Tonino Micciché

Venerdì 17 Aprile 2015 07:21

17 aprile 1975, 19 di sera, quartiere operaio della periferia nord di Torino. Un gruppo di compagni e compagne del comitato di lotta

17 aprileper la casa di Falchera sta sistemando la sua nuova sede appena liberata. Tra loro c’è Tonino Micciché, 25 anni, emigrato siciliano, ex operaio Fiat licenziato per motivi politici. Un uomo col soprabito si avvicina al gruppo. Cammina tranquillo. Quando si trova a un metro da Tonino estrae una calibro 7.65, di quelle in dotazione alle guardie giurate, e spara. Dritto in fronte: Tonino muore all’istante.
Emigrare al nord per trovare lavoro significa rinunciare alla propria terra, alla vicinanza degli affetti, alla casa. Perché i grandi industriali del Piemonte si sono scordati, nei loro piani di produzione, di pensare che quelle migliaia di operai che risalgono la penisola, abbiano anche bisogno di un tetto sotto il quale passare le poche ore che separano un turno dal successivo. Così nascono le speculazioni. Il centro storico è pieno di soffitte in cui i letti vengono condivisi da tre o più persone, “che quando arrivi per coricarti devi svegliare il compagno che ti liberi il posto“. La risposta della Fiat all’emergenza abitativa sarebbe quella di sistemare le maestranze in vecchi stabilimenti della cintura torinese isolati dallle città, che vengono pubblicizzati come “ fiore all’occhiello, con tutti i comfort, con attorno giardini verdi, dove i buoni operai [potrebbero] rigenerarsi dalle fatiche della catena di montaggio e liberare il corpo e lo spirito al contatto con la natura“. Addirittura Cgil, Cisl e Uil si oppongono a quelli che definiscono “villaggi di concentrazione”.
Le case popolari esistono, e formano veri e propri ghetti fuori dalle “mura” della Torino bene. Sono stati fatti costruire interi quartieri dormitorio alla periferia estrema della città, e a Falchera e Mirafiori lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) inizia ad edificare nuovi lotti per un totale di 20.000 abitanti. Le pratiche per l’assegnazione sono lente e sempre più famiglie si trovano strette nella morsa di affitti esorbitanti e alloggi fatiscenti.
Da queste premesse iniziano le occupazioni, che se nascono in modo molto spontaneo, non tardano a convergere in percorsi politici di appositi comitati di quartiere. A Falchera, quartiere costruito negli anni ’50 in barriera di milano, si assiste al fenomeno più ampio. Centinaia e centinaia di famiglie arrivano da tutta la città e si organizzano per occupare e amministrare le case non ancora assegnate. La risposta istituzionale non si fa attendere. Immediatamente lo IACP riprende a piena lena le assegnazioni degli alloggi, in modo da mettere assegnatari e occupanti gli uni contro gli altri. Dal canto loro i giornali iniziano subito a spendersi per dipingere il fenomeno come parte della tanto comoda “guerra tra poveri”.
Nel comitato di occupazione di Falchera, Tonino Micciché diventa presto una figura tra le più importanti: è lui che va a parlare con le istituzioni quando è necessario, ed è lui che spesso si prende la briga di assegnare gli alloggi alle nuove famiglie di occupanti. E’ lui che viene eletto dai suoi compagni “il sindaco di Falchera”. Il motivo del suo omicidio va ricercato nel clima di tensione che l’IACP ha tentato di creare tra occupanti e assegnatari. Nonostante la maggior parte degli assegnatari condivida con gli altri le esperienze di lotta e la militanza nei comitati, restano comunque alcuni, pochi, che dal loro status di “privilegati” vogliono trarre il massimo. Tra questi ultimi anche Paolo Fiocco, guardia giurata iscritta alla CISNAL, che si è preso un box auto in più oltre a quello già assegnatogli dall’Istituto. In quel box il comitato per la casa vorrebbe fare le sue riunioni, e non valendo a nulla le richieste di liberarlo fatte a Fiocco, decide di prenderselo quel 17 aprile 1975.

