Parla Lello Valitutti, l’anarchico in carrozzina: Vi dico cos’è ‘”violenza”

lello La denuncia di Lello Valituttti

Fatto oggetto di un’infame campagna mediatica dopo il primo maggio milanese, abbiamo sentito Lello Valitutti riguardo alle minacce mafiose a lui rivolte da alcuni sgherri in borghese. Una denuncia, una precisazione e un paio di considerazioni.

http://www.radiocane.info/lello/

 

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Parla Lello Valitutti, l’anarchico in carrozzina: Vi dico cos’è ”violenza”

04/05/2015

E’ stato un’icona della protesta no-Expo nel giorno dell’inaugurazione, tuta nera, casco e sedia a rotelle, parla Lello Valitutti: ‘Black bloc? Io mi definisco anarchico’.

 

 

Fonte:

http://www.la7.it/piazzapulita/video/parla-lello-valitutti-l%E2%80%99anarchico-in-carrozzina-vi-dico-cos%C3%A8-violenza-04-05-2015-153888

Expo 2015 e le diverse forme di violenza

Voglio scrivere una mia personale riflessione su quello che è accaduto e sta accadendo in questi giorni per l’Expo 2015. A me fa schifo l’Expo, sono sempre stata contraria e mi fa schifo anche quello che è successo il primo maggio a Milano, non tanto perchè mi preoccupi la conta dei danni, ma perchè quelli che hanno spaccato e bruciato alla cazzo per l’ennesima volta, non c’entrano nulla con la politica. E’ solo gente che non ha niente di meglio da fare. E così rovinano tutto il lavoro dei movimenti No Expo che da tempo si davano da fare per cercare di far capire le ragioni del perchè non si può pensare di nutrire il pianeta con la merda delle multinazionali – come McDonald’s e Coca Cola, solo per fare qualche esempio – nè con lo sfruttamento gratis nascosto sotto il termine “volontariato” nè con l’inquinamento causato dalla Via d’Acqua  nè con le politiche di occupazione, permettendo la partecipazione di paesi come Israele. Io sono dell’idea che le proteste per essere efficaci e sensate dovrebbero essere fatte con intelligenza, non bruciando alla cazzo, ma facendo casino in altro modo, con modi che facessero sentire la propria voce, portando per strada veri lavoratori, con l’arte, con la musica, con gli slogan, con strumenti musicali, con strumenti qualsiasi, mostrando facce pulite contro l’ipocrisia dei potenti. E questo in qualche modo è stato fatto durante il corteo dai movimenti No Expo. Ma, sì sa, i media preferiscono dare spazio alle immagini di violenza e questo fa sì che episodi simili coprano la vera faccia dei movimenti. Io penso che se  poi proprio si volessero fare delle azioni dimostrative avrebbe più senso farle invece che contro vetrine e macchine a caso, contro le sedi delle istituzioni per esempio. Ma credo pure che queste siano cose che lascerebbero il tempo che trovano e che l’invito al boicotaggio e a seguire percorsi alternativi, su modelli di produzione sostenibili, resterebbe, nel lungo periodo, la forma migliore per un  progetto politico dal basso.
Detto questo,  mi preme ora evidenziare quelle che per me sono diverse forme di violenza. Credo non ci sia solo la violenza dei black block. C’è la violenza dei media che sbattono sulle pagine di tutti i giornali foto e un’intervista fatta chissà come di un vecchio compagno anarchico, Lello Valitutti, presente in questura durante l’omicidio di Pinelli. Un compagno che nonostante l’età e la disabilità da una grande testimonianza essendo presente alle più importanti mobilitazioni e che si è visto prima picchiato e minacciato di morte da parte della polizia – come lui stesso riferisce – e poi etichettato dai giornali come il black block in carrozzina. C’è la violenza di una legge fascista da codice Rocco, come quella del reato di devastazione e saccheggio per cui sono previste pene fino a 15 anni di carcere, che gli arrestati di questi giorni (ammesso siano colpevoli) adesso rischieranno. Si ripete così lo stesso copione degli arresti per il g8 2001.
C’è, inoltre, una violenza ancora più taciuta: quella della morte di un giovane ragazzo di soli 21 anni di origine albanese, Klodian Elezi. Klodian lavorava al cantiere della Teem, la tangenziale est esterna milanese, una delle tre opere infrastrutturali di Expo. A poche settimane dall’apertura dell’Esposizione Universale, Klodian è morto cadendo da più di dieci metri d’altezza mentre smontava un ponteggio. Secondo diverse testimonianze, l’azienda per cui lavorava, la Iron Master, non avrebbe fornito né imbracatura né casco di sicurezza.
Per un evento mondiale, che pretende di nutrire il pianeta attraverso lo sfruttamento di giovani al servizio di multinazionali, un ragazzo è morto per mancanza di sicurezza sul lavoro. Ma nessuno ha tempo per pensarci. C’è una città da ripulire e un grande evento da portare avanti, anche se i padiglioni sono fatiscenti e cadono a pezzi, come le illusioni che nascondono.

