BRASILE. IL 1500, L’ANNO CHE NON È MAI FINITO

05.01.16

Chi ha pianto per Vitor, il bambino indigeno di due anni assassinato con un coltello conficcato nel collo?

di Eliane Brum*, pubblicato sul El Pais il 04.01.16

Foto: Gabriel Felipe/RBS TV

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NOTA DEL CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) : VITOR, UN BAMBINO KAINGANG DI APPENA DUE ANNI ASSASSINATO MENTRE VENIVA ALLATTATO DALLA MADRE

Il CIMI (Conselho Indigenista Missionário) manifesta pubblicamente la sua indignazione per il crudele assassinio di Pedro Vitor, bambino Kaingang di due anni. Il crimine è avvenuto nella stazione degli autobus di Imbituba, comune di Santa Catarina. Vitor era allattato al seno della madre, Sonia da Siva, quando un uomo si è avvicinato, gli ha accarezzato il viso e, con un coltello, lo ha sgozzato. Mentre la madre e il padre – Arcelino Pinto – disperati tentavano di soccorrere il bambino, l’assassino ha continuato a camminare attraverso la stazione degli autobus, fino a sparire.

Vitor è morto in un posto che la sua famiglia immaginava fosse sicuro. Le stazioni degli autobus sono spazi scelti frequentemente dagli indigeni Kaingang per riposare, quando questi lasciano i loro villaggi alla ricerca di luoghi dove vendere i loro prodotti artigianali. La famiglia di Vitor è originaria dell’ Aldeia Kondá, situata nel municipio di Chapecó, regione occidentale di Santa Catarina. Vitor si trovava alla stazione degli autobus con i genitori ed altri due fratelli, uno di sei e l’altro di dodici.

Si tratta di un crimine brutale, un atto vigliacco, compiuto contro un bambino indifeso, che denota disumanità e odio verso gli altri esseri umani. Un tipo di delitto che si fonda nel desiderio di cancellare e sterminare i popoli indigeni.

La Polizia Militare della regione aveva dato per risolto il caso in pochi minuti, arrestando, in un quartiere povero, un giovane in libertà provvisoria perché beneficiato dall’indulto di Natale e Capodanno. Apparentemente era tutto risolto. Ma al posto di Polizia Civile di Imbuitiba sono stati ascoltati i genitori di Vitor ed un altro testimone, un taxista che si trovava sul luogo nell’ora del delitto. L’uomo indicato dalla Polizia Militare come autore dell’assassinio non è stato riconosciuto dai tre testimoni.

Le informazioni raccolte al posto di Polizia Civile da un avvocato che ha assistito la famiglia Kaingang, indicano che questo crudele delitto potrebbe essere messo in relazione con l’azione di gruppi neonazisti o di altre correnti segregazioniste, che diffondono odio e incitano alla violenza contro indios, neri, poveri, omosessuali e donne. Il CIMI è preoccupato per il clima di intolleranza che si sta diffondendo nella regione meridionale del paese contro le popolazioni indigene.

Un razzismo – a volte velato, a volte esplicito – diffuso attraverso mass media e social network. Occorrono con una certa frequenza manifestazioni pubbliche di parlamentari legati al latifondo e all’agribusiness contro i diritti degli indigeni e che aizzano la popolazione contro questi popoli. In tutto il paese si registrano casi di violenza e di intolleranza contro indigeni e quilombolas, concretamente messi in atto attraverso persecuzioni, discriminazione, espulsioni e assassini. In questi ultimi giorni almeno cinque indigeni sono stati assassinati negli stati del Maranhão, Tocantins, Paraná e Santa Catarina.

Il Conselho Indigenista Missionário spera che questo crimine odioso sia effettivamente indagato e che non si commetta l’errore di voler tentare di dare alla società una risposta immediata, imputando a un innocente un delitto che non ha commesso.

Chapecó, SC, 31 dicembre 2015.

Conselho Indigenista Missionário – Regional Sul

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Un bambino di due anni è stato assassinato. Un uomo gli ha accarezzato il volto. E poi gli ha piantato un coltello nella gola. Il bambino era un indio del popolo Kaingang. Si chiamava Vitor Pinto.

La sua famiglia, come altri del villaggio in cui viveva, era venuta in città per vendere oggetti d’artigianato poco prima di Natale. Sarebbero restati fino a Carnevale.

Dormivano nella stazione degli autobus a Imbituba, sulla costa di Santa Catarina. È stato lì che, mentre sua madre lo allattava, un uomo gli ha trafitto la gola. Era mezzogiorno del 30 dicembre. Il 2015 era molto vicino alla fine.

E il Brasile non si è fermato a piangere l’omicidio di un bambino di due anni. Le campane non hanno suonato per Vitor.

