Nicoletta Dosio è libera!

La Cassazione annulla i domiciliari per Nicoletta Dosio e Fulvio Tapparo. Resta il divieto di dimora a Susa. Si decompone il teorema contro i No Tav

di Checchino Antonini

1424271_10203071192077858_125984140_n

Scrive Nicoletta Dosio: «La lotta paga e non è vero che il più prepotente ha sempre ragione. Quest’esperienza ci dimostra che l’opposizione collettiva all’ingiustizia è l’unica arma vincente. Ma la strada della ribellione non si interrompe qui: ora dobbiamo batterci per la libertà di tutte e tutti. Un grazie a Valentina ed Emanuele, i nostri avvocati per i quali diritto e giustizia vanno ben oltre i banchi dei tribunali. Un abbraccio a voi che avete condiviso con me quest’esperienza e che continuate testardamente, giorno dopo giorno questa nostra avventura di liberazione: il viaggio non è finito, la lotta continua». Per effetto di una decisione della Cassazione sono state cancellate le misure restrittive a carico di Nicoletta Dosio, la militante No Tav che viola sistematicamente gli arresti domiciliari per protesta contro una misura evidentemente “politica” della magistratura. Si tratta di quelle emesse nell’inchiesta sugli incidenti avvenuti in Valle di Susa nel giugno del 2015. Nicoletta, comunque, non torna completamente in libertà perché nell’ambito di un altro provvedimento è sottoposta al divieto di dimora a Susa, anche questo teso a evitare che prenda parte alla lotta contro il mega elettrodotto. La Suprema Corte, in particolare, nell’inchiesta sugli episodi del giugno 2015 ha annullato la prima misura restrittiva, l’obbligo di firma dai carabinieri, emessa la scorsa estate. La Dosio aveva cominciato subito a non rispettare la disposizione e, di conseguenza, era stato disposto un aggravamento del regime cautelare. Non si conoscono le motivazioni, ma gli avvocati difensori avevano sollevato una questione sull’uso di video da parte della accusa. Il provvedimento degli ermellini riguarda anche un altro No Tav, Fulvio Tapparo. Dosio resta soggetta al divieto di dimora a Susa in una seconda indagine, relativa a dimostrazioni in Valle di Susa del dicembre 2015 e gennaio 2016.

Ecco come riassume la vicenda il sito www.notav.info/

Con il provvedimento della Cassazione, reso operativo da oggi, Nicoletta non è più agli arresti domiciliari. Con tutto l’adoperarsi del procuratore Spataro, che voleva libera Nicoletta, per sminuire la sua resistenza individuale e collettiva, sono venuti alla luce inquietanti giochi di potere sulla pelle di tutti noi.

Nicoletta da oggi non è più sottoposta agli arresti domiciliari, dai quali è sempre evasa, con la sentenza della Cassazione alla quale si erano rivolti gli avvocati notav.

Spataro stai sereno, alla fine ci pensa la lotta: del movimento e degli avvocati notav!

Ci pare sia giunto il momento, anche alla luce delle ormai frequenti esternazioni della Procura, ed in particolare del suo Capo Spataro, di cercare di ricapitolare la complicata vicenda giudiziaria di Nicoletta, caratterizzata dai maldestri e goffi tentativi dello stesso Spataro di porre grossolane pezze ad una situazione creata dai suoi sottoposti e che sta evidentemente generando non pochi imbarazzi e conflitti tra gli stessi magistrati. E’ una storia che dovrebbe interessare tutti.

Partiamo da una necessaria cronistoria:

  • All’alba del 21.6.2016 la Digos notifica ad un nutrito gruppo di militanti Notav un ordinanza applicativa di misure cautelari richieste dai pp.mm. Rinaudo e Gianoglio nei confronti di 21 persone ed emessa dal G.I.P. Ferracane nei confronti di 17 persone. 8 Notav finiscono quindi agli arresti domiciliari con divieto di comunicare con soggetti non coabitanti ed ad altre 9 persone viene imposto l’obbligo quotidiano di firma. I fatti per i quali procede la magistratura torinese sono quelli relativi alla manifestazione del 28.6.2015 quando, dopo che Questura e Prefettura ha limitato provocatoriamente il percorso del corteo allontanandolo di alcuni km dall’area del cantiere Tav, si verificano alcuni tafferugli con esplosione di artifici pirotecnici ed abbattimento di due betafence.

Il provvedimento giudiziario appare subito l’ennesimo atto vessatorio: segue all’applicazione di innumerevoli precedenti misure cautelari con il chiaro intento di indebolire il Movimento, di piegarne le ragioni alla forza della repressione e di dividerlo tra violenti e non. Le misure vengono applicate, come d’altronde quasi sempre anche precedentemente, nei confronti di soggetti incensurati; colpisce diversi ultrasettantenni; si caratterizza per il consueto sovradimensionamento dei fatti addebitati e, soprattutto, viene applicato a distanza di un anno dai fatti contestati, quando, come insegna la Cassazione e persino la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, più passa tempo dalla commissione dei supposti reati, meno senso ha applicare le misure cautelari, che già di loro dovrebbero costituire una “extrema ratio” da applicarsi esclusivamente in presenza di gravi ed impellenti ragioni.

Tutti i destinatari delle misure cautelari vengono considerati ugualmente responsabili, al di là delle rispettive e singole posizioni o condotte, di tutti gli episodi che si verificano quel giorno e tutti, egualmente, vengono additati come portatori di “elevata pericolosità”.

Subito dopo l’applicazione delle misure cautelari fa il giro dei media la vergognosa fotografia di Marisa che si reca a firmare dai Carabinieri di Susa. L’immagine di una donna canuta, che riesce a camminare solo grazie all’ausilio di un bastone induce il G.I.P. ad una immediata revoca della misura cautelare, che rimane però inalterata per gli altri due indagati a cui vengono contestate le medesime condotte.

