Paolo e Daddo

2 febbraio 1977 – Roma

paolo e daddo

Un corteo di 50.000 si dirige verso la sede del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna. Due agenti in borghese iniziano a sparare raffiche di colpi d’arma da fuoco. Sono le squadre speciali di Cossiga alla loro prima apparizione. Si tratta di poliziotti in borghese con mansioni speciali per le manifestazioni. Altri spari giungono dai diversi punti della piazza e dal corteo. Rimangono gravemente feriti uno degli agenti in borghese e due studenti, Paolo Tommasini, di 24 anni e Leonardo (Daddo) Fortuna, di 22 anni.

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/2-febbraio-1977-roma/

Aggressione fascista al Csa Dordoni di Cremona – Sabato 24 gennaio: MANIFESTAZIONE NAZIONALE ANTIFASCISTA a Cremona!

Lunedì 19 Gennaio 2015 09:56

 

altPubblichiamo l’appello per la manifestazione antifascista a carattere nazionale che si terrà a Cremona sabato 24 gennaio dopo i gravissimi fatti di ieri pomeriggio. Inoltre è stata convocata per la giornata di oggi una mobilitazione diffusa nei territori per esprimere vicinanza e solidarietà ad Emilio.

Qui l’intervista di RadioInfoaut a Michele del CSA Dordoni sui fatti di ieri e di presentazione delle giornate di mobilitazione antifa:

Emilio, un compagno di tante lotte e tante battaglie, è in ospedale in coma farmacologico con una emorragia cerebrale estesa a causa di un assalto squadrista al centro sociale Dordoni di Cremona.

L’attacco premeditato e scientificamente organizzato dai fascisti di CasaPound cremonesi, in combutta con altri militanti di estrema destra provenienti da fuori città, ha trovato una risposta determinata da parte dei compagni presenti nel centro sociale, ma purtroppo Emilio è stato colpito alla testa da diverse sprangate.

I fascisti si sono accaniti sopra ad Emilio fino a quando è stato portato in sicurezza all’interno del centro sociale; è stata, tuttavia, immediatamente chiara la gravità del suo stato di salute.

Infame è stato il comportamento della polizia che ha semplicemente identificato gli assaltatori e successivamente, per permettere loro di andarsene indisturbati, ha violentemente caricato il presidio di antifascist* radunatesi sul posto.

Per esprime totale vicinanza e solidarietà con Emilio è stata indetta:

Lunedì 19 gennaio una giornata nazionale di mobilitazione diffusa nei territori

Contro squadristi, polizia e istituzioni conniventi:

Sabato 24 gennaio un corteo nazionale antifascista, determinato, autodifeso e militante con la parola d’ordine: chiudere subito tutte le sedi fasciste!

Pagherete caro! Pagherete tutto!

#Emilioresisti

(Seguiranno informazioni dettagliate su orario e luogo del concentramento di sabato 24 gennaio)

Intanto in molte città italiane si stanno organizzando presidi in solidarietà con gli e le antifasciste cremonesi:

Bergamo h 18.00 – piazza Vittorio Veneto

https://www.facebook.com/events/1587396741474669/

Bologna h 18.00 – Presidio in piazza Verdi

https://www.facebook.com/events/606342242843020/

Brescia h 18.00 – Presidio in Piazza della Loggia

https://www.facebook.com/events/1554504444789851/

Bussoleno h 18.00 davanti sede Anpi

Cremona h 18.30 – Cortile Federico II

https://www.facebook.com/events/1659176050976373/

Cosenza h 18.00 Piazza 11 Settembre

https://www.facebook.com/events/783841645029860/

Livorno h 18.00 – Presidio in Piazza Cavour

https://www.facebook.com/events/1385939358378667/ 

Mantova h 18.00 – Presidio in Via Principe Amedeo

Pisa h 17.30 – Presidio alle Logge dei Banchi

https://www.facebook.com/events/633618113431709/

Roma h 18.30 piazzale Tiburtino

https://www.facebook.com/events/752639711490020/

Torino h 17.00 – Presidio davanti a Palazzo Nuovo

https://www.facebook.com/events/1641311579423395/ 

Viareggio martedì 20gennaio h 17.00 – zona mercato (piazzone via Battisti)

https://www.facebook.com/events/710189745765448/

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/antifascismoanuove-destre/item/13709-sabato-24-gennaio-manifestazione-nazionale-antifascista-a-cremona

Domenica 18 Gennaio 2015 21:35

altaggiornamento ore 24: i compagni e le compagne del Csa Dordoni riferiscono di un vero e proprio agguato premeditato da parte di 50 fascisti armati di spranghe, che hanno approfittato del derby allo stadio per raccogliere a chiamata alcuni volti noti di fascisti di altre città, in particolare Parma e Brescia. Intorno alle 18 l’assalto prima da parte di un gruppo di 10 fascisti, raggiunti poco dopo da altri 40 vigliacchi sbucati dalla via vicina al Dordoni.