D. Q.

 

elezi-klodian

(Fonte immagine: http://www.giuliocavalli.net/2015/05/01/buon-primo-maggio-klodian-morto-po-dexpo/


 

 

 




Il “malore attivo” dell’anarchico Pinelli – Videotestimonianza di Valitutti

IL “MALORE ATTIVO” DELL’ANARCHICO PINELLI:QUANDO LA VERITA’ VOLO’ FUORI DALLA FINESTRA
UNA PAGINA NERA DELLA STORIA GIUDIZIARIA ITALIANA
saverio ferrari  –  Redazione Osservatorio Democratico  –  14/12/2004

Complessa e scandalosa fu la vicenda giudiziaria riguardo la morte di Giuseppe Pinelli. Nel maggio 1970 su proposta del Pubblico Ministero Giovanni Caizzi il Giudice Istruttore Antonio Amati archiviò sbrigativamente come “morte accidentale” la precipitazione dell’anarchico dal quarto piano della questura. Si scoprì in seguito che pur di giungere a questo esito non si erano nemmeno svolti gli accertamenti di rito riguardo il punto e l’ora della caduta del corpo e che il collegio peritale non aveva pensato di recarsi sul posto dell’evento. Nel frattempo, il 15 aprile, Luigi Calabresi aveva querelato per ”diffamazione continuata e aggravata” Pio Baldelli, direttore responsabile del quotidiano Lotta Continua che aveva promosso una sistematica campagna di denuncia, con articoli e vignette, attribuendo al commissario responsabilità precise circa la morte dell’anarchico.

Il Procuratore Generale di Milano Enrico De Peppo, per sgomberare il terreno ed evitare problemi, prima di assegnare la causa ad un magistrato, ritardando i tempi, fece in modo che l’archiviazione di Caizzi giungesse a compimento. Si aprì così solo nell’ottobre del 1970 il processo per diffamazione che, per altro, portò nell’aprile del 1971 alla richiesta di riesumazione del cadavere di Pinelli per ulteriori accertamenti. Attraverso nuove perizie medico-legali si intendeva verificare se fosse ancora possibile rinvenire sulla salma tracce di un colpo di karatè sferrato durante gli interrogatori che con ogni probabilità aveva leso il bulbo spinale. Forse la vera causa di quel malore che avrebbe provocato la defenestrazione. L’avvocato di Calabresi, Michele Lerner, ricusò a questo punto il giudice Biotti per aver anticipato in un colloquio privato le proprie convinzioni sulla colpevolezza di Calabresi. Il 7 giugno 1971 la Corte d’appello rimosse il giudice dall’incarico ed il processo si arenò definitivamente. Solo il 4 ottobre del 1971 si riaprì il caso, quando su denuncia della vedova Licia Rognini, il Giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio emise sei avvisi per omicidio volontario contro il commissario Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Piero Mucilli ed il tenente dei carabinieri Savino Lo Grano. L’istruttoria si concluse il 27 ottobre del 1975 con il proscioglimento di tutti gli indagati.

Una sentenza passata alla storia. Pinelli, sostenne D’Ambrosio, non si era suicidato ma nemmeno era stato assassinato. “Verosimilmente”, a causa di un “malore attivo” e dall’“improvvisa alterazione del centro di equilibrio” fu violentemente spinto fuori dalla finestra. Giuseppe Pinelli alto 1,67, sentendosi male, invece di accasciarsi sul pavimento come ogni altro essere mortale, con un balzò inconsulto e involontario si ritrovò invece a scavalcare una finestra di 97 centimetri, spalancando al contempo, quasi in volo, le imposte socchiuse della finestra. Una tesi senza precedenti nella storia del diritto e rimasta ancor oggi unica nel suo genere. Gli stessi periti d’ufficio esclusero la possibilità dell’evento in palese contrasto con le più elementari leggi della fisica e della medicina legale. Per altro, su Pinelli non furono rinvenute ferite sulle mani e sulle braccia a dimostrazione che il corpo fosse già inanimato al momento della caduta, così dicasi per l’assenza di perdita di sangue dal naso e dalla bocca. Non bastò.

