Road to Rio Ep 10 e 11

 

Road to Rio Ep 11

Pubblicato il 02 ago 2016

Il racconto in tempo reale di donna Irone. Da una favela del compleixo da Maré, chiusa in un negozio non può uscire perché il Bope è nella favela e stanno sparando. Moriranno più di dieci persone quella notte del 25 luglio 2016.

Fonte:

 

 

Road to Rio Ep 10

Pubblicato il 02 ago 2016

In questo decimo episodio, il “ripulisti” del lungomare, soprattutto, ma anche di tutte quelle zone che sono potenzialmente più turistiche. Spariti, come d’incanto, centinaia di senza dimora. Così, in una notte. Problemi anche per gli artigiani che vendono i loro prodotti sulle spiagge. Sequestrata la merce, manufatti, denunciati i lavoratori. Questa è gente che vive sulla spiaggia, ci lavora da anni ed è la loro unica forma di rendita con la quale mantengono le famiglie.
La colonna sonora ci conferma che i musicisti brasiliani possono suonare davvero qualsiasi cosa.

Fonte:

 

BLACK LIVES UNITED A RIO

Reportage. Davanti alla celebre chiesa della Candelaria nel giorno in cui si ricorda la strage di senza tetto avvenuta qui nel 1983. Nel paese che detiene il triste record di innocenti morti ammazzati dalla polizia, attivisti afroamericani e movimenti delle favelas hanno unito le loro voci per dire basta alla violenza razzista delle forze dell’ordine. Negli Usa come in Brasile, «è genocidio dei neri». Il 6 e il 7 agosto si replica, sfidando le Olimpiadi

La protesta che a Rio ha unito le associazioni che lottano nelle favelas contro le uccisioni della polizia e il movimento Usa «Black Lives Matter»

23 luglio, Chiesa de La Candelaria, Rio da Janeiro. Si è scelta non a caso questa data e questo luogo per sancire un nuovo percorso tra diverse associazioni brasiliane contro le uccisioni della polizia nelle favelas (Maes de Maio, Candelaria Nunca Mais e Brazil Police Watch tra le altre) e il movimento statunitense Black Lives Matter. Gli attivisti statunitensi sono da qualche giorno in città e ci resteranno fino a inizio dei Giochi quando, insieme ai brasiliani, il 6 e il 7 agosto, saranno per le strade di Rio contro quello che chiamano apertamente il genocidio dei neri. Sono previsti una serie di appuntamenti dal giorno successivo alla cerimonia d’apertura.

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foto Ivan Grozny Compasso

Una lotta unica

Dal nord al sud dell’America, un’unica voce. È significativo farlo in Brasile, durante i Giochi, nel Paese che detiene il triste record di morti ammazzati durante operazioni di polizia. Super militarizzato sempre, ancora di più in questi giorni. «Negli Stati uniti non crediate che sia così diverso. Come azione di monitoraggio abbiamo riscontrato, quest’anno, seicento afro americani colpiti da proiettili sparati dalla polizia», ricorda Daunasia Yancey, voce riconosciuta di Black Lives Matter. «Quello che sta accadendo negli Stati uniti e in Brasile è figlio di una politica razzista molto chiara», rincara la dose.

Elizabet Martin è una donna del Massachusetts, ha perso suo figlio che in Brasile c’era venuto in vacanza, anche lui ucciso dalla polizia di qui. Lei ha fondato il Brazil Police Watch: «Sono molto preoccupata per quello che può succedere con i Giochi. Ci sarà ancora più esercito, controllo del territorio, violenza. Se, per preparare e garantire una Olimpiade bisogna uccidere i propri cittadini, bisogna gridarlo al mondo che c’è qualcosa di molto sbagliato».

Nella Chiesa de La Candelaria, risalente al 1710, opera neo classica, grande orgoglio non solo della cultura carioca ma brasiliana, il 23 luglio 1983 più di quaranta senza dimora si trovavano proprio qui. Quattro agenti aprirono il fuoco contro di loro e otto morirono trucidati. Da allora casi come questo sono accaduti altre volte, con la differenza che si sono scelti luoghi più periferici vista l’eco addirittura internazionale che ebbe la vicenda.

L’impunità è garantita poiché di fronte all’insistenza di associazioni dei familiari delle vittime e altre organizzazioni come Amnesty International Brasil, le autorità di polizia replicano di essere stati costretti a rispondere al fuoco per legittima difesa. «Dal 2012, dal 5 al 20% dei casi sono stati indagati. L’impunità è garantita, in pratica. Il 77% dei morti, parliamo dunque di cifre molto significative, 5600 persone solo nel 2012, anno della Coppa del Mondo, erano neri abitanti delle favelas. Vere e proprie esecuzioni». E sono state davvero tante.