  • La sera stessa del 21.6.2016, durante un’assemblea, alcuni dei destinatari delle misure cautelari, denunciando l’abuso di tali limitazioni, annunciano che non avrebbero rispettato le prescrizioni imposte. Nicoletta non si reca a firmare.
  • Il 3.7.2016 Luca e Giuliano vengono arrestati per evasione, essendosi sottratti agli arresti domiciliari.
  • L’8.7.2016 il Tribunale della Libertà riconosce, anche se solo in parte, l’eccessività delle misure e delle prescrizioni imposte, così revocando, per chi rimane agli arresti domiciliari, il divieto di comunicazione con soggetti non conviventi.
  • Il 18.7.2016 Luca e Giuliano vengono condannati per evasione; trascorrono due mesi in carcere ed il 2.9.2016 tornano agli arresti domiciliari, dove ancora si trovano.
  • Nicoletta il 26.7.2016 si vede notificare un’ordinanza di aggravamento della misura cautelare: poiché non era mai andata a firmare, poiché, come suggerito dalla Procura, denota “una personalità estremamente negativa”, poiché si dimostra “intollerante alle regole e totalmente priva del minimo spirito collaborativo” ed attesa la“persistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari”, le viene dunque imposto l’obbligo di dimora nel comune di Bussoleno con la prescrizione di non uscire di casa dalle ore 18,00 alle ore 8,00. Nicoletta persevera nel non rispettare neppure quest’ultima misura.
  • Il 2.9.2016 il G.I.P., su richiesta della Procura, aggrava ulteriormente la misura cautelare, applicando gli arresti domiciliari. Nicoletta non rispetta neppure questa ultima misura, partecipando, per contro, ad innumerevoli incontri pubblici in tutta Italia, denunciando l’attività repressiva dell’Autorità Giudiziaria torinese che, mentre indaga migliaia di attivisti Notav, immancabilmente archivia gli innumerevoli procedimenti penali aperti per le denunce sporte da manifestanti vilmente aggrediti, picchiati e molestati dalle forze dell’ordine.
  • Il 3.11.2016 Nicoletta viene arrestata all’ingresso del Palagiustizia di Torino, dove si reca per portare solidarietà ai 47 imputati in appello per lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena del 27.6.2011 e la seguente manifestazione nazionale del 3.7 dello stesso anno.
  • Giudicata per direttissima per il reato di evasione, la Procura chiede subito che, in attesa della sentenza, il Tribunale applichi un’ulteriore misura cautelare degli arresti domiciliari. Il Tribunale respinge tale richiesta e, mentre i suoi difensori ne chiedono il proscioglimento poiché la condotta non è finalizzata a sottrarsi alle autorità preposte ai controlli, ma a denunciare pubblicamente gli abusi e le storture di un sistema giudiziario tutto volto a reprimere le manifestazioni di dissenso, la Procura il 23.11.2016 ne chiede la condanna ad 8 mesi di reclusione ed il Tribunale rinvia per la sentenza al 14.12.2016.
  • Intanto, il 28.11.2016, i Sostituti Procuratori Gianoglio e Rinaudo, unitamente al Procuratore Capo Spataro chiedono al G.I.P. la revoca della misura cautelare via via aggravata e relativa ai fatti del 28.6.2015. La lunga e dettagliata istanza, dopo aver percorso le svariate tappe delle violazioni di Nicoletta, nega la sussistenza di qualsivoglia esigenza cautelare, aggiungendo che le condotte dell’evasa “non sono finalizzate a sottrarsi alla giustizia, ma a “sfidarla”….”, tanto che “per tali ragioni si deve anzi parlare di assoluta “innocuità” e – per certi versi – di non tipicità delle descritte condotte della DOSIO”. Infine – dopo una lunga disquisizione sugli effetti mediatici della disobbedienza di Nicoletta che Spataro ritiene però ininfluenti ai fini della richiesta -, escludendo di poter chiedere un aggravamento degli arresti domiciliari, con consequenziale ingresso in carcere, chiede la revoca della misura e la libertà di Nicoletta.
  • Il G.I.P. rigetta immediatamente la richiesta, suggerendo, implicitamente, la necessità, o almeno l’opportunità, di una richiesta della Procura di aggravamento della misura, e dunque, di ingresso in carcere.
  • Il 7.12.2016 il Procuratore Capo Spataro deposita invece personalmente al Tribunale della Libertà un appello con cui insiste nella richiesta di revoca della misura cautelare, ribadendo le ragioni già poste a base della richiesta al G.I.P. ed insistendo sulla ritenuta inoffensività dell’evasione. Pur rimarcandone l’irrilevanza, il Procuratore si dilunga ancora sugli effetti mediatici della condotta di Nicoletta: “appare allora evidente che proprio per porre fine a questa situazione ed impedire che la posizione e la condotta della Dosio, in quanto sottoposta a misura cautelare non ottemperata, diventino a loro volta strumento di propaganda di attività di quella parte del movimento che le pratica ed a cui ella appartiene e, addirittura, di proselitismo, la soluzione più coerente è quella di richiedere la revoca degli arresti domiciliari”.
  • Il 14.12.2016 il Tribunale condanna Nicoletta ad 8 mesi di reclusione senza la condizionale per l’evasione, evidentemente escludendo che la sua condotta, come sostenuto dalla Procura con la richiesta di revoca degli arresti domiciliari, sia effettivamente innocua ed inoffensiva.

E qui ci sta subito un commento: l’Ufficio della Procura della Repubblica è un Ufficio unico che agisce per il mezzo dei suoi vari P.M., tutti coordinati ed organizzati dal loro capo, il Procuratore Capo. Ed allora come è possibile che la medesima Procura da un lato chiede la condanna di Nicoletta per evasione e dall’altro chiede la revoca della misura a cui è seguita quella evasione perché ritiene che in fin dei conti non si tratta di una vera e propria evasione, dal momento che Nicoletta non si è di fatto sottratta ai controlli facendo sempre sapere pubblicamente (siti e fb) dove andava e cosa faceva? Ma soprattutto: com’è che Nicoletta il 21.6.2016 viene sottoposta a misura cautelare perché pericolosa e quando invece la sua evasione diventa difficilmente gestibile dalla Procura, quella pericolosità di colpo non è mai esistita e per questo Spataro chiede la revoca della misura cautelare?

