Desiglioli come Cucchi e Aldrovandi. La morte diventa un caso nazionale. Se ne occuperà l’avvocato delle “vittime di Stato”.

25 febbraio 2015 alle 08:54

Il creatore di “Servellu.it”, lo scorso 26 gennaio, è stato trovato morto nella soffitta della sua abitazione. Sul decesso del 35enne vi sono alcuni elementi che insospettiscono anche la Procura della Repubblica di Imperia che ha deciso di aprire un’inchiesta con l’ipotesi di reato di “istigazione al suicidio”.

di Gabriele Piccardo

collage fabio anselmo e dario

Dario Desiglioli una vittima di Stato? È questa la convinzione della madre, Patrizia Morello, che ha spinto la famiglia del blogger cervese a rivolgersi al più noto avvocato delle presunte “vittime di Stato”, il ferrarese Fabio Anselmo.  Già avvocato delle famiglie Aldrovandi, Cucchi, Uva, Rasman e Magherini, Anselmo ha accettato l’incarico definendolo un caso “difficilissimo”.

Il creatore di “Servellu.it”, lo scorso 26 gennaio, è stato trovato morto nella soffitta della sua abitazione. Sul decesso del 35enne vi sono alcuni elementi che insospettiscono anche la Procura della Repubblica di Imperia che ha deciso di aprire un’inchiesta con l’ipotesi di reato di “istigazione al suicidio”. Sotto la lente di ingrandimento è finita la lettera ritrovata scritta al computer e firmata a penna presumibilmente dallo stesso Desiglioli anche se, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe non essere così. 

“Ho detto a Dario che andrò avanti, – disse la madre il giorno del funerale –  non li perdono (I Carabinieri, ndr). Non arriverò a niente, ma mi hanno portato via mio figlio”. Secondo il racconto della donna a ImperiaPost, il figlio, sarebbe stato vittima di un comportamento persecutorio da parte di alcuni uomini dell’Arma che la notte tra sabato 24 e domenica 25 gennaio fermarono il giovane e gli tolsero la patente per guida in stato di ebbrezza. Il fermo, l’accompagnamento in caserma e presumibilmente una colluttazione avrebbero causato nel giovane un pesante stato di malessere che l’avrebbe condotto, 24 ore dopo, al suicidio.  Ma gli scenari ipotizzati dalla famiglia e dalla Procura potrebbero essere anche altri e sarà, ora compito di Anselmo, ricercare ogni elemento che porti chiarezza sulle ultime ore di vita di Desiglioli. 

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Fonte:

http://www.imperiapost.it/95762/esclusiva-imperiapost-desiglioli-come-cucchi-e-aldrovandi-la-morte-diventa-un-caso-nazionale-se-ne-occupera-lavvocato-delle-vittime-di-statoecco-di-chi-si-tratta

“Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi”. Tra botte e omertà: ancora abusi in carcere

A pochi giorni dal processo di appello per il caso Cucchi, a Parma un detenuto registra di nascosto le guardie che parlano di pestaggi in cella. Con minacce e intimidazioni, come si evince dalle registrazioni ottenute dall’Espresso

di Giovanni Tizian

Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi 
Tra botte e omertà: ancora abusi in carcere

«Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu». Sono le parole di una guardia carceraria, registrata di nascosto da un detenuto: un documento sulla violenza nei penitenziari rivelato ne “l’Espresso” in edicola domani, a pochi giorni dall’apertura del processo d’appello per la morte di Stefano Cucchi. Nei nastri il personale il medico dell’istituto di Parma è ancora più esplicito: «Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte».

I nastri verranno depositati dall’avvocato Fabio Anselmo, lo stesso che assiste la famiglia Cucchi. A registrarli è stato Rachid Assarag, un detenuto marocchino condannato per violenza sessuale: un reato molto grave, che avrebbe spinto gli agenti a infliggergli un supplemento di punizione con pestaggi durati un anno tra il 2010 e il 2011. L’apparecchio audio gli è stato fatto arrivare dalla moglie italiana.

Uno stralcio delle registrazione audio del detenuto nel carcere di Parma mentre parla con la guardia del pestaggio subito in cella. Tutti gli audio sono stati inviati in Procura dall’avvocato della vittima LEGGI Botte in cella tra l’omertà. Di Giovanni Tizian

Per cercare di documentare le violenze, il recluso ha spinto gli agenti a parlare: «Sì, sì, va bene: tu sei entrato dopo. Ma io sento la tua mano sulla mia faccia e il tuo piede sulla mia schiena… Perché tutta questa violenza?!». Il funzionario replica laconico: «Perché ti devi comportare bene». Nei nastri si sente il recluso che descrive la chiazza di sangue sul muro della cella: «Va bene assistente, guarda il sangue che è ancora lì, guarda, non ho pulito da quel giorno, lo vedi? ». «Sì, ho visto», conferma la guardia.