La sua morte non ha fatto notizia sulla stampa nazionale. Fosse stato mio figlio, o di qualsiasi donna bianca della classe media, ucciso in tali circostanze, ci sarebbero titoloni in prima pagina, ci sarebbero esperti ad analizzare la violenza, ci sarebbero pianti e solidarietà.

E forse ci sarebbero anche candele e fiori sul pavimento della stazione degli autobus, come per le vittime del terrorismo a Parigi. Ma Victor era un indio. Un bambino, ma indigeno. Piccolo ma indigeno. Vittima ma indigeno. Assassinato, ma indigeno. Trafitto, ma indigeno. Quel “ma” è l’assassino occulto. Quel “ma” è serial killer.

La fotografia che ha illustrato le poche notizie sulla morte del “curumim” (ndt. termine in lingua Tupi, che significa bambino in tenera età) mostra il pavimento di cemento e ghiaia della stazione degli autobus. Un paio di ciabattine infradito blu, con motivi per bambini. Una bottiglia di PET, una stellina giocattolo, di quelle con cui si fanno formine di sabbia, un coperchio di plastica, forse parte di un secchiello da bambini, un piccolo tubetto di plastica, un panno a fiori ammucchiato contro il muro, forse un lenzuolino. Viene presentata come “la scena del delitto” o come “gli effetti personali del bambino”.

Questa foto è un documento storico. Tanto per quello che in essa c’è quanto per quello che in essa non c’è. In essa resta ciò che è usa e getta, oggetti di plastica e PET, i resti delle ciabattine. In essa non c’è quello che è stato cancellato dalla vita. L’assenza è l’elemento principale del ritratto.

Gli indigeni possono esistere in Brasile solo come stampa. Apprezzati come illustrazione di un passato superato, i primi abitanti di questa terra, con la loro nudità e le loro corone di piume, una cosa bella da appendere su alcune pareti o da stampare su quei libri che adornano i tavolini da salotto.

Gli indigeni trovano posto solo se impagliati, o incorniciati. Allo stato attuale, la loro esistenza è considerata fuori luogo, di cattivo gusto.

Gli indios devono essere “falsi indios”

perché le loro terre

sono vere – e ricche

Come dice l’antropologo Eduardo Viveiros de Castro, gli indigeni sono specialisti in fine del mondo, visto che il loro mondo è finito nel 1500.

Hanno avuto, però, l’ardire di sopravvivere all’apocalisse promossa dalle divinità europee. Malgrado a centinaia di migliaia siano stati sterminati, sono sopravvissuti all’estinzione totale. E poihé sopravvissuti continuano ad essere uccisi. Quando non li si può uccidere, la strategia è quella di trasformarli in poveri nelle periferie delle città. Quando diventano poveri delle città, li chiamano “falsi indios”. Oppure “Paraguaiani”, altro pregiudizio verso il paese vicino. Nel passato, gli indios sono allegoria. “Guarda, figlio mio, come erano coraggiosi i primi abitanti di questa terra.” Nel presente, sono “ostacoli allo sviluppo”. “Guarda, figlio mio, come sono brutti, sporchi e pigri questi Indios fasulli”. Gli indios devono essere falsi perché le loro terre sono vere – e ricche.

La morte dei “curumins” non cambia nessuna politica,
le foto della loro assenza

non commuovono

milioni di persone

Se Victor era un ostacolo, questo ostacolo è stato rimosso. Ecco perché questa foto è un documento storico. Se ci fosse un briciolo di onestà, è questa che dovrebbe essere appesa alle pareti.

Sembra non sia abbastanza che Vitor, un bambino di due anni, passasse settimane sul pavimento di una stazione di autobus perché la violenza contro il suo popolo è stata tanta e per tanti secoli e continua ancora oggi, tanto che i suoi genitori, Sonia e Arcelino, sono costretti a lasciare il loro villaggio per vendere dell’artigianato. A prezzi bassi, perché svalutati sono gli artigiani.

È importante capire il livello di abbandono che porta alcuni a considerare una stazione degli autobus come un luogo sicuro e accogliente. I terminal degli autobus sono luoghi di passaggio, e la famiglia di Vitor, così come altre di indigeni, si rifugiano lì perché c’è movimento. Il terminal è una terra di nessuno. E così in essa trovano posto mendicanti, bambini di strada, ubriachi, puttane, pazzi, emarginati. E gli indios. O forse trovavano posto. E non lo trovano più.

