadio Olimpico. Scambiato per un ultras (come se poi bastasse questo per colpire una persona) fu picchiato violentemente in strada e sbattuto in carcere per una settimana. Riportando la perdita di un dente e ferite sul volto e sul corpo. La sentenza contro i nove agenti è andata ben oltre le richieste della Procura, che aveva sollecitato condanne tra i tre e i due anni per Leonardo Mascia, Guido Faggiani, Andrea Serrao, Roberto Marinelli, Adriano Cramerotti, Fabrizio Cola, Leonardo Vinelli, Rossano Bagialemani e Michele Costanzo. Alla lettura del giudice, Gugliotta ed i familiari sono scoppiati in lacrime, mentre tra gli imputati non c’è stata alcuna reazione.

Mandato in ospedale senza un perché, preso a pugni, calci e manganellate e tenuto in carcere una settimana con una falsa accusa. Infine scagionato e preso a simbolo di uno scontro che va oltre il caso singolo. Stefano Gugliotta ha vinto la sua battaglia giudiziaria.

Firenze Le cause della morte di Riccardo Magherini, l’ex promessa delle giovanili della Fiorentina, deceduto la  notte tra il 2 e il 3 marzo scorsi durante un fermo da parte dei carabinieri, “sono legate ad un meccanismo complesso di tipo tossico, disfunzionale cardiaco e asfittico”. Si legge nel referto medico. La famiglia della vittima è convinta che Magherini (consumatore abituale di cocaina) sia stato vittima anche di un pestaggio. Intanto, nel registro degli indagati, accusati di omicidio colposo ci sono 11 persone: quattro carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale, cinque operatori e due centralinisti del 118.

Milano Sette anni di carcere. E’ stata questa la richiesta di condanna richiesta nei confronti dei quattro agenti di polizia imputati per omicidio preterintenzionale e di falso in atto pubblico per la morte di Michele Ferrulli, avvenuta il 30 giugno 2011 a Milano. I quattro poliziotti, durante il fermo dell’uomo, lo avrebbero picchiato ripetutamente e con una violenza inaudita. Ferrulli, secondo quanto emerse dalle perizie, morì a causa di un arresto cardiaco, provocato dalla paura. Ma questa ipotesi non ha mai convinto del tutto.

Per il giudice, “quando la vittima venne fermato insieme a due amici romeni in via Varsavia, alla periferia sud-est del capoluogo lombardo, subì una violenza gratuita e non giustificabile da parte degli agenti,  intervenuti in seguito alla chiamata di un cittadino infastidito dagli schiamazzi”. Parole accolte con soddisfazione dalla figlia dell’uomo, Domenica Ferrulli, parte civile nel procedimento insieme ad altri familiari.

Frosinone In pochi si ricorderanno di Daniel Androne, un ragazzo romeno ucciso nel 2006.

I carabinieri Mario Rezza e Francesco Porcelli sono stati recentemente condannati a 18 anni di carcere per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Daniel venne fermato vicino Frascati. Era ubriaco e stava spacciando. Venne picchiato ed ucciso. Poi i due carabinieri nascosero il cadavere a Frosinone, che venne rinvenuto soltanto nel 2008. La Corte di  Giustizia della città ciociara ha fatto giustizia l’11 aprile scorso, quando ormai sembrava una storia, inquietante, destinata a rimanere nel dimenticatoio.

Monza Le immagini di un uomo in una stanzina del commissariato, disteso a terra e con addosso soltanto un paio di boxer ed una maglietta, è stata pubblicata da quasi tutti i quotidiani nazionali nei giorni scorsi. Con le manette ai polsi. Il fermato era un cittadino marocchino che, a maggio, avrebbe partecipato ad una rissa in un parco di Monza. Processato nei giorni successivi è stato condannato a otto mesi per resistenza a pubblico ufficiale. Ma le immagini, crudi e forti, dell’uomo sdraiato per terra con tre agenti che lo circondano sono al centro di un’inchiesta che dovrà appurare se i poliziotti abbiano o meno abusato delle loro funzioni su di lui. Di sicuro il trattamento riservato al giovane marocchino non ha nulla a che vedere con le normali procedure di arresto. Nulla. E la questione è diventato oggetto di dibattito in Parlamento.

Napoli Il caso di Napoli, va ad aggiungersi a quello di Monza, dove alcune foto apparse sui giornali hanno mostrato un cittadino straniero (che vendeva merce contraffatta) ammanettato alle mani e ai piedi, riverso a terra, sotto gli occhi degli agenti del commissariato. Picchiato fino a perdere i sensi.