Durante l’aggressione Emilio, compagno storico cremonese, è stato colpito al volto con una spranga e ora si trova all’ospedale, in coma, con una grave emorragia cerebrale e in pericolo di vita. Prima che i compagni (che erano presenti nel centro sociale nel numero di 7-8 persone) riuscissero a soccorrerlo, i fascisti si sono accaniti su di lui, già a terra, colpendolo con calci.

Da rimarcare anche il solito atteggiamento infame della polizia, che arrivata sul posto si è limitata a identificare i fascisti per poi rilasciarli poco dopo e, per garantirgli la fuga in tutta tranquillità, ha caricato violentemente i compagni del Dordoni che nonostante l’inferiorità numerica difendevano lo spazio.

Al momento diverse decine di compagni e compagne sono giunti a Cremona anche da altre città ed è in corso un’assemblea per decidere come rispondere a questa vigliacca aggressione squadrista.

La corrispondenza ai microfoni di Radio Onda d’Urto con Michele del Csa Dordoni che ricostruisce l’accaduto e riporta alcuni aggiornamenti:

 

altPubblichiamo un primo breve aggiornamento dei compagni e delle compagne del Csa Dordoni in merito alla vigliacca aggressione squadrista messa in atto poche ore fa da una sessantina di fascisti di Casapound nei confronti del centro sociale.

Esprimiamo massima solidarietà ai compagni e alle compagne cremonesi, con l’augurio che il compagno gravemente ferito si riprenda al più presto, e ci uniamo all’appello a raggiungere il presidio antifascista all’esterno del Csa Dordoni.

Seguiranno aggiornamenti.

Poche ore fa sessanta fascisti di CasaPound cremonesi con il supporto di squadristi provenienti da fuori hanno assaltato il Centro Sociale Dordoni e durante gli scontri per difendere lo spazio un compagno è stato colpito a sprangate in testa e attualmente è in coma in gravissime condizioni.

Successivamente si è verificata anche una carica di alleggerimento della celere sui compagni in presidio fuori dal centro sociale per permettere ai fascisti di andaresene indisturbati.

Si invitano tutti gli antifascisti e le antifasciste a raggiungere il presidio fuori dal Centro Sociale Dordoni.

Il centro sociale è in via Mantova 7/A (ex foro boario), parcheggio dello stadio – Cremona

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/antifascismoanuove-destre/item/13707-aggressione-fascista-al-csa-dordoni-di-cremona

7 gennaio 1978: Acca Larentia

7 gennaio 1978: Accalarentia

Mercoledì 07 Gennaio 2015 07:04

Roma, 7 Gennaio del 1978, ore 18,20: cinque militanti del Fronte della Gioventù escono dalla sede dell’Msi di via Acca Larentia 28, nel quartiere Appio Latino, lasciando un biglietto sul tavolo “Siamo a Prati, ci vediamo domani”.
Acca Larentia è tristemente famosa in quegli anni, per i numerosi attacchi squadristi che troppe volte sono partiti proprio da quella sede.
Fuori, ad attendere i neofascisti, un gruppo di cinque o sei persone che, appena vede aprirsi la porta, apre immediatamente il fuoco.
Franco Bigonzetti, studente di 20 anni, rimane ucciso sul colpo; tre riescono a fuggire e a rientrare nella sede, dotata di porta blindata. L’ultimo militante, Francesco Ciavatta, diciottenne, viene ferito e tenta di fuggire attraverso una scalinata situata a lato della sezione. Viene però colpito nuovamente alla schiena e morirà in ambulanza.
Alcuni giorni dopo l’azione viene rivendicata tramite una cassetta, fatta trovare accanto ad una pompa di benzina, da un giovane con la voce contraffatta a nome dei “Nuclei Armati di Contropotere Territoriale”.

« Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d’Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell’accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all’uso delle armi. »

Nelle ore successive al raid antifascista centinaia di missini romani (sono presenti tra gli altri Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti) si radunano sul luogo. Una telecamera del Tg1 inizia a riprendere l’ingresso della sede, inquadrando i volti dei giovani neo-fascisti, che aggrediscono il giornalista, provocando così una carica da parte delle forze dell’ordine.
Nel caos creato da un fitto lancio di lacrimogeni, tra le fila dei neofascisti spuntano spranghe e pistole, qualcuno spara.
Il capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori punta la pistola ad altezza d’uomo, ma l’arma si inceppa. Toglie dalle mani di un suo attendente un’altra pistola e spara con quella, centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, che morirà due giorni dopo in ospedale, provocando l’ira dei neofascisti che daranno vita a tre giorni di scontri e guerriglia in molte città italiane.
Dei cinque imputati Daniela Dolce è tutt’ora latitante, Mario Scrocca si suiciderà in carcere, mentre Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis saranno assolti per insufficienza di prove.
Nella miglior tradizione italiana il comandante Sivori verrà invece condannato per “eccesso colposo di legittima difesa”.

La vicenda giudiziaria legata ad Acca Larentia sarà lunga e senza risoluzione: gli unici accusati del duplice omicidio sono cinque militanti di Lotta Continua, secondo le dubbie rivelazioni di Livia, ex br pentita che afferma di averli visti partecipare ad una riunione in cui veniva decisa la firma per rivendicare il raid.

L’aggressione del 7 gennaio avrà inoltre un ulteriore seguito: il 28 febbraio, anniversario della morte di Mikis Mantakas, alcuni membri dei Nar, guidati da Valerio Fioravanti, decidono di farsi vendetta. Con alcune auto si avvicinano a Piazza S.Giovanni Bosco, luogo di ritrovo per molti compagni della zona. Irrompono nella piazza, facendo fuoco. Viene colpito al torace Roberto Scialabba, militante di Lotta Continua di 24 anni, poi giustiziato, mentre è disteso a terra, dallo stesso Fioravanti con due colpi alla nuca. Poche ore dopo i Nar rivendicheranno l’attentato con una telefonata al Messaggero, affermando di aver vendicato Acca Larentia.

10 gennaio 1978, 93.400 Radio Onda Rossa – “Compagni, non scandalizziamoci, è inutile stare lì a mascherarci: siamo di fronte a un momento di antifascismo”.

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/154-7-gennaio-1978-accalarentia

 

 

30 Dicembre 1943: l’eccidio di Santa Cecilia

Martedì 30 Dicembre 2014 07:02

altFrancavilla al Mare, in provincia di Chieti, fu una delle prime cittadine italiane in cui si organizzò la Resistenza all’invasore nazifascista. Anche per questo motivo, il paese venne sistematicamente minato, tanto da dover disporre, nel mese di dicembre ’43, lo sgombero degli abitanti, poiché il 90% dei fabbricati non era più in piedi.

Il  30 dicembre 1943, mentre i soldati tedeschi fanno sfollare i contadini dalla contrada di Santa Cecilia verso Chieti, una ragazza che tenta di recuperare delle masserizie da nascondere in un luogo sicuro, subisce un tentativo di violenza da parte di un soldato nazista. Di tutta risposta, il padre della ragazza aggredisce e uccide a coltellate il soldato, per poi fuggire con tutta la famiglia per timore della rappresaglia. La reazione dei militari però, non si fa attendere.

Il comando tedesco scatena subito una feroce rappresaglia secondo la barbara consuetudine di guerra dell’esercito nazista, per cui per ogni soldato morto devono essere uccisi dieci civili. Comincia un rastrellamento selvaggio nelle poche case rimaste in piedi, che viene così ricordato da uno dei sopravvissuti, Antonio Lorito:

«(…)Ricordo che mentre parlavo del più e del meno insieme agli altri amici, sopraggiunse una pattuglia di tedeschi paracadutisti che si piazzò dinnanzi a noi con i mitra spianati. Dalla pattuglia si staccò un graduato che con tono minaccioso urlò: “Alle Kaputt!” – Sì proprio così: “Italiani traditori, tutti kaputt, raus”, gridava spingendoci avanti… ». «Ci chiusero in una stalla – aggiunge – e ci perquisirono dalla testa ai piedi con la speranza di trovare qualche arma, magari il coltello con il quale era stato ucciso il loro camerata, ma non trovarono nulla. Finita la perquisizione ci fecero tornare a lavorare. La paura era sempre tanta. Avevamo una mezza bottiglia di “Strega” e un po’ per il freddo, era il 30 dicembre del 1943, e un po’ per farci coraggio, ci mettemmo a bere. Ad un tratto vi fu un gran trambusto: non si capì bene cosa fosse; l’unica cosa che avvertimmo fu il passo cadenzato di una pattuglia nazista che si avvicinava. Istintivamente alcuni di noi si misero a correre verso una di quelle case che c’erano lì vicino in cerca di un nascondiglio sicuro, magari nell’ultima stanza. Quando i tedeschi arrivarono ad una trentina di metri da noi si fermarono e subito degli ordini concitati risuonarono nell’aria. Immediatamente seguiti da scoppi di bombe a mano, raffiche di mitra, colpi di pistola, invocazioni d’aiuto, lamenti, un inferno, insomma. Le armi sparavano e sembravano non scaricarsi mai,tanto erano continui i colpi. Ho visto quattro amici miei cadere a terra crivellati».

La rappresaglia compiuta dai tedeschi è effetuata due volte, cosi che 20 persone vengono uccise in due luoghi differenti. I pochi sopravvissuti sono poi costretti a scavare una fossa in un mucchio di letame e a seppellire lì nove dei loro compagni barbaramente trucidati.

Il giorno successivo i sopravvissuti vengono portati in una vallata adiacente, dove giù per un fossato trovano ammucchiati i cadaveri delle rimanenti vittime. I corpi, ricoperti in fretta con un po’ di terra, rimasero così fino a dopo la Liberazione, quando furono restituiti ai famigliari.

Nella strage di Santa Cecilia morirono in totale venti francavillesi, tutti erano operai, contadini o studenti.

 

 

Fonte:

https://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3608-30-dicembre-1943-l%E2%80%99eccidio-di-santa-cecilia

Fratelli Cervi

Gelindo (classe 1901), Antenore (1906), Aldo (1909), Ferdinando (1911), Agostino (1916), Ovidio (1918), Ettore (1921).Tutti nati a Campegine (Reggio Emilia), tutti fucilati il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia, tutti Medaglia d’Argento al Valor Militare alla memoria.
I fratelli Cervi (il maggiore aveva 42 anni, il più giovane 22) e il patriota Quarto Camurri, con loro ristretto prima nel carcere dei Servi e poi in quello di San Tomaso, avrebbero forse potuto salvarsi. Dopo la cattura i Cervi (il padre Alcide, già in età avanzata, dopo la sparatoria e la resa, decisa per non coinvolgere le donne e i bambini, era stato separato dai figli) erano stati a lungo interrogati e seviziati, ma i fascisti non ne avevano cavato nulla. Ad un certo punto – si racconta – giunsero a dirgli: “Volete il perdono? Mettetevi nella Guardia Repubblicana”. Risposero: “Crederemmo di sporcarci”. Nemmeno i quattro dei Cervi che erano ammogliati ed avevano figli, compreso Gelindo che ne aveva un altro in arrivo, cedettero alle lusinghe. Allora li presero e li portarono tutti al poligono di tiro.
Non si sa quanto abbia pesato, nella decisione di non cedere, l’influenza che Aldo, il più “politicizzato” dei Cervi, esercitava da anni sui fratelli e sui contadini della zona, ai quali aveva insegnato nuovi sistemi d’irrigazione. Aldo – scrisse Piero Calamandrei – non perdeva occasione per educare se stesso e gli altri. “Quando dopo molti anni di accanita fatica di braccia, la famiglia Cervi poté permettersi il lusso di acquistare un trattore, Aldo andò a prenderlo in consegna a Reggio: e sulla strada che porta a Campegine i vicini lo videro tornare trionfante, al volante della macchina nuova, sulla quale aveva issato, come una bandiera internazionale, un gran mappamondo”. Oggi la loro casa di Campegine è stata trasformata in un museo.

Fonte:

28 novembre 1977: Benedetto Petrone

Venerdì 28 Novembre 2014 07:07

altIl 28 novembre 1977 a Bari viene ucciso a coltellate Benedetto Petrone. Aveva 18 anni, faceva l’operaio ed era comunista (iscritto alla Fgci).