Denunciare però è inutile: «Comandiamo noi. Come ti porto, ti posso far sotterrare. Comandiamo noi, né avvocati, né giudici», dichiara un agente: «Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io…».

“L’Espresso” ha contattato il direttore dell’epoca, che ha preferito non rilasciare dichiarazioni. I sindacati anche negli scorsi mesi hanno difeso la corretta gestione dell’istituto. Il rappresentante del Sappe Errico Maiorisi ha forti perplessità sul metodo utilizzato dal detenuto nel ricercare le prove: «Mi sembra strano che possa aver registrato. La denuncia la può fare comunque, si vedrà chi ha ragione e chi ha torto».

La magistratura non si è ancora pronunciata: l’esposto di Assarag giace da molti mesi sulla scrivania dei pm di Parma. Invece la querela presentata contro di lui da alcune guardie per violenza e oltraggio si è rapidamente trasformata in processo. Ed è proprio questo giudizio che l’avvocato vuole sfruttare per ribaltare la situazione grazie alle registrazioni.

L’articolo integrale sull’Espresso in edicola venerdì e da oggi online su E+

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Fonte:

Roma, pestaggio in diretta e in divisa davanti a Magherini e Cucchi

30 luglio 2014

Tornavano dalla commemorazione di Dino Budroni, erano in auto con Fabio Anselmo, il loro legale, e Ilaria e Guido hanno visto tre agenti penitenziari in azione contro una persona ammanettata e sanguinante

di Checchino Antonini

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Perché tre agenti di polizia penitenziaria pestavano una persona, verosimilmente un migrante, già ammanettato e malconcio, di fronte al Verano, a Roma, all’altezza di Piazzale delle Crociate? Dall’altro lato della carreggiata, in direzione est, c’era una donna dello stesso corpo di polizia a bordo di un’auto. La segnalazione a Popoff arriva da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ed è stata confermata da diversi testimoni.

Erano le 18.50 quando i tre secondini si sono sentiti urlare «Lo sapete chi sono io? Sono di Firenze, mio figlio è stato ucciso in un intervento dei carabinieri!». L’uomo che urlava si è sentito dire più o meno di farsi i cazzi suoi ma quell’uomo è Guido Magherini, il padre di Riccardo, ucciso in uno dei casi più recenti di “malapolizia”. E storie come questa, purtroppo, sono proprio cavoli suoi.

Pochi istanti prima, Magherini aveva iniziato a urlare dentro l’auto che lo portava verso il centro di Roma: «Guardate che gli stanno facendo!». Con lui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto sette giorni dopo essere rimasto in balia proprio del sistema pentitenziario (l’appello inizierà a settembre), e Fabio Anselmo, legale sia dei Cucchi, sia dei Magherini. Avvocato anche della famiglia Aldrovandi, e dei parenti di Michele Ferrulli, Giuseppe Uva (ha appena strappato dopo sei anni il rinvio a giudizio per chi lo arrestò) e di Dino Budroni.

I tre testimoni tornavano proprio dalla cerimonia per il terzo anniversario della morte di Budroni, freddato da un agente dopo un inseguimento quando l’auto era ormai ferma. Per il pm, solo un paio di settimane fa, quell’agente meritava due anni e mezzo di carcere ma un giudice l’ha assolto per uso legittimo delle armi. La cerimonia, non lontano dallo svincolo del Raccordo anulare di Roma dove si concluse la vita di Budroni, è stata ancora più straziante proprio per via della sensazione di una giustizia strabica, frettolosa e distratta nei confronti di storie come questa. Anche Acad ha preso parte alla ricorrenza, assieme alla famiglia di Dino e con iniziative a Firenze, Roma e sul web.

Domani, dopo che qualche giornale blasonato, parlerà di questa denuncia, sapremo forse anche la versione ufficiale della polizia penitenziaria.

Sul posto è arrivata un’ambulanza del 118. L’operatore telefonico si sarebbe perfino complimentato con la ragazza che li ha allertati e le avrebbe raccomandato di aver fiducia nella polizia penitenziaria. All’altro capo del filo (ma lui non lo sapeva), c’era Ilaria Cucchi.

