Comunicato stampa riguardante l’aggressione subita il 24 ottobre alla manifestazione contro la NATO a Napoli.

Dal profilo Facebook di Fiore Sarti, attivista per i diritti dei popoli palestinese e siriano:

 

“Comunicato stampa riguardante l’aggressione subita il 24 ottobre alla manifestazione contro la NATO a Napoli.

Gli esponenti napoletani del Comitato permanente per la Rivoluzione Siriana, del Comitato Karama Napoli in appoggio ai popoli arabi e del gruppo Unior pro Rivoluzione Siriana, sono stati violentemente allontanati dalla manifestazione nazionale detta “No-Trident”.

Esponenti locali di varie sigle (Rete NoWar, Pace e Disarmo, Assadakah, Rete dei Comunisti e Alba Informazione) hanno aggredito fisicamente e verbalmente (rompendo l’asta della bandiera della Siria Libera e minacciando violenza fisica) gli attivisti venuti a denunciare sia le esercitazioni NATO che il genocidio in atto in Siria per mano del regime totalitario di Bashar al-Asad e dell’ISIS.

Il tutto è stato documentato dal un filmato pubblicato sul sito del quotidiano napoletano Il Mattino:
(http://video.ilmattino.it/index.jsp…).

E’ più evidente che mai che alcune sigle sedicenti pacifiste assicurino ormai da anni copertura e agibilità politica al regime siriano in Italia, veicolando peraltro informazioni non veritiere sulle dinamiche tuttora in atto in Siria.
Si denuncia per altro la totale inagibilità politica all’interno della manifestazione del 24 ottobre per coloro che sono oppositori sia della NATO che del regime siriano.

foto di Fiore Haneen Sarti.

Fiore Haneen Sarti con Mariano Manuel Bartiromo e altre 35 persone

Stiamo stendendo un comunicato su quanto accaduto oggi al concentramento della manifestazione contro la NATO.
ABBIAMO ROTTO LA CORTINA DI OMERTA’ INTORNO ALLE SIGLE PRO ASSAD A NAPOLI: USCITO PRIMO ARTICOLO SU TESTATA LOCALE.

CHE DICESSERO CHIARAMENTE CHE DIETRO LE LORO SIGLE PRESUNTAMENTE “PACIFISTE” SI NASCONDE LA LORO ANIMA FASCISTA A SOSTEGNO DI UN REGIME ALTRETTANTO FASCISTA: LE INTIMIDAZIONI RICEVUTE, LA VIOLENZA E L’ARROGANZA RIFLETTEVANO GLI STESSI METODI CHE ASSAD HA APPLICATO IN SIRIA DA QUEL 15 MARZO 2011.
HANNO PERFINO IMPEDITO AD ALCUNI OPERATORI PRESENTI DI FILMARE L’AGGRESSIONE, COME ISRAELE FA CON I GIORNALISTI!

RETE NOWAR, PACE E DISARMO, RETE DEI COMUNISTI, ASSADAKAH, ALBAINFORMAZIONE E TIFOSI DA STADIO A SEGUITO: si sono dichiarati per quello che sono, fascisti! E davano del “fascista” a noi per continuare a nascondere la loro vera natura.

ABBIAMO CONTINUATO A DARE I NOSTRI VOLANTINI DAVANTI AI LORO OCCHI, E CON LE NOSTRE BANDIERE IN VISTA.
NON CI FERMERANNO.

In attesa del comunicato da diffondere, vi abbracciamo, e abbracciamo la Siria della Rivoluzione, orgogliosi di portare le nostre bandiere, quella Palestinese e quella della Rivoluzione Siriana.
Nella foto, il tristemente noto San Toianni, un esponente di “Alba Informazione” (titolo che ricorda i fascisti…) e Francesco Guadagni. La loro “clack” di improvvisate/i “attiviste/i” che nemmeno sanno a chi si sono consegnate/i, facevano tifo da stadio alle loro spalle…Ce n’è anche per loro.

VIDEO:http://video.ilmattino.it/index.jsp…

 

 

 

 

Fonte:

https://www.facebook.com/fiore.sarti/posts/777550425686685

Monsignor Romero proclamato beato a San Salvador

23 maggio, 20:23

La sua festa sarà il 24 marzo, giorno della morte

Monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso nel marzo del 1980 mentre celebrava la messa, è stato proclamato beato nella cerimonia presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, nella Piazza Salvatore del Mondo di San Salvador.

La sua festa sarà il 24 marzo, giorno della morte.

La lettera apostolica di papa Francesco, letto in latino e spagnolo durante la cerimonia, precisa che la figura del beato Romero sarà ricordata ogni 24 marzo, “la data in cui è nato al Cielo”, ossia nella quale è stato ucciso da un cecchino per aver denunciato le violazioni dei diritti umani da parte della dittatura militare che governava allora il paese centroamericano.

RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Fonte:

http://www.ansa.it/sito/photogallery/primopiano/2015/05/23/romero-messa-di-beatificazione-a-san-salvador-_1353a441-d1d6-4f44-93b1-0b172f2ca5a5.html

9 maggio: Festa per Ciro Principessa

9 maggio: Festa per Ciro Principessa

Claudio Varalli, Giannino Zibecchi e gli altri

 Giovedì 16 Aprile 2015 07:09

Il 16 aprile 1975 il fascista Antonio Baraggion sparò e uccise lo studente Claudio Varalli, di 17 anni, che tornava con altri studenti 16 aprileverso l’università Statale di Milano dopo una manifestazione per il diritto alla casa. Scoppiò immediatamente la rivolta in città ed iniziarono i primi scontri con la polizia.

Il giorno successivo un grosso corteo attraversò Milano distruggendo diversi bar riconosciuti come abituali ritrovi dei fascisti, due sedi dell’ MSI e gli uffici della compagnia aerea di stato spagnola Iberia, per poi dirigersi verso la federazione dell’ MSI di via Mancini difesa da un ingente presidio di poliziotti e carabinieri. Gli scontri che seguirono furono durissimi, undici mezzi blindati dei carabinieri vennero bruciati, mentre la polizia sparò anche diversi colpi d’arma da fuoco. Alle 12 e 40 un camion dei carabinieri si lanciò contro un gruppo di manifestanti con l’intento di investirli, travolgendo e uccidendo Giannino Zibecchi. I compagni allora decisero di dirigersi verso la caserma dei carabinieri di via Fiamma, da cui i carabinieri spararono respingendoli, ma dove vennero comunque bruciati diversi mezzi blindati. Contemporaneamente dalla Statale partì un altro massiccio corteo.

 

Il 18 aprile un’altra manifestazione uscì dall’università sfilando per il centro, dal corteo iniziarono gli assalti per distruggere gli uffici di noti avvocati missini, come quello del senatore Gastone Nencioni, e la sede del giornale di destra “il Borghese”.
Intanto le manifestazioni si estesero alle altre città italiane, e a Roma, durante gli scontri con la polizia per l’assalto alla sede del MSI, venne ferito gravemente il militante autonomo Sirio Paccini, che rimarrà paralizzato. A Firenze la polizia ammazzò Rodolfo Boschi e ferì Francesco Panichi durante un corteo antifascista.
Cortei e scontri durarono fino ai funerali di Varalli e Zibecchi a cui parteciparono decine di migliaia di persone.

 

 

Le masse, le nuove generazioni hanno dimostrato di saper vedere dov’è il fascismo: non certo solo laddove vogliono mostrarcelo, ma soprattutto altrove, nella polizia in tutte le strutture dei corpi separati dello Stato, nel riformismo, nel terrorismo della socialdemocrazia e delle multinazionali. E’ questo che nelle giornate di aprile è stato attaccato, è l’ordine istituzionale che è stato denunciato, è l’orizzonte politico della socialdemocrazia e del riformismo che è stato incrinato.”
(da Le giornate d’aprile, Rosso contro la repressione, n.15 marzo-aprile 1975)
Fonte:

L’assassinio di monsignor Oscar Romero, la “voce dei senza voce”

19 marzo 2015

Il 24 marzo del 1980 il vescovo Oscar Arnulfo Romero sta celebrando messa in una chiesa di San Salvador.
Alle 18.26 – mentre eleva il calice per la Consacrazione – un’auto si ferma davanti all’ingresso spalancato, scende un uomo, prende la mira, e da dove si trova, spara. Un solo colpo alla testa, la morte è immediata.

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Erano gli anni della Guerra Fredda. Il Comunismo era il nemico. Gli Stati Uniti non volevano comunisti nel loro “cortile”, che questo era per loro l’America Latina a quel tempo. Il sostegno alle dittature militari, i complotti e i colpi di stato non miravano soltanto a contenere il pericolo della diffusione dell’ideologia marxista, si estendevano a tutti coloro che agivano per il riscatto dei poveri, degli emarginati e sfruttati. Oscar Romero era uno di loro. Gli Squadroni della Morte decisero di farlo tacere.

Dal 1977, con la pubblicazione del libro di Gustavo Gutierrez, era entrata nell’uso comune l’espressione Teologia della Liberazione. Essa definiva una corrente cattolica dell’America del Sud schierata dalla parte dei più poveri – alcuni sacerdoti arrivarono a negare il sacramento della Comunione ai ricchi – con analisi della società talvolta prossime ai temi marxisti. Un sacerdote del Nicaragua, che dopo la rivoluzione entrò a far parte del governo sandinista, disse che prima di diventare cristiani bisognava essere marxisti-leninisti.