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/1173-17-aprile-1975-lomicidio-di-tonino-miccich%C3%A9

18 novembre 1943: Scioperi e Resistenza

Martedì 18 Novembre 2014 07:38

 

altIl 18 novembre 1943, a Torino, gli operai FIAT  danno vita ad un grande sciopero che blocca totalmente gli stabilimenti. Fin da subito la fiamma della protesta operaia sorpassa il confine torinese, e divampa in tutto il Piemonte la Lombardia e la Liguria.

Dall’8 settembre dello stesso anno iniziano i grandi scioperi operai che portano ad una grande destabilizzazione del regime oramai alle strette.

Le rivendicazioni degli operai, tutti antifascisti, sono tra le più importanti: la retribuzione dei periodi di interruzione forzata dal lavoro,  la fine del regime militare di produzione, la possibilità di non lavorare durante i bombardamenti e l’immediata liberazione di tutti i prigionieri politici.

Le risposte del regime fascista sono durissime e devastanti per la loro molteplice crudeltà.

Nei soli mesi autunnali del ’43 sono più di una decina gli operai giustiziati dalla polizia politica fascista, e diversi reparti delle fabbriche torinesi vengono deportati in Germania nei campi di lavoro.

Il tessuto della classe operaia torinese, nell’autunno ’43, ha ormai al suo interno strutturato quadri sia del PCI clandestino, del CLNAI, e dei comitati clandestini sindacali.

L’antifascismo diventa uno delle rivendicazioni portanti degli scioperi operai, e la lotta al regime viene caratterizzata da un forte protagonismo operaio.

Ciò che era partito il 2 novembre alla Breda di Milano, il 18 trova nella FIAT di Torino lo snodo fondamentale per estendere la lotta di classe al resto del Nord Italia.

La determinazione degli operai torinesi che, ormai da marzo, hanno inaugurato un ciclo di lotte nuovo, senza precedenti.

L’esplodere e la diffusione su tutta la classe operaia della lotta partigiana, non sarebbe stato possibile senza una presa di coscienza di forza e di prospettive degli operai. Sia nelle grandi che nelle piccole officine vengono messi in pratica i sabotaggi della produzione. E’ indicativo in questo senso una sorta di “libretto rosso del partigiano” che raccoglie le istruzioni per un sabotaggio, su larga scala e di massa, del sistema produttivo italiano. Questo manuale, curato da un gruppo  partigiano romano, veniva nascosto dentro le copertine del libretto degli orari ferroviari.

Dare il giusto peso di analisi alla stagione di lotte operaie nell’autunno-inverno 1943, vuol dire di riflesso considerare la Resistenza come espressione della lotta di classe.

 

 

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3236-18-novembre-1943-scioperi-e-resistenza

L’ultima battaglia di Bianca la rossa. È mancata Bianca Guidetti Serra

Stamane Torino ha perso una grande donna, figura centrale della giustizia e della politica per molti anni. A darne notizia il figlio Fabrizio Salmoni.

la Redazione

Bianca Guidetti Serra è stata l’avvocato dei deboli, delle minoranze, degli sfruttati, ha difeso operai, studenti, e minorenni che hanno subito abusi, ha lavorato per ottenere leggi moderne sull’adozione. È mancata stamane, 24 giugno alle 8,30, dopo lunga malattia a 95 anni nella sua casa di Torino che era stata anche il suo studio legale. Lo comunica il figlio Fabrizio Salmoni con la moglie Cecilia e la figlia Loretta Lisa.

 

Al di là delle sue brevi esperienze istituzionali (consigliere comunale indipendente con Democrazia Proletaria 1985-87; deputata indipendente per DP 1987-90*; poi ancora con il Pds 1990-99), Bianca è stata un grande avvocato anche quando si è trattato di confrontarsi con i poteri forti: fu parte civile con i sindacati contro la Fiat per le schedature illegali dei dipendenti (unica, storica condanna penale della Fiat); fu difensore del Direttore del giornale Lotta continua Pio Baldelli contro il commissario Calabresi e fu parte civile nel processo contro i Frati Celestini di Prato, imputati di maltrattamenti nei confronti dei bambini a loro affidati. La ricordiamo anche per altri processi storici (banda Cavallero, banda XXII Ottobre, Brigate Rosse, Ipca di Ciriè, Eternit di Casale Monferrato) ma la gente la ricorderà soprattutto per la miriade di processi in difesa di militanti politici degli anni Sessanta-Settanta.

