Roma, pestaggio in diretta e in divisa davanti a Magherini e Cucchi

30 luglio 2014

Tornavano dalla commemorazione di Dino Budroni, erano in auto con Fabio Anselmo, il loro legale, e Ilaria e Guido hanno visto tre agenti penitenziari in azione contro una persona ammanettata e sanguinante

di Checchino Antonini

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Perché tre agenti di polizia penitenziaria pestavano una persona, verosimilmente un migrante, già ammanettato e malconcio, di fronte al Verano, a Roma, all’altezza di Piazzale delle Crociate? Dall’altro lato della carreggiata, in direzione est, c’era una donna dello stesso corpo di polizia a bordo di un’auto. La segnalazione a Popoff arriva da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, ed è stata confermata da diversi testimoni.

Erano le 18.50 quando i tre secondini si sono sentiti urlare «Lo sapete chi sono io? Sono di Firenze, mio figlio è stato ucciso in un intervento dei carabinieri!». L’uomo che urlava si è sentito dire più o meno di farsi i cazzi suoi ma quell’uomo è Guido Magherini, il padre di Riccardo, ucciso in uno dei casi più recenti di “malapolizia”. E storie come questa, purtroppo, sono proprio cavoli suoi.

Pochi istanti prima, Magherini aveva iniziato a urlare dentro l’auto che lo portava verso il centro di Roma: «Guardate che gli stanno facendo!». Con lui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto sette giorni dopo essere rimasto in balia proprio del sistema pentitenziario (l’appello inizierà a settembre), e Fabio Anselmo, legale sia dei Cucchi, sia dei Magherini. Avvocato anche della famiglia Aldrovandi, e dei parenti di Michele Ferrulli, Giuseppe Uva (ha appena strappato dopo sei anni il rinvio a giudizio per chi lo arrestò) e di Dino Budroni.

I tre testimoni tornavano proprio dalla cerimonia per il terzo anniversario della morte di Budroni, freddato da un agente dopo un inseguimento quando l’auto era ormai ferma. Per il pm, solo un paio di settimane fa, quell’agente meritava due anni e mezzo di carcere ma un giudice l’ha assolto per uso legittimo delle armi. La cerimonia, non lontano dallo svincolo del Raccordo anulare di Roma dove si concluse la vita di Budroni, è stata ancora più straziante proprio per via della sensazione di una giustizia strabica, frettolosa e distratta nei confronti di storie come questa. Anche Acad ha preso parte alla ricorrenza, assieme alla famiglia di Dino e con iniziative a Firenze, Roma e sul web.

Domani, dopo che qualche giornale blasonato, parlerà di questa denuncia, sapremo forse anche la versione ufficiale della polizia penitenziaria.

Sul posto è arrivata un’ambulanza del 118. L’operatore telefonico si sarebbe perfino complimentato con la ragazza che li ha allertati e le avrebbe raccomandato di aver fiducia nella polizia penitenziaria. All’altro capo del filo (ma lui non lo sapeva), c’era Ilaria Cucchi.

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Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2014/07/30/roma-pestaggio-in-diretta-e-in-divisa-davanti-a-magherini-e-cucchi/

Leggi anche qui: http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/07/31/news/_ammanettato_e_picchiato_da_agenti_ilaria_cucchi_assiste_alla_scena_e_presenta_denuncia-92821012/

Dino Budroni

Anche l’udienza di oggi è terminata: prossima udienza lunedì 7 luglio alle ore 12 aula 18 Tribunale di Roma. Verità e giustizia per Dino Budroni !

BERNARDINO BUDRONI (30 LUGLIO 2011)