Le stazioni degli autobus sono spazi di circolazione di estranei, ed essendo “gli altri”, gli stranieri nativi, gli indigeni credono che in questo non luogo hanno la possibilità di fuggire all’espulsione. Ma poi ne vengono espulsi. Parte della popolazione dei comuni in cui indigeni appaiono con i loro oggetti d’artigianato pensa che la stazione degli autobus sia troppo per gli indios. O per i “bugre”, come vengono chiamati in alcune zone del sud del paese.(ndt. “bugre” è una denominazione dispregiativa data agli indigeni per non essere considerati cristiani dagli europei. Deriva dal francese “bougre”, eretico.) “La stazione degli autobus è la cartolina della città, in un periodo in cui tante persone viaggiano, vengono qui. Che immagine resterà loro della città? “, ha spiegato un commerciante di São Miguel do Oeste, sempre nello Stato di Santa Catarina, per giustificare l’espulsione degli indigeni da quel posto prima di Natale. Vitor ormai non rovina più nessuna cartolina. Di lui non c’è nemmeno un volto. La foto della sua assenza non commuoverà milioni in tutto il mondo come è accaduto per il bambino siriano portato dalle onde del mare. La morte dei “curumins” non cambia nessuna politica.

Prima che mi accusino di essere precipitata, esagerata o ingiusta, va detto che: i “cittadini perbene” non vogliono che i bambini indigeni abbiano i loro colli trafitti. Assolutamente no. Vogliono solo che stiano lontani dalla vista. Altrove, in un altro posto dove non contaminino, sporchino o imbruttiscano. Ma che non sia nemmeno nelle loro terre, se queste sono ricche di minerali, fertili per la soia o buone per il pascolo del bestiame. Anche lì sono fuori posto. Che scompaiono, insomma. Ma uccidere, no, uccidere è male.

Il 2015 è stato l’anno in cui questo discorso ha fatto vincere il secondo campionato consecutivo al Brasile. Il deputato Fernando Furtado, del Partito Comunista del Brasile (PC do B), è stato riconosciuto come “razzista dell’anno” dall’organizzazione Survival International per la sua dichiarazione antologica, espressa in una udienza pubblica:

“Là a Brasilia, Arnaldo ha visto gli indios tutti con con le camicette, tutti ben vestiti, con le loro freccette, tutti un branco di frocetti, perché ce n’erano almeno tre che erano froci, sono sicuro, froci. Non sapevo che ci fossero indios froci, l’ho scoperto quel giorno a Brasilia … Tutti froci. Ecco, è così che stanno le cose, com’è che gli indios riescono già ad essere froci, finocchi, e non sono in grado di lavorare e produrre? Negativo!”

Per parte degli abitanti

delle città del sud del paese, 

gli indigeni “sporcano”

la “cartolina” della città

Il deputato si riferiva agli Awa-Guajá, considerati uno dei popoli più vulnerabili del pianeta. La conquista di Fernando Furtado, tuttavia, non è senza precedenti. Un altro deputato, Luis Carlos Heinze, questi deputato del Partito Progressista (PP) del Rio Grande do Sul, era già salito sul podio nel 2014, con la seguente dichiarazione: “Il governo … si è accasato con popolazioni quilombolas, indios, gay e lesbiche, tutto quello che fa schifo”.

Tutto indica che il Brasile è quasi imbattibile per la conquista del terzo campionato di fila. Si parla tanto di paese politicamente bi-polarizzato, ma la premiazione dimostra che i popoli indigeni sono un punto di rara unanimità tra una certa destra e una certa sinistra di questa grande nazione.

Vitor, il bambino assassinato, viveva nel villaggio Condá nel comune di Chapecó, nella parte occidentale di Santa Catarina.

I crimini commessi dallo Stato contro il popolo Kaingang del sud del Brasile sono registrati nel Rapporto Figueiredo, un documento storico che si credeva perduto ed è stato scoperto alla fine del 2012. Il rapporto, datato 1968, ha documentato il trattamento riservato ai popoli indigeni dall’ormai estinto SPI (Servizio di Protezione per gli Indios).

In totale, il procuratore Jader Figueiredo Correia ha dedicato 7.000 pagine per raccontare ciò che la sua equipe ha visto  e sentito. Chiunque voglia capire perché Vitor si era rifugiato sul pavimento della stazione degli autobus di Imbituba, invece di passare i mesi estivi sicuro, sano e felice nel suo villaggio, puo’ trovare una ricca fonte di informazioni nel documento disponibile su Internet. Scoprirà, tra le altre atrocità, come gli antenati di Vitor sono arrivati ad essere torturati e a vivere in condizioni analoghe a quelle della schiavitù in modo che le loro terre sono venissero disboscate e sfruttate da non indios, in pieno 20° secolo. È possibile che alcuni di questi “imprenditori” siano i nonni di coloro che oggi ritengono che gli indigeni come Vitor sporchino la “cartolina” della loro città.