Quest’anomala messa, perché di questo si dovrebbe trattare, è celebrata da padre Renato Chiera, fondatore della Casa do Menor, che si scaglia contro il razzismo usato come incudine contro i più poveri. Accusa i politici, non risparmiando nessuno. Fa i conti dei Giochi scherzando amaramente sul fatto che il municipio è fallito per organizzarli e non ha pensato all’istruzione, ai servizi, a ciò di cui la gente ha maggiormente bisogno.

Centoundici colpi

Ogni tanto l’omelia si interrompe per ricordare non solo i caduti de La Candelaria ma anche quelli di molti altri episodi, non solo brasiliani. Quelli statunitensi, ad esempio. Tra gli altri Alton Sterling ucciso a Baton Rouge in Louisiana, Philando Castiglia nel Minnesota e Michael Brown a Ferguson. Si è ricordato poi il caso della favela di Costa Barros, qui a Rio de Janeiro, quando cinque ragazzi morirono sotto centoundici colpi sparati da poliziotti militari: Wesley Castro di 20 anni, Cleiton Correa del Souza di 18, Wilton Estevs Jr. di 20, Carlo Eduardo da Silva Souza e Roberto Souza Penha di soli sedici anni. Tornavano da un compleanno quando l’auto su cui viaggiavano è stata investita da una pioggia di colpi. Centoundici appunto. Tra i banchi anche le madri di questi ragazzi, alcune davvero giovanissime. Si fanno coraggio l’una con l’altra. Tra le organizzatrici c’è l’esperta Debora Silva Maria, fondatrice del Movimento Maes de Maio. Molto disponibile, dispensa una parola per tutti. Ha tempo pure di rilasciare qualche intervista. Ci sono televisioni tedesche e francesi oltre che brasiliane e l’inviato del New York Times. Lei risponde anche per quelle che hanno meno voglia di esporsi. Anche Debora ha perso un figlio di 29 anni, a São Paulo. Rimase celebre una sua frase pronunciata direttamente alla presidente Dilma Roussef, qualche mese dopo la sua prima elezione: «Non possiamo ancora festeggiare la fine della dittatura, perché vi siete dimenticati di avvertire le forze armate».

Anche di Patricia Olivera, la sorella di uno degli scampati alla tragedia del 23 luglio 1983, si ricordano duri attacchi verso chi fa di tutto per insabbiare cosa è accaduto da allora e cosa è successo dopo. Da anni lotta per vedere incriminati i veri mandanti, sa che i quattro sono solo degli esecutori, visto che quello non è rimasto affatto un caso isolato. Solo il più visibile.

C’è anche Fatinha, una delle storiche fondatrici del Movimento Candelaria Nunca Mais, fondato una settimana dopo il massacro. Con l’arcivescovo di allora, Dom Eugenio Sales, intimò di non smettere mai di ricordare «fino a che saranno uccisi bambini nelle strade di Rio». Dopo 27 anni non solo ci sono i brasiliani ma pure statunitensi uniti nella stessa convinzione. Fatinha è molto provata, non solo dal tempo, che evidentemente non ha cancellato quella notte. Ci sono molti ragazzini attorno a lei, indossano delle magliette azzurrine e fanno parte di uno dei progetti che queste donne hanno realizzato nella favelas.

«È un genocidio»

«È in atto, nelle Americhe, in diverse forme, un vero e proprio genocidio. Non è una questione che riguarda solo i neri – lo dice con impeto il reverendo e attivista John Selders – è una questione che riguarda tutti gli uomini, nessuno escluso. I poveri e la comunità nera sono le vittime, americane, ma negli altri continenti siamo sicuri che non stia avvenendo la stessa cosa contro altri popoli che si vogliono esclusi?». Un lungo applauso chiude il suo intervento. Un’attivista di Black Lives Matter, la cugina di un’altra vittima, Waltrina Middleton, fa partire un coro gospel. Lo seguono tutti e uno dopo l’altro alzano il pugno chiuso. Madri, fratelli, preti, brasiliani, statunitensi. Tutti. A pugno chiuso.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/black-lives-united-a-rio/