Alberto Salmoni (primo), Bianca Guidetti Serra (seconda). e Primo Levi (ultimo )

All’avvocatura era approdata nel 1947, dopo la Resistenza che l’aveva vista staffetta partigiana in Val di Susa e in Val Chisone; impegnata ad aiutare, con Ada Gobetti amici e conoscenti ebrei, considerati di “nazionalità nemica” dalla Repubblica Sociale italiana; e ancora come organizzatrice dei Gruppi di Difesa della Donna a Torino.

Quando sui muri di Torino apparvero i primi manifesti antisemiti, Bianca – con la più giovane sorella Carla (che avrebbe poi sposato Paolo Spriano), con Alberto Salmoni (che sarebbe, in seguito, diventato suo marito) e altri giovani – si mise metodicamente a strapparli. Forse in questa determinazione (che la polizia, per fortuna dei ragazzi, considerò soltanto un atto di vandalismo), giocò l’amicizia con Primo Levi. (Anpi)

Iscritta al Pci dal 1943, ne uscì nel 1956 a seguito dei fatti d’Ungheria e si dedicò quindi completamente all’attività professionale, pur sempre nell’ambito della più ampia sinistra italiana, da indipendente: si occupa con determinazione del diritto di famiglia e della tutela dei più deboli, dei minori e dei carcerati; è presente nelle fabbriche torinesi per assistere gli operai per conto della Camera del lavoro; negli anni Settanta combatte la battaglia contro le schedature politiche degli operai alla Fiat.

Nel maggio del 2009 intervistata dal  quotidiano «La Stampa» in occasione dei suoi 90 anni, le fu chiesto quale significato ebbe il processo, che la vide protagonista come parte civile, sulle schedature scoperte dall’allora pretore Guariniello – processo che si concluse con l’assoluzione degli imputati:

Io credo che un significato l’abbia avuto: quello di non accettare un sistema iniquo senza protestare. Era una storia di abusi. Che giustificava la volontà di ribellarsi. Dopo di allora nessuno poté più pensare di trattare così gli operai. La Stampa»)

Bianca Guidetti Serra

Nel 1987 si dimise da consigliere per presentarsi, sempre come indipendente nelle fila di Dp, alle elezioni per la Camera dei Deputati. In Parlamento prese parte ai lavori delle Commissioni giustizia e antimafia. Nel 1990, insieme a Medicina Democratica e all’Associazione Esposti Amianto (AEA) partecipò alla presentazione, come prima firmataria, di una proposta di legge per la messa al bando dell’amianto, approvata poi nel 1992 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, Legge n. 257 del 27 marzo 1992).

Aveva smesso di esercitare nei primi anni Novanta per le prime difficoltà fisiche, poi nel 1997 il primo ictus ne aveva definitivamente interrotto l’attività.

Il suo impegno nel campo del diritto ci dice che, in coerenza con le sue scelte di sempre e con la sua indole combattiva, oggi la vedremmo certamente dare battaglia in Tribunale in difesa dei valsusini e di chiunque subisce gli abusi del Potere. Per questo, e in omaggio alla sua vita, siamo sicuri che saranno in molti a volerla andare a salutare per l’ultima volta. Si attendono nelle prossime ore informazioni più dettagliate sulle sue esequie.

La redazione di TG Vallesusa si stringe con affetto attorno all’amico e collega Fabrizio Salmoni in questo momento di dolore per la perdita della mamma Bianca.

* Diede le dimissioni da parlamentare dopo poco più di due anni per incompatibilità personale con quel tipo di lavoro

Bibliografia di Bianca Guidetti Serra:

Il paese dei celestini (con Francesco Santanera), Einaudi, Torino 1973

Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile (II vol.), Einaudi, Torino 1977

Le schedature Fiat, Rosenberg & Sellier, Torino 1984

Storie di giustizia, ingiustizia e galera, Linea d’Ombra 1994

Da segnalare la sua biografia autorizzata: Santina Mobiglia, Bianca la rossa, Einaudi, Torino 2009.