Dopo l’omicidio del bambino, la polizia militare ha arrestato il solito sospettato di sempre. Un ragazzo povero, in libertà provvisoria, con “una piccola quantità di marijuana e cocaina nello zainetto.” Poiché non vi era alcuna prova contro di lui, è stato rilasciato. Successivamente è stato arrestato un altro giovane, oggi considerato il principale indiziato. La polizia cercava qualcuno dai connotati abbastanza generici: zainetto e cappellino e con una corporatura simile a quello che appare in un video registrato da una telecamera di sicurezza. La polizia militare sospetta che l’assassino fosse “infastidito dalla presenza di indigeni sul posto.” La Polizia Civile ha indicato come possibili moventi “il pregiudizio razziale”, “uno stato di crisi” e “problemi psicologici”.

In una nota (vedi nel riquadro in alto di quest’articolo) il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) ha dichiarato: “Il CIMI è preoccupato per il clima di intolleranza che si sta diffondendo nella regione meridionale del paese contro le popolazioni indigene. Un razzismo – a volte velato, a volte esplicito – che si sviluppa attraverso mass media e social network “

Abbiamo iniziato il 2016

come abbiamo

terminato il 2015: osceni.
I fuochi di Capodanno

hanno già fallito nell’artificio

Chi di fatto ha ucciso Vitor forse sarà indagato, processato e condannato, che è già una rarità nei casi di omicidio di indigeni in Brasile, segnati dall’impunità. Ma dobbiamo farci domande più complesse.

Chi ha armato questa mano? Quale crocevia storico ha fatto si che Vitor fosse scelto dal il bambino scelto dall’assassino, a prescindere dalla sua sanità mentale o meno – e non mio figlio o il tuo? Dove siamo noi in questa foto nella quale siamo senza essere?

Si è detto che il 2015, un anno di crisi in Brasile e di orrore ovunque, è l’anno che non è finito. Il 2016 sarebbe solo un looping. Ha un senso.

Alla vigilia di questo Natale, Antônio Isídio Pereira da Silva, leader contadino e ambientalista nello stato del Maranhão, è stato trovato morto. Si è trattato di un altro omicidio annunciato. Un anno fa è stata archiviata la domanda di inclusione dell’agricoltore nel programma federale di protezione ai difensori dei diritti umani. Si stava preparando a segnalare l’ennesimo disboscamento illegale in una regione con gravi conflitti per la terra quando è stato assassinato.

Sempre a Natale, cinque giovani hanno denunciato poliziotti militari di Rio per tortura e furto. Secondo il loro racconto, stavano tornando su tre moto da una festa quando sono stati fermati da poliziotti militari delle Unità di Polizia Pacificatrice (UPP) delle favelas Corona, Fallet e Fogueteiro. Oltre alle torture con coltello rovente, un accendino e pugni uno di loro sarebbe stato obbligato a fare sesso orale con il suo amico.

A San Paolo, ci sono voluti solo due giorni perché si verificasse il primo massacro del 2016, con quattro morti alla periferia di Guarulhos. Si sospetta la vendetta per la morte di un poliziotto militare avvenuta nella zona pochi giorni prima.

Abbiamo iniziato come abbiamo finito. Nulla, dunque, né è iniziato né è finito. Chi continua a morire assassinato in Brasile, in maggioranza, sono i neri, i poveri e gli indios. Il genocidio prosegue davanti all’indifferenza, quando non agli applausi, della cosiddetta società brasiliana.

Abbiamo iniziato il 2016 come abbiamo finito il 2015. Osceni. I fuochi di Capodanno hanno già fallito nell’artificio. Siamo nudi. E la nostra immagine è orrenda. Essa sporca di sangue il corpicino di Vitor per il quale hanno pianto in così pochi.

Dicono che il 2015 è l’anno che non finisce. O che è il 2013 che ancora non è terminato.

Per gli indios è molto più brutale: il 1500 non è ancora finito.

Eliane Brum* è scrittrice, reporter e documentarista. Tra le sue opere:

Coluna Prestes – o Avesso da Lenda, A Vida Que Ninguém vê, O Olho da Rua,

A Menina Quebrada, Meus Desacontecimentos e il romanzo Uma Duas.