L’innocenza perduta dei Giochi

Rio 2016. Olimpiadi amare per gli abitanti delle zone più povere e violente di Rio. Che con il «golpe» hanno perso anche quel poco che avevano. E la cidade maravilhosa appare come impacchettata da teli in pvc che delimitano le pareti delle grandi arterie stradali, così le immagini delle spiagge oscurano quel che c’è dietro

Mural nella favela de Manguinhos: in 2 anni otto ragazzini sono stati uccisi dall’esercito mentre giocavano a pallone

Rio de Janeiro è una città dove l’innocenza si perde in fretta. I poveri perché esclusi, sfruttati e aggrediti, i ricchi perché rinchiusi nelle loro fortezze vivono una Rio tutta loro, intimoriti che qualcuno possa portare loro via ciò che possiedono. Qui la gente si mescola nelle strade e nei luoghi di socialità, ma ricchi e poveri è come fossero le rotaie del treno. Percorrono le stesse strade ma non s’incontrano mai.

La crisi politica, economica e sociale si sente eccome. Le conseguenze più dirette del «golpe» che ha disarcionato la presidente Rousseff sono state la sospensione di tutti quei provvedimenti che aiutavano i più in difficoltà. Lo stato, attraverso la bolsa familia ha prima aiutato queste persone che ora si vedono levare quei pochi aiuti di cui, di diritto, beneficiavano. Potere mandare i figli a scuola, ad esempio, o avere un supporto medico ora non è più possibile.

Tutto costa sempre di più. dai trasporti al cibo. Il costo del latte è cresciuto di sei volte in tre anni. I mezzi pubblici, nonostante le tante proteste, restano un nervo scoperto perché in tantissimi sono costretti a servirsene, ma non sono alla portata di tutti. Così, soprattutto nella zona nord della città, dove vivono essenzialmente i più poveri, non è inusuale vedere coloro che poi troveremo raccogliere lattine sulle spiagge della zona sud, seguire i binari del treno per arrivare fino al centro da dove poi, sempre a piedi, raggiungeranno la loro destinazione. Un viaggio in pratica. Dei migranti in cammino dentro la propria stessa città.

Il casermone della polizia

Arrivando in metropolitana alla favela di Manguinhos è tutto un brulicare di favelas. Arrivati la prima cosa che non si può non vedere è la cosiddetta «città della polizia», una caserma di dimensioni gigantesche che costeggia proprio i binari dove tanti disperati sono in cammino.

Per entrare nella favela bisogna costeggiarla, ma non a piedi. È la zona più pericolosa, dove gli «assalti», come sono chiamati qui, sono all’ordine del giorno. Un paradosso. Percorsi in moto taxi questi settecento metri, una grossa strada, poi la favela. La polizia è all’entrata, come ci fosse una dogana. È una postazione informale, gli agenti chiacchierano, danno uno sguardo allo smartphone ma osservano tutti quelli che transitano. Dentro, tra i vicoli, grossi pezzi di cemento. Sono messi per impedire ai mezzi pesanti dell’esercito di accedervi.

È come in guerra. Perché qui, anche se non dichiarato, c’è un conflitto in corso che va avanti da molti anni e proprio con l’assegnazione dei grandi eventi sportivi ha cominciato un lavoro molto sporco, che ha visto di fatto i più poveri aggrediti con la scusa della guerra al narcotraffico e la sicurezza.

Ma proprio a Manguinhos è evidente la stretta relazione tra chi spaccia e chi dovrebbe impedire quest’attività. Perché non può essere che se c’è un certo gruppo criminale a gestire gli affari, c’è la pace, se invece è un altro si scatena l’inferno. E quando questo si verifica non viene risparmiato proprio nessuno.

Morire su un campo di calcio

Luogo simbolo che sintetizza lo stato delle cose è il campo da calcio di Manguinhos. È in mezzo alla favela, dove c’è una specie di piazza. Ai quattro angoli del campo, all’esterno, su dei tavoli gruppi di tre o quattro ragazzi che fumano maconha e osservano quello che succede. Qualcuno è armato. C’è la pace ora, è tutto tranquillo. Per fare qualche foto del campo bisogna chiedere loro il permesso. Ci arrivo con la madre di Christian, che ha perso la vita proprio mentre stava giocando a pallone.

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La madre di Christian (foto Ivan Grozny Compasso)

Questo campo detiene il triste record di caduti mentre si gioca. Quando l’esercito entra, pesantemente armato e senza accordi con chi controlla il mercato della droga, sceglie volutamente di colpire i civili anche per mettere le persone delle comunità contro i trafficanti e agevolare un passaggio che altrimenti non si sarebbe verificato.