Ed ancora: com’è che Nicoletta è l’unica dei vari raggiunti da misura cautelare per cui non esiste più, o – a leggere le varie istanze di revoca degli arresti domiciliari – addirittura non è mai esistito il pericolo di commissione di altri reati? Per quale ragione invece tutti gli altri suoi coindagati, magari avendo pure rispettato le misure e le restrizioni imposte, continuano ad essere così pericolosi?

Ma proseguiamo nella narrazione e vediamo poi che conclusioni trarre.

  • Il 21.12.2016 il Tribunale della Libertà rigetta l’appello del dott. Spataro e conferma gli arresti domiciliari per Nicoletta.
  • Lo stesso giorno il Tribunale di Torino recapita, a mezzo Digos, una nuova misura cautelare a 5 militanti in relazione alle proteste per i sondaggi relativi al progetto dell’elettrodotto Grand Ile-Piossasco. Il P.M. Padalino aveva chiesto l’applicazione di arresti domiciliari ed obbligo di firma per 23 attivisti; il G.I.P. concede la misura solo per 5, tra cui Nicoletta, raggiunta dal divieto di dimora nel Comune di Susa. L’ordinanza applicativa della nuova misura viene però notificata soltanto a 4 degli indagati, Nicoletta non la riceve. Perché? Perché il Procuratore Capo, evidentemente appena venuto a conoscenza della notizia (ma tra di loro non si parlano?) chiede immediatamente al G.I.P. la revoca della misura, solo per Nicoletta, ritenendo che, poiché la richiesta della Procura era stata formulata ben sei mesi prima rispetto alla decisione del G.I.P., nel frattempo il decorso del tempo ed il fatto che intanto Nicoletta non avesse commesso altri reati, ha fatto venir meno le esigenze cautelari (che in tutti i nostri casi è sempre e solamente quella del pericolo di reiterazione del reato): in sostanza il pericolo che Nicoletta commettesse altri reati, proprio in ragione di tali ultime due circostanze, non poteva più dirsi né attuale né concreto (presupposti indefettibili per l’applicazione di qualsivoglia misura cautelare). Il G.I.P. ancora una volta non è d’accordo con il Procuratore Capo e respinge la richiesta. Ma c’è di più: il P.M. titolare del fascicolo, il dott. Padalino chiede a Spataro di essere esonerato dalla gestione del fascicolo disapprovando la richiesta di revoca della misura. Spataro gli ricorda allora che i suoi poteri gli consentono scelte autonome ed anche non condivise, che decide lui chi deve gestire i fascicoli e respinge la sua richiesta. Il fascicolo resta dunque al P.M. Padalino.

Queste però sono beghe interne risibili, quello che indigna in quest’ultima vicenda, così come nella precedente, è che se le esigenze cautelari (pericolo di commissione di nuovi reati) poste a fondamento della richiesta della misura cautelare per Nicoletta fossero cessate perché negli ultimi sei mesi non avrebbe più commesso reati (cosa peraltro non vera anche solo alla luce della condanna per evasione), ma allora perché per gli altri 4 attivisti non è stata formulata analoga richiesta? Forse che hanno commesso altri reati negli ultimi sei mesi? Non ci risulta.

  • Il 28.12.2016 la Cassazione, previa ricorso dei difensori di Nicoletta e Fulvio, annulla l’originaria ordinanza applicativa delle misure cautelari per i fatti del 28.6.2016 ed il 30.12.2016 Nicoletta e Fulvio tornano liberi, venendo annullati anche tutti i successivi aggravamenti.

Le mal riuscite acrobazie della Procura e del suo Capo, con tutti i suoi strascichi mediatici e d’immagine, subiscono l’ennesimo schiaffo da opera della Cassazione.

Questo dunque quanto successo a Nicoletta e, sia pure diversamente, ai suoi numerosi coindagati. La situazione è evidentemente ancora in divenire e ne seguiremo gli sviluppi. E’ necessaria però ancora qualche ulteriore considerazione.

Come la Storia (e non solo quella del Movimento Notav) insegna, all’Autorità Giudiziaria è stata delegata l’attività di repressione del dissenso in assenza di una politica capace di rispondere nel merito alla contestazione di scelte economiche, politiche e sociali devastanti adottate da chi pretende di agire in nostro conto secondo dinamiche di rappresentanza che di democratico non hanno più nulla.

L’Autorità Giudiziaria non è mai stata capace di sottrarsi a tale inappropriata delega, trincerandosi dietro il sempre verde “noi interveniamo a fronte della commissione di reati”. Tale locuzione in realtà dimostra tutta la sua fragilità e la sua mendacità se solo si vogliono ricordare tutti quei provvedimenti dalle motivazioni imbarazzanti e vergognose che hanno chiuso i procedimenti a carico di appartenenti alle ff.oo. e che hanno palesato la chiara volontà di non perseguire chi si è macchiato di violenze odiose nei confronti di donne e uomini di qualsiasi età che si opponevano al Tav come ad altre scelte delinquenziali e criminogene. Certo, quando la Procura ha la possibilità, a differenza nostra, di scrivere su La Stampa, su La Repubblica o sul Fatto Quotidiano millantando una attività giudiziaria equa e misurata e mascherandosi dietro un operato corretto, una parte dell’opinione pubblica, magari quella più disattenta e superficiale ma ancora maggioritaria, potrà ancora nutrire quella fiducia invocata da Saluzzo (Procuratore Generale), Spataro (Procuratore della Repubblica) e Perduca (Procuratore Aggiunto) con la lettera a La Stampa del 14.7.2016. Ma chi, a qualunque titolo, frequenta le aule di giustizia sa e sperimenta sulla sua pelle gli esiti di una politica giudiziaria che risponde perfettamente a quella delega politica che abbiamo detto sopra e che non ha interesse a colpire chi dietro il Tav guadagna e specula a dispetto della volontà e della salute popolari e della tutela del territorio. E non ha nessun interesse a perseguire chi esercita violenza sui manifestanti, perché quegli agenti costituiscono il loro indispensabile braccio armato. La fiducia nella giustizia continuate dunque a chiederla a chi scientemente viene mantenuto all’oscuro di queste dinamiche; noi quella fiducia, purtroppo, l’abbiamo persa da tempo.