Romero non era sostenitore di queste posizioni, condannò la guerriglia di sinistra nel Salvador, non giustificò in nessun caso la violenza, vide nel materialismo marxista una negazione della spiritualità cattolica. Tuttavia stava dalla parte degli ultimi e con maggior evidenza  dopo l’assassinio del sacerdote suo amico Rutilio Grande.

«Quando guardai Rutilio che giaceva morto davanti a me pensai: “Se lo hanno ucciso per ciò che faceva, allora io devo seguire il suo stesso sentiero”».

Romero aveva scritto al presidente Jimmy Carter  e gli aveva chiesto di interrompere gli aiuti al governo dei militari. La notorietà e l’influenza crescevano di pari passo con le ostilità procuratagli dalle sue omelie. Dal pulpito leggeva ai fedeli  gli elenchi delle sparizioni, degli assassini e delle torture degli oppositori politici al regime. Essere  “voce dei senza voce”, degli operai e dei campesinos, come delle vittime degli Squadroni della Morte, era la missione che aveva scelto.

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Alvaro Savaria, condannato per l’omicidio di Romero, è stato amnistiato nel 1993, insieme ad altri colpevoli di crimini politici in violazione dei diritti umani. Da anni viveva negli Stati Uniti.

Fonte:

https://mcc43.wordpress.com/2015/03/19/assassinio-monsignor-oscar-romero-voce-dei-senza-voce/

 

Fosse Ardeatine: in percorso nella memoria per non dimenticare mai!

Comunicato stampa – editor: M.C.G.
Fosse Ardeatine: in percorso nella memoria per non dimenticare mai!

“Per il 71mo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, Il Municipio Roma VIII, in collaborazione con il Centro Giovanile Tetris, organizza il Percorso della Memoria, per non dimenticare mai la ferita inferta dalla barbarie nazifascista alla città e al nostro territorio. Il corteo che ha come protagonisti assoluti gli studenti e gli insegnanti delle nostre scuole, insieme a familiari delle vittime, alle associazioni dei combattenti e di categoria, si snoda per le vie dei nostri quartieri da Garbatella e Tormarancia per finire al mausoleo. L’idea di ricordare con il percorso la più efferata strage nazifascista, dove nel 1944, esattamente il 24 marzo, alle Fosse Ardeatine vennero trucidate 335 persone, nacque nel 2007 quando l’Ente municipale decide di rinverdire una tradizione che si era interrotta nel lontano 1947. L’appuntamento è Lunedì 23 Marzo 2015 alle 9.00 da piazza E. Biffi per arrivare alle 12.00 al Mausoleo delle Fosse Ardeatine.” – dichiarano Andrea Catarci, Presidente Municipio Roma VIII e Claudio Marotta, Assessore alla Memoria del Municipio Roma VIII.

“Le tappe del percorso ripercorrono i luoghi in cui vissero alcune delle persone trucidate il 24 Marzo 1944. La prima sarà effettuata davanti all’albergo Bianco, in via G.M. Percoto, dove c’è la targa in memoria di Enrico Mancini, militante di Giustizia e Libertà tra le vittime dell’eccidio. A seguire si andrà a Piazza S. Eurosia e di lì al Mausoleo, con il simbolico lancio dei 335 palloncini con i nomi dei martiri per restituire loro l’identità negata.” – concludono Catarci e Marotta.

All’iniziativa parteciperanno rappresentanti dell’Istituzioni Locali, dei Municipi, di Roma Capitale e della Regione Lazio, il Sindaco di Cerveteri, Associazioni di categoria, Scuole, Studenti, Insegnanti e tante cittadine e tanti cittadini del Municipio Roma VIII.

 

 

 

Fonte:

http://www.romanotizie.it/fosse-ardeatine-in-percorso-nella-memoria-per-non-dimenticare-mai.html

In memoria di Rachel e Dax

Dal blog di Vittorio Arrigoni:

In Memoriam
~ Rachel Corrie ~

1979 – 2003

Rachel Corrie, 23 anni, attivista statunitense, è stata assassinata il 16 marzo 2003, schiacciata da una ruspa israeliana. Rachel tentava di evitare che la ruspa demolisse l’abitazione di un medico palestinese nella Striscia di Gaza.
Nelle sue ultime lettere racconta ai familiari la Palestina che ha conosciuto partecipando alle azioni dell’International Solidarity Movement.

7 febbraio 2003

Ciao amici e famiglia e tutti gli altri,

sono in Palestina da due settimane e un’ora e non ho ancora parole per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da vicino. Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura, che anche il più piccolo di questi bambini capisca che la vita non è così in ogni angolo del mondo. Un bambino di otto anni è stato colpito e ucciso da un carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi qui e molti bambini mi sussurrano il suo nome – Alì – o indicano i manifesti che lo ritraggono sui muri.