Sito: desacontecimentos.com

Tratto da http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!il-1500-lanno-che-non–mai-finito/c1grm

Sette anni fa il pestaggio ai danni di Emmanuel Bonsu

emmanuel-bonsu-fosterTardo pomeriggio del 29 settembre 2008 a Parma. Nel parco Falcone e Borsellino Emmanuel venne aggredito da quattro vigili in borghese. Gli agenti erano convinti di aver acciuffato un pusher. Quel giorno i poliziotti della municipale si erano appostati, avevano concordato gesti di intesa e quando sono riusciti a mettere le mani sul sospettato non hanno badato al capello: giù con calci pugni e sberle alla cieca. Immobilizzato con un piede in testa e la pistola puntata. Le botte hanno fracassato ad Emmanuel l’orbita sinistra. Botte durante il trasporto al commissariato e botte anche durante l’interrogatorio, il tutto condito da continui insulti razzisti. Uno degli agenti si fece fotografare con Bonsu sanguinante ed ammaccato per i colpi ricevuti. Nei giorni successivi venne portata al giovane ghanese una busta contenente le notifiche degli atti relative al suo fermo su cui c’era scritto Emmanuel negro.
Una testimone che ha assistito alla scena racconterà: “Ho sentito urlare. C’era quel ragazzo per terra con quattro uomini e una donna che lo tenevano fermo. Uno di quel gruppo, racconta la donna, gli ha dato un calcio nel fianco e lui ha urlato. Ho visto che lo portavano via e uno degli uomini è salito sulla sua bici. Il ragazzo ha urlato: ”perché mi portate via la bicicletta?”. A quel punto uno degli agenti gli ha dato un altro pugno nel fianco gridandogli di stare zitto.” Gli otto agenti accusati di sequestro di persona, lesioni, insulti razzisti e minacce sono stati tutti condannati con pene che vanno dai sette anni e nove mesi al vigile che si è fatto ritrarre nella foto con Emmanuel dopo il pestaggio, ai due anni (pena sospesa per la condizionale). Delusa la parte civile che rappresentava Bonsu che si è vista sì riconoscere un diritto al risarcimento del danno e una provvisionale di 135 mila euro ma si è vista respingere dal tribunale la richiesta di riconoscere il comune di Parma responsabile civile per quanto accaduto al ragazzo.

Sono stati condannati anche in appello gli otto vigili urbani di Parma. La pena più alta inflitta dalla giudice della corte d’appello di Bologna, Daniela Magagnoli è per Pasquale Fratantuono, l’agente che si fece fotografare con Bonsu ritratto come un trofeo. Il vigile dovrà scontare 5 anni e 6 mesi di reclusione per lesioni, sequestro di persona e altri reati, con l’aggravante della discriminazione razziale. In appello il giudice lo ha tuttavia assolto dal reato di perquisizione arbitraria su alcuni minori presenti nel Comando dei Vigili quella sera; assoluzione in parte anche dalle accuse di falso. Per questo la pena per lui è stata ridotta: in primo grado prese infatti 7 anni e 9 mesi. La pena più bassa è invece quella per Graziano Cicinato condannato a 2 anni e 10 mesi. Nel suo caso la pena è stata aumentata rispetto al primo grado, in cui gli erano stati dati due anni con pena sospesa. La sospensione condizionale in appello è stata invece revocata (perché la condanna è superiore ai due anni). Cicinato dovrà scontare anche altri otto mesi per il reato di perquisizione arbitraria, reato da cui era stato assolto in primo grado. Il giudice ha anche stabilito che il Comune di Parma non dovrà risarcire la parte civile proprio come era successo in primo grado. Il risarcimento alle vittime è saltato infatti per un errore degli avvocati, un ritardo cioè nel depositare le conclusioni da parte degli avvocati della famiglia di Bonsu. Queste le altre condanne inflitte dalla corte d’appello: Stefania Spotti 5 anni (6 anni e 8 mesi in primo grado); Andrea Sinisi 4 anni (4 anni e 9 mesi in primo grado); Giorgio Albertini 3 anni e 10 mesi (4 anni e 7 mesi in primo grado), anche per lui cadono le accuse di perquisizione arbitraria e in parte di falso; Marco De Blasi 4 anni (3 anni e 4 mesi); Mirko Cremonini 4 anni e 2 mesi (3 anni e 6 mesi in primo grado). Cremonini era l’unico, assieme a Fratantuono, a dovere rispondere anche delle aggravanti, confermate in appello, della discriminazione razziale.

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Usa: polizia spara e uccide giovane afroamericano su sedia a rotelle

Nel Delaware. Madre accusa agenti, ‘non aveva armi’

Un afroamericano di 28 anni in sedia a rotelle, Jeremy McDole, è stato ucciso a colpi di pistola da alcuni agenti di polizia a Wilmington, nel Delaware. L’uccisione è stata filmata da un passante e la madre della vittima sostiene che il disabile era disarmato.

I poliziotti sono intervenuti dopo la segnalazione di una persona che aveva sparato. Quando gli agenti sono arrivati sul posto, gli hanno intimato di alzare le mani. Nel video si vede il giovane toccarsi i jeans e subito dopo una scarica di pallottole che lo colpiscono a morte. Ma la madre accusa: “Non aveva armi”.