E d’altronde: come si può avere fiducia nella giustizia quando il più alto rappresentante della Procura torinese, pur di mettere a tacere le ragioni di Nicoletta, si perita di chiedere la revoca di misure cautelari negandone la fondatezza poco prima sostenuta per mezzo dei suoi sottoposti? Come si può avere fiducia nella giustizia quando i suoi rappresentanti, pur di togliersi di mezzo una settantenne che sta portando alla luce tutte le contraddizioni e le ingiustizie che quotidianamente vengono perpetrate nelle aule del palazzo di giustizia, si presta a piegare il diritto e le norme a discapito di coloro che, pur potendo beneficiare delle medesime attenzioni e ragioni, vengono invece ignorati e lasciati a gestire quelle stesse misure cautelari che solo per Nicoletta vengono ritenute ormai superate? Più concretamente: perché l’evasione di Nicoletta può comportare la richiesta di revoca degli arresti domiciliari e non ottiene lo stesso risultato chi invece ottempera alle prescrizioni imposte? Perché dopo sei mesi le esigenze cautelari, poste alla base dell’ultima misura cautelare imposta a 5 militanti per un sit-in, per Nicoletta sono superate e per gli altri no, quando si trovano tutti nelle medesime condizioni?

Perchè non fare invece i conti con il problema di fondo: la politica giudiziaria di aperti intenti repressivi nei confronti del Movimento Notav sta facendo acqua da tutte le parti. Quando si indagano migliaia di persone per fatti bagatellari se non inesistenti (vedi le ultime assoluzioni) mettendo in campo un apparato investigativo mastodontico e sproporzionato, quando non anche discutibile nei suoi aspetti più tecnici; quando si elargiscono a piene mani misure cautelari a soggetti incensurati anche ultrasettantenni (e il caso di Nicoletta non è l’unico) per fatti di oggettiva modestia; quando si costruiscono teoremi accusatori fantasiosi; quando si persevera, al limite del ridicolo, nel sostenere accuse di terrorismo ripetutamente smentite dalla Cassazione; quando ci si spinge a contestare reati d’opinione che ogni società civile ormai ripugna; quando si accusa di atti persecutori per poter sequestrare ed intercettare impunemente sulla scorta di evidenti vaneggiamenti, come tali poi riconosciuti dal Tribunale; quando nelle aule di giustizia si paragona il Movimento Notav alle FARC con intenti chiaramente allarmistici e denigratori; quando si sostiene la divisione del Movimento tra violenti e non violenti al di là di ogni evidenza e senza considerare il costante e pieno appoggio di tutto il Movimento a tutti i suoi indagati ed i suoi incarcerati; quando insomma si fanno carte false per distruggere, per conto terzi, un movimento popolare, senza neppure fare lo sforzo di capirlo e conoscerlo…..beh, quando tutto questo viene fatto prima o poi i nodi vengono al pettine ed, in ogni caso, il Movimento ha già vinto, forte delle sue ragioni e della debolezza di una siffatta magistratura.

E allora, cari Procuratori, vecchi e nuovi, continuate pure a scrivere sui servili quotidiani nazionali, continuate, se vi fa stare meglio, a propagandare le vostre ragioni….provate però a farlo con una maggiore onestà e limpidità e ricordate che noi non smetteremo, sia pure con i nostri più modesti ed onesti mezzi, a smentirvi laddove continuerete a smerciare per equità quella che è invece un’applicazione distorta della legge che contraddice quanto ci costringete a leggere dietro ai vostri scranni: la legge è uguale per tutti. Ci rivediamo in Tribunale nel 2017!

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2016/12/30/nicoletta-dosio-e-libera/

Louisiana, la polizia Usa uccide un altro afroamericano

Un video agghiacciante rivela l’omicidio, l’ennesimo, di un afroamericano per mano di agenti di polizia. Una strage silenziosa che ha fatto 1134 vittime nel 2015: tre al giorno

di Checchino Antonini
x_lon_baton_160706__105947.nbcnews-ux-1080-600
Le organizzazioni per la difesa dei diritti degli afroamericani hanno chiesto che venga licenziato o che si dimetta il capo della Polizia di Baton Rouge, in Louisiana, dove un agente ha sparato e ucciso Alton Sterling, afroamericano di 37 anni. Il video agghiacciante, divenuto virale, mostra l’uccisione dell’uomo, già immobilizzato a terra, con colpi di pistola alla schiena e al petto. L’ennesimo caso di un afroamericano ucciso da un agente di polizia ha scatenato un’ondata di proteste per le strade e sul web: l’episodio è avvenuto a Baton Rouge, in Louisiana, dove un agente ha sparato e ucciso Alton Sterling. Alcune ore dopo l’incidente circa 200 persone sono scese in strada nella città per protestare contro i metodi duri delle forze dell’ ordine nei confronti degli afroamericani. «Questo non è il modo di gestire la situazione», ha detto la sorella della vittima. L’uomo aveva cinque figli.