Di storie così ce ne sono tantissime. Molte delle madri che hanno perso i loro figli lottano per avere una giustizia che in partenza sanno che non otterranno ma sono sempre di più e cominciano a farsi sentire anche da quella parte di opinione pubblica che certe cose non le vorrebbe ascoltare.

I grandi eventi sportivi non hanno portato alcun beneficio alle comunità di qui e anzi hanno reso la presenza delle forze militari ancora più pressante. E poi ci sono le grandi opere, come viadotti e le nuove linee della metropolitana. Sono le uniche opere fatte per rimanere, ma non ancora ultimate.

Marlon è figlio di Mateus e Tina. Loro sono nati nella Città di Dio, a pochi km da dove li incontro. Cresciuti poveri e in mezzo alla violenza come tutti quelli che nascono li, si innamorano e decidono di fare un solo figlio in modo da potergli dare tutto il necessario per offrirgli una vita migliore. Riescono addirittura a mandarlo all’Università. Si laurea in pochi anni come ingegnere civile e trova lavora presso un grande cantiere, proprio a Tijuca, dove si trova il villaggio olimpico. Il ritardo delle consegne e la poca sicurezza delle condizioni di lavoro fanno il resto. Marlon oggi è tetraplegico, costretto a letto per tutta la vita a causa di un volo di diversi metri.

Il suo non è un caso sfortunato, non è il fato che ha deciso ma una condizione generale, complessiva, fatta di sfruttamento e corruzione, abusi e ingiustizia. I suoi genitori stanno portando avanti una causa contro lo Stato e la società che aveva (in subappalto) i lavori.

È sempre più difficile per chi ha meno, trovare l’opportunità di migliorare la propria condizione perché anche quando si ottiene l’occasione c’è sempre qualcuno che ricorda da dove si è venuti.

Non ne rimarrà un tubo

La città, come si dice in questi casi, si sta preparando al grande evento. I Giochi a distanza di due anni dalla Coppa del Mondo. Ed è tutto un brulicare di gazebo e strutture mobili montate con tubi innocenti. Da Tijuca, dove si trova il villaggio olimpico, passando per Copacabana, il Maracanà e giungere poi fino a Deodoro, dove c’è un sito, sede dei Giochi, si vedono solo enormi capannoni, transenne e tribune prefabbricate. E soldati.

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Sorveglianza armata nei luoghi dei Giochi (foto LaPresse)

Operai senza sosta lavorano nei punti più visibili della città, che è stata come impacchettata, da teli in pvc che dall’aeroporto fino al centro delimitano le pareti delle grandi arterie autostradali. Le immagini delle grandi spiagge e i loghi dei Giochi in bella mostra impediscono di vedere cosa c’è dietro. Il Compleixo da Marè, ad esempio. O altre piccole e grandi favelas che si arrampicano sui morri della città. Un velo colorato che copre le presunte colpe di quella che resta, nonostante tutto, la cidade maravilhosa.

Ma quando i Giochi saranno finiti, tutto sarà smontato, d’innocente qui non rimarrà neppure un tubo.

 

 

Fonte:

Rio 2016: Jhonata, 16 anni ucciso con uno sparo alla testa da un poliziotto militare nella favela Borel

01.07.16

RIO 2016: JHONATA, 16 ANNI, UCCISO CON UNO SPARO ALLA TESTA DA UN POLIZIOTTO MILITARE NELLA FAVELA BOREL. LA GIUSTIFICAZIONE: SACCHETTO DI POP CORN “CONFUSO” PER UN SACCHETTO DI DROGA

Un altro giovane nero di una favela di Rio è stato ucciso dalla polizia militare ieri sera (30.06) nella favela Morro do Borel a Rio de Janeiro. Si chiamava Jhonata Dalber Matos Alves e aveva 16 anni.

Jhonata non abitava in quella zona, vi si era recato per far visita agli zii. Era uscito di casa insieme ad un amico per andare a comprare un sacchetto di pop corn e forse proprio quel sacchetto che aveva in mano gli è stato fatale: sarà droga, hanno pensato i poliziotti militari e BUM! Centrato in piena testa. I poliziotti diranno poi che nella zona era in corso un conflitto a fuoco con i trafficanti, che una moto con dei banditi a bordo era appena transitata e che il ragazzo è stato colpito per sbaglio, la solita storia insomma…

Tutte le testimonianze degli abitanti della zona concordano nel dire che la situazione era assolutamente tranquilla e che non c’era nessuna sparatoria in corso.