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La Papa Panda

 

Papa Panda1

Sarà sfuggito ai più, visto il limitato spazio che a quest’ennesima buffonata della Fiat è stato dato, ma rimane il fatto in se stesso, pubblicizzato dall’azienda torinese come una “spontanea” iniziativa di alcuni operai di Pomigliano che avrebbero assemblato una Panda personalizzandola per Papa Francesco e, tutti assieme, come nel balletto girato su youtube sulle note di “Happy”, sono corsi a Roma a regalargliela a dimostrazione della loro gioia incontenibile di lavorare, a stipendi ridotti ed a diritti negati, per il Lingotto.

 

Per questi schiavi danzanti e gaudenti, tra cui infiltrati dirigenti della fabbrica di Pomigliano, in permesso aziendale per il “sacro” trasporto, non sembra avere alcun peso, né morale né coscienziale, la morte dei tre loro colleghi di appena qualche mese prima, non hanno alcuna importanza le disperazioni di quelli ancora rimasti in cassa integrazione e/o relegati a Nola, per la “colpa” di essere sindacalizzati o menomati dal loro lavoro, non destano alcun rigetto né ribellione le discriminazioni tra operai, i turni massacranti, le pause ridotte, la vera e propria riduzione a serventi del loro padrone, comandati a fare da marionette per uno “spettacolo” che ha visto il nostro paese perdere, grazie alla Fiat, decine di migliaia di posti di lavoro in cambio di centinaia di milioni di euro di finanziamenti regalati dai governi di centro sinistra e centro destra italici, tutti pagati dalla collettività.

 

Sono forse l’esempio, il peggior esempio, di quello che è diventato il popolo italiano, pronto ad applaudire, anche per un tozzo di pane, il suo padrone d’azienda, il potente del suo rione, il capetto del suo reparto, il sindaco del suo paese, il partito vincente…sempre con la mano tesa, a chiedere elemosine e non diritti, carezze e non rispetto.

 

Cosa ha fatto il Papa…quel Papa Francesco tuonante contro i corrotti, contro chi sfrutta il lavoro, contro chi schiavizza?…si è fatto la foto con loro, con gli schiavetti gaudenti…non una parola di condanna per le persone ancora in cassa integrazione, per i turni di lavoro indecenti, per stipendi non certo commisurati al lavoro ed alla fatica, per chi ha deciso di togliersi la vita perché non ne poteva più di quel silenzio che avvolge questa ingiustizia, questa offesa alla vita, alla nostra Costituzione ed ai valori che propugna la Chiesa.

 

Lo spot è passato, ed era quello che voleva Marchionne e la Fiat, gli schiavetti sono tornati alle loro catene di montaggio, felici nel farsi sfruttare, pessimi esempi per i loro figli e per un paese che è nato grazie a chi si è sacrificato per fare affermare quei diritti ora negati…e sui quali alcuni ci ballano pure !

 

Rimane la voce di quelle donne operaie, di quelle mogli, di quelle madri o figlie che traducono la parola vita con la parola rispetto, amore, dignità, che da donne non si fermano a difendere il proprio “poco” senza pensare al dopo, agli altri, ai loro ed altrui figli, a quel futuro di cui gli “schiavi danzanti” sono la negazione, il rigetto, il vero e proprio vomito del senso della vita. Il Comitato mogli operai di Pomigliano d’Arco, impegnato da anni nella battaglia in difesa dell’occupazione, ha  inviato un fax al Papa, presso l’ufficio del Protocollo della segreteria di Stato Vaticana, con questi toni:

 

Quelle tra noi credenti mercoledì scorso confidavano in una severa critica del Papa a Marchionne, all’uso delle discriminazioni e contro la svolta autoritaria in fabbrica realizzata tramite la divisione in tre ’fasce’ dei lavoratori di Pomigliano ed il collegato reparto confino di Nola dove sono stati  deportati in questi anni, ‘a far niente’, gli operai ‘scomodi’ proprio come ai tempi di Valletta. La sequenza dei suicidi operai, proprio a partire dal reparto WCL di Nola (due negli ultimi mesi ed un altro il 1° maggio 2010) è agghiacciante! Per questo, dopo aver assistito all’enfasi mediatico-pubblicitaria dei giorni scorsi e confezionata ad arte dalla Fiat col regalo della Panda al Papa, non ce la sentiamo di stare in silenzio!” 