I manifestanti, riporta la stampa Usa, hanno bloccato le strade circostanti il luogo dell’incidente. Secondo quanto riportato dai media statunitensi, la polizia sarebbe stata chiamata perché l’uomo, che vendeva cd musicali per strada, stava minacciando i passanti con una pistola.
Nel filmato, diffuso poche ore dopo l’incidente, si vedono i due agenti avere una accesa discussione con Sterling. In seguito, i due poliziotti gettano a terra l’uomo e si sente il suono di cinque colpi di arma da fuoco. Una voce, grida, «ha una pistola». Un altro testimone, Abdul Muflahi, proprietario del negozio davanti al quale si è verificato l’incidente, ha riferito all’emittente locale Wafb Tv che uno dei due agenti ha usato su Sterling una pistola paralizzante e che dopo ne è seguita una colluttazione con il secondo agente. Il primo poliziotto ha quindi esploso «dai quattro a i sei colpi» di arma da fuoco. Il proprietario del negozio ha anche detto che la vittima non sembrava impugnare alcuna arma durante la discussione con gli agenti, ma di aver visto i due poliziotti estrarre una pistola dalle tasche della vittima dopo la sparatoria. La polizia di Baton Rouge non ha confermato al momento il suo racconto.
Mentre scriviamo, familiari, amici e sostenitori di Alton Sterling parlano in diretta tv per condannare l’uccisione dell’uomo. Il figlio del 37enne scoppia in lacrime disperato davanti alle telecamere, mentre la madre del ragazzo dice che gli agenti hanno «strappato un padre ai loro figli». «Dovete vedere queste scene – continua puntando il dito contro i poliziotti mentre il teenager singhiozza – io dovrò crescere un figlio che ricorderà cosa è successo a suo padre». «Vedi tuo figlio soffrire e non c’è nulla che puoi fare per impedirlo», conclude la donna.
The counted è un contatore attivato dal Guardian che tiene conto di tutte le uccisioni avvenute per mano della polizia Usa. Nel 2015 ha contato 1134 omicidi da parte di persone in divisa: una strage silenziosa. The counted funziona anche grazie alle segnalazioni dei lettori, delle persone che ogni giorno vengono uccise negli Stati Uniti per mano di un agente locale o delle forze dell’ordine federali. Scopo del contatore è colmare il vuoto d’informazione e di consapevolezza dimostrato dalle autorità all’indomani dell’8 agosto 2014 quando Michael Brown, un ragazzo nero di 18 anni, è stato ucciso dalla polizia locale nonostante fosse disarmato. Ci furono scontri e tensioni da tempo dimenticate dalle strade di Ferguson, Missouri, e a macchia d’olio in tutto il paese. Il tasso di cittadini neri uccisi è doppio rispetto ai bianchi e ai latini e agli ispanici (6,56 neri uccisi ogni milione di abitanti, contro 2,72 bianchi e 3,08 latini). In termini assoluti, i bianchi uccisi finora sono 538, i neri sono 276 e 171 gli ispanici. Spiega il Guardian che negli Stati Uniti, 316 milioni di abitanti, sono state uccise 59 persone in 24 giorni dalle forze dell’ordine nel 2015, mentre in Inghilterra e Galles, che contano quasi 57 milioni di abitanti, la polizia ha ucciso 55 persone in 24 anni. 19 i neri disarmati uccisi nei primi cinque mesi del 2015 negli States mentre in Germania sono stati uccisi 15 cittadini armati o disarmati di qualsiasi colore o etnia in due anni, dal 2010 al 2011. In Norvegia gli agenti hanno sparato solo due colpi di pistola senza uccidere, né ferire nessuno nel 2014.
A Baltimore County uno degli episodi più sconcertanti: l’agente David Earomirski ha sparato a un ragazzo nero di 19 anni, Keith Harrison McLeod, colpevole solo di aver fatto il gesto della pistola con le mani, e di averla puntata contro l’agente gridando “Ti uccido”.

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2016/07/06/louisiana-la-polizia-usa-uccide-un-altro-afroamericano/

 

 

 

Usa, un video inchioda un poliziotto bianco assassino

 
 Un altro omicidio di un cinquantenne nero da parte di un poliziotto bianco. E’ avvenuto sabato in South Carolina e un video smonta la versione ufficiale dell’agente

di Checchino Antonini

Un agente di polizia bianco, a North Charleston (Carolina del Sud), è stato accusato di omicidio inchiodato da un video che lo mostra mentre spara otto colpi alla schiena a un cinquantenne nero, Walter L.Scott, e disarmato. L’agente, Michael T. Slager, 33 anni, ha detto di aver temuto per la sua vita, perché l’uomo aveva preso la sua pistola taser nel corso di un corpo a corpo dopo un controllo stradale. E’ avvenuto sabato scorso. Il video, che è l’apertura del New York Times, fa a pezzi la versione ufficiale e il sindaco di North Charleston ha annunciato le accuse di Stato in una conferenza stampa ieri sera. Il delitto di Scott era di viaggiare su una Mercedes col fanalino rotto.

Tutto ciò, finalmente, sembra destare scalpore negli States e una task force della Casa Bianca ha raccomandato una serie di modifiche alle politiche di polizia della nazione. Obama ha inviato il procuratore generale Eric H. Holder Jr. in giro per il paese per cercare di migliorare i rapporti della polizia con chi abita nei quartieri ad alto tasso di minoranze etniche.

 

North Charleston è la terza città più grande della Carolina del Sud, con una popolazione di circa 100mila afro-americani, il 47 per cento dei residenti, mentre i bianchi rappresentano circa il 37 %. Ma il Dipartimento di Polizia è quasi tutto bianco (l’80%).

 

Nel video, oltre alla terrificante sequenza degli otto colpi da 15-20 metri, è evidente la mossa dell’agente di lasciar cadere la sua pistola Taser accanto al corpo dell’uomo assassinato.

Per diversi minuti dopo i colpi, Walter L. Scott è rimasto a faccia in giù con le mani legate dietro la schiena. Un secondo agente arriva, mette i guanti medicali blu ma non viene mostrato l’eventuale massaggio cardiaco. Un terzo poliziotto arriva più tardi, a quanto pare con un kit medico, ma non si vede alcuna manovra di soccorso.

L’uomo aveva dei precedenti legati al mancato mantenimento dei figli e forse per questo avrebbe tentato la fuga dopo il fermo. Gli piaceva ballare e raccontare barzellette. Aveva da poco ritrovato lavoro. Frammenti della sua vita sono ricomposti dalle parole di suo fratello Anthony che non si fa una ragione della versione ufficiale: «Come si fa a morire per un blocco del traffico?».

La Corte Suprema ha ritenuto che un agente può usare la forza letale contro un sospetto in fuga solo quando vi è la probabilità che il sospetto “costituisca una grave minaccia di morte o di gravi lesioni fisiche al funzionario o altri.”