La sera del 28 una nutrita squadra di fascisti esce dalla sede Passaquindici del Msi, con in mano mazze ed in tasca alcuni coltelli.

L’agguato è premeditato: si dirigono verso Bari Vecchia con l’obiettivo di colpire alcuni capi del movimento studentesco. Il gruppo viene però avvistato da una ragazza che corre al bar del borgo vecchio dove si trovano i compagni. I fascisti tentano di avvicinarsi al locale ma vengono immediatamente messi in fuga per i vicoli della città.

Arrivati nella piazza della prefettura, nel pieno centro cittadino, i fascisti vedono tre ragazzi, tra cui c’è Benedetto Petrone. I tre ragazzi cercano di scappare, ma Petrone è più lento per colpa di una malattia che lo affligge che comporta problemi di deambulazione. L’amico torna indietro ma i fascisti ormai gli sono addosso. Benedetto Petrone viene colpito con mazze e coltelli. Sarà una coltellata ad ucciderlo. L’amico, Franco Intranò, viene ferito al torace.

Il 30 ottobre un corteo attraversa le strade di Bari. Più di 30’000 persone scendono in piazza per opporso alla violenza fascista e gridare che “Benny vive!”.

Davanti alla Prefettura, che è il luogo dove il ragazzo era stato ucciso, vengono fatte alcune barricate, rovesciando delle macchine parcheggiate. Le barricate permettono ai manifestanti di salire al primo piano della Cisnal e devastarla. Stessa fine farà poi la sede dell’Msi: i manifestanti entrano all’interno della sede da dove erano partiti i fascisti che viene distrutta e bruciata.

La verità processuale individuò un solo colpevole: solo un missino fu condannato per l’omicidio, nonostante furono in più di trenta a partecipare all’agguato. Il tentativo fu di far passare il tutto come una rissa tra teste calde di opposti estremismi.

Il coltello che colpì Benedetto Petrone fu ritrovato in una stanza della sede del Movimento Sociale Italiano, che divenne poi il quartiere generale di An ed oggi è motivo di contesa tra Pdl e Fli.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3327-28-novembre-1977-benedetto-petrone

18 novembre 1943: Scioperi e Resistenza

Martedì 18 Novembre 2014 07:38

 

altIl 18 novembre 1943, a Torino, gli operai FIAT  danno vita ad un grande sciopero che blocca totalmente gli stabilimenti. Fin da subito la fiamma della protesta operaia sorpassa il confine torinese, e divampa in tutto il Piemonte la Lombardia e la Liguria.

Dall’8 settembre dello stesso anno iniziano i grandi scioperi operai che portano ad una grande destabilizzazione del regime oramai alle strette.

Le rivendicazioni degli operai, tutti antifascisti, sono tra le più importanti: la retribuzione dei periodi di interruzione forzata dal lavoro,  la fine del regime militare di produzione, la possibilità di non lavorare durante i bombardamenti e l’immediata liberazione di tutti i prigionieri politici.

Le risposte del regime fascista sono durissime e devastanti per la loro molteplice crudeltà.

Nei soli mesi autunnali del ’43 sono più di una decina gli operai giustiziati dalla polizia politica fascista, e diversi reparti delle fabbriche torinesi vengono deportati in Germania nei campi di lavoro.

Il tessuto della classe operaia torinese, nell’autunno ’43, ha ormai al suo interno strutturato quadri sia del PCI clandestino, del CLNAI, e dei comitati clandestini sindacali.

L’antifascismo diventa uno delle rivendicazioni portanti degli scioperi operai, e la lotta al regime viene caratterizzata da un forte protagonismo operaio.

Ciò che era partito il 2 novembre alla Breda di Milano, il 18 trova nella FIAT di Torino lo snodo fondamentale per estendere la lotta di classe al resto del Nord Italia.

La determinazione degli operai torinesi che, ormai da marzo, hanno inaugurato un ciclo di lotte nuovo, senza precedenti.

L’esplodere e la diffusione su tutta la classe operaia della lotta partigiana, non sarebbe stato possibile senza una presa di coscienza di forza e di prospettive degli operai. Sia nelle grandi che nelle piccole officine vengono messi in pratica i sabotaggi della produzione. E’ indicativo in questo senso una sorta di “libretto rosso del partigiano” che raccoglie le istruzioni per un sabotaggio, su larga scala e di massa, del sistema produttivo italiano. Questo manuale, curato da un gruppo  partigiano romano, veniva nascosto dentro le copertine del libretto degli orari ferroviari.