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12 settembre 1977: muore Steve Biko

Sabato 12 Settembre 2015 05:24

Steve Biko nacque il 18 dicembre 1946 e fu un noto militante nella lotta contro l’apartheid e lo sfruttamento della popolazione nera 12 settembresudafricana e appartenete al Black Consciousness Movement (BCM).

Nel 1972 fu espulso dall’università di Natal a causa della sua militanza. Fu costretto quindi a rimanere nel distretto di King William’s Town, gli fu vietato di parlare in pubblico, scrivere o parlare con i giornalisti e frequentare più di una persona alla volta. In più fu vietato a chiunque di citare qualsiasi suo scritto.
Durante il suo soggiorno coatto nel distretto di King William’s Town iniziò a coinvolgere la popolazione nera e le altre minoranze etniche in collettivi autorganizzati

Nonostante la repressione Biko e il BCM ebbero un ruolo fondamentale nell’organizzazione della rivolta di Soweto del giugno 1976, durante la quale studenti neri erano scesi in piazza contro la politica segregazionista del National Party, per essere poi duramente repressi dalla polizia, che uccise diverse centinaia di persone durante i dieci giorni di scontri. Dopo la rivolta, per i funzionari razzisti sudafricani, divvenne fondamentale l’eliminazione fisica di Biko.

L’occasione venne quando Biko fu fermato in un posto di blocco della polizia e arrestato con l’accusa di terrorismo il 18 agosto 1977. In caserma fu interrogato per ventidue ore di fila, picchiato e torturato dagli ufficiali di polizia Harold Snyman e Gideon Nieuwoudt nella stanza interrogatori 619.A causa del vile pestaggio Biko entrò in coma.
A questo punto i due sbirri lo ammanettarono e caricarono nudo nel bagagliaio della loro Land Rover per portarlo al carcere di Pretoria distante 1100 Km. Morì il 12 settembre 1977 a causa di una vasta emorragia cerebrale appena arrivato a Pretoria.
La polizia subito spiegò la morte come la conseguenza di un ipotetico sciopero della fame, ma l’autopsia rivelò le ferite del pestaggio tra cui quella mortale alla testa. Nonostante le prove evidenti del brutale omicidio la polizia riuscì ad insabbiare la storia.

Solo i giornalisti Helen Zille e Donald Woods, molto amici di Biko, qualche tempo dopo, riuscirono con un costante lavoro di controinchiesta a far emergere la verità sull’assassinio del loro amico.
Data la popolarità di Biko la notizia della sua morte si diffuse rapidamente aprendo molti occhi sulla brutalità del regime Sud Africano.
Al suo funerale parteciparono decine di migliaia di persone.
I giornalisti che indagarono su questa storia furono costretti a scappare dal Sud Africa a causa delle persecuzioni della polizia e nessuno dei due poliziotti omicidi fu mai processato dal governo razziata bianco nè dal successivo governo “democratico”.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2561-12-settembre-1977-muore-steve-biko

Usa, la polizia bianca spara e uccide un giovane nero. Ancora

Succede ancora a St.Louis, Missouri, a un anno dall’omicidio di Michael Brown nel sobborgo di Ferguson. La vittima un diciottenne afroamericano

di Francesco Ruggeri

st-louis-riots st.louis malapolizia negli states

Uno sparo fatale su un adolescente nero da parte di poliziotti bianchi ha nuovamente scatenato rivolte di rabbia per le strade di St. Louis, Missouri. Riporta l’Indipendent che tensioni razziali eccezionalmente elevate continuano a correre nello stato degli Usa, a un anno dall’omicidio del teen ager nero Michael Brown a Ferguson.

Nove persone sono state arrestate la scorsa notte dopo le proteste scoppiate in tutta la città con tanto di mattoni e bottiglie di vetro lanciate verso gli agenti di polizia, allineati in tenuta antisommossa, e costretti a lanciare a loro volta gas lacrimogeni per disperdere la folla.

Il capo della polizia locale,Sam Dotson, ha raccontato che il ragazzo sarebbe fuggito con un altro uomo quando i suoi uomini stavano presentando un mandato di perquisizione «alla ricerca di armi, di criminali violenti, di persone che avevano commesso crimini nel quartiere».

Due agenti bianchi, 29 e 33 anni, avrebbero intimato ai fuggiaschi di fermarsi e hanno sparato quattro volte fino ad uccidere il diciottenne Mansur Ball-Bey che sarebbe stato munito di un pistola.

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Usa, poliziotto uccide giovane afroamericano disarmato

Incidente in Texas a un anno da Ferguson. Indagini in corso

Un agente di polizia uccide un giovane afroamericano disarmato dopo una lite. E’ quanto accaduto in Texas. L’incidente si verifica a un anno di distanza dall’uccisione, sempre per mano di un poliziotto, di Michael Brown a Ferguson, in un caso che ha spaccato l’America a riaperto il dibattito razziale.