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Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2014/07/30/roma-pestaggio-in-diretta-e-in-divisa-davanti-a-magherini-e-cucchi/

Leggi anche qui: http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/07/31/news/_ammanettato_e_picchiato_da_agenti_ilaria_cucchi_assiste_alla_scena_e_presenta_denuncia-92821012/

Luciano Isidro Diaz

Scritto da Gilda. Posted in Luciano Isidro Diaz

19 Novembre 2012

Luciano Isidro Diaz è argentino di nascita. Alto uno e sessanta e scuro di carnagione. Un vero gaucho. Nacque 40 anni fa in un luogo talmente sperduto delle pampas che i suoi genitori lo registrarono all’anagrafe della città più vicina solo un mese più tardi.

Ama gli animali molto più degli esseri umani. Arriva in Italia negli anni novanta e nel 2000 si stabilisce in un vero paradiso sperduto situato nel comune di Primaluna, nelle montagne sopra Lecco. Proprio dal comune riceve in concessione alcuni terreni che gli servono per far pascolare i suoi cavalli. E’ abilissimo nel suo lavoro di addestratore ed eccelle in tutte le gare dove ci siano prove di abilità dove ci siano di mezzo i cavalli.

Ben presto verrà conosciuto per questo e diventa il punto di riferimento per tutti coloro che condividono la sua passione. Sempre più clienti gli portano il proprio cavallo per ferrarlo, accudirlo ed anche per tenerlo a pensione. Gli diventano amici, perché chi ama gli animali non può non voler bene a Luciano.

 

Pestarono Isidro Diaz. Rinviati a giudizio sei carabinieri

Scritto da Gilda. Posted in Luciano Isidro Diaz

3 Novembre 2012

 

Scampato a un brutale pestaggio e dopo una immeritata condanna per ‘resistenza a pubblico ufficiale’, l’immigrato argentino ha avuto il coraggio di denunciare i suoi aggressori. Un carabiniere condannato a 2 anni di carcere, altri sei rinviati a giudizio.

Sei carabinieri della compagnia di Voghera (Pavia) sono stati rinviati ieri a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sul pestaggio ai danni di un cittadino argentino fermato e portato in caserma tre anni fa.
Il 5 aprile del 2009 Luciano Isidro Diaz, all’epoca cittadino argentino di 40 anni e allevatore di cavalli, fu fermato durante un controllo stradale mentre tornava da un rodeo. Secondo la versione dei militari, l’uomo tentò la fuga con l’automobile tentando di investire un Carabiniere, e quando fu arrestato, dopo un lungo inseguimento, era ubriaco, aggressivo e brandiva un coltello con cui li minacciò prima di essere bloccato e condotto in caserma con l’accusa di resistenza, minacce e porto abusivo di armi.

Isidro Diaz, di origini argentine ma da 23 anni in Italia: timpani perforati e distacco della retina.

Scritto da Gilda. Posted in Luciano Isidro Diaz

24 giugno 2012

 

Vengo dall’Argentina dove la mia generazione è stata massacrata. Qui pensavo di vivere in un paese civile.

Invece mi sono ritrovato ammanettato, preso a calci e pugni in testa dai carabinieri, trascinato sull’asfalto, torturato e sbattuto contro i muri della caserma senza poter vedere un medico. Insultato, con i militari che mi puntavano la pistola addosso. E ancora non so perché”. Isidro Luciano Diaz ha 41 anni, dei quali 23 vissuti in Italia dove, nel lecchese, gestisce l’allevamento di cavalli “Dal Gaucho”. Da quando il 5 aprile dell’anno scorso è stato fermato dai carabinieri vicino a Voghera, è stato operato agli occhi 6 volte per distacco della retina e ha i timpani perforati. Ferite “compatibili” col suo racconto da incubo, scrive il medico legale nella relazione che riporta alla memoria le vicende di Federico Aldrovandi, di Giuseppe Uva, Stefano Cucchi. Di giovani morti dopo essere stati malmenati da uomini in divisa, entrati vivi in caserma o in carcere e mai usciti, tragedie di cui si è occupato lo stesso studio legale, Anselmo di Ferrara, che ora difende Diaz.

