Amnesty International, bambini Intersessuali sottoposti a interventi dolorosi e non necessari

Lo denuncia il rapporto “Primo, non ferire” che ha raccolto testimonianze di 16 persone intersessuali in Germania e Danimarca. Diritti umani e salute a rischio

Amnesty International, bambini Intersessuali sottoposti a interventi dolorosi e non necessari

Il rapporto “Primo, non ferire rilasciato qualche giorno fa da Amnesty International si basa su uno studio della realtà medica di Germania e Danimarca e sulle testimonianze di 16 persone intersessuali e 8 genitori di persone intersessuali raccolte nei due Paesi.

Fino 5 interventi non urgenti, invasivi e traumatici nel primo anno di vita

Secondo quanto documentato e denunciato dal rapporto, i bambini nati con caratteristiche sessuali che non corrispondono alle norme o alle aspettative maschili e femminili rischiano di essere sottoposti a una serie di procedure mediche e chirurgiche non necessarie, invasive e traumatiche – fino a cinque nel corso solo del primo anno di vita – in violazione dei loro diritti umani. Si tratta di interventi assolutamente non urgenti e spesso irreversibili con conseguenze a lungo termine sulla salute psicofisica e sul benessere delle persone che vi sono sottoposte, senza poter esprimere alcun parere o consenso, per la sola ragione di non corrispondere agli obsoleti stereotipi di genere.

Procedure di ‘normalizzazione’ solo per via degli stereotipi

«Queste cosiddette procedure di ‘normalizzazione’ vengono condotte senza la completa conoscenza degli effetti potenzialmente dannosi a lungo termine che producono sui bambini», ha dichiarato Laura Carter, ricercatrice di Amnesty International sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.

«Stiamo parlando di incisioni che vengono fatte su tessuti sensibili, con conseguenze per tutta la vita, tutto a causa degli stereotipi su ciò a cui un ragazzo o una ragazza dovrebbe assomigliare. La domanda è a chi giova, perché la nostra ricerca mostra che si tratta di esperienze incredibilmente tristi».

Un rischio che cade su una percentuale di popolazione stimata a livello globale intorno all1’7%. Come quella delle persone coi capelli rossi.

Interventi chirurgici con danni permanenti e irreversibili

Sulla base delle interviste alle persone intersessuali, alle loro famiglie e ai medici professionisti in Danimarca e Germania, Amnesty ha raccolto le prove che bambini nati con variazioni delle caratteristiche sessuali sono sottoposti, spesso nei primissimi anni di vita, a procedure quali la riduzione della “clitoride allargata, con danni sensoriali, cicatrici e dolori, la vaginoplatica o chirurgia vaginale, per creare o ampliare un’apertura vaginale, la gonadectomia, con la rimozione delle gonadi, inclusi tessuti ovarici e testicolari che comporta la necessità di trattamenti ormonali a vita e l’impossibilità di concepire figli, e ad operazioni di riparazione di ipospadia per riposizionare l’uretra all’apice del pene e creare un pene funzionale considerato esteticamente normale, al prezzo di complicazioni permanenti.

La testimonianza, medici incapaci di pensare fuori dallo schema binario ‘maschio’ – ‘femmina’

Sandrao, persona intersessuale che vive in Germania, racconta di come solo due anni fa, a oltre trent’anni, abbia scoperto di aver subito l’asportazione dei testicoli a 5 anni e di aver rimosso completamente i suoi primi 11 anni di vita. «Ho avuto altre operazioni, chirurgia genitale. Non so se avevo una vagina alla nascita o è stata ricostruita. La mia uretra è in una posizione diversa, Ho visto un ginecologo nel 2014 e ha trovato un sacco di cicatrici» – Racconta – «Sapevo di essere differente, pensavo di essere una sorta di mostro, ero incapace di sviluppare un’identità di genere. Ero spinto verso il ruolo femminile, dovevo indossare camicette, avevo capelli lunghi. Era doloroso avere rapporti sessuali con gli uomini e pensavo che fosse normale».

Una condizione che nessuno gli aveva spiegato finché non decide di approfondirla: «Ho preso parte a uno studio e hanno trovato un “disordine genetico”. Ma non mi piace questa parola. Io ho una variazione». Una cosa però appare certa: «I medici non danno abbastanza informazioni ai genitori. Penso che la professione medica pensa solo al sistema binario di genere. Anziché dire che “tuo figlio è normale, e crescerà in salute”, loro dicono che c’è “qualcosa di sbagliato che può essere corretto con la chirurgia”».