Diritti umani dei cittadini calpestati, a prescindere dalla colpevolezza o meno del fermato. Ma il fatto che queste due foto siano state pubblicate certifica la voglia di dare un taglio a questi comportamenti, che non fanno altro che infangare il nome dello Stato e della Polizia italiana.

Due episodi, quello di Monza e quello di Napoli, che ricordano molto i casi di Emmanuel Bonsu, uno studente ghanese di 22 anni all’università di Parma, che venne scambiato per pusher. Massacrato di botte, questa volta addirittura da 7 vigili urbani, fu portato in cella. E di Giuseppe Uva, fermato ubriaco e portato nella questura di Varese. Morì il giorno dopo una notte di violenze subite dai poliziotti. Gli stessi poliziotti che adesso sono in carcere condannati (in primo grado), del 2011, ma per i quali il pm ha appena chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintezionale.

Poi ci sono gli omicidi di Gabriele Sandri e Federico Aldrovandi

Il primo morì, l’11 novembre del 2011, nella stazione di servizio di Badia Alpino, ad Arezzo, ucciso da un colpo di pistola esploso dall’agente della PolStrada Luigi Spaccarotella. Condannato in primo grado per omicidio colposo a una pena di 6 anni di reclusione, in Appello il responso venne aggravato: omicidio volontario, con una pena di 9 anni e 4 mesi. Successivamente confermata anche in Cassazione.

La vicenda di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto per le percosse di quattro agenti, ha riaperto il dibattito sull’inefficacia dei regolamenti che sanzionano il comportamento dei pubblici ufficiali. In questo caso, però, i poliziotti riconosciuti colpevoli (omicidio colposo) dalla Cassazione per quel pestaggio letale potranno tornare a indossare l’uniforme. Recentemente, in modo vergognoso, sono stati anche applauditi ad un convegno del Sap (sindacato autonomo di polizia) da tutti i partecipanti. Suscitando lo sdegno e la rabbia della famiglia Aldrovandi.

Ed ancora le morti in carcere, quantomeno sospette, di Stefano Cucchi, “morto per deperimento”; Marcello Lonzi, ufficialmente morto “per collasso cardiaco”, le cui foto raccontano di un corpo martoriato di lividi; Gianluca Frani, 31 anni, che si sarebbe suicidato impiccandosi a un tubo dello scarico del water, nel carcere di Bari. C’è un dettaglio, però: Frani era paraplegico e semiparalizzato. E di casi come questi ce ne sono un’infinità.

Storie orribilmente frequenti, in quegli inferni in terra che sono le carceri italiane. Ma non solo in galera. Da ricordare, raccontare e denunciare senza pause perché davvero, una volta per tutte, non accadano più.

E qualcosa, anche se lentamente, sta finalmente cambiando.

 

Fonte:

http://www.lultimaribattuta.it/4356_poliziotti-violenti-ora-si-cambia?fb_action_ids=1506833362883412&fb_action_types=og.likes&fb_source=other_multiline&action_object_map=[246893735434316]&action_type_map=[%22og.likes%22]&action_ref_map=[]

Le foto strazianti di Riccardo Magherini vittima di malapolizia

bastaomicidi

Di nuovo le foto di un corpo straziato sbattute sulla grande rete, sulle pagine dei giornali, ad affiorare dai tablet dei pendolari, sugli schermi dei tg di prima serata. La decisione estrema di una famiglia di fronte all’atroce incredulità di chi dovrebbe indagare sulle ragioni di quella morte. Come furono costrette a fare Ilaria Cucchi, Patrizia Adrovandi, Lucia Uva, e altre donne, oggi è Andrea Magherini, fratello di Riccardo, a mostrare le immagini dell’ex calciatore morto il 3 marzo a Borgo San Frediano, a Firenze, dopo essere stato bloccato dai carabinieri in seguito a una crisi di panico, secondo la procura provocata dall’assunzione di cocaina. Secondo alcune testimonianze, due dei quattro carabinieri intervenuti avrebbero dato dei calci a Magherini mentre era a terra, ammanettato a faccia in giù, con le braccia dietro la schiena e a torso nudo. I video e le foto sono appena stati presentati in Senato in una conferenza con Luigi Manconi e Fabio Anselmo, appena nominato legale della famiglia. Sono le immagini e le voci di un fermo violento in una strada di Firenze. La vittima che grida ripetutamente aiuto. I carabinieri su di lui, le manette ai polsi, l’ambulanza senza un medico.

