Poliziotti che abusano della divisa: la rotta è stata invertita

on 11 giugno 2014
poliziotti

I casi Gugliotta, Ferrulli e Androne e le condanne pesanti per gli agenti. I giudici non sono più disposti a coprire chi sbaglia.

 

Tutto si può cambiare. Qualsiasi cosa, basta semplicemente avere la volontà giusta per farlo. Ed il coraggio di andare ad intaccare e combattere anche quelli che sono diventati  malcostumi. Quelle pessime e vergognose abitudini che sembrano radicate ed impossibili da modificare. Perché non sempre i “buoni” si comportano da buoni ed i “cattivi” da cattivi. Questo non è un segreto. Troppe volte abbiamo assistito a casi in cui alcuni (non tutti ci mancherebbe, parliamo sempre di una minoranza) poliziotti hanno pestato le persone fermate,  riducendole spesso in fin di vita. Talvolta le hanno pure ammazzate. Spesso, storie di questo tipo, non sono nemmeno mai uscite fuori. Perché i “tutori dell’ordine”, sulla loro strada, hanno incontrato pubblici ministeri compiacenti che, di fronte al colore della divisa, hanno sempre chiuso un occhio. Anche due. E giudici disposti ad accettare tutto questo. Così facendo, gli agenti, che si sono macchiati del peccato di aver abusato del loro ruolo, spesso l’hanno fatta franca. Non sono stati puniti. Perché l’assenza di regole certe e di un diverso trattamento di fronte alla legge, nei confronti dei poliziotti, ha fatto cadere la paura delle sanzioni da parte di questi ultimi. Che avrebbero il compito di far rispettare quelle stesse leggi che hanno infranto. Proprio l’importanza dei compiti affidati alle forze dell’ordine, richiede, necessariamente ed obbligatoriamente, norme più chiare di quelle attuali per tutelare la fiducia nelle istituzioni e il lavoro di chi mette a repentaglio la propria vita per difendere la legge. E rischia invece di trovarsi schierato al fianco di chi l’ha violata.

Ed esistono, purtroppo, molti casi in cui gli agenti, non sospesi dopo una condanna, sono tornati ad infrangere la legge. Altri non sono proprio mai stati proprio giudicati.

Questi abusi non sono semplicemente una questione di “mele marce”, bensì un problema strutturale nella gestione dell’ordine pubblico fermo al modello degli anni ’70. Ma gli anni di Piombo sono ormai un ricordo, doloroso ma lontano. E non si può rimanere ancorati ad un determinato modus operandi che viene usato ancora oggi. Facendo finta di nulla.

La rotta che il nostro paese (e non solo il nostro) ha intrapreso, sta però cambiando. Lentamente e a fatica, ma sta cambiando. Gli ultimi casi di Roma, Firenze, Milano, Frosinone, Napoli e Monza, ma anche le condanne dei poliziotti per gli omicidi di Gabriele Sandri e Federico Aldrovandi, lo dimostrano. Statistiche ufficiali non ce ne sono, ma solamente nell’ultimo anno 228 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e guardie penitenziarie sono finiti sotto inchiesta.

I giudici, alcuni, hanno trovato il coraggio di punire e di condannare, anche se non sempre finiscono in galera, tutti quei servitori dello Stato che hanno abusato della divisa. Massacrando manifestanti inermi, torturando detenuti, picchiando ragazzi dopo averli fermati per un controllo. Sparando e uccidendo. I pm no, ancora non sono entrati nell’ordine di idee di cambiarla quella rotta e non si capacitano che anche la polizia possa sbagliare. E cercano sempre di proteggere il suo operato.

Roma Quella di Stefano Gugliotta è la notizia più recente, probabilmente la più eclatante. La condanna di quattro anni di reclusione per i nove poliziotti che nel 2010 lo picchiarono a sangue,  rappresenta un passo in avanti importante. Che certifica come le cose stiano davvero cambiando.

Il pestaggio avvenne a Roma, nel dopo partita della finale di Coppa Italia tra Roma e Inter, il 5 maggio di quattro anni fa. Gugliotta, quella notte, stava andando col motorino ad una festa e venne fermato al quartiere Flaminio, vicino allo stadio Olimpico. Scambiato per un ultras (come se poi bastasse questo per colpire una persona) fu picchiato violentemente in strada e sbattuto in carcere per una settimana. Riportando la perdita di un dente e ferite sul volto e sul corpo. La sentenza contro i nove agenti è andata ben oltre le richieste della Procura, che aveva sollecitato condanne tra i tre e i due anni per Leonardo Mascia, Guido Faggiani, Andrea Serrao, Roberto Marinelli, Adriano Cramerotti, Fabrizio Cola, Leonardo Vinelli, Rossano Bagialemani e Michele Costanzo. Alla lettura del giudice, Gugliotta ed i familiari sono scoppiati in lacrime, mentre tra gli imputati non c’è stata alcuna reazione.