Impressione confermata, a Sandrao, anche dai primi colloqui avuti con i sanitari: «Ho visto un endocrinologo. Quando l’ho incontrato la prima volta mi ha detto che dovevo decidere se essere maschio o femmina. Erano incapaci di pensare fuori dallo schema. Ma ora ha cambiato opinione. Questo è quel che mi dà il potere e la forza di combattere».

Violati diritti umani dei bambini

Un’esperienza questa che riassume il percorso di molte persone intersessuali, medicalizzate sulla semplice base di stereotipi e pregiudizi sin dai primi mesi di vita, poco o male informate da medici e familiari, costrette a subire per tutta la vita le conseguenze di scelte consumatesi sulla loro testa.

«Quando penso a quello che è accaduto, sono sconvolto, perché non si trattava di qualcosa che spettava ad altri decidere – si sarebbe potuto aspettare», ha detto H. dalla Danimarca.

Amnesty International ritiene che l’attuale approccio al trattamento dei bambini intersessuali in Danimarca e Germania non protegge i loro diritti umani, compresi quelli alla riservatezza e al più alto livello di salute raggiungibile.

Anche gli esperti delle Nazioni Unite hanno esplicitamente condannato tali pratiche, classificando interventi chirurgici inutili in bambini intersessuati come pratiche nocive e in violazione dei diritti del bambino.

Fonte:

http://www.prideonline.it/2017/05/15/amnesty-international-bambini-intersessuali-sottoposti-interventi-non-necessari/

 

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ARMI SIRIANE, I PARTICOLARI DALL’INTERNO DELLA CAPE RAY

La nave è arrivata stamattina nel porto di Gioia Tauro, commissioni difesa di Camera e Senato in missione a Reggio. Il sindaco di San Ferdinando: «Non so che sostanze verranno trasbordate ma, anche se sono sempre stato contrario a questa operazione, darò il massimo supporto»

Il terminal di Gioia Il terminal di Gioia

GIOIA TAURO «Anche se sono sempre stato contrario a questa operazione darò il massimo supporto che mi deriva dall’essere sindaco fermo restando tute le riserve dal punto di vista politico. È stata una decisione imposta dall’alto senza rispetto per la volontà della popolazione. Malgrado abbia fatto richiesta non so che tipo di sostanze verranno trasbordate». È con parole durissime che il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi ha commentato l’insediamento del Centro di Monitoraggio e Controllo, presieduto dal prefetto Claudio Sammartino, che nei prossimi giorni coordinerà le operazioni di trasbordo di container degli agenti chimici provenienti dalla Siria dalla nave Ark Futura alla Cape Ray che avranno inizio domani mattina. Alla riunione interverranno anche i rappresentanti del ministero degli Affari Esteri, attesi nel primo pomeriggio a Reggio Calabria, nonché tecnici dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale e ispettori dell’Opac. Nel frattempo è già arrivata in porto la nave statunitense Cape Ray. L’unità navale, partita dal porto spagnolo di Rota, imbarcherà domani il carico di armi e sostanze chimiche requisito al regime siriano di Assad e, attualmente, in rotta verso la Calabria a bordo del cargo danese Ark Futura.

 

TRASPARENZA A BORDO

“Nella parte finale di questa operazione, da parte degli americani, c’è stata piena apertura nel farci vedere tutte le strutture interne, tutto l’impianto di processazione delle componenti chimiche di idrolisi. Se nella fase iniziale si è mancato in termini di comunicazione, con oggi si iniziano ad avere dettagli maggiori”. Sembrano confortati dalle informazioni ricevute e soddisfatti per “la massima trasparenza e disponibilità” mostrata dai militari che al porto di Gioia Tauro si preparano a ricevere a bordo della nave statunitense Cape Ray  l’arsenale chimico di Bashar al- Assad, i componenti delle commissioni difesa di Camera e Senato oggi in missione in Calabria per monitorare le operazioni di trasbordo degli agenti chimici dal cargo danese all’imbarcazione americana su cui verranno resi inoffensivi.  “Questa mattina – sintetizza il presidente della commissione Difesa della Camera, Massimo Artini – siamo stati accolti sulla Cape Ray in maniera molto trasparente. Siamo entrati nel ponte interno della nave e abbiamo potuto valutare anche le installazioni, che sono composte da un ingresso all’impianto di idrolisi, ermetico sia dalla parte aerea che dalla parte di suolo, quindi dall’impianto di idrolisi stesso”. Ma soprattutto, la delegazione di parlamentari che oggi ha avuto accesso alla nave americana – formata oltre che dal presidente Artini (Movimento 5 stelle), dai deputati Rosanna Scopelliti (Ncd), Paolo Alli (Ncd) e Marco Marcolin (Lega Nord) e dai senatori Carlo Lucherini (Pd) e Luis Alberto Orellana (Movimento 5 stelle) insieme al Direttore Centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione della Farnesina, Giovanni Brauzzi – sembra essere stata in grado di raccogliere ulteriori dettagli e informazioni sull’operazione che nelle prossime ore avrà come teatro lo scalo di Gioia Tauro, a partire dal materiale trattato.