Un abitante della favela ha filmato il momento in cui il ragazzo è stato raccolto e portato via dai poliziotti, ancora in vita. All’ospedale hanno tentato un intervento urgente, ma Jhonata non ce l’ha fatta. Nella serata gli abitanti di Borel sono scesi in strada per protestare. La polizia ha represso la giusta rivolta con lacrimogeni e pallottole di gomma. Nella favela è scattato il coprifuoco e a tarda notte giungevano notizie di abitanti chiusi nelle loro case invase dai gas lacrimogeni. Mentre scriviamo mancano 35 giorni, 14 ore e 34 minuti alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici.

13.07.16

Nei quartieri dei ricchi la polizia militare non si confonde mai

Il 30 giugno scorso, Jhonata, studente di 16 anni, è stata l’ennesima vittima delle UPP (Unità di Polizia Pacificatrice) in una favela di Rio. è stato “PACIFICATO PER SEMPRE” con uno proiettile conficcatogli nella testa da un poliziotto militare. Secondo le testimonianze degli abitanti della favela, i poliziotti avrebbero confuso il sacchetto di pop corn che Jhonata portava in mano con un sacchetto di droga. La polizia militare di Rio de Janeiro (come potrete constatare in questo breve documento) è un’autentica specialista in “confusioni”! Si confonde praticamente ogni giorno, ma solo nelle favelas e nelle periferie. Non si registrano, infatti, casi di “confusione” nei quartieri benestanti della città…

I numeri spaventosi di omicidi commessi dai poliziotti militari di Rio sono tornati spaventosamente a crescere con l’approssimarsi della Coppa del Mondo di calcio prima ed ora con le Olimpiadi.

Negli ultimi 10 anni, secondo i dati raccolti dalla ONG Human Rights Watch, la sola polizia di Rio ha ucciso “ufficialmente” più di 8000 persone, il 77% delle quali giovani, nere e abitanti nelle periferie e nelle favelas. Tra gennaio e maggio di quest’anno, sempre secondo i dati ufficiali, si sono registrati 322 omicidi. Anche i poliziotti muoiono in servizio: le statistiche indicano che un poliziotto muore ogni 25 civili uccisi.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!jhonata-16-anni-ucciso-dalla-polizia-mil/c1bnl

Isabel, la testimone

  • 2 luglio 2014
  • 12.28

 

Il 23 maggio 2014 più di cento poliziotti hanno fatto irruzione in un edificio a Niterói, vicino Rio de Janeiro, in Brasile. Nell’edificio si trovava un bordello, dove si prostituivano circa 300 donne.

Durante la retata la polizia ha picchiato e stuprato le donne; più di cento di loro sono state arrestate per essere interrogate e sono stati messi i sigilli all’edificio. Ma la polizia non aveva nessun mandato per entrare nella casa, come hanno denunciato i legali delle prostitute.

Il fotografo Giorgio Palmera ha incontrato Isabel, una delle ragazze picchiate, e ha realizzato un reportage multimediale sulla sua storia insieme a Ivano De Luca.

Isabel ha denunciato i fatti di cui è stata vittima insieme alle sue compagne e ora teme le eventuali ritorsioni della polizia.

Secondo uno studio di Amnesty international, pubblicato a maggio del 2014, l’80 per cento dei brasiliani ha paura di subire torture compiute dalla polizia. In un sondaggio svolto in 21 paesi, il Brasile è emerso come quello dove la popolazione teme di più le forze dell’ordine.

A Rio de Janeiro la situazione è peggiore che nel resto del paese: tra il 2013 e il 2014 il numero di persone uccise dalla polizia è cresciuto del 69 per cento. Nel 2008 è stato istituito un corpo militare speciale – le unità di pacificazione – che dovevano servire a riportare l’ordine e a rendere più sicure le favelas. Secondo Amnesty international nel 2014 le denunce di violenza gratuita ed efferata compiuta dalla polizia sono aumentate soprattutto in relazione agli interventi militari nelle favelas e durante le proteste contro i Mondiali.

Fonte:

http://www.internazionale.it/video/brasile/2014/07/02/isabel-la-testimone/

BOICOTTA COLA COLA! BOICOTTA IL MONDIALE! NO EXPO 2015!

Ecco un altro motivo per dire No all’ Expo 2015: il suo sponsor ufficiale sarà niente meno che Coca Cola Company! Non che su questo ci sia da stupirsi. La Coca Cola Company è sponsor  delle cose peggiori tra cui la coppa del mondo (fonte: https://www.facebook.com/SalviamoCeraunavolta?fref=ts: post di Carlinho Utopia del 30 maggio).