Dopo i fatti di Ferguson, l’estate scorsa, il dibattito sull’uso della forza è spinto da video come questo. Nel mese di gennaio, ad Albuquerque, due agenti di polizia hanno assassinato un uomo senza fissa dimora; i procuratori federali stanno indagando la morte di Eric Garner, morto l’anno scorso a Staten Island, dopo che un agente di polizia lo aveva preso alla gola; un altro video ripreso a Cleveland mostra la polizia che spara a un ragazzino di 12 anni, Tamir Rice, che portava una pistola finta in un parco.

Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2015/04/08/usa-un-video-inchioda-il-poliziotto-bianco-assassino/

Missouri, ecco come la polizia uccide i neri

Dodici colpi a bruciapelo: un video mostra il secondo omicidio di St.Louis. E in un altro video un agente minaccia di morte la folla. L’hanno sospeso

di Checchino Antonini

tumblr_naiil0qpiQ1tqlsx9o1_500

Un agente di polizia della cittadina di St. Ann, nel Missouri, è stato sospeso a tempo indeterminato per aver puntato un fucile contro i manifestanti a Ferguson minacciandoli di morte. Una notizia che non ha precedenti in Italia dove da anni chi fa servizio di ordine pubblico ha le modalità identiche a chi opera nei teatri della guerra globale. Tutto ciò grazie a una riforma del reclutamento delle forze dell’ordine che prevede la precedenza assoluta per i reduci di guerra.

L’ufficiale è stato successivamente identificato come il luogotenente Ray Albers, un veterano con vent’anni di servizio, come ha spiegato Aaron Jimenez, della polizia di St.Ann, al St. Louis Post-Dispatch.

In un video si vede il corpulento, poliziotto calvo è puntare il suo fucile semi-automatico contro una folla di persone, tra cui alcuni giornalisti, che camminavano lungo una strada di Ferguson poco prima della mezzanotte di martedì.

Ecco dunque altre foto e altri video dal Missouri, sconvolto dalle proteste della popolazione nera dopo la sequela di omicidi da parte di poliziotti perlopiù bianchi.

Immagini forti, che potrebbero urtare la vostra sensibilità. Anzi, che potrebbero, dovrebbero, sconvolgerci. E indignarci. Perché cose del genere accadono spesso anche a queste latitudini come dimostra la triste litania di nomi che abbiamo imparato a conoscere grazie alle denunce di amici, familiari di vittime di malapolizia, o grazie ad associazioni che si battono per memoria, verità e giustizia. Ieri, 20 agosto, la polizia di St. Louis, nel Missouri, ha diffuso il video della morte di Kajieme Powell, un ragazzo afroamericano di 25 anni ucciso martedì dalla polizia a circa 5 chilometri da Ferguson, dove da settimane si protesta per l’uccisione di un altro ragazzo nero, Michael Brown, 18 anni. Nel video si vede Powell camminare su un marciapiede con un oggetto in mano (un coltello, secondo la polizia e alcuni testimoni). Powell viene raggiunto da due agenti che gli puntano le pistole addosso ordinandogli di sdraiarsi in terra. Powell non obbedisce e si muove verso i due agenti che a quel punto sparano. Dodici colpi di pistola. Questo il video:

Intanto, a Ferguson, è comparso il ministro della Giustizia, Eric Holder, mandato da Obama dopo che anche la notte precedente ha tenuto scena la piazza per l’uccisione del 18/enne nero Michael Brown da parte di un poliziotto. Nella protesta più pacifica degli ultimi dieci giorni, nella notte si sono comunque verificati tafferugli con la polizia che ha arrestato altre 47 persone. La popolazione afroamericana di Ferguson non si fida della giustizia bianca locale e sul luogo sono arrivati già da una settimana fa 40 agenti dell’Fbi che hanno già interrogato oltre 100 testimoni; ora faranno il punto con Holder sull’inchiesta relativa al rispetto dei diritti civili. Il ministro della Giustizia ha promesso un’inchiesta “equa e approfondita” e incontrerà anche i genitori di Michael Brown i cui funerali di terranno lunedì prossimo.

 

La visita del ministro della Giustizia coincide con la convocazione del Gran Giurì locale, che esaminerà le prove contro il poliziotto Darren Wilson – secondo l’autopsia indipendente, il giovane è stato colpito da sei proiettili, due dei quali alla testa – e dovrà decidere se incriminarlo per l’uccisione di Michael. Da quel maledetto giorno, l’agente è stato solo sospeso con paga. Nessuno sa dove sia dopo che la polizia ha deciso di allontanarlo da casa per le minacce ricevute, ma la solidarietà nei suoi confronti cresce su Facebook dove il profilo aperto per sostenerlo ha già superato i 30 mila “mi piace”. Intanto, crescono le richieste per far rimuovere il pubblico ministero Bob McCulloch del Missouri dal caso di Michael Brown.

 

La famiglia del giovane ha tentato invano di ottenere la sua ricusazione, in quanto teme che possa non essere imparziale a causa dei suoi legami con il dipartimento di polizia. Il padre di McCulloch era un agente che venne ucciso da un nero; la madre è impiegata per il dipartimento, il cugino e lo zio sono pure poliziotti. Ma il pubblico ministero ha fatto sapere che non intende rinunciare al caso.