Mandato in ospedale senza un perché, preso a pugni, calci e manganellate e tenuto in carcere una settimana con una falsa accusa. Infine scagionato e preso a simbolo di uno scontro che va oltre il caso singolo. Stefano Gugliotta ha vinto la sua battaglia giudiziaria.

Firenze Le cause della morte di Riccardo Magherini, l’ex promessa delle giovanili della Fiorentina, deceduto la  notte tra il 2 e il 3 marzo scorsi durante un fermo da parte dei carabinieri, “sono legate ad un meccanismo complesso di tipo tossico, disfunzionale cardiaco e asfittico”. Si legge nel referto medico. La famiglia della vittima è convinta che Magherini (consumatore abituale di cocaina) sia stato vittima anche di un pestaggio. Intanto, nel registro degli indagati, accusati di omicidio colposo ci sono 11 persone: quattro carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale, cinque operatori e due centralinisti del 118.

Milano Sette anni di carcere. E’ stata questa la richiesta di condanna richiesta nei confronti dei quattro agenti di polizia imputati per omicidio preterintenzionale e di falso in atto pubblico per la morte di Michele Ferrulli, avvenuta il 30 giugno 2011 a Milano. I quattro poliziotti, durante il fermo dell’uomo, lo avrebbero picchiato ripetutamente e con una violenza inaudita. Ferrulli, secondo quanto emerse dalle perizie, morì a causa di un arresto cardiaco, provocato dalla paura. Ma questa ipotesi non ha mai convinto del tutto.

Per il giudice, “quando la vittima venne fermato insieme a due amici romeni in via Varsavia, alla periferia sud-est del capoluogo lombardo, subì una violenza gratuita e non giustificabile da parte degli agenti,  intervenuti in seguito alla chiamata di un cittadino infastidito dagli schiamazzi”. Parole accolte con soddisfazione dalla figlia dell’uomo, Domenica Ferrulli, parte civile nel procedimento insieme ad altri familiari.

Frosinone In pochi si ricorderanno di Daniel Androne, un ragazzo romeno ucciso nel 2006.

I carabinieri Mario Rezza e Francesco Porcelli sono stati recentemente condannati a 18 anni di carcere per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Daniel venne fermato vicino Frascati. Era ubriaco e stava spacciando. Venne picchiato ed ucciso. Poi i due carabinieri nascosero il cadavere a Frosinone, che venne rinvenuto soltanto nel 2008. La Corte di  Giustizia della città ciociara ha fatto giustizia l’11 aprile scorso, quando ormai sembrava una storia, inquietante, destinata a rimanere nel dimenticatoio.

Monza Le immagini di un uomo in una stanzina del commissariato, disteso a terra e con addosso soltanto un paio di boxer ed una maglietta, è stata pubblicata da quasi tutti i quotidiani nazionali nei giorni scorsi. Con le manette ai polsi. Il fermato era un cittadino marocchino che, a maggio, avrebbe partecipato ad una rissa in un parco di Monza. Processato nei giorni successivi è stato condannato a otto mesi per resistenza a pubblico ufficiale. Ma le immagini, crudi e forti, dell’uomo sdraiato per terra con tre agenti che lo circondano sono al centro di un’inchiesta che dovrà appurare se i poliziotti abbiano o meno abusato delle loro funzioni su di lui. Di sicuro il trattamento riservato al giovane marocchino non ha nulla a che vedere con le normali procedure di arresto. Nulla. E la questione è diventato oggetto di dibattito in Parlamento.

Napoli Il caso di Napoli, va ad aggiungersi a quello di Monza, dove alcune foto apparse sui giornali hanno mostrato un cittadino straniero (che vendeva merce contraffatta) ammanettato alle mani e ai piedi, riverso a terra, sotto gli occhi degli agenti del commissariato. Picchiato fino a perdere i sensi.