Il Giudice nonostante le smentite alla propria tesi, proveniente dagli stessi indagati, ciascuno dei quali si era lasciato andare a testimonianze tutte in contrasto fra loro, senza mai in alcun modo parlare del malore, la sostenne senza fornire alcuna prova o riscontro concreto. In questo frangente anche il caso clamoroso del brigadiere Vito Panessa che addirittura affermò che nel tentativo di afferrare l’anarchico gli rimase una scarpa in mano, quando Pinelli venne rinvenuto nel cortile della questura con ambedue le scarpe ai piedi. Si aggiunse come beffa finale il provvedimento di amnistia per Antonino Allegra, capo dell’Ufficio politico, circa i reati di abuso di potere e arresto illegale di Giuseppe Pinelli, ancor oggi vittima senza giustizia, l’ultima della strage di Piazza Fontana. Una pagina nera, certo non la sola, nella storia giudiziaria italiana.

SAVERIO FERRARI
Milano, 2 dicembre 2004

 

Fonte:

http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=2747&Class_ID=1001

 

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Videotestimonianza di Pasquale Valitutti sul caso Pinelli:

 

12 APRILE, “ZAINETTI”, SGOMBERI E UN VECCHIO ANARCHICO

Di

Marco Bascetta, 16.4.2014

Polizia. Si tratta solo di fare male e di fare paura. Una strategia della deterrenza che, nel corso degli ultimi anni, si è lasciata dietro un buon numero di vittime

Il «cre­tino», quello che scam­bia il corpo di una gio­vane ragazza per uno zai­netto impu­ne­mente cal­pe­sta­bile, il poli­ziotto in bor­ghese esi­bito ripe­tu­ta­mente da gior­nali e tele­vi­sioni come sim­bolo media­tico di ogni vio­lenza poli­zie­sca «fuori dalle regole», l’uomo messo all’indice dalla recita dello stato di diritto che «non guarda in fac­cia nes­suno» non dovrebbe sen­tirsi troppo solo. Pas­sano pochi giorni dalle cari­che di piazza Bar­be­rini ed ecco che i suoi col­le­ghi, nel corso dello sgom­bero vio­lento di una palaz­zina nel quar­tiere romano della Mon­ta­gnola, que­sta volta in divisa, si acca­ni­scono a colpi di man­ga­nello su chi giace inerme in terra. Con tutta evi­denza non può essere scam­biato per uno zaino o un sacco della spaz­za­tura. Sono corpi ben rico­no­sci­bili e del tutto inca­paci di difen­dersi quelli che ven­gono ripe­tu­ta­mente, deli­be­ra­ta­mente, col­piti a san­gue da un folto gruppo di poliziotti.

È uno sgom­bero di occu­panti, di senza casa, di sfrat­tati, non ci sono Palazzi del potere da difen­dere, zone rosse o piazze da tenere sotto con­trollo. Si tratta solo di fare male e di fare paura. Di una stra­te­gia della deter­renza dif­fi­cil­mente ricon­du­ci­bile al puro e sem­plice pia­cere poli­zie­sco di menar le mani. Il video che ritrae il pestag­gio è, se pos­si­bile, ancora più crudo di quelli girati durante le cari­che di sabato scorso. Non offre «immagini-simbolo» tenere o com­mo­venti su cui fare cat­tiva poe­sia. Solo la testi­mo­nianza di quell’ordinaria vio­lenza che quo­ti­dia­na­mente si eser­cita nelle caserme, nelle car­ceri, per le strade e che, nel corso degli ultimi anni, si è lasciata die­tro un buon numero di vittime.

La gra­tuita bru­ta­lità messa in campo alla Mon­ta­gnola non può che signi­fi­care due cose. O che ciò che dicono i ver­tici della poli­zia e il Mini­stero degli interni conta meno di niente, che gli agenti se ne infi­schiano alta­mente. O che, «con­tror­dine ragazzi! Nes­suno vi vieta di pestare a pia­ci­mento, anzi». A dire il vero c’è anche una terza pos­si­bi­lità: che tutta que­sta indi­gna­zione per i diritti (e i corpi) cal­pe­stati dei cit­ta­dini non sia altro che una mise­ra­bile messa in scena. E forse è pro­prio quest’ultima even­tua­lità la più pro­ba­bile. Gli «eccessi» di poli­zia in Fran­cia li chia­mano «sba­va­ture», qui da noi ci si con­sola con la trita sto­riella delle «mele marce». Ma tutti sanno che il pro­blema sta nel frut­teto e, ancor più, nel suo coltivatore.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.it/ordinaria-violenza/

 

Leggi anche qui:

http://www.fanpage.it/chi-e-il-disabile-che-fronteggiava-la-polizia-a-roma-lello-valitutti-ecco-la-sua-storia/