Rachel si oppone alla ruspaI bambini amano anche farmi esercitare le poche conoscenze che ho di arabo chiedendomi “Kaif Sharon?” “Kaif Bush?” e ridono quando dico, “Bush Majnoon”, “Sharon Majnoon” nel poco arabo che conosco. (Come sta Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo. Sharon è pazzo.). Certo, questo non è esattamente quello che credo e alcuni degli adulti che sanno l’inglese mi correggono: “Bush mish Majnoon” … Bush è un uomo d’affari. Oggi ho tentato di imparare a dire “Bush è uno strumento” (Bush is a tool), ma non penso che si traduca facilmente. In ogni caso qui si trovano dei ragazzi di otto anni molto più consapevoli del funzionamento della struttura globale del potere di quanto lo fossi io solo pochi anni fa.

Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è sempre più consapevoli che l’esperienza stessa non corrisponde affatto alla realtà: pensate alle difficoltà che dovrebbe affrontare l’esercito israeliano se sparasse a un cittadino statunitense disarmato, o al fatto che io ho il denaro per acquistare l’acqua mentre l’esercito distrugge i pozzi e naturalmente al fatto che io posso scegliere di andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere l’oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho finito.

Dopo tutto questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di circa 140.000 persone, il 60% di questi sono profughi, molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano delle case, alcuni soldati egiziani mi hanno rivolto la parola dall’altro lato del confine. “Vai! Vai!” mi hanno gridato, perché si avvicinava un carro armato. E poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto “come ti chiami?”. C’è qualcosa di preoccupante in questa curiosità amichevole. Mi ha fatto venire in mente in che misura noi, in qualche modo, siamo tutti bambini curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano a donne straniere che si avventurano sul percorso dei carri armati. Bambini palestinesi colpiti dai carri armati quando si sporgono dai muri per vedere cosa sta accadendo. Bambini di tutte le nazioni che stanno in piedi davanti ai carri armati con degli striscioni. Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui carri armati, di tanto in tanto urlano e a volte salutano con la mano, molti di loro costretti a stare qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle case mentre noi ci allontaniamo.

Ho avuto difficoltà a trovare informazioni sul resto del mondo qui, ma sento dire che un’escalation nella guerra contro l’Iraq è inevitabile. Qui sono molto preoccupati della “rioccupazione di Gaza”. Gaza viene rioccupata ogni giorno in vari modi ma credo che la paura sia quella che i carri armati entrino in tutte le strade e rimangano qui invece di entrare in alcune delle strade e ritirarsi dopo alcune ore o dopo qualche giorno a osservare e sparare dai confini delle comunità. Se la gente non sta già pensando alle conseguenze di questa guerra per i popoli dell’intera regione, spero che almeno lo iniziate a fare voi.

Un saluto a tutti. Un saluto alla mia mamma. Un saluto a smooch. Un saluto a fg e a barnhair e a sesamees e alla Lincoln School. Un saluto a Olympia.
Rachel

 

20 febbraio 2003

Mamma,

adesso l’esercito israeliano è arrivato al punto di distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed entrambi i checkpoint principali sono chiusi. Significa che se un palestinese vuole andare ad iscriversi all’università per il prossimo quadrimestre non può farlo. La gente non può andare al lavoro, mentre chi è rimasto intrappolato dall’altra parte non può tornare a casa; e gli internazionali, che domani dovrebbero essere ad una riunione delle loro organizzazioni in Cisgiordania, non potranno arrivarci in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare se facessimo davvero pesare il nostro privilegio di internazionali dalla pelle bianca, ma correremmo comunque un certo rischio di essere arrestati e deportati, anche se nessuno di noi ha fatto niente di illegale.

Rachel in un momento di relaxLa striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C’è chi parla della “rioccupazione di Gaza”, ma dubito seriamente che stia per succedere questo, perché credo che in questo momento sarebbe una mossa geopoliticamente stupida da parte di Israele. Credo che dobbiamo aspettarci piuttosto un aumento delle piccole incursioni al di sotto del livello di attenzione dell’opinione pubblica internazionale, e forse il paventato “trasferimento di popolazione”. Per il momento non mi muovo da Rafah, non penso di partire per il nord. Mi sento ancora relativamente al sicuro e nell’eventualità di un’incursione più massiccia credo che, per quanto mi riguarda, il rischio più probabile sia l’arresto. Un’azione militare per rioccupare Gaza scatenerebbe una reazione molto più forte di quanto non facciano le strategie di Sharon basate sugli omicidi che interrompono i negoziati di pace e sull’arraffamento delle terre, strategie che al momento stanno servendo benissimo allo scopo di fondare colonie dappertutto, eliminando lentamente ma inesorabilmente ogni vera possibilità di autodeterminazione palestinese.