Diritti umani dei cittadini calpestati, a prescindere dalla colpevolezza o meno del fermato. Ma il fatto che queste due foto siano state pubblicate certifica la voglia di dare un taglio a questi comportamenti, che non fanno altro che infangare il nome dello Stato e della Polizia italiana.

Due episodi, quello di Monza e quello di Napoli, che ricordano molto i casi di Emmanuel Bonsu, uno studente ghanese di 22 anni all’università di Parma, che venne scambiato per pusher. Massacrato di botte, questa volta addirittura da 7 vigili urbani, fu portato in cella. E di Giuseppe Uva, fermato ubriaco e portato nella questura di Varese. Morì il giorno dopo una notte di violenze subite dai poliziotti. Gli stessi poliziotti che adesso sono in carcere condannati (in primo grado), del 2011, ma per i quali il pm ha appena chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintezionale.

Poi ci sono gli omicidi di Gabriele Sandri e Federico Aldrovandi

Il primo morì, l’11 novembre del 2011, nella stazione di servizio di Badia Alpino, ad Arezzo, ucciso da un colpo di pistola esploso dall’agente della PolStrada Luigi Spaccarotella. Condannato in primo grado per omicidio colposo a una pena di 6 anni di reclusione, in Appello il responso venne aggravato: omicidio volontario, con una pena di 9 anni e 4 mesi. Successivamente confermata anche in Cassazione.

La vicenda di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto per le percosse di quattro agenti, ha riaperto il dibattito sull’inefficacia dei regolamenti che sanzionano il comportamento dei pubblici ufficiali. In questo caso, però, i poliziotti riconosciuti colpevoli (omicidio colposo) dalla Cassazione per quel pestaggio letale potranno tornare a indossare l’uniforme. Recentemente, in modo vergognoso, sono stati anche applauditi ad un convegno del Sap (sindacato autonomo di polizia) da tutti i partecipanti. Suscitando lo sdegno e la rabbia della famiglia Aldrovandi.

Ed ancora le morti in carcere, quantomeno sospette, di Stefano Cucchi, “morto per deperimento”; Marcello Lonzi, ufficialmente morto “per collasso cardiaco”, le cui foto raccontano di un corpo martoriato di lividi; Gianluca Frani, 31 anni, che si sarebbe suicidato impiccandosi a un tubo dello scarico del water, nel carcere di Bari. C’è un dettaglio, però: Frani era paraplegico e semiparalizzato. E di casi come questi ce ne sono un’infinità.

Storie orribilmente frequenti, in quegli inferni in terra che sono le carceri italiane. Ma non solo in galera. Da ricordare, raccontare e denunciare senza pause perché davvero, una volta per tutte, non accadano più.

E qualcosa, anche se lentamente, sta finalmente cambiando.

 

Fonte:

http://www.lultimaribattuta.it/4356_poliziotti-violenti-ora-si-cambia?fb_action_ids=1506833362883412&fb_action_types=og.likes&fb_source=other_multiline&action_object_map=[246893735434316]&action_type_map=[%22og.likes%22]&action_ref_map=[]

Napoli, pestato in manette dalle fiamme gialle

venerdì 6 giugno 2014 19:33

di Checchino Antonini

Senegalese, ambulante per conto di un italiano, 47 anni. Segni particolari: parecchi visto che è stato pestato mentre era in manette all’interno di una caserma della guardia di finanza di Napoli. La notizia è stata sparsa dal Forum antirazzista della Campania dopo un massiccio intervento, stamattina, delle fiamme gialle contro gli ambulanti immigrati che lavorano a Napoli nell’area della Maddalena. Se è vero quanto denunciato, quello che è successo alla Maddalena «dimostra come i migranti siano dei cittadini di serie B, esposti ad abusi e violenze persino da chi dovrebbe impedirle» scrive il Forum.

L’episodio si iscrive nella guerra a «persone che cercano solo di lavorare per sopravvivere in mancanza di adeguate politiche di inclusione con bandi e occasioni di emersione per chi fa lavoro ambulante». Migranti e autoctoni.

Secondo le testimonianze l’intervento della Gdf è stato s’è svolto in modalità molto aggressive generando tensioni e paure.

Alcune decine di ambulanti a quel punto sono stati tradotti nella caserma della Guardia di Finanza di via Gianturco. Tra loro Magnane Niane, un cittadino senegalese di 47 anni che non ha nemmeno una bancarella sua e lavora per un italiano.