 

 

Fonte:

http://www.abusodipolizia.it/index.php/i-sopravvissuti/53-luciano-isidro-diaz

 

 

Vedi anche qui:

https://www.facebook.com/AcadOnlus/posts/713303732064237

Le foto strazianti di Riccardo Magherini vittima di malapolizia

bastaomicidi

Di nuovo le foto di un corpo straziato sbattute sulla grande rete, sulle pagine dei giornali, ad affiorare dai tablet dei pendolari, sugli schermi dei tg di prima serata. La decisione estrema di una famiglia di fronte all’atroce incredulità di chi dovrebbe indagare sulle ragioni di quella morte. Come furono costrette a fare Ilaria Cucchi, Patrizia Adrovandi, Lucia Uva, e altre donne, oggi è Andrea Magherini, fratello di Riccardo, a mostrare le immagini dell’ex calciatore morto il 3 marzo a Borgo San Frediano, a Firenze, dopo essere stato bloccato dai carabinieri in seguito a una crisi di panico, secondo la procura provocata dall’assunzione di cocaina. Secondo alcune testimonianze, due dei quattro carabinieri intervenuti avrebbero dato dei calci a Magherini mentre era a terra, ammanettato a faccia in giù, con le braccia dietro la schiena e a torso nudo. I video e le foto sono appena stati presentati in Senato in una conferenza con Luigi Manconi e Fabio Anselmo, appena nominato legale della famiglia. Sono le immagini e le voci di un fermo violento in una strada di Firenze. La vittima che grida ripetutamente aiuto. I carabinieri su di lui, le manette ai polsi, l’ambulanza senza un medico.

 

 

 

Riccardo Magherini, è morto il 3 marzo a Borgo San Frediano, a Firenze, dopo essere stato bloccato dai carabinieri in seguito a una crisi di panico, secondo la procura provocata dall’assunzione di cocaina. Secondo alcune testimonianze, due dei quattro carabinieri intervenuti avrebbero dato dei calci a Magherini mentre era a terra, ammanettato a faccia in giù, con le braccia dietro la schiena e a torso nudo. I video e le foto, anche stavolta, lascerebbero poco spazio all’immaginazione. I segni e i rumori del trattamento riservato dai carabinieri a una persona che chiedeva aiuto. Oggi pomeriggio, giovedì 24, in una sala del Senato, verranno mostrate alla stampa da Luigi Manconi, Fabio Anselmo e da Andrea Magherini, fratello della vittima. Le immagini e le voci di un fermo violento in una strada di Firenze. La vittima che grida ripetutamente aiuto. I carabinieri su di lui, le manette ai polsi, l’ambulanza senza un medico.

 

«Ho visto che lo picchiavano mentre era a terra, già immobilizzato, che gli arrivavano i calci al fianco. E lui gridava… – racconta Sara, una ragazza che lavora in zona e quella notte stava tornando a casa – Riccardo quella sera era una persona sconvolta, quando i carabinieri sono arrivati gli hanno detto”stai calmo”e poi hanno iniziato a cercare di immobilizzarlo. Durante tutta l’operazione, che è stata molto difficoltosa, non gli hanno più rivolto parola, neanche quando era ormai a terra ammanettato, non hanno provato a chiedergli cosa fosse accaduto, da chi scappava, a stabilire un rapporto per calmarlo. Ma chi va in giro la notte sulle gazzelle e sulle volanti?! Queste persone sono in grado di riconoscere attacchi di panico, fobie, o altri sintomi? Sono formate per fare un lavoro di strada che inevitabilmente ti porta a contatto con tutta una serie di problematiche? Magherini aveva tutti i sensi allertati, gli occhi enormi, la bava alla bocca… anche un bambino se ne sarebbe accorto che non era un aggressore, era un fuggiasco che chiedeva aiuto. E’ una cosa che ci resta addosso, non la vorresti mai vedere. No, non è giusto morire così».

 

L’audio è agghiacciante: «Ahia!.. aiuto! aiutatemi!… aiuto! sto morendo… sto morendo… sto morendo! – e, sempre più flebile – ahia, aaaaaah, ahia!…». Magherini era già stato bloccato a terra, in Borgo San Frediano tra l’ex cinema Eolo e la Chiesa del Cestello, da quattro carabinieri intervenuti, sullo sfondo tra i rumori dell’audio, la sirena dell’ambulanza. «A un certo punto smette di urlare, uno dei carabinieri chiede “perche sta zitto?”, si accerta se respira…». Questo passaggio è sbagliato, sono io che ho chiesto: perchè si è zittito all’improvviso? E un altro ragazzo ha chiesto “respira?” e un carabiniere a risposto “Si”Da almeno mezz’ora era in piena crisi di panico e gridava nelle strade del quartiere che qualcuno lo voleva ammazzare. Dall’altra parte dell’Arno l’ambasciata degli Usa aveva segnalato la presenza di un uomo che urlava. C’è un ponte a separare quel palazzo da Borgo San Frediano dove, pochissimi minuti prima del violento “fermo”, Magherini era entrato in una pizzeria chiedendo a un addetto di poter usare il suo telefonino per chiamare la polizia perché qualcuno voleva ammazzarlo.