 

SARIN E IPRITE

“Si tratta di precursori di gas Sarin e iprite. Inizialmente doveva esserci anche un precursore del Vx, che è stato messo sulla nave norvegese che è già in navigazione verso la Germania”, comunica Artini, rispondendo alle perplessità di alcuni dei sindaci della Piana che in mattinata, per bocca del primo cittadino di San Ferdinando Domenico Madafferi avevano fatto sapere “Malgrado sia stata  fatta richiesta non si sa che tipo di sostanze verranno trasbordate”. Non si tratta dunque di armi già innescate, ma della componentistica necessaria per fabbricarle. Materiale delicato e altamente instabile, che necessita dunque tutte le tutele del caso quando viene trasportato, manipolato o distrutto e che per la prima volta verrà trattato su una nave e non in un impianto di terraferma. Una questione che più di tutte ha fatto scendere sul piede di guerra ambientalisti, comitati come molti amministratori della Piana,  su cui i parlamentari hanno tentato di fare chiarezza.

 

UN’OPERAZIONE MAI TENTATA PRIMA

Stando ai trattati internazionali, avrebbe dovuto essere il Paese produttore o detentore a smaltirle, ma “è del tutto evidente – afferma Artini – che farlo in Siria non sarebbe stato né facile né opportuno. Basti pensare che il carico è stato per oltre un mese bloccato a Latakia perché non c’erano le condizioni di sicurezza per farlo muovere”. Una prima opzione valutata dall’Opac (organizzazione per la messa al bando delle armi chimiche) è stata l’Albania “ma alla fine – ammette il presidente della commissione difesa della Camera – non c’è stata disponibilità. Si è capito però che sarebbe stato inopportuno costruire un impianto di distruzione di agenti chimici ad hoc per lasciarlo inutilizzato. Quindi si è deciso di farlo, per la prima volta, a bordo di una nave”.  Un’operazione mai tentata, ma che può contare – assicurano deputati e senatori – sulle migliori tecnologie e  tecnici specializzati con oltre quindici anni di esperienza per lavorare in sicurezza. Nulla – chiariscono i parlamentari – verrà sversato in mare, perché anche l’acqua di scarto dell’idrolisi verrà stoccata per essere poi smaltita in Germania, Gran Bretagna e Norvegia”.

 

DETTAGLI SUL TRASBORDO A GIOIA TAURO

Un’operazione complessa, che dunque interesserà il territorio di Gioia Tauro solo per la parte relativa al trasbordo degli agenti chimici dal cargo danese, il cui attracco è previsto attorno alle quattro di questa notte, alla nave su cui poi verranno processati “ben oltre le acque internazionali”. Stando alle stime comunicate ai parlamentari, l’intera procedura dovrebbe durare non più di dieci ore, tuttavia in mattinata proprio sul punto il segretario dei portuali della Cgil, Salvatore La Rocca, aveva mostrato prudenza “generalmente in un’ora movimentiamo circa sessanta container, ma bisognerà capire come procedere per rispettare le massime condizioni di sicurezza”. In trenta fra i lavoratori del porto saranno impegnati nelle operazioni di scarico e carico dei container che – assicurano – non verranno stoccati sul molo, ma trasferiti direttamente da nave a nave.

 

“CONTINUEREMO A MONITORARE”

Concluse le operazioni in porto, la Cape Ray, scortata da pattugliatori di diversi Paesi, oltrepasserà le acque internazionali per dare il via alle operazioni di smaltimento in mare aperto, su rotte ancora ignote ai parlamentari. “Per come ce l’ha prospettata questa mattina il capitano, non essendo necessario che la nave sia ancorata, si cercherà la situazione climatica e di mare migliore, ma in ogni caso oltre 150 miglia dalla costa, quindi cinque volte oltre le acque internazionali”. Stando ai piani,  l’impianto – sotto osservazione dei tecnici Opac – dovrebbe riuscire a smaltire 25 tonnellate al giorno, dunque “in 60- 90 giorni di lavoro, calcolando quelli di inattività per mare mosso dovrebbero essere in grado di concludere le operazioni”, afferma Artini, che promette “questa nostra missione è un passaggio che non finisce qui – ha concluso Artini – ci sono altri 60 giorni in cui c’è da fare l’idrolisi in mare e sui quali abbiamo intenzione di vigilare”.

 

CHI PAGA?

