A 5 anni dalla morte di Stefano Cucchi una serata per ricordarlo mentre si riapre il processo

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Cucchi: parte civile,su agenti atti a pm

Assolti in primo grado.”Accusa di omicidio preterintenzionale”

 

(ANSA) – ROMA, 14 OTT – Rinviare gli atti al pm per rivalutare la posizione degli agenti della penitenziaria che sono stati assolti in primo grado per la vicenda della morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato per droga nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo nel Reparto detenuti dell’ospedale ‘Pertini’. Sono le richieste formali della parte civile al processo d’appello; ritengono che l’accusa più appropriata sia quella di omicidio preterintenzionale.

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STEFANO CUCCHI (22 OTTOBRE 2009)

La fine di Stefano Cucchi comincia dal momento in cui i carabinieri lo arrestano al Parco degli acquedotti nel quartiere Casilino di Roma per detenzione di sostanze stupefacenti: 25 grammi di hashish, una modica quantità di cocaina e farmaci antiepilettici scambiati per pasticche d’ecstasy. All’arresto segue una perquisizione nell’appartamento dei genitori dove Stefano dichiara di risiedere e dove i militari non troveranno niente. In quella circostanza i genitori ricordano di averlo visto in buone condizioni e senza segni sul viso. Dopo la perquisizione Stefano verrà accompagnato in caserma dove trascorrerà la notte. In serata viene richiesto l’intervento del 118 da parte dei carabinieri per verificare lo stato di salute del fermato, ma pare che Cucchi abbia rifiutato la visita, nonostante apparisse sofferente. La mattina seguente viene accompagnato in tribunale dove i carabinieri lo consegnano alla polizia penitenziaria. Questi ultimi richiedono un’altra visita medica che riscontra lesioni ecchimotiche in regione palpebrale di lieve entità e colorito purpureo. Il referto parla anche di dolore e lesioni alla regione sacrale e alle gambe ma che il paziente rifiuta di farsi ispezionare. Dopo la convalida dell’arresto Stefano viene portato al carcere di Regina Coeli dove viene sottoposto alla visita d’ingresso come prevede il regolamento. Il medico ne ordina subito l’invio al pronto soccorso del Fatebenefratelli dove Cucchi rifiuta il ricovero. Verrà dimesso con diagnosi di frattura del corpo vertebrale L3 sull’emisoma sinistro e frattura I° vertebra coccigea. In sintesi, Stefano, sano al momento dell’arresto, il giorno dopo ha diversi lividi sul volto e due vertebre fratturate, cammina male e necessita il ricovero. Il tutto causato, secondo i referti, da una caduta dalle scale. Cucchi viene quindi riaccompagnato a Regina Coeli ma il giorno dopo, per assoluta incompatibilità col regime carcerario, viene riportato al pronto soccorso dell’ospedale. Questa volta viene imposto il ricovero e Stefano si ritrova nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini. Durante i giorni del ricovero la famiglia del giovane non ha mai potuto vederlo, perché l’amministrazione penitenziaria impediva qualsiasi contatto. Stefano morirà alle 6,45 del 22 ottobre 2009 dopo una via crucis giudiziaria e sanitaria durata quasi una settimana. Tutti i medici che lo hanno visitato suggerivano riposo per le vertebre fratturate e hanno sempre detto che le funzioni vitali erano normali. Stefano muore pesando 37 chili, disidratato, il volto livido e la bocca digrignata. Dopo la sua morte si è detto che Stefano rifiutava le cure e che chiedeva insistentemente di parlare con il suo avvocato. I Pm incaricano come consulente medico legale il dottor Albarello che nella sua perizia afferma che Stefano non è morto per i numerosi traumi sul corpo né per disidratazione. Cucchi sarebbe morto per le negligenze dei medici che lo avrebbero abbandonato a se stesso. Di botte e tante si parlerà invece nella consulenza di parte civile. Si rimarcherà la responsabilità di medici e sanitari che non hanno attentamente vigilato sul suo stato di salute ma si individuerà un nesso tra le fratture ossee e il peggioramento delle funzioni vitali. Questo implica un collegamento tra le percosse e la morte.

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Roma, pestaggio in diretta e in divisa davanti a Magherini e Cucchi

30 luglio 2014

Tornavano dalla commemorazione di Dino Budroni, erano in auto con Fabio Anselmo, il loro legale, e Ilaria e Guido hanno visto tre agenti penitenziari in azione contro una persona ammanettata e sanguinante

di Checchino Antonini

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Perché tre agenti di polizia penitenziaria pestavano una persona, verosimilmente un migrante, già ammanettato e malconcio, di fronte al Verano, a Roma, all’altezza di Piazzale delle Crociate? Dall’altro lato della carreggiata, in direzione est, c’era una donna dello stesso corpo di polizia a bordo di un’auto. La segnalazione a Popoff arriva da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ed è stata confermata da diversi testimoni.

Erano le 18.50 quando i tre secondini si sono sentiti urlare «Lo sapete chi sono io? Sono di Firenze, mio figlio è stato ucciso in un intervento dei carabinieri!». L’uomo che urlava si è sentito dire più o meno di farsi i cazzi suoi ma quell’uomo è Guido Magherini, il padre di Riccardo, ucciso in uno dei casi più recenti di “malapolizia”. E storie come questa, purtroppo, sono proprio cavoli suoi.

Pochi istanti prima, Magherini aveva iniziato a urlare dentro l’auto che lo portava verso il centro di Roma: «Guardate che gli stanno facendo!». Con lui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto sette giorni dopo essere rimasto in balia proprio del sistema pentitenziario (l’appello inizierà a settembre), e Fabio Anselmo, legale sia dei Cucchi, sia dei Magherini. Avvocato anche della famiglia Aldrovandi, e dei parenti di Michele Ferrulli, Giuseppe Uva (ha appena strappato dopo sei anni il rinvio a giudizio per chi lo arrestò) e di Dino Budroni.

I tre testimoni tornavano proprio dalla cerimonia per il terzo anniversario della morte di Budroni, freddato da un agente dopo un inseguimento quando l’auto era ormai ferma. Per il pm, solo un paio di settimane fa, quell’agente meritava due anni e mezzo di carcere ma un giudice l’ha assolto per uso legittimo delle armi. La cerimonia, non lontano dallo svincolo del Raccordo anulare di Roma dove si concluse la vita di Budroni, è stata ancora più straziante proprio per via della sensazione di una giustizia strabica, frettolosa e distratta nei confronti di storie come questa. Anche Acad ha preso parte alla ricorrenza, assieme alla famiglia di Dino e con iniziative a Firenze, Roma e sul web.

Domani, dopo che qualche giornale blasonato, parlerà di questa denuncia, sapremo forse anche la versione ufficiale della polizia penitenziaria.

Sul posto è arrivata un’ambulanza del 118. L’operatore telefonico si sarebbe perfino complimentato con la ragazza che li ha allertati e le avrebbe raccomandato di aver fiducia nella polizia penitenziaria. All’altro capo del filo (ma lui non lo sapeva), c’era Ilaria Cucchi.

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Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2014/07/30/roma-pestaggio-in-diretta-e-in-divisa-davanti-a-magherini-e-cucchi/

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