Sappi che un mucchio di palestinesi molto simpatici si sta prendendo cura di me. Mi sono presa una lieve influenza e per curarmi mi hanno dato dei beveroni al limone buonissimi. E poi la signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora dormiamo mi chiede continuamente di te. Non sa una parola d’inglese ma riesce a chiedermi molto spesso della mia mamma – vuole essere sicura che ti chiami.

Un abbraccio a te, a papà, a Sara, a Chris e a tutti.
Rachel

 

27 febbraio 2003
(alla madre)

Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi terribili, sogno i carri armati e i bulldozer fuori dalla nostra casa, con me e voi dentro. A volte, l’adrenalina funge da anestetico per settimane di seguito, poi improvvisamente la sera o la notte la cosa mi colpisce di nuovo: un po’ della realtà della situazione.

Ho proprio paura per la gente qui. Ieri ho visto un padre che portava fuori i suoi bambini piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri armati e di una torre di cecchini e di bulldozer e di jeep, perché pensava che stessero per fargli saltare in aria la casa. In realtà, l’esercito israeliano in quel momento faceva detonare un esplosivo nel terreno vicino, un esplosivo piantato, a quanto pare, dalla resistenza palestinese. Questo è nella stessa zona in cui circa 150 uomini furono rastrellati la scorsa domenica e confinati fuori dall’insediamento mentre si sparava sopra le loro teste e attorno a loro, e mentre i carri armati e i bulldozer distruggevano 25 serre, che davano da vivere a 300 persone. L’esplosivo era proprio davanti alle serre, proprio nel punto in cui i carri armati sarebbero entrati, se fossero ritornati. Mi spaventava pensare che per quest’uomo, era meno rischioso camminare in piena vista dei carri armati che restare in casa. Avevo proprio paura che li avrebbero fucilati tutti, e ho cercato di mettermi in mezzo, tra loro e il carro armato. Questo succede tutti i giorni, ma proprio questo papà con i suoi due bambini così tristi, proprio lui ha colto la mia attenzione in quel particolare momento, forse perché pensavo che si fosse allontanato a causa dei nostri problemi di traduzione.

Rachel all'universitàHo pensato tanto a quello mi avete detto per telefono, di come la violenza dei palestinesi non migliora la situazione. Due anni fa, sessantamila operai di Rafah lavoravano in Israele. Oggi, appena 600 possono entrare in Israele per motivi di lavoro. Di questi 600, molti hanno cambiato casa, perché i tre checkpoint che ci sono tra qui e Ashkelon (la città israeliana più vicina) hanno trasformato quello che una volta era un viaggio di 40 minuti in macchina in un viaggio di almeno 12 ore, quando non impossibile. Inoltre, quelle che nel 1999 erano le potenziali fonti di crescita economica per Rafah sono oggi completamente distrutte: l’aeroporto internazionale di Gaza (le piste demolite, tutto chiuso); il confine per il commercio con l’Egitto (oggi con una gigantesca torre per cecchini israeliani al centro del punto di attraversamento); l’accesso al mare (tagliato completamento durante gli ultimi due anni da un checkpoint e dalla colonia di Gush Katif). Dall’inizio di questa intifada, sono state distrutte circa 600 case a Rafah, in gran parte di persone che non avevano alcun rapporto con la resistenza, ma vivevano lungo il confine.

Credo che Rafah oggi sia ufficialmente il posto più povero del mondo. Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso l’Europa venivano, a volte, ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori tagliati due settimane prima sul mercato europeo, quindi il mercato si è chiuso. E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non ci riesco. Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero completamente soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149 altri per ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po’ violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quanto amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna la farebbe. E penso che lo farei anch’io.

Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando l’esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe. So che visto dagli Stati Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere completamente a quello che vi dicevo. Penso che sia meglio così, perché credo soprattutto all’importanza del pensiero critico e indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche le vostre ricerche.

Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose, costituisce un’eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di sopravvivenza di un particolare gruppo di persone. Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla loro terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile – Gaza – da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio. Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni. Comunque, mi sto perdendo in chiacchiere. Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede fondamentale nella bontà della natura umana.

Bisogna che finisca. Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che lavorano con me. Ma voglio anche che questo finisca. Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo, “questo è il vasto mondo e sto arrivando!” Non intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio.

Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro impazzita, o se l’esercito israeliano dovesse porre fine alla loro tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che io anch’io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo è in larga misura responsabile.
Voglio bene a te e a papà. Scusatemi il lungo papiro. OK, uno sconosciuto vicino a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarli.
Rachel

28 febbraio 2003
(alla madre)

Grazie, mamma, per la tua risposta alla mia e-mail. Mi aiuta davvero ricevere le tue parole, e quelle di altri che mi vogliono bene.