 

 

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2014/08/21/missouri-ecco-come-la-polizia-uccide-i-neri-video/

 

Leggi anche:

http://popoffquotidiano.it/2014/08/19/90-anni-pacifista-ebrea-arrestata-mentre-protesta-per-brown/

http://popoffquotidiano.it/2014/08/18/lautopsia-su-brown-sei-proiettili-di-cui-due-alla-testa-mentre-aveva-le-mani-alzate/

 

 

 

Piovono pietre, Lauro da Piazza Alimonda all’Olimpico

Il vicequestore Lauro è il nuovo responsabile sicurezza dell’Olimpico. Fu lui che il 20 luglio 2001 accusò un manifestante di aver ucciso Carlo Giuliani con un sasso

 

di Checchino Antonini

«Piovono pietre, si potrebbe dire così, all’Olimpico», dice Giuliano Giuliani dopo aver appreso questa notizia da Popoff. La prima stagionale all’Olimpico per la Roma di Garcia, contro il Fenerbahce, coincide con il battesimo del vicequestore Adriano Lauro, dal 19 agosto dirigente del commissariato Prati e nuovo responsabile del Gos, il Gruppo operativo sicurezza che s’è riunito oggi per mettere a punto l’organizzazione della sfida contro i campioni turchi. Lauro, che arriva da San Basilio, sostituisce Bruno Failla, trasferito al commissariato Trevi.
In una stagione che si annuncia particolarmente delicata, dopo la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito, per cui è indagato l’ex ultrà fascista e romanista Daniele De Santis, lascia perplessi la designazione di Lauro, che il 20 luglio 2001 durante il tragico G8 di Genova, gestì l’ordine pubblico in piazza Alimonda, proprio dove e mentre fu ucciso Carlo Giuliani. Era lui il personaggio che mise in scena, a uso probabilmente delle telecamere Mediaset, la breve rincorsa a un manifestante gridando all’incirca: “Sei stato tu a uccidere Carlo col sasso che hai tirato!”. Ma se qualcuno ha adoperato una pietra è stato certamente un carabiniere («a meno che non sia stato il bosone di Higgs», ironizza il padre di Carlo) come si può evincere dalle foto scattate nell’immediatezza nelle quali c’è un grosso sasso che “cambia posto” intorno alla testa del ragazzo ucciso.

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2014/08/13/piovono-pietre-lauro-da-piazza-alimonda-allolimpico/

Roma, pestaggio in diretta e in divisa davanti a Magherini e Cucchi

30 luglio 2014

Tornavano dalla commemorazione di Dino Budroni, erano in auto con Fabio Anselmo, il loro legale, e Ilaria e Guido hanno visto tre agenti penitenziari in azione contro una persona ammanettata e sanguinante

di Checchino Antonini

10511216_722762577785019_406387647616319346_n

 

 

Perché tre agenti di polizia penitenziaria pestavano una persona, verosimilmente un migrante, già ammanettato e malconcio, di fronte al Verano, a Roma, all’altezza di Piazzale delle Crociate? Dall’altro lato della carreggiata, in direzione est, c’era una donna dello stesso corpo di polizia a bordo di un’auto. La segnalazione a Popoff arriva da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ed è stata confermata da diversi testimoni.

Erano le 18.50 quando i tre secondini si sono sentiti urlare «Lo sapete chi sono io? Sono di Firenze, mio figlio è stato ucciso in un intervento dei carabinieri!». L’uomo che urlava si è sentito dire più o meno di farsi i cazzi suoi ma quell’uomo è Guido Magherini, il padre di Riccardo, ucciso in uno dei casi più recenti di “malapolizia”. E storie come questa, purtroppo, sono proprio cavoli suoi.

Pochi istanti prima, Magherini aveva iniziato a urlare dentro l’auto che lo portava verso il centro di Roma: «Guardate che gli stanno facendo!». Con lui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto sette giorni dopo essere rimasto in balia proprio del sistema pentitenziario (l’appello inizierà a settembre), e Fabio Anselmo, legale sia dei Cucchi, sia dei Magherini. Avvocato anche della famiglia Aldrovandi, e dei parenti di Michele Ferrulli, Giuseppe Uva (ha appena strappato dopo sei anni il rinvio a giudizio per chi lo arrestò) e di Dino Budroni.

I tre testimoni tornavano proprio dalla cerimonia per il terzo anniversario della morte di Budroni, freddato da un agente dopo un inseguimento quando l’auto era ormai ferma. Per il pm, solo un paio di settimane fa, quell’agente meritava due anni e mezzo di carcere ma un giudice l’ha assolto per uso legittimo delle armi. La cerimonia, non lontano dallo svincolo del Raccordo anulare di Roma dove si concluse la vita di Budroni, è stata ancora più straziante proprio per via della sensazione di una giustizia strabica, frettolosa e distratta nei confronti di storie come questa. Anche Acad ha preso parte alla ricorrenza, assieme alla famiglia di Dino e con iniziative a Firenze, Roma e sul web.

Domani, dopo che qualche giornale blasonato, parlerà di questa denuncia, sapremo forse anche la versione ufficiale della polizia penitenziaria.

Sul posto è arrivata un’ambulanza del 118. L’operatore telefonico si sarebbe perfino complimentato con la ragazza che li ha allertati e le avrebbe raccomandato di aver fiducia nella polizia penitenziaria. All’altro capo del filo (ma lui non lo sapeva), c’era Ilaria Cucchi.

10447863_722703434457600_8305249164625175453_n

 

 

Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2014/07/30/roma-pestaggio-in-diretta-e-in-divisa-davanti-a-magherini-e-cucchi/

Leggi anche qui: http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/07/31/news/_ammanettato_e_picchiato_da_agenti_ilaria_cucchi_assiste_alla_scena_e_presenta_denuncia-92821012/

Napoli, pestato in manette dalle fiamme gialle

venerdì 6 giugno 2014 19:33

di Checchino Antonini

Senegalese, ambulante per conto di un italiano, 47 anni. Segni particolari: parecchi visto che è stato pestato mentre era in manette all’interno di una caserma della guardia di finanza di Napoli. La notizia è stata sparsa dal Forum antirazzista della Campania dopo un massiccio intervento, stamattina, delle fiamme gialle contro gli ambulanti immigrati che lavorano a Napoli nell’area della Maddalena. Se è vero quanto denunciato, quello che è successo alla Maddalena «dimostra come i migranti siano dei cittadini di serie B, esposti ad abusi e violenze persino da chi dovrebbe impedirle» scrive il Forum.

L’episodio si iscrive nella guerra a «persone che cercano solo di lavorare per sopravvivere in mancanza di adeguate politiche di inclusione con bandi e occasioni di emersione per chi fa lavoro ambulante». Migranti e autoctoni.