 

 

«Quella scena ci ha turbato, Riccardo aveva bisogno di essere aiutato, non di essere arrestato, ci sarebbe voluta la presenza di un medico da subito, di un approccio anche psicologico che avrebbe potuto cercare di calmarlo». «Basta calci! – diceva la gente quella notte (la procura ha sentito una settantina di testimoni oculari) – chiamiamo un’ambulanza». Era l’ora in cui chiudono i locali. Tutto s’è svolto sotto lo sguardo incredulo di parecchie persone. Continua la ragazza: «A fermarlo in quel modo, con quella crisi di panico, aggiungi paura alla paura». «Urlava, si divincolava, non riuscivano a bloccarlo e, dopo averlo ammanettato quei calci gratis…….». Dal video sembra di sentire l’anfibio schiantarsi sulle ossa della faccia. Le foto potrebbero essere eloquenti. «La gente urlava», ripete la ragazza e ricorda che l’ambulanza, la prima non aveva un medico a bordo, lo trova «col petto a terra. L’infermiere disse che respirava. Nessuno dei carabinieri gli ha mai rivolto la parola. Ma chi va in giro la notte sulle gazzelle e sulle volanti?! Magherini aveva tutti i sensi allertati, gli occhi enormi, la bava alla bocca… anche un bambino se ne sarebbe accorto che non era un aggressore, era un fuggiasco che chiedeva aiuto. E’ una cosa che ci resta addosso, non la vorresti mai vedere. No, non è giusto morire così».

Gli occupanti del Malborghetto e dello squat anarchico Panico, alcuni giorni dopo i fatti, di comune accordo con i familiari hanno organizzato un momento di ricordo nel parco di Piazza Tasso, nel quartiere di San Frediano dove Magherini viveva ed era conosciuto da tutti. Il primo avvocato della famiglia ha dichiarato pubblicamente di non voler procedere a indagini parallele, ribandendo la fiducia nelle indagini ufficiali. Ma tutto questo è accaduto a Firenze, città che vanta due migranti morti nella cella di sicurezza della questura, spiegano ad Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, un pestaggio ad opera della squadra antidegrado della municipale ai danni di due senegalesi, l’insabbiamento dell’inchiesta sulla strage di piazza Dalmazia, il pestaggio di richiedenti asilo ad opera di due agenti in borghese nell’albergo dove vivono per sei mesi coloro che hanno ottenuto l’asilo politico. E ora la vicenda di Magherini. Un infermiere che era in servizio la sera in cui hanno portato Magherini al pronto soccorso sarebbe certo che i segni del soffocamento fossero evidenti.

Come nei casi Aldrovandi, Ferrulli e Rasman, anche stavolta c’è un arresto o presunto tale posto in essere da più agenti, in questo caso carabinieri, con modalità violente e con compressione a terra in posizione prona che si protrae molto probabilmente oltre i limiti del lecito. La sequenza filmata, inedita finora, è davvero inquietante. «No, non sono casi isolati e non lo dico io, ma gli organismi di controllo pubblico europeo e internazionale. Esiste una mentalità e una cultura che fa sì che i protagonisti – che sono sempre più numerosi – di queste vicende non vengano lasciati soli davanti alle loro responsabilità, ma godono di una solidarietà ferma, forte e vibrante da parte di istituzioni e sindacati. Un esempio? Lo scorso febbraio il sindacato di polizia Sap ha chiesto la revisione del processo Aldrovandi e ha invitato a Ferrara i quattro agenti condannati per il loro congresso».

“Spirito di corpo”, come alla Diaz, e ritrosia da parte di alcuni pubblici ministeri a mettere in discussione il loro rapporto con gli organismi con i quali collaborano quotidianamente. Ma questi due elementi, spesso, incrociano la rabbia di legali come Anselmo e dei comitati spontanei che si raccolgono attorno ai parenti delle vittime, che stanno imparando a mettersi in rete, che fanno controinformazione e gettano semi perché in futuro non debbano più accadere cose del genere.

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/?p=5788