 

 

 

Riccardo Magherini, è morto il 3 marzo a Borgo San Frediano, a Firenze, dopo essere stato bloccato dai carabinieri in seguito a una crisi di panico, secondo la procura provocata dall’assunzione di cocaina. Secondo alcune testimonianze, due dei quattro carabinieri intervenuti avrebbero dato dei calci a Magherini mentre era a terra, ammanettato a faccia in giù, con le braccia dietro la schiena e a torso nudo. I video e le foto, anche stavolta, lascerebbero poco spazio all’immaginazione. I segni e i rumori del trattamento riservato dai carabinieri a una persona che chiedeva aiuto. Oggi pomeriggio, giovedì 24, in una sala del Senato, verranno mostrate alla stampa da Luigi Manconi, Fabio Anselmo e da Andrea Magherini, fratello della vittima. Le immagini e le voci di un fermo violento in una strada di Firenze. La vittima che grida ripetutamente aiuto. I carabinieri su di lui, le manette ai polsi, l’ambulanza senza un medico.

 

«Ho visto che lo picchiavano mentre era a terra, già immobilizzato, che gli arrivavano i calci al fianco. E lui gridava… – racconta Sara, una ragazza che lavora in zona e quella notte stava tornando a casa – Riccardo quella sera era una persona sconvolta, quando i carabinieri sono arrivati gli hanno detto”stai calmo”e poi hanno iniziato a cercare di immobilizzarlo. Durante tutta l’operazione, che è stata molto difficoltosa, non gli hanno più rivolto parola, neanche quando era ormai a terra ammanettato, non hanno provato a chiedergli cosa fosse accaduto, da chi scappava, a stabilire un rapporto per calmarlo. Ma chi va in giro la notte sulle gazzelle e sulle volanti?! Queste persone sono in grado di riconoscere attacchi di panico, fobie, o altri sintomi? Sono formate per fare un lavoro di strada che inevitabilmente ti porta a contatto con tutta una serie di problematiche? Magherini aveva tutti i sensi allertati, gli occhi enormi, la bava alla bocca… anche un bambino se ne sarebbe accorto che non era un aggressore, era un fuggiasco che chiedeva aiuto. E’ una cosa che ci resta addosso, non la vorresti mai vedere. No, non è giusto morire così».

 

L’audio è agghiacciante: «Ahia!.. aiuto! aiutatemi!… aiuto! sto morendo… sto morendo… sto morendo! – e, sempre più flebile – ahia, aaaaaah, ahia!…». Magherini era già stato bloccato a terra, in Borgo San Frediano tra l’ex cinema Eolo e la Chiesa del Cestello, da quattro carabinieri intervenuti, sullo sfondo tra i rumori dell’audio, la sirena dell’ambulanza. «A un certo punto smette di urlare, uno dei carabinieri chiede “perche sta zitto?”, si accerta se respira…». Questo passaggio è sbagliato, sono io che ho chiesto: perchè si è zittito all’improvviso? E un altro ragazzo ha chiesto “respira?” e un carabiniere a risposto “Si”Da almeno mezz’ora era in piena crisi di panico e gridava nelle strade del quartiere che qualcuno lo voleva ammazzare. Dall’altra parte dell’Arno l’ambasciata degli Usa aveva segnalato la presenza di un uomo che urlava. C’è un ponte a separare quel palazzo da Borgo San Frediano dove, pochissimi minuti prima del violento “fermo”, Magherini era entrato in una pizzeria chiedendo a un addetto di poter usare il suo telefonino per chiamare la polizia perché qualcuno voleva ammazzarlo.

 

 

«Quella scena ci ha turbato, Riccardo aveva bisogno di essere aiutato, non di essere arrestato, ci sarebbe voluta la presenza di un medico da subito, di un approccio anche psicologico che avrebbe potuto cercare di calmarlo». «Basta calci! – diceva la gente quella notte (la procura ha sentito una settantina di testimoni oculari) – chiamiamo un’ambulanza». Era l’ora in cui chiudono i locali. Tutto s’è svolto sotto lo sguardo incredulo di parecchie persone. Continua la ragazza: «A fermarlo in quel modo, con quella crisi di panico, aggiungi paura alla paura». «Urlava, si divincolava, non riuscivano a bloccarlo e, dopo averlo ammanettato quei calci gratis…….». Dal video sembra di sentire l’anfibio schiantarsi sulle ossa della faccia. Le foto potrebbero essere eloquenti. «La gente urlava», ripete la ragazza e ricorda che l’ambulanza, la prima non aveva un medico a bordo, lo trova «col petto a terra. L’infermiere disse che respirava. Nessuno dei carabinieri gli ha mai rivolto la parola. Ma chi va in giro la notte sulle gazzelle e sulle volanti?! Magherini aveva tutti i sensi allertati, gli occhi enormi, la bava alla bocca… anche un bambino se ne sarebbe accorto che non era un aggressore, era un fuggiasco che chiedeva aiuto. E’ una cosa che ci resta addosso, non la vorresti mai vedere. No, non è giusto morire così».