(Fonte foto: https://www.facebook.com/SalviamoCeraunavolta/photos/pcb.1512174172336085/1512173859002783/?type=1&theater)

 
La cosa sorprendente è che qui si dice che Coca Cola valorizzerà tematiche quali “l’equilibrio alimentare, l’importanza di una vita sana, di stili di vita attivi, nel rispetto di un ambiente sostenibile”. Fonte: http://www.expo2015.org/it/innovazione-e-sostenibilita–the-coca-cola-company-e-official-soft-drink-partner-di-expo-milano-2015
Per chi non sapesse quanto Coca Cola sia tutto il contrario della sostenibilità, invito a leggere i seguenti articoli:

 

Coca Cola compra zucchero sporco di sangue indio:

http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=94740&typeb=0&Brasile-Coca-Cola-compra-zucchero-

 

Ecco come la Fanta sfrutta gli immigrati a Rosarno :

 

 
La Fanta è un prodotto della Coca-Cola Corporation.
  La Fanta è un prodotto della Coca-Cola Corporation.

 

http://popoff.globalist.it/Detail_News_Display?ID=87961&typeb=0&Ecco-come-la-Fanta-sfrutta-gli-immigrati-a-Rosarno

 

E ricordiamoci che la Coca Cola è anche israeliana.

Articolo su Coca e Cola e occupazione:

La dottrina Kerry: ai palestinesi Coca-Cola. Le armi a Israele 

  http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=72309

 

L'aereo militare V-22 Osprey a decollo verticale che gli Usa forniranno a Israele

DUE PAROLE SUI MONDIALI DI CALCIO IN BRASILE

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09 giugno 2014

di Silvestro Montanaro*

Pubblicato il 9 giugno 2014 sulla pagina Facebook dell’autore

disegno di Ivan Navarro Sardella

Anni fa, Roberto Murolo e Lina Sastri interpretarono una straordinaria melodia, “Quante bugie”. Era dedicata alla loro città, Napoli, ed invitava ad andare oltre le apparenze per scoprirne, con i suoi “eterni” mali e vicoli, il dolore profondo che ne impregna la storia quotidiana.

In sintesi, dicevano, se volete conoscere Napoli, andate in giro per i suoi quartieri popolari. Lì scoprirete quante bugie si raccontano… e che il sole, il mare e l’allegria sono solo una parte dell’anima e del vissuto della gente che vi abita. Il resto ha un sapore tremendamente amaro.

In questi ultimi giorni prima del mondiale di calcio in Brasile, infuria la polemica. Avevo sperato che le intelligenze si destassero e finalmente facessero i conti con questo sempre più mostruoso colosseo che sono gli eventi messi in piedi dalla Fifa. Niente contro il calcio, per carità, ma quanto calcio è restato in questo business miliardario che ancora ne porta il nome?

Ed ancora, niente contro i grandi eventi internazionali, ma come non vedere che alcuni grandi flussi di spesa pubblica, cioè soldini dei contribuenti, vengono investiti in eventi come la Coppa del mondo, in paesi con stridenti disparità sociali e maleodoranti ingiustizie, senza neanche pensarli per un attimo come possibile strumento di riqualificazione urbana e sociale? E come non vedere che alla fine di quei soldini di tutti, a trarre beneficio, e’ sempre e solo una ben nota minoranza?

Ora una cerchia crescente di “cantanti” prezzolati, accusa quasi di razzismo chi critica la faraonica, costosa, violenta e corrotta operazione dei mondiali in Brasile. Perché criticate, dice questa lercia compagnia? Forse che il Brasile, in quanto sud del mondo, non ha diritto ad organizzare questo tipo di eventi? Ed aggiungono che eventuali ruberie e mancanze, in fondo, ci son sempre state e sempre ci saranno, ad ogni latitudine. Insomma, viva la Coppa e viva il Brasile, il paese più bello del mondo e, udite udite, il più socialista grazie ai governi prima di Lula ed ora della Dilma Roussef. Miserabili bugiardi…

Nessuno mette in discussione il diritto del Brasile di organizzare un grande evento. È ormai l’ottava economia mondiale e ci ha persino superati. Ma sono i brasiliani ad aver che dire. La critica di massa, espressasi in questi mesi in migliaia di manifestazioni, è ad un investimento che rende profitti per pochi e lascia inalterati, ed anzi aggrava, i problemi di sempre. Scuola, sanità, diritti elementari sono e resteranno per pochi. I miliardi investiti avrebbero potuto riqualificare ambienti urbani terribili, invece hanno prodotto violente ulteriori emarginazioni.