Dopo averti scritto ho perso i contatti con il mio gruppo per circa dieci ore: le ho passate in compagnia di una famiglia che vive in prima linea a Hi Salam. Mi hanno offerto la cena, e hanno pure la televisione via cavo. Nella loro casa le due stanze che danno sulla facciata sono inutilizzabili perché i muri sono crivellati da colpi di arma da fuoco, perciò tutta la famiglia – padre, madre e tre bambini-dorme nella stanza dei genitori. Io ho dormito sul pavimento, accanto a Iman, la bimba più piccola, e tutti eravamo sotto le stesse coperte. Ho aiutato un po’ il figlio maschio con i compiti d’inglese e abbiamo guardato tutti insieme Pet Semetery, che è un film davvero terrificante. Penso che per loro sia stato un gran divertimento vedere come quasi non riuscivo a guardarlo. Da queste parti il giorno festivo è venerdì, e quando mi sono svegliata stavano guardando i Gummy Bears doppiati in arabo. Così ho fatto colazione con loro, e sono rimasta un po’ lì seduta così, a godermi la sensazione di stare in mezzo a quel groviglio di coperte, insieme alla famiglia che guardava quello che a me faceva l’effetto dei cartoni della domenica mattina.

Poi ho fatto un pezzo di strada a piedi fino a B’razil, che è dove vivono Nidal, Mansur, la Nonna, Rafat e tutto il resto della grande famiglia che mi ha letteralmente adottata a cuore aperto. (A proposito, l’altro giorno, la Nonna mi ha fatto una predica mimata in arabo: era tutto un gran soffiare e additare lo scialle nero. Sono riuscita a farle dire da Nidal che mia madre sarebbe stata contentissima di sapere che qui c’è qualcuno che mi fa le prediche sul fumo che annerisce i polmoni). Ho conosciuto una loro cognata, che è venuta a trovarli dal campo profughi di Nusserat, e ho giocato con il suo bebè.

L’inglese di Nidal migliora di giorno in giorno. È lui a chiamarmi “sorella”. Ha anche cominciato ad insegnare alla Nonna a dire “Hello. How are you?” in inglese. Si sente costantemente il rumore dei carri armati e dei bulldozer che passano, eppure tutte queste persone riescono a mantenere un sincero buon umore, sia tra loro che nei rapporti con me. Quando sono in compagnia di amici palestinesi mi sento un po’ meno orripilata di quando cerco di impersonare il ruolo di osservatrice sui diritti umani o di raccoglitrice di testimonianze, o di quando partecipo ad azioni di resistenza diretta. Danno un ottimo esempio del modo giusto di vivere in mezzo a tutto questo nel lungo periodo. So che la situazione in realtà li colpisce – e potrebbe alla fine schiacciarli – in un’infinità di modi, e tuttavia mi lascia stupefatta la forza che dimostrano riuscendo a difendere in così grande misura la loro umanità – le risate, la generosità, il tempo per la famiglia – contro l’incredibile orrore che irrompe nelle loro vite e contro la presenza costante della morte. Dopo stamattina mi sono sentita molto meglio.

In passato ho scritto tanto sulla delusione di scoprire, in qualche misura direttamente, di quanta malignità siamo ancora capaci. Ma è giusto aggiungere, almeno di sfuggita, che sto anche scoprendo una forza straordinaria e una straordinaria capacità elementare dell’essere umano di mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili – anche di questo non avevo mai fatto esperienza in modo così forte. Credo che la parola giusta sia dignità. Come vorrei che tu potessi incontrare questa gente. Chissà, forse un giorno succederà, speriamo.
Rachel

Traduzioni di Miguel Martinez, Lucia De Rocco, Silvia Lanfranchini, Nora Tigges Mazzone, Andrea Spila
(Traduttori per la Pace)

 

Fonte:

http://guerrillaradio.iobloggo.com/archive.php?y=2011&m=03

 

Evento di oggi a Roma:

 

 