Dare il giusto peso di analisi alla stagione di lotte operaie nell’autunno-inverno 1943, vuol dire di riflesso considerare la Resistenza come espressione della lotta di classe.

 

 

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3236-18-novembre-1943-scioperi-e-resistenza

17 novembre 1973: lo sgombero del Politecnico occupato ad Atene

Lunedì 17 Novembre 2014 08:02

 

altIl 14 novembre del 1973 gli studenti del politecnico di Atene entrarono in sciopero e occuparono contro il regime fascista dei colonnelli sostenuto dagli americani.

L’occupazione seguiva di alcuni mesi (febbraio 1973) lo sciopero degli studenti di legge che avevano occupato la loro facoltà ed erano stati brutalmente sgomberati dalla polizia e dall’esercito.

L’occupazione colse impreparato l’apparato repressivo del regime che non riuscì ad intervenire immediatamente anche grazie, e soprattutto, alla solidarietà che gli studenti ottennero; infatti, da subito, migliaia di lavoratori, studenti medi e universitari di altre facoltà accorsero al politecnico occupato.

Durante le giornate del 14 del 15 e del 16 continuarono a susseguirsi assemblee, iniziative, venne attivata una stazione radio che trasmetteva in tutta la zona di Atene, vennero barricati gli ingressi dell’università.

Contemporaneamente il governo impose la legge marziale e sospese la fornitura di energia elettrica a tutta la città (eccetto il politecnico che era dotato di generatori di emergenza subito messi in funzione dalgli studenti). Queste prime risposte non riuscirono tuttavia a spegnere la protesta che anzi crebbe di intensità e partecipazione tanto da spingere il governo a far circondare dall’esercito Exarchia e il Politecnico in modo da fermare l’afflusso di gente.

Alle 3 del mattino del 17 novembre un carro armato sfondò l’ingresso principale del politecnico facendo entrare i soldati nel cortile che trovarono gli studenti determinati a non cedere in alcun modo. All’interno dell’università la repressione fu brutale, arrivando fino a giustiziare con un colpo di pistola alla nuca uno studente, Michael Mirogiannis, di 19 anni,  dopo che era stato arrestato.

Contemporaneamente allo sgombero, trasmesso in diretta dalla radio del politecnico, gli studenti e gli operai attacarono l’esercito nel resto della città, le barricate si moltiplicarono, in molti zone della città le forze repressive furono messe in seria difficoltà.

La risposta del governo fu anche in questo caso estremamente brutale, furono 42 i morti durante lo sgombero e i successivi scontri (tra cui anche un bambino di 5 anni ucciso da un colpo di fucile di un soldato durante i rastrellamenti di un quartiere popolare di Atene) e centinaia i feriti.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3205-17-novembre-1973-lo-sgombero-del-politecnico-occupato-ad-atene

 

Un video in ricordo di Adelchi Argada

Realizzato dal Collettivo Autogestito Casarossa40, in collaborazione con il Centro di Documentazione Invictapalestina

Mercoledì 15 Ottobre 2014 – 12:00

Il Collettivo Autogestito Casarossa40, in collaborazione con il Centro di Documentazione Invictapalestina, presenta “Adelchi Argada 1953-1974”, un video in ricordo del quarantennale della morte del giovane, ucciso a Lamezia il 20 ottobre 1974.

Argada militava nel Fronte Popolare Comunista Rivoluzionario (FPCR), un’organizzazione extraparlamentare fortemente attiva in Calabria e che soprattutto a Lamezia contava numerosi militanti tra operai e studenti. Il Fpcr in quell’autunno caldo farà sentire il peso della sua azione politica in tutta la regione e particolarmente durante il processo catanzarese a Pietro Valpreda, ingiustamente accusato per l’attentato di Piazza Fontana e poi assolto nel 1979 dalla Corte d’Assise di Catanzaro assieme agli altri imputati anarchici.

In questo clima di tensioni matura l’uccisione di Adelchi, non un fatto casuale ma il frutto di un disegno politico ad opera della destra eversiva e degli apparati dello Stato che passerà alla storia con il nome di “strategia delle tensioni”. In poco meno di un decennio migliaia di militanti di sinistra verranno feriti ed oltre 250 compagni uccisi per mano fascista. Il Collettivo sta lavorando ad un archivio cartaceo e digitale, che porta il nome di Adelchi Argada, come luogo della memoria e dell’impegno antifascista e consultabile all’indirizzo web del collettivo.