 

Un urlo che chi, ogni giorno dal suo balcone, ci invita a non trattenere, non può e non deve ignorare…

 

Fonte:

 
http://www.ilpasquino.net/la-papa-panda/

Comunicato stampa Slai cobas sul suicidio dell’operaia Maria Baratto

Maria

Fiat Pomigliano / suicidi operai:  stavolta è toccato a Maria Baratto, 47 anni, operaia Fiat in cigs da anni del WCL fantasma di Nola, si è ammazzata con quattro coltellate al ventre lo scorso martedì 20 maggio nella sua casa di Acerra e solo ieri ne è stato rinvenuto il corpo dopo che i vicini hanno allertato i Carabinieri che con l’ intervento dei vigili del fuoco sono entrati nell’appartamento.

 

Maria faceva parte del Comitato Mogli degli Operai di Pomigliano d’Arco, e già il 2 agosto 2012 aveva postato sul sito delle “donne operaie” un suo articolo scritto l’anno precedente e già riferito  al suicidio di un operaio della Fiat Pomigliano ed al tentato suicidio di un altro operaio sempre della Fiat di Pomigliano. 

 

Il suo scritto che di seguito riportiamo è un lucido testamento politico e sindacale:  “la nitida rappresentazione dell’attuale condizione e solitudine operaia fotografata dall’interno”, una “forte accusa” alla Fiat ed alle complicità istituzionali, politiche e sindacali che stanno contribuendo al fenomeno dei suicidi operai, da Pomigliano a Nola all’intero lavoro dipendente e fino ai piccoli commercianti. Appena lo scorso febbraio si è suicidato un altro operaio del reparto logistico fantasma di Nola: Giuseppe De Crescenzo impiccatosi nella sua casa di Afragola. 

 

SUICIDI IN FIAT di Maria Baratto post 2 agosto 2012 su www.comitatomoglioperai.it/?p=63    

 

NON SI  PUO’ CONTINUARE A VIVERE PER ANNI SUL CIGLIO DEL BURRONE DEI LICENZIAMENTI, L’INTERO QUADRO POLITICO-ISTITUZIONALE CHE, DA SINISTRA A DESTRA, HA COPERTO LE INSANE POLITICHE DELLA FIAT E’ RESPONSABILE DI QUESTI MORTI INSIEME ALLE CENTRALI CONFEDERALI”. 

 

Dopo aver lucrato negli anni scorsi finanziamenti pubblici multimiliardari lo speculatore Marchionne chiude e ridimensiona le fabbriche italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori che sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine ed a un futuro di disoccupazione.

 

A Pomigliano l’unica certezza dei cinquemila lavoratori consiste nella lettera di altri due anni di cassa integrazione speciale per cessazione di attività di Fiat Group Automobiles nella consapevolezza che buona parte di loro non saranno assunti da Fabbrica Italia.

 

Il tentato suicidio di oggi di Carmine P., cui auguriamo di tutto cuore di farcela, il suicidio di Agostino Bova dei giorni scorsi, che dopo aver avuto la lettera di licenziamento dalla Fiat per futili motivi è impazzito dalla disperazione ammazzando la moglie e tentando di ammazzare la figlia prima di togliersi la vita, sono solo la punta dell’iceberg della barbarie industriale e sociale in cui la Fiat sta precipitando i lavoratori.