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DAX, LA NOTTE NERA DI MILANO E GLI ABUSI IN DIVISA

Forse non tutti sanno che la notte del 16 marzo 2003 dopo l’omicidio di Dax avvenuto per mano fascista molti compagni furono vittime all’ospedale San Paolo di violente cariche da parte di polizia e carabinieri. Come riportano le testimonianze dei presenti “sono lunghi minuti di pura violenza poliziesca, durante i quali gli agenti, con manganelli, calci, pugni e mazze da baseball, si accaniscono sui ragazzi, spaccando teste, nasi, denti, braccia. Pestaggi, ragazzi immobilizzati a terra, ammanettati, sanguinanti“ trascinati nelle auto dei carabinieri.” Nelle cariche rimangono coinvolti anche semplici cittadini e pazienti presenti nel pronto soccorso. Gli infermieri sono increduli e attoniti di fronte a tanta ferocia ma si attivano subito per soccorrere i feriti. La polizia tenterà di giustificarsi nei giorni successivi dicendo che i ragazzi accorsi all’ospedale volevano portare via la salma dell’amico e che “la carica fu fatta per riportare la calma tra i giovani che sia pur in un momento di dolore hanno occupato il pronto soccorso”. Nonostante la presenza di prove evidenti, come filmati amatoriali che hanno ripreso i pestaggi indiscriminati e le tante testimonianze rilasciate dal personale medico sanitario, il processo per i fatti del San Paolo si concluderà nel 2009. Per un carabiniere e due poliziotti accusati di porto d’arma impropria (una mazza da baseball tra le altre cose) e abuso d’uffici ci sarà piena assoluzione. Condanne invece a un anno e otto mesi per due dei compagni di Dax, accusati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Alla condanna penale si sommerà una multa per un totale di 130.000 euro tra spese processuali e risarcimenti. Nel 2011 è cominciato il pignoramento di un quinto dello stipendio, tutt’ora in corso, ai danni di uno dei condannati.

 

 

Un evento di oggi per Dax:

 

Roma, #MaiConSalvini: la giornata di oggi è una grande vittoria

Trentamila in piazza dietro lo striscione #MaiConSalvini contro il flop della Lega e dei naofascisti: Roma si dimostra ancora una volta città aperta, antifascista e antirazzista.
Segui la diretta twitter della giornata

Nella giornata di oggi oltre trentamila persone sono scese in piazza dietro lo striscione #maiconsalvini, in risposta all’appello lanciato dalla nostra campagna. Un percorso, quello che abbiamo costruito, che ha saputo valorizzare forme molteplici di partecipazione: dalla campagna sui social network alla conferenza stampa di mercoledì scorso, alla contestazione del segretario della Lega in Campidoglio, passando per i sanzionamenti alle sedi leghiste fino alla giornata di ieri.

Una campagna che ha dimostrato che la città di Roma rifiuta le retoriche razziste e xenofobe di chi, negli ultimi anni, ha fatto leva sulle paure di una popolazione vessata dalle politiche di austerity, di cui anche il governo Renzi è fedele interprete. Effettivamente Roma è scesa in piazza, ma non in piazza del Popolo, attraversando invece le vie del centro e scegliendo chiaramente da che parte stare.

Mentre si consumava il flop della manifestazione nazionale “Noi Con Salvini” – con oltre duecento pullman dichiarati, giunti prevalentemente dal nord e con delegazioni della destra neofascista europea – Roma si è dimostrata un’altra volta Città Aperta, antirazzista e solidale. Alle celtiche di Salvini abbiamo opposto la forza dei numeri, frutto di una campagna virale e determinata, costruita nei quartieri e nelle periferie per oltre un mese.

Sappiamo bene che l’ascesa di Salvini a leader della destra italiana non si fermerà alla giornata di oggi, ma oggi ha incontrato il suo primo grande ostacolo. Grazie al patrimonio accumulato in questa campagna possiamo dire sin da subito che la provocazione del leader del Carroccio, di invitare Marine Le Pen nella prossima primavera, troverà decine di migliaia di persone pronte a respingerla.

Ringraziamo tutti quelli che hanno contribuito a questa campagna e tutti quelli che oggi sono scesi nella piazza giusta.

#MaiConSalvini

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/maiconsalvini-la-giornata-di-oggi-e-una-grande-vittoria

28 febbraio 1978: i Nar uccidono Roberto Scialabba

 

scialabbaIl 28 febbraio 1978 è per i neofascisti romani una data significativa: tre anni prima era morto durante gli scontri alla sezione missina del rione Prati Mikis Mantakas, giovane militante del Fuan. L’episodio aveva segnato un vero e proprio punto di svolta per alcuni giovani neofascisti, tra i quali i fratelli Fioravanti, Francesca Mambro a Alessandro Alibrandi, che avevano quindi deciso di impugnare le armi: così erano nati i Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), che si renderanno negli anni responsabili di almeno 33 omicidi e che a tutt’oggi sono ritenuti responsabili della strage di Bologna.