Ed è ovvio per chiunque sia in buona fede che un biglietto per assistere ad una partita, pari al salario minimo brasiliano, suoni più che un’offesa per tanta gente di quella parte del mondo. Il paese più “socialista” del mondo con Lula e Dilma ha sicuramente aumentato salari e pensioni, ma nello stesso tempo non ha voluto controllare un vertiginoso aumento dei prezzi che quegli aumenti ha volatilizzato. Prezzi che, con il mondiale, ora sono alle stelle.

Quello stesso paese più “socialista” del mondo, con Lula e Dilma, si e’ definitivamente consegnato ai signori della grande finanza. Lo sviluppo si e’ basato anche su una diffusione dei consumi a dir poco drogata. Non un aumento reale della capacità di spesa dei cittadini, ma strumenti finanziari come gli acquisti con carte di credito che hanno riempito anche le famiglie più fragili economicamente, tuttora maggioritarie, di inutili tessere magnetizzate. In media ogni famiglia ne possiede una dozzina e sono tutte divenute carte di debito grazie ad interessi finanziari che, nel Brasile “socialista“, arrivano e superano tranquillamente il 100%. Un mare immenso di debiti grava su tanta parte delle famiglie brasiliane. Debiti da ripagare, ma non si sa con quali soldi.

E sempre in questo “paradiso in terra“, la finanza ha talmente in mano le leve del il potere che gestisce in proprio la salute e la scuola. Ovviamente quelle private e a caro costo. Indovinate chi si oppone nei fatti ad una riqualificazione di quelle pubbliche ridotte in condizioni miserabili? Chissà perché mi viene in mente che tra certi che qui da noi inneggiano ad un simile sistema paese, sicuramente ci sono quelli del “e vai! Abbiamo anche noi una banca!

In questo straordinario santuario del progresso, ora chi contesta, sia esso un poveraccio, o un insegnante della scuola pubblica o un medico di un ospedale pubblico al collasso, è un criminale. In ogni caso sospetto di volere un ritorno delle destre al potere. “Taci, il nemico ti ascolta!” Sembra più fascismo, più stalinismo, no?

Chi critica questi mondiali e’ un criminale ed un nemico del paese. E da nemico viene e va trattato. La critica è nemico. Lessico socialista? Ma via! È gravissimo, soprattutto in un paese che non ha mai fatto i conti con il suo passato dittatoriale e che ha i suoi strumenti di ordine interno (polizia, esercito, forze speciali…) ancora impregnate di quella violenza e spirito di morte, tanto da non esser ancora stato capace di risolvere il problema degli squadroni della morte e delle lupare bianche ai danni dei marginali, fossero anche bambini.

Ed allora, a chi andrà da quelle parti, chiedo di parlare con la gente normale e visitare qualche quartiere popolare. Per capire, per scoprire che carnevale, pallone, mare e amore affollano anche qui il proscenio di mille canzoni. Ahimè, profondamente bugiarde.
Il carnevale come la coppa durano pochi giorni… poi c’e’ la vita, quella vera, con tutta la fatica dei suoi problemi. Quella che a certi bugiardi di professione non e’ mai interessata.

*Silvestro Montanaro,

  scrittore, giornalista ed autore televisivo. La sua serie di reportages televisivi “C’era una volta…“, è andata in onda su Rai 3 dal 1999 al 2013.

  Il sito “I grandi reportages di Silvestro Montanaro” raccoglie quasi tutti i suoi documentari.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!due-parole-sui-mondiali-in-brasile-di-s/cqxu

DALL’ITALIA AL BRASILE, CONTRO LA COPPA DEL MONDO, PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

Domenica 25 Maggio 2014 15:34

 

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Riceviamo e pubblichiamo questo altro contributo sulla manifestazione imponente che ha attraversato le strade di San Paolo giovedì scorso, per ribadire la propria contrarietà ai mondiali brasiliani che si terranno quest’anno in Brasile.

Quello appena trascorso è stato un “giovedì rosso” per la capitale economica brasiliana: più di 20 mila persone sono infatti scese in strada bloccando l’intera San Paolo.

Si chiude dunque con un risultato decisamente positivo il terzo “Ato Copa Sem Povo, Tô na Rua de Novo!” (Coppa del Mondo senza il popolo, torno in strada di nuovo!), lanciato dal Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) e da Resistenza urbana, a cui hanno preso parte molte organizzazioni che si stanno opponendo ai Mondiali brasiliani, vari forum per la salute pubblica e collettivi.