Pochi dettagli arrivano invece sui costi dell’operazione. Se è confermato che la società che oggi gestisce il porto di Gioia Tauro riceverà un indennizzo del valore ancora non definito o comunicato, è il direttore generale e ministro plenipotenziario Brauzzi a comunicare che sarà in larga parte l’Italia a finanziarie l’operazione “abbiamo ottenuto che i costi venissero scontati dal contributo di due milioni di euro che l’Italia aveva già deciso di destinare al fondo internazionale per le missioni di pace. Era il minimo per non essere da meno di quello che hanno fatto gli altri Paesi”. Nessun costo invece dovrebbe ricadere sulle istituzioni locali, mentre toccherà sempre allo Stato sobbarcarsi le spese dell’enorme dispositivo di sicurezza dispiegato all’esterno del porto, come delle operazioni di comunicazione che porterà alla proiezione delle operazioni di trasporto in streaming in tre luoghi, fra cui la Prefettura di Reggio Calabria. “Di fronte al fatto di poter distruggere le armi chimiche,  per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, senza che si verifichi una situazione simile a quella dell’Iraq nel 92-93, anche se dovesse essere indennizzato in misura maggiore di un normale trasbordo, penso sia corretto farlo perché fa parte delle responsabilità di un Paese”. La  vicenda deve essere vissuta dalla Calabria “più che come una vessazione come un’opportunità” per Rosanna Scopelliti. “Inizialmente non c’è stato il giusto coinvolgimento ma dal momento in cui la situazione è stata denunciata vi è stata la massima cooperazione e trasparenza. Abbiamo la volontà di rassicurare i cittadini, noi comunque ci siamo, e tutto quello che si poteva fare è stato fatto. Magari – conclude Scopelliti – per le prossime volte è auspicabile un coinvolgimento maggiore fin dall’inizio”. (

Alessia Candito

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Fonte:

http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/23265-armi-siriane,-la-cape-ray-%C3%A8-arrivata-nel-porto-di-gioia

GIOIA TAURO. ARMI CHIMICHE: “SOS MEDITERRANEO”, NESSUNA TRASPARENZA

Reggio Calabria

 

 

Il Comitato SOS Mediterraneo interviene, con un documento sull’imminente arrivo della nave carica di armi chimiche dismesse dall’esercito siriano, lamentando la mancanza di informazioni sulle operazioni.

“La conferenza stampa annunciata dal direttore generale dell’OPAC Uzumcu non lascia spazio ai dubbi – scrive il comitato – le armi chimiche siriane più pericolose caricate sul cargo danese Ark Futura hanno lasciato il porto siriano di Latakia per dirigersi a Gioia Tauro. Qui troverà ad aspettarla la nave americana Cape Ray per iniziare un’operazione di trasbordo assolutamente mai tentata prima, in prossimita’ degli insediamenti urbani di san Ferdinando e Gioia Tauro. Come avevamo più volte preannunciato – si legge ancora – questa scellerata operazione si svolgera’ nella più assoluta segretezza ed in spregio alla Convenzione di Arhus per la quale la trasparenza ed il coinvolgimento delle popolazioni nelle questioni ambientali assurgono a valore imprescindibile, confermando pertanto tutti i dubbi sulla natura pacificatrice di questa prima operazione di disarmo”. Al Sindaco di San Ferdinando,il comitato chiede “formalmente l’applicazione immediata del “principio di precauzione”, in osservanza al dettato della Comunita’ Europea, che impone al primo cittadino l’intervento diretto ed immediato non solo nell’ipotesi in cui ricorra una minaccia di danni “gravi e irreversibili”, ma anche nella semplice situazione di pericolosità presunta. Ricordiamo inoltre al Sindaco di San Ferdinando, cittadina direttamente interessata da tale operazione militare – continua la nota – che la commissione europea ha affermato come il “il fatto di invocare o meno il principio di precauzione e’ una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto””.

Inoltre, a parere del comitato, “il Sindaco non può rifiutarsi di operare scelte ed assumere un parere in coerenza con il principio di Precauzione, anche in virtu’ degli artt. 50 e 54 del decreto legislativo 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali)”. A tale riguardo il comitatoi segnala che “il Consiglio di Stato ha emesso sentenza favorevole ad un comitato di cittadini di Taranto ed ottenuto infine che il Sindaco di quella città applicasse immediatamente tale principio. Vigileremo – è infine scritto – perchè questa basilare condizione venga messa subito in essere e denunceremo alla Magistratura qualsiasi atto contrario alle determinazioni del popolo della Piana di Gioia Tauro ed ogni tentativo presente e futuro di usurpazione del nostro territorio e del nostro mare”. (AGI)

Fonte:

http://www.cn24tv.it/news/91324/gioia-tauro-armi-chimichesos-mediterraneo-nessuna-trasparenza.html