Nei giorni precedenti all’anniversario della morte di Mantakas, Fioravanti e i suoi accoliti discutono molto su quale azione mettere in atto per ricordare il camerata ucciso, fino a quando un neofascista appena uscito dal carcere riporta la notizia che a sparare ad Acca Larentia, il 7 gennaio, sono stati quelli del centro sociale di Via Calpurnio Fiamma.
Detto, fatto: quella sera in otto salgono su tre macchine e si dirigono verso il quartiere Tuscolano. Arrivano davanti all’edificio occupato, ma lo trovano chiuso, perché la mattina stessa è stato sgomberato da un’operazione di polizia.
Il gruppetto comincia a perlustrare la zona, entra in un parchetto e vede un gruppo di ragazzi, che dal vestiario sembrano appartenere alla sinistra extraparlamentare. I neofascisti scendono da una delle macchine, e cominciano subito a sparare.
Le pistole però si inceppano, ma per terra rimane, ferito, Roberto Scialabba, colpito al torace, mentre gli altri ragazzi, alcuni feriti, riescono ad allontanarsi.
L’agguato potrebbe concludersi senza vittime, ma Valerio Fioravanti salta addosso a Roberto e gli spara: uno, due colpi alla testa. È il primo omicidio di Valerio Fioravanti, ma lui stesso si rende conto che i ragazzi di Piazza San Giovanni Bosco non avevano nulla a che fare con Acca Larentia.
Alcune ore dopo, una telefonata all’Ansa rivendica l’omicidio: “La gioventù nazional rivoluzionaria colpisce dove la giustizia borghese non vuole. Abbiamo scoperto noi chi ha ucciso Ciavatta e Bigonzetti. Onore ai camerati caduti.”
Ci vorranno però quattro anni, dopo le dichiarazioni del pentito Cristiano Fioravanti, perché la magistratura riconosca la matrice politica del delitto, che fino allora era stato considerato un “regolamento di conti tra piccoli spacciatori”.
In una scritta, quando il 30 settembre di un anno prima era stato ucciso Walter Rossi, Roberto, pur non conoscendolo direttamente, lo aveva così ricordato: «Una lacrima scivola sul viso, una lacrima che non doveva uscire, il cuore si stringe, si ribella, i suoi tonfi accompagnano slogan che si alzano verso il cielo “non basta il lutto pagherete caro pagherete tutto”».
Così, all’indomani della morte, i compagni di Cinecittà lo ricordavano: «Roberto era un compagno che lottava, come tutti noi, contro un’emarginazione che Stato e polizia gli imponevano. E’ caduto da partigiano sotto il fuoco fascista».
Fonte:

 

Valerio vive, un’idea non muore! 3000 in corteo a Roma

 

di redazione

Tremila persone hanno attraversato le strade del III municipio a Roma a 35 anni dalla morte di Valerio Verbano, una manifestazione riempita dalle lotte della città, una tappa importante verso la mobilitazione del prossimo 28 febbraio #MaiConSalvini.

Un grande corteo ha attraversato oggi le vie dei quartieri di Tufello e Monte Sacro dimostando come ‘Valerio vive, la rivolta continua’, non sia solo uno slogan ma una realtà vissuta da migliaia di persone. La rivolta continua tutti i giorni, contro chi vuole impoverirci e renderci sempre più vulnerabili e ricattabili, contro chi specula sui nostri territori, contro chi semina e soffia sul fuoco della guerra tra poveri nelle periferie, tra poveri e migranti; contro chi ci bombarda attraverso i mass media di messaggi razzisti e xenofobi, contro chi ci vuole far credere che nella diversità si deve necessariamente celare la pericolosità.

Sono passati 35 anni, e oggi come ieri, rispondiamo a tutto questo portando avanti e creando dal basso una risposta forte contro tutto questo. Costruiamo e spargiamo nella città laboratori di welfare, laboratori di formazione, risposte concrete alla crisi e alla precarietà. Protagonisti della manifestazione prima di tutte le strutture sociali e i laboratori di cittadinanza e diritti del territorio come la scuola popolare dedicata a Carla Verbano, la scuola d’italiano per migranti, il Lab! Puzzle e il Csa Astra, la Palestra popolare Valerio Verbano, il Comitato case popolari del III municipio, il Casale Alba 2 e i collettivi studenteschi, comitati e spazi sociali di tutta la città.

Il corteo di oggi si è inserito nella campagna di mobilitazione contro la presenza il 28 febbraio a Roma della Lega di Matteo Salvini i nuovi fascisti vestiti di verde, che verranno a Roma con treni e pullman speciali, per fare campagna elettorale sulla pelle dei soggetti più vulnerabili e ricattabili di questa società. Quei soggetti quotiniamente strumentlizzati, un giorno pericolosi invasori, un giorno terroristi fino a diventare coloro che rubano il lavoro agli italiani. Ma non viene mai detto che sono prorpio loro che pagano il prezzo più alto, perchè costretti ad accettari lavori a salari bassissimo, e per questo concorenziali, per poter stare in Italia.Condivideremo una piazza plurale e radicale per dire che la Roma meticcia rifiuta la propagana della Lega e dei suoi amici di Casa Pound, che accorreranno da tutta Italia per battere le mani sotto il palco del Carroccio mendicando poltrone e coperture.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/valerio-vive-unidea-non-muore-3000-in-corteo-a-roma

 

 

Leggi anche qui:

http://popoffquotidiano.it/2015/02/20/valerio-vive-sabato-corteo-a-roma/

 

E qui:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/544-22-febbraio-1980-i-nar-uccidono-valerio-verbano