Gli occupanti del Malborghetto e dello squat anarchico Panico, alcuni giorni dopo i fatti, di comune accordo con i familiari hanno organizzato un momento di ricordo nel parco di Piazza Tasso, nel quartiere di San Frediano dove Magherini viveva ed era conosciuto da tutti. Il primo avvocato della famiglia ha dichiarato pubblicamente di non voler procedere a indagini parallele, ribandendo la fiducia nelle indagini ufficiali. Ma tutto questo è accaduto a Firenze, città che vanta due migranti morti nella cella di sicurezza della questura, spiegano ad Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, un pestaggio ad opera della squadra antidegrado della municipale ai danni di due senegalesi, l’insabbiamento dell’inchiesta sulla strage di piazza Dalmazia, il pestaggio di richiedenti asilo ad opera di due agenti in borghese nell’albergo dove vivono per sei mesi coloro che hanno ottenuto l’asilo politico. E ora la vicenda di Magherini. Un infermiere che era in servizio la sera in cui hanno portato Magherini al pronto soccorso sarebbe certo che i segni del soffocamento fossero evidenti.

Come nei casi Aldrovandi, Ferrulli e Rasman, anche stavolta c’è un arresto o presunto tale posto in essere da più agenti, in questo caso carabinieri, con modalità violente e con compressione a terra in posizione prona che si protrae molto probabilmente oltre i limiti del lecito. La sequenza filmata, inedita finora, è davvero inquietante. «No, non sono casi isolati e non lo dico io, ma gli organismi di controllo pubblico europeo e internazionale. Esiste una mentalità e una cultura che fa sì che i protagonisti – che sono sempre più numerosi – di queste vicende non vengano lasciati soli davanti alle loro responsabilità, ma godono di una solidarietà ferma, forte e vibrante da parte di istituzioni e sindacati. Un esempio? Lo scorso febbraio il sindacato di polizia Sap ha chiesto la revisione del processo Aldrovandi e ha invitato a Ferrara i quattro agenti condannati per il loro congresso».

“Spirito di corpo”, come alla Diaz, e ritrosia da parte di alcuni pubblici ministeri a mettere in discussione il loro rapporto con gli organismi con i quali collaborano quotidianamente. Ma questi due elementi, spesso, incrociano la rabbia di legali come Anselmo e dei comitati spontanei che si raccolgono attorno ai parenti delle vittime, che stanno imparando a mettersi in rete, che fanno controinformazione e gettano semi perché in futuro non debbano più accadere cose del genere.

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/?p=5788

 

Processo morte Michele Ferrulli. La perizia: “Urlò aiuto, aiuto!”

Scritto da Abusodipolizia. Posted in Michele Ferrulli

04-04-2014

 

 

“Aiuto, aiuto!”. E’ quanto avrebbe gridato Michele Ferrulli, l’uomo di 51 anni morto a Milano per “arresto cardiaco” mentre quattro poliziotti lo stavano arrestando.

 

Emerge questo dalla relazione redatta dal perito Fabio Carlo Marangoni, nominato dai giudici della Corte d’Assise di Milano e che ha lavorato sulle “riprese audio-video” effettuate quel giorno da chi stava assistendo alla scena, sincronizzando tutto il materiale (quattro filmati) e trascrivendo le conversazioni.

 

La perizia, depositata nei giorni scorsi alle parti, e’ stata discussa martedì 1 aprile nel processo che vede imputati per omicidio peterintenzionale quattro poliziotti che, la sera del 30 giugno 2011, erano intervenuti in via Varsavia a Milano per una segnalazione di schiamazzi in strada.

 

La voce di Ferrulli “era bassa e affanosa”. Il perito indica anche un’altra frase “sposta ‘sto braccio! Basta!”. Dal consulente di parte civile era già stata indicata la frase “Basta la testa, basta!”.

 

Fonte:

http://www.abusodipolizia.it/index.php/le-vittime-0/40-michele-ferrulli1/2009-processo-morte-michele-ferrulli-la-perizia-urlo-aiuto-aiuto