 

 

Fonte:

http://www.lameziainforma.it/pgn/news.php?id=5322#.VEQfPxb4Uqh

 

 

Ambientalista, pacifista e poeta: il sogno spezzato di Miccoli

Fonte: http://www.comitatoclaudiomiccoli.it/?p=foto

Claudio, studente ventenne ucciso nel 1978 dai fascisti
9 ottobre 2011 – Antonella Cilento
Fonte: Il Mattino

Ha quest’aria serena da santo indù, o da eroe risorgimentale con barba e. capelli leonini Claudio Miccoli nella foto che lo ritrae, appena ventenne. Ha già un’aria adulta, ben più adulta di chi oggi ha vent’anni, proprio com’era degli uomini in altri tempi. Serio, forse malinconico di fronte alla macchina fotografica, ma fiducioso. Ecco un pezzo di storia recente, la storia di un eroe che non voleva diventarlo.
Per quanto abusata e fuori moda sia la parola «eroe», specie in questi anni cosmetici e pubblicitari, pure ne esistono e sono assai spesso persone comuni, che compiono gesti che dovrebbero essere normali ma che l’ignavia della collettività rende straordinari. Ambientalista e pacifista in tempi in cui non era ancora una tendenza occuparsi di ambiente, nucleare e pacifismo, Claudio Miccoli è testimone per impedirci di dimenticare. In questi giorni ricorre l’anniversario della sua morte: ucciso a colpi di spranga la notte del 30 settembre 1978 e morto dopo sei giorni d’agonia in ospedale, questo ragazzo, che saliva sulle montagne di CivitellaAlfedena ad osservare gli uccelli per conto del WWF, ci parla di un mondo che sembra già lontanissimo e che pure è.presente nel nostro quotidiano, che lo ha, bene o male, determinato. Ci parla degli anni in cui si era fascisti o comunisti – e Claudio, anche se era su posizioni chiaramente di sinistra, non apparteneva ad alcun partito o schieramento, il pacifismo non essendo una scelta politica di alcun partito nell’Italia di allora e di oggi – e in cui gli scontri si radicalizzavano in continue violenze, una vera e propria guerra civile, eredità, è stato scritto, della mancata pacificazione dopo Salò, nonostante la fine della Seconda Guerra. Prima di essere vorticosamente assorbiti nella pappa senza senso degli ultimi vent’anni, che ha divorato idee e convinzioni per restituirne in buoni sconto da supermercato, offerte Sky, tangenti e prostituzione istituzionalizzata, la Napoli in cui cresceva Claudio Miccoli, studente del liceo scientifico «Vincenzo Cuoco», che gli ha anche intestato la Biblioteca, era al centro di mille tensioni, non diversamente da oggi.
E non diversamente da oggi, mi fa notare Francesco Ruotolo, che negli anni ha curato con attenzione e passione la memoria di Claudio, insieme al fratello minore di Miccoli, Livio, settembre era un mese caldo, quasi estivo, e la sera del sabato a Piazza Sannazaro tanti erano, come Claudio, occupati a mangiare la pizza dal ristorante soprannominato «Il Marchese». Era con amici più giovani e chiacchierava, tranquillo. Ad uno dei suoi amici spuntava dalla camicia, come a tanti in quegli anni, una copia di Lotta Continua e questo era bastato perché un gruppetto di fascisti armati aggredisse, senza alcuna ragione o provocazione, i ragazzi. Solo perché portavano una barba folta o i capelli lunghi, come li aveva Claudio, segnale certo di idee libertarie da ormai due secoli e in ogni paese dell’Occidente. Erano tutti fuggiti, anzi, Claudio si era adoperato per mettere al riparo gli amici più giovani di lui.
E poi, correndo lungo Salita Piedigrotta per andare a prendere la metropolitana e togliersi dal tafferuglio, aveva incontrato di nuovo i fascisti armati e aveva chiesto loro: ma perché professate le vostre idee con le armi? Nessuna risposta, ovviamente, salvo un primo colpo in testa. Claudio era riuscito a salire ancora verso la chiesa di Piedigrotta benché ferito, ma altri diciassette colpi l’avevano steso definitivamente. Questa storia che molti in città conoscono, per esserne stati testimoni diretti o coinvolti emotivamente dai fatti, produceva subito un’onda di dolore e una ferma volontà di ottenere rispetto. Corone, fiori, striscioni, comparvero al mattino davanti alla chiesa, dove era caduto Claudio.