Nonostante la pioggia battente che ha colpito la città, senza concedere nemmeno un minuto di tregua, ed il rischio che compagni e compagne non riuscissero a raggiungere la manifestazione a causa di problemi nel trasporto pubblico, questo terzo Atto, il primo organizzato direttamente dal MTST, si è rivelato un vero successo per i movimenti brasiliani.

Con la partecipazione di più di 20 mila persone, il corteo ha attraversato il Largo da Batata fino al Ponte Estaiada, cartolina postale della città, per ricordare al governo brasiliano ed al mondo intero il disaccordo di gran parte della popolazione con gli sprechi bilionari in vista della Coppa del Mondo, che favoriscono solo le grandi imprese edili ed il mercato immobiliare. La piazza chiede invece che venga finalmente garantito il diritto ad un’abitazione dignitosa per tutti e tutte, la riduzione immediata delle tariffe di trasporto pubblico, un’educazione statale di qualità e che venga aperto un tavolo di discussione con i movimenti. “O le risorse per il diritto all’abitare tornano ad essere adibite alla costruzione di alloggi per i lavoratori attualmente senza tetto, o il Mondiale di giugno si rivelerà un mese rosso di lotte”, ha enfatizzato Guilherme Boulos, coordinatore nazionale del MTST, durante l’assemblea.

La protesta è avvenuta senza alcun incidente, segno di un’ottima capacità organizzativa e di una forte determinazione a lottare per i diritti di chi in Brasile sembra essere stato dimenticato, ma anche prova del fatto che, quando la polizia non interferisce e non agisce in maniera repressiva e violenta durante le manifestazioni, queste avvengono generalmente senza grossi problemi.

Il MTST indirà nuovi cortei nel caso non venissero ascoltate le richieste riaffermate anche giovedì, mentre a San Paolo continua l’occupazione “Coppa del Popolo”,  situata a meno di 4km dallo stadio dove si aprirà il Mondiale, l’Itaquerão, e che conta ormai più di 3000 occupanti.

Qui di seguito, le richieste specifiche del MTST, in merito a Diritto all’abitare e Riforma urbana:

1. Controllo statale dei prezzi degli alloggi urbani, per il quale venga stabilito come tetto dei nuovi calcoli l’indice inflazionistico. Questa misura è essenziale per combattere la speculazione immobiliare che colpisce i lavoratori più poveri.

2. Una Polizia Federale che non favorisca, ma invece prevenga gli sgomberi forzati, con la costituzione di una Commissione di vigilanza, legata alla Segreteria Speciale dei Diritti Umani.

3. Modifiche al programma “Minha Casa Minha Vida” (Casa mia, la mia vita), con regole che stabiliscano una miglior scelta delle aree ed alloggi più dignitosi.

Nel frattempo, anche il resto del Paese resta teatro di continue proteste. È significativa quella di Belo Horizonte (Minas Gerais), una delle dodici città sede della Coppa del Mondo, dove i dipendenti comunali di tutte le categorie in sciopero dal 6 maggio hanno paralizzato la città (nel settore dell’educazione i dipendenti in sciopero sono più dell’80%, in quello dell’assistenza sociale si arriva al 90%). Nonostante la grande mobilitazione, le rivendicazioni dei lavoratori non sono ancora state accolte, per questo centinaia di scioperanti si sono accampati all’ingresso del Comune, con l’obiettivo di mantenere alta la pressione da parte della popolazione.

*MTST
Il Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) è un movimento sociale radicato nei quartieri periferici che organizza lavoratori urbani attraverso l’occupazione di terre e lotte dal basso ad organizzazione popolare. Il tutto ha avuto inizio nel 1997, a partire dall’esempio del Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST), perché questo potesse diffondersi anche nelle grandi città, con l’obiettivo di lottare per una riforma urbana. Il gruppo è diventato uno degli attori principali di alcune tra le maggiori proteste iniziate l’anno scorso nella capitale paulista.

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/11852-dallitalia-al-brasile-contro-la-coppa-del-mondo-per-il-diritto-allabitare

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http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/11843-brasile-pi%C3%B9-di-20-mila-persone-in-piazza-contro-i-mondiali-per-la-risoluzione-dellemergenza-abitativa

E qui:

http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/461301/Mondiali-in-Brasile-il-murales-contro-lo-spreco-fa-il-giro-del-mondo