Una persona è stata uccisa su un’autostrada da un agente di polizia. E’ accaduto il 30 luglio del 2011 sul grande raccordo anulare di Roma ma forse nessuno se n’è reso conto perché i giornali hanno usato quasi tutti parole depistanti: “Sparatoria sul gra”, “Inseguimento di uno stalker”, qualcuno lo paragonò al film Shine. Si chiamava Bernardino Budroni, per tutti Dino. Soprattutto per i suoi genitori, per la sorella Claudia, il cognato Fabrizio, le nipoti. Il proiettile calibro 9 lo ha trapassato dal fianco sinistro, perforando i polmoni e il cuore. E’ successo al km 11, lo svincolo per Mentana. Chi ha sparato è un agente scelto, quando lo ha fatto aveva 28 anni. Nessuno gli ordinò di farlo quella notte, nemmeno di mirare alle ruote. Dino aveva dodici anni in più di lui. L’agente scelto, pare, era seduto dalla parte sbagliata. Doveva trovarsi alla guida della volante 10 non sull’altro sedile. Quale «emergenza» si verificò per non farlo guidare? Di fronte al pm, due giorni dopo i fatti, dirà di aver esploso due colpi dopo un inseguimento di dieci minuti. Anche quello che non uccise andò fuori bersaglio, bucando la lamiera dello sportello. Altre due auto, Beta Como della polizia e una gazzella dei carabinieri, parteciparono all’operazione “agganciando” la volante 10 nel tragitto. Erano più o meno le 5 del mattino del sabato dell’esodo estivo. La Focus era praticamente incastrata sulla destra della corsia. I carabinieri l’avevano sorpassata e s’erano messi di traverso, lo sportello di destra toccava appena la Focus che a sua volta ha toccato il guardrail. Un piccolo segno di vernice, grande come un’unghia sta ancora lì a testimoniarlo, a pochi metri dalla foto e dai fiori, sempre freschi. Sullo sportello posteriore destro di Budroni c’è il segno di una gomma (forse) di Beta Como. La scena sembra quella di una macchina inseguita che prova a divincolarsi zigzagando. L’agente che ha sparato riferisce che era stato parecchio occupato dall’una meno un quarto di quella notte a cercare il Budroni che era andato sotto l’abitazione della sua ragazza, nel quartiere di Cinecittà a una ventina di chilometri da dove è finito l’inseguimento. Un brutto caso di danneggiamento di porte e cancelli, di sms minacciosi e di disturbo della quiete pubblica, probabilmente. “Crimini” che non prevedono la fucilazione immediata. Chi ha sparato sapeva quasi tutto di Budroni: che abitava nel comune di Fontenuova e che aveva una pendenza per il possesso di una balestra (acquistabile ovunque) e un fuciletto ad aria compressa. Per questo, così ha dichiarato, ha tirato fuori la Beretta Parabellum quando ha affiancato la Focus verde mare. Dice di essere stato col braccio «perfettamente in asse» con la ruota posteriore sinistra ma che la Focus provava a svicolare spostando di scatto il bersaglio. Quanto forte andasse e quanto tempo sia passato tra lo sparo e l’arresto l’agente scelto non ricorda. Di certo egli stesso ha dichiarato che Dino non era armato ma agiva forse sotto l’effetto di droghe. Droghe che la perizia tossicologica quantificherà in modeste e antiche tracce di cannabis. Budroni, comunque, aveva alzato il gomito. Un “reato” che non prevede la pena di morte per esecuzione sommaria.

Foto: BERNARDINO BUDRONI (30 LUGLIO 2011)

Una persona è stata uccisa su un'autostrada da un agente di polizia. E’ accaduto il 30 luglio del 2011 sul grande raccordo anulare di Roma ma forse nessuno se n'è reso conto perché i giornali hanno usato quasi tutti parole depistanti: "Sparatoria sul gra", "Inseguimento di uno stalker", qualcuno lo paragonò al film Shine. Si chiamava Bernardino Budroni, per tutti Dino. Soprattutto per i suoi genitori, per la sorella Claudia, il cognato Fabrizio, le nipoti. Il proiettile calibro 9 lo ha trapassato dal fianco sinistro, perforando i polmoni e il cuore. E' successo al km 11, lo svincolo per Mentana. Chi ha sparato è un agente scelto, quando lo ha fatto aveva 28 anni. Nessuno gli ordinò di farlo quella notte, nemmeno di mirare alle ruote. Dino aveva dodici anni in più di lui. L'agente scelto, pare, era seduto dalla parte sbagliata. Doveva trovarsi alla guida della volante 10 non sull'altro sedile. Quale «emergenza» si verificò per non farlo guidare? Di fronte al pm, due giorni dopo i fatti, dirà di aver esploso due colpi dopo un inseguimento di dieci minuti. Anche quello che non uccise andò fuori bersaglio, bucando la lamiera dello sportello. Altre due auto, Beta Como della polizia e una gazzella dei carabinieri, parteciparono all'operazione "agganciando" la volante 10 nel tragitto. Erano più o meno le 5 del mattino del sabato dell'esodo estivo. La Focus era praticamente incastrata sulla destra della corsia. I carabinieri l'avevano sorpassata e s'erano messi di traverso, lo sportello di destra toccava appena la Focus che a sua volta ha toccato il guardrail. Un piccolo segno di vernice, grande come un'unghia sta ancora lì a testimoniarlo, a pochi metri dalla foto e dai fiori, sempre freschi. Sullo sportello posteriore destro di Budroni c'è il segno di una gomma (forse) di Beta Como. La scena sembra quella di una macchina inseguita che prova a divincolarsi zigzagando. L'agente che ha sparato riferisce che era stato parecchio occupato dall'una meno un quarto di quella notte a cercare il Budroni che era andato sotto l'abitazione della sua ragazza, nel quartiere di Cinecittà a una ventina di chilometri da dove è finito l'inseguimento. Un brutto caso di danneggiamento di porte e cancelli, di sms minacciosi e di disturbo della quiete pubblica, probabilmente. "Crimini" che non prevedono la fucilazione immediata. Chi ha sparato sapeva quasi tutto di Budroni: che abitava nel comune di Fontenuova e che aveva una pendenza per il possesso di una balestra (acquistabile ovunque) e un fuciletto ad aria compressa. Per questo, così ha dichiarato, ha tirato fuori la Beretta Parabellum quando ha affiancato la Focus verde mare. Dice di essere stato col braccio «perfettamente in asse» con la ruota posteriore sinistra ma che la Focus provava a svicolare spostando di scatto il bersaglio. Quanto forte andasse e quanto tempo sia passato tra lo sparo e l'arresto l'agente scelto non ricorda. Di certo egli stesso ha dichiarato che Dino non era armato ma agiva forse sotto l'effetto di droghe. Droghe che la perizia tossicologica quantificherà in modeste e antiche tracce di cannabis. Budroni, comunque, aveva alzato il gomito. Un "reato" che non prevede la pena di morte per esecuzione sommaria.
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