La polizia di Arlington, in Texas, ha gia’ avviato indagini sul caso per verificare se l’agente, Brad Miller, abbia usato eccessiva forza. Il poliziotto e’ stato messo in congedo. ”Le indagini saranno approfondite e trasparenti. La comunita’ lo merita”, afferma il sergente Paul Rodriguez del Dipartimento di polizia di Arlington, sottolineando che il ragazzo 19enne era sospettato per un furto e ”dopo una lite e’ stata usata la forza”.

Il ragazzo afroamericano, identificato come Christian Taylor, e’ finito con la sua auto contro la vetrina di un concessionario di auto Buick. Gli agenti stavano rispondendo a una chiamata per furto, quando si sono accorti della vettura di Taylor contro la vetrina. Si sono avvicinati e, dopo un confronto, almeno un poliziotto ha sparato. Taylor era una giocatore di football alla Angelo State University di San Angelo, in Texas.

Le indagini saranno svolte con l’aiuto delle telecamere posizionate all’interno del concessionario, per verificare se l’uso della forza contro il ragazzo sia stato eccessivo e se fosse in linea con quanto previsto dal Dipartimento di polizia.

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Ancora un afroamericano ucciso dalla polizia durante un controllo della patente

Un colpo di pistola “assolutamente non necessario”, ha detto il procuratore locale, Joe Deters, sottolineando che la vittima, Samuel Dubose, di 43 anni, non aveva fatto “nulla di violento”.

duboseNuova ondata di polemiche sulla polizia americana, dopo la diffusione di un video che ritrae l’uccisione di un altro cittadino afroamericano, Samuel DuBose 43 anni. Le immagini, diffuse ieri, risalgono però al 22 luglio scorso e sono state riprese dalla telecamera in dotazione allo stesso protagonista, l’agente Ray Tensing, 25 anni. A Cincinnati, nell’Ohio, il poliziotto blocca l’auto di DuBose che viaggia senza la targa anteriore. L’uomo in divisa si avvicina e chiede la patente, ma l’afroamericano al volante gli porge la bottiglia di un superalcolico. A quel punto comincia un alterco.

La macchina si muove, l’agente la insegue correndo. La sequenza si chiude con una scena che ieri il procuratore generale della contea di Hamilton, Joe Deters, ha definito «scioccante». Il poliziotto si avvicina alla portiera laterale e punta la pistola verso il fuggitivo. Il filmato si interrompe poco prima dello sparo.Un altro agente, arrivato poco dopo sul posto, ha scritto nel suo rapporto che Tensing gli aveva detto di essere stato strattonato all’interno dell’auto da Dubose, “e di aver dovuto sparare”. Ma secondo Deters, Dubose era invece “sottomesso”.  Il suo ufficio, ha detto ancora il procuratore, “ha esaminato probabilmente centinaia di sparatorie della polizia e questa è la prima volta che abbiamo pensato senza dubbio che si tratta di omicidio“. Il resto è cronaca dei giorni scorsi: DuBose è stato ucciso da un colpo alla testa. E ieri Ray Tensing è stato incriminato per omicidio. Si allunga così la catena degli afroamericani uccisi dalle forze dell’ordine negli Stati Uniti: da Eric Garner, New York, a Michael Brown a Ferguson; da Walter Lamer Scott, North Charleston, a Freddie Gray, Baltimora.

 

Fonte:

http://www.acaditalia.it/2015/07/ancora-un-afroamericano-ucciso-dalla-polizia-durante-un-controllo-della-patente/