Magnane è entrato in caserma in normali condizioni e ne è uscito in ambulanza. «Lo abbiamo ritrovato in ospedale letteralmente gonfio di botte, estremamente dolorante, con ecchimosi, contusioni e lacerazioni in tutto il corpo, testa compresa. Come conferma lo stesso referto medico». Secondo il racconto di Magnane al presidente della comunità Senegalese Omar Ndjaye e all’avvocata Liana Nesta il pestaggio è avvenuto infatti in caserma, mentre era già in manette. Magnane, come gli altri, è stato portato via dalla Maddalena già con le mani legate (in avanti). Una volta in caserma gli ha squillato il telefonino nella tasca della tuta. Quando ha provato a prenderlo (forse per avvisare che era stato fermato), ha ricevuto la prima sberla. Quando ha cercato di raccogliere il telefono caduto in terra è arrivata la seconda e poi 3-4 finanzieri si sono avventati su di lui con calci e pugni. «Ricordo solo le loro scarpe e la mia testa come fosse un pallone. Ho avuto paura di morire!».

Il suo racconto è stato confermato anche dagli altri immigrati presenti in quel momento in caserma. Ora Magnane è in ospedale in stato di fermo, è accusato di resistenza come capita quasi sempre alle persone nelle sue condizioni. Solo per fare un esempio noto alle cronache, com’è capitato a Stefano Gugliotta che quattro anni fa dopo il pestaggio si buscò una settimana di galera con un’accusa simile. Solo tre giorni fa per i suoi aguzzini sono stati chiesti quattro anni di prigione e 40mila euro di provvisionale. La domanda è banale: come si fa a ipotizzare il reato di resistenza per un uomo che è già in caserma con le mani legate?

Dopo il pestaggio Magnane è stato lasciato sul pavimento, con le manette girate alle spalle e solo dopo molto tempo e molte richieste degli altri immigrati presenti è finalmente arrivata l’ambulanza. All’ospedale Loreto Mare sono poi stati portati anche altri immigrati con lesioni minori.

 

 

Fonte:

http://popoff.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=104830&typeb=0

Cos’è successo a Stefano Gugliotta?

L’ 8 maggio 2010 il programma “Chi l’ha visto?” diffonde il video di un gruppo di celerini intento a pestare due ragazzi su un motorino. Siamo a Roma Nord, quartiere Flaminio nel dopo partita di Roma – Inter e la sconfitta dei giallorossi ha scatenato la rabbia dei tifosi che ingaggiano un violento scontro con la polizia. Nei paraggi di via Pinturicchio, una delle vie nei dintorni dello stadio, circola una squadra di celerini a caccia di tifosi in fuga o nascosti. Stefano Gugliotta, 21 anni, transita proprio in quel momento a bordo di uno scooter insieme a un amico. Un poliziotto del reparto mobile, a piedi, gli taglia la strada e lo ferma. Senza alcun preavviso comincia a colpirlo col manganello e a tempestarlo di pugni. L’amico scappa terrorizzato e lascia Gugliotta in balia del celerino. Arrivano altri poliziotti, lo circondano e continuano. Al quinto piano di un condominio, un uomo riprende la scena con il cellulare; le immagini sono confuse e mosse, ma si sentono distintamente le urla dei poliziotti, i colpi di manganello, le implorazioni di Stefano che supplica di smetterla. Altri residenti affacciati protestano vigorosamente, ma i poliziotti non accennano a smetterla. Dopo pochi minuti Stefano si ritrova ammanettato in un furgone della polizia penitenziaria in stato di arresto e condotto in carcere.
Per una settimana i suoi genitori non sapranno nulla di lui, se non che sul figlio pende una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e che, di questi sette giorni, ne ha trascorsi tre in isolamento.
Dal punto di vista legale su Gugliotta pende l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale: nello specifico, è accusato di aver iniziato lui la colluttazione, circostanza clamorosamente smentita dal video. Ci vorranno diversi giorni prima che la Procura riconosca che Gugliotta è stato vittima di un abuso da parte di un agente di polizia che, come mostrano le immagini, ha deliberatamente colpito il giovane con un pugno in faccia.
Qui il video trasmesso alcuni mesi fa nella trasmissione Morti di Stato di PresaDiretta:

Venerdì 9 maggio 2014, a quattro anni dai fatti, verrà emessa la sentenza del processo di primo grado. Acad, l’Associazione contro gli abusi in divisa, sarà come sempre in questi casi vicina alla famiglia.

Fonte:

https://www.facebook.com/events/1449368955308337/?ref_notif_type=group_comment&source=1