 

Anche per questo la lotta dei lavoratori Fiat contro il piano Marchionne ed a tutela dei diritti e dell’occupazione rappresenta un forte presidio di tenuta democratica per l’intera società”. Maria Baratto

 

 

 

Mercoledì prossimo, in occasione del presidio alla Regione Campania commemoreremo Maria, Giuseppe e gli altri lavoratori vittime degli “omicidi bianchi da speculazione e sfruttamento della Fiat” perché, come ha scritto Maria: la lotta dei lavoratori Fiat contro il piano Marchionne ed a tutela dei diritti e dell’occupazione rappresenta un forte presidio di tenuta democratica per l’intera società!

 

 

 

Slai cobas Fiat Alfa Romeo e terziarizzate – Pomigliano d’Arco, 25 maggio 2014

Fonte:

http://www.ilpasquino.net/comunicato-stampa-slai-cobas-sul-suicidio-delloperaia-maria-baratto/

8 luglio 1962: la rivolta di Piazza Statuto

 

 

L’otto luglio 1962, a Torino in Piazza Statuto si verificano violenti scontri tra gli operai metalmeccanici in sciopero e le forze 8luglio1962dell’ordine. Gli scontri proseguivano dal giorno precedente e continueranno fino al 9. Lo sciopero era stato indetto per il 7 da Fiom e Fim in solidarietà alle lotte portate avanti alla Fiat dall’inizio di giugno.
Lo sciopero ebbe un successo assoluto: nella maggior parte delle fabbriche i picchetti bloccarono completamente la produzione, alcuni dirigenti vennero malmenati e fu impossibile per la polizia mantenere la situazione sotto controllo davanti ai cancelli.
A Mirafiori ed in altri stabilimenti si ebbero scontri sin dal primo mattino e proprio nella mattinata si diffuse la notizia che fece scoppiare la rivolta di piazza Statuto: la Uil e la Sida erano giunte ad un accordo separato con la dirigenza della Fiat. La risposta operaia fu rapida e determinata: in breve tempo circa 7’000 operai si radunarono in piazza Statuto per dare assalto alla sede della Uil.
Gli scontri iniziarono particolarmente intensi. Da un lato gli operai disselciano la piazza e spaccano le enormi e pesantissime lose dei marciapiedi, impugnano cartelli stradali e catene, dall’altro la polizia carica inondando di gas lacrimogeni la piazza e lanciando a folle velocità le jeep.
Importante è ricordare il ruolo che ebbero il Pci e la Cgil nello svolgersi degli avvenimenti. Di fronte ad uno scontro radicale, che non seppero né valutare lucidamente né controllare, i dirigenti intervennero per cercare inutilmente di convincere gli operai a fermare gli scontri e liquidarono l’accaduto definendo i manifestanti “elementi incontrollati ed esasperati”, “piccoli gruppi di irresponsabili”, “giovani scalmanati”.
Alla fine dei disordini gli arrestati e i denunciati furono un migliaio.
La composizione di quella piazza, animata principalmente da operai giovani ed immigrati meridionali ci fa capire come le tre giornate di piazza Statuto segneranno un momento di svolta nella storia del movimento operaio. A due anni dai fatti di Genova, ritroviamo in piazza lavoratori che molto hanno in comune con i “ragazzi con le magliette a strisce”. Piazza Statuto fu senza dubbio il luogo nel quale si ebbe una delle prime e più significative esplosioni conflittuali di cui fu protagonista l’operaio massa.
Da quei tre intensissimi giorni gli operai non poterono che uscire avendo chiaro che, come scrisse Quaderni Rossi “decidere tocca a voi, voi dovete prendere in mano il vostro destino. Questo sciopero è una grande occasione per far fare un passo avanti alla organizzazione della classe. Da questa lotta potrete uscire avendo fatto di ogni squadra, di ogni reparto, di ciascuno degli stabilimenti Fiat la realtà di una organizzazione, di una disciplina operaia capace in ogni momento di contrapporsi allo sfruttamento, agli arbitrii, al dispotismo del padrone e dei suoi lacchè“.

 

 

 

 

 

Fonte:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Su Piazza Statuto e il luglio del ’62 si possono leggere anche delle interessanti pagine in un libro di Salvatore Ricciardi: Maelstrom. Scene di rivolta e autorganizzazione di classe in Italia (1960-1980), DeriveApprodi, Roma 2011, pp. 87-92.