Secondo le testimonianze l’intervento della Gdf è stato s’è svolto in modalità molto aggressive generando tensioni e paure.

Alcune decine di ambulanti a quel punto sono stati tradotti nella caserma della Guardia di Finanza di via Gianturco. Tra loro Magnane Niane, un cittadino senegalese di 47 anni che non ha nemmeno una bancarella sua e lavora per un italiano.

Magnane è entrato in caserma in normali condizioni e ne è uscito in ambulanza. «Lo abbiamo ritrovato in ospedale letteralmente gonfio di botte, estremamente dolorante, con ecchimosi, contusioni e lacerazioni in tutto il corpo, testa compresa. Come conferma lo stesso referto medico». Secondo il racconto di Magnane al presidente della comunità Senegalese Omar Ndjaye e all’avvocata Liana Nesta il pestaggio è avvenuto infatti in caserma, mentre era già in manette. Magnane, come gli altri, è stato portato via dalla Maddalena già con le mani legate (in avanti). Una volta in caserma gli ha squillato il telefonino nella tasca della tuta. Quando ha provato a prenderlo (forse per avvisare che era stato fermato), ha ricevuto la prima sberla. Quando ha cercato di raccogliere il telefono caduto in terra è arrivata la seconda e poi 3-4 finanzieri si sono avventati su di lui con calci e pugni. «Ricordo solo le loro scarpe e la mia testa come fosse un pallone. Ho avuto paura di morire!».

Il suo racconto è stato confermato anche dagli altri immigrati presenti in quel momento in caserma. Ora Magnane è in ospedale in stato di fermo, è accusato di resistenza come capita quasi sempre alle persone nelle sue condizioni. Solo per fare un esempio noto alle cronache, com’è capitato a Stefano Gugliotta che quattro anni fa dopo il pestaggio si buscò una settimana di galera con un’accusa simile. Solo tre giorni fa per i suoi aguzzini sono stati chiesti quattro anni di prigione e 40mila euro di provvisionale. La domanda è banale: come si fa a ipotizzare il reato di resistenza per un uomo che è già in caserma con le mani legate?

Dopo il pestaggio Magnane è stato lasciato sul pavimento, con le manette girate alle spalle e solo dopo molto tempo e molte richieste degli altri immigrati presenti è finalmente arrivata l’ambulanza. All’ospedale Loreto Mare sono poi stati portati anche altri immigrati con lesioni minori.

 

 

Fonte:

http://popoff.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=104830&typeb=0

12 APRILE, “ZAINETTI”, SGOMBERI E UN VECCHIO ANARCHICO

Di

Marco Bascetta, 16.4.2014

Polizia. Si tratta solo di fare male e di fare paura. Una strategia della deterrenza che, nel corso degli ultimi anni, si è lasciata dietro un buon numero di vittime

Il «cre­tino», quello che scam­bia il corpo di una gio­vane ragazza per uno zai­netto impu­ne­mente cal­pe­sta­bile, il poli­ziotto in bor­ghese esi­bito ripe­tu­ta­mente da gior­nali e tele­vi­sioni come sim­bolo media­tico di ogni vio­lenza poli­zie­sca «fuori dalle regole», l’uomo messo all’indice dalla recita dello stato di diritto che «non guarda in fac­cia nes­suno» non dovrebbe sen­tirsi troppo solo. Pas­sano pochi giorni dalle cari­che di piazza Bar­be­rini ed ecco che i suoi col­le­ghi, nel corso dello sgom­bero vio­lento di una palaz­zina nel quar­tiere romano della Mon­ta­gnola, que­sta volta in divisa, si acca­ni­scono a colpi di man­ga­nello su chi giace inerme in terra. Con tutta evi­denza non può essere scam­biato per uno zaino o un sacco della spaz­za­tura. Sono corpi ben rico­no­sci­bili e del tutto inca­paci di difen­dersi quelli che ven­gono ripe­tu­ta­mente, deli­be­ra­ta­mente, col­piti a san­gue da un folto gruppo di poliziotti.

È uno sgom­bero di occu­panti, di senza casa, di sfrat­tati, non ci sono Palazzi del potere da difen­dere, zone rosse o piazze da tenere sotto con­trollo. Si tratta solo di fare male e di fare paura. Di una stra­te­gia della deter­renza dif­fi­cil­mente ricon­du­ci­bile al puro e sem­plice pia­cere poli­zie­sco di menar le mani. Il video che ritrae il pestag­gio è, se pos­si­bile, ancora più crudo di quelli girati durante le cari­che di sabato scorso. Non offre «immagini-simbolo» tenere o com­mo­venti su cui fare cat­tiva poe­sia. Solo la testi­mo­nianza di quell’ordinaria vio­lenza che quo­ti­dia­na­mente si eser­cita nelle caserme, nelle car­ceri, per le strade e che, nel corso degli ultimi anni, si è lasciata die­tro un buon numero di vittime.

La gra­tuita bru­ta­lità messa in campo alla Mon­ta­gnola non può che signi­fi­care due cose. O che ciò che dicono i ver­tici della poli­zia e il Mini­stero degli interni conta meno di niente, che gli agenti se ne infi­schiano alta­mente. O che, «con­tror­dine ragazzi! Nes­suno vi vieta di pestare a pia­ci­mento, anzi». A dire il vero c’è anche una terza pos­si­bi­lità: che tutta que­sta indi­gna­zione per i diritti (e i corpi) cal­pe­stati dei cit­ta­dini non sia altro che una mise­ra­bile messa in scena. E forse è pro­prio quest’ultima even­tua­lità la più pro­ba­bile. Gli «eccessi» di poli­zia in Fran­cia li chia­mano «sba­va­ture», qui da noi ci si con­sola con la trita sto­riella delle «mele marce». Ma tutti sanno che il pro­blema sta nel frut­teto e, ancor più, nel suo coltivatore.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.it/ordinaria-violenza/

 

Leggi anche qui:

http://www.fanpage.it/chi-e-il-disabile-che-fronteggiava-la-polizia-a-roma-lello-valitutti-ecco-la-sua-storia/