La lapide, che venne posata poco tempo dopo a cura dei suoi compagni di scuola, al centro di Piazza Sannazaro, nell’aiuola spartitraffico, recitava: «A Claudio Miccoli, venti anni, uno di noi, ucciso dalla barbarie fascista. I compagni non dimenticheranno». Per anni parenti e amici si sono riuniti a ricordare intorno a questa pietra. E per anni questa lapide è stata oggetto di continue profanazioni e distruzioni.
Persino dopo il completo restauro con una nuova iscrizione («A Claudio Miccoli, vittima a vent’anni dell’intollerenza e della violenza, per non dimenticare!»), avvenuto nel 1998 con tanto di inaugurazione, una croce celtica il giorno dopo campeggiava sul ricordo di Claudio, subito ripulito.
Il processo portò alla condanna di alcuni dei responsabili, ma con pene lievissime a paragone dell’omicidio gratuitamente perpetrato. La famiglia di Miccoli ha scelto, nello spirito pacifista del figlio, di non accanirsi in ricorsi, che avrebbero comminato sicuramente pene maggiori ma non riportato in vita Claudio. Ha scelto con grande dignità e superiorità morale di portare invece nelle scuole il messaggio, da sempre scandaloso, di chi non offende e non colpisce e ama la vita, non la sopraffazione. Claudio abitava nella zona di Poggioreale, in via Lahalle, e oggi una strada gli è intestata (via Claudio Miccoli, pacifista 1958-1978), fra le torri di fronte al Cimitero del Pianto, volute a misura delle famiglie da Democrazia Proletaria: una rara lotta vinta, pacifica anche questa; che sarebbe di certo piaciuta al ragazzo che, il 4 giugno 1978 nel suo diario, pochi mesi prima di morire in modo tanto inaspettato, scriveva poesie e, con triste profezia, in una diceva: «Non ho lottato perché volevo lottare, ma perché mi ci avete costretto. Non ho colpito perché volevo colpire, ma perché sono stato colpito. Io che non volevo colpire, sono stato colpito! Non volevo lottare, e ho dovuto farlo. Non ho vinto perché volevo vincere, ma perché mi avete sconfitto».
A ricordare l’uomo e i suoi valori, anche Civitella Alfedena gli ha intestato una strada e, ancora a Napoli, nell’Istituto Leonardo da Vinci, l’aula magna gli ha dedicato uno spazio. Il Comitato Claudio Miccoli ha costruito, nel tempo, un sito Internet, pubblicato tre libri, intestato a Claudio un premio di poesia perché la memoria dei più giovani – gli adulti, in fondo, sono già persi – sia alimentata e si rafforzino convinzioni e valori umani imprescindibili. Infine, Francesco Ruotolo mi mostra alcune foto a colori – il tempo trascorso denunzia persino il supporto: le nostre polaroid sono scomparse dalla circolazione, sostituite dal digitale, rivoluzione veloce. Le foto ritraggono l’ascesa al rifugio di montagna dove Claudio s’inerpicava per osservazioni per conto del WWF. Livio Miccoli e Francesco Ruotolo, a dorso di mulo ci hanno portato una lapide. Anche su questa targa, posta in cima ad una sella di monte distante da ogni furia umana, si legge un’altra poesia di Claudio.
Gli ultimi versi sono autentico monito ai distratti e agli arroganti, quasi un’eco dei meravigliosi versi di Kavafis che incitano a non fare della nostra vita una stucchevole estranea, che chissà se Claudio conosceva ma certo interpretava con la sua disposizione matura alla meditazione e al senso della vita: «Quando salii più su, tra grida di cornacchie dicenti: noi esistiamo, che di tanto in tanto si sentivano salendo su in cima, vidi i gracchi. Essi parlavano con le loro ali: vedete, noi non siamo aria ma è come se lo fossimo, solo, noi, muovendoci, abbiamo uno scopo. Viviamo, amiamo su queste cime, il vento è nostro fratello e la pioggia non ci è nemica perché noi realizziamo unità con ciò che ci è intorno e viviamo. Non perdetevi in sciocchezze, fate così anche voi».

Citato in: http://campania.peacelink.net/pace/articles/art_9142.html