La bambina siriana uccisa e l’umanità sempre più rara

ratiocropNon sono le guerre, le dittature, la povertà che uccidono, gli assassini sono sempre gli uomini e spesso decidono di farlo con diabolica premeditazione. Avrebbe dovuto compiere 11 anni la bambina siriana che, insieme alla sua famiglia qualche giorno fa, era partita dall’Egitto per arrivare in Italia. Il viaggio era costato 3000 euro a persona, pensavano di partire su una nave da crociera e invece si sono ritrovati su una barca come sempre inadatta a percorrere lunghi tratti di mare e ad ospitare così tante persone. Le persone che si ritrovano a partire in queste condizioni non possono più tornare indietro, hanno pagato, sono diventate automaticamente merce degli scafisti, sono in loro potere, se si ribellano rischiano di essere ammazzate. La bambina aveva con sé uno zainetto con i suoi farmaci perché era diabetica, gli scafisti, nonostante le proteste dei familiari della piccola, le avevano gettato lo zainetto in mare. Qualche ora dopo la partenza la bambina era entrata in coma ed è morta fra le braccia della madre. Non so che nome avesse quella bambina, forse non lo saprò mai, il suo corpo è stato abbandonato in mare dopo la benedizione dell’Imam richiesta dalla sua famiglia. E’ stata uccisa dagli scafisti che non hanno mostrato nessuna pietà verso di lei, verso la sua famiglia e verso tutta la disperata umanità che cerca salvezza, è stata uccisa come migliaia di altri uomini, donne e bambini che sperano che un viaggio dall’altra parte del mediterraneo possa dare loro un futuro migliore. Il dolore della perdita di un bambino sembra non scalfire i cuori induriti, se non congelati, dalla macchina dell’odio che la propaganda fascio-leghista da tempo ha messo in moto nel nostro paese. Si leggono commenti terrificanti su questa vicenda, gli stessi che leggiamo ogni qualvolta si parla di migranti. Questa bambina viene ripetutamente uccisa dagli italiani che pensano che sia un bene che una persona in meno metta piede nel nostro paese. Questa bambina viene ripetutamente uccisa da chi non crede che la sua, e le altre storie della disperazione di chi fugge, siano vere. Questa bambina viene ripetutamente uccisa da chi dice che se potevano pagare 3000 euro per un viaggio allora potevano starsene a casa loro, fra le bombe, la mancanza di beni di prima necessità, perché i soldi li avevano. Questa bambina viene ripetutamente uccisa a Roma da chi manifesta contro i migranti a fianco di CasaPound. Questa bambina viene ripetutamente uccisa dai fascisti, e da chi li applaude, che ieri a Treviso hanno impedito al personale di una cooperativa di fornire del cibo ai migranti. Stiamo diventando un paese senza cuore, le difficoltà in cui versano alcuni nostri concittadini vengono sfruttate dalla propaganda dell’odio che cela il malcostume nostrano. Il cancelliere tedesco Angela Merkel qualche giorno fa aveva detto ad una bambina palestinese che non possiamo accogliere tutti, ma cosa ha fatto l’Europa per rimuovere le cause che portano milioni di persone in fuga dai loro paesi? Come fa fronte il nostro continente a questa ondata di disperazione? Ci si barcamena sulle cifre di migranti da accogliere nei vari paesi mentre alcune nazioni come l’Ungheria erigono muri per contrastare l’arrivo degl’immigrati. Restare umani è un impegno sempre più difficile quando ogni giorno nelle nostre televisioni personaggi come Matteo Salvini alimentano l’odio per lo straniero, quando ogni giorno vengono condivise notizie false sui migranti dai siti spazzatura. Fra qualche giorno, forse solo fra qualche ora, nessuno ricorderà più la notizia della bambina siriana uccisa dagli scafisti, arriveranno nuovi migranti con le loro tragedie, altri non riusciranno ad arrivare, la pietà sarà un sentimento sempre più raro.19 luglio 2015

Fonte:
http://www.articolo21.org/2015/07/la-bambina-siriana-uccisa-e-lumanita-sempre-piu-rata/

Scontri dopo il funerale di Freddie Gray a Baltimora

  • 27 Apr 2015 21.54

Almeno due persone sono state arrestate dopo il funerale di Freddie Gray a Baltimora. Dopo la cerimonia un centinaio di persone si sono radunate per manifestare per i diritti civili dei neri e chiedere giustizia per Gray, morto una settimana dopo l’arresto, per le ferite riportate. Alcuni manifestanti hanno tirato pietre contro gli agenti, che hanno risposto usando spray urticanti contro la popolazione.

Fonte:

http://www.internazionale.it/notizie/2015/04/27/scontri-dopo-il-funerale-di-freddie-gray-a-baltimora

Usa, un video inchioda un poliziotto bianco assassino

 
 Un altro omicidio di un cinquantenne nero da parte di un poliziotto bianco. E’ avvenuto sabato in South Carolina e un video smonta la versione ufficiale dell’agente

di Checchino Antonini

Un agente di polizia bianco, a North Charleston (Carolina del Sud), è stato accusato di omicidio inchiodato da un video che lo mostra mentre spara otto colpi alla schiena a un cinquantenne nero, Walter L.Scott, e disarmato. L’agente, Michael T. Slager, 33 anni, ha detto di aver temuto per la sua vita, perché l’uomo aveva preso la sua pistola taser nel corso di un corpo a corpo dopo un controllo stradale. E’ avvenuto sabato scorso. Il video, che è l’apertura del New York Times, fa a pezzi la versione ufficiale e il sindaco di North Charleston ha annunciato le accuse di Stato in una conferenza stampa ieri sera. Il delitto di Scott era di viaggiare su una Mercedes col fanalino rotto.

Tutto ciò, finalmente, sembra destare scalpore negli States e una task force della Casa Bianca ha raccomandato una serie di modifiche alle politiche di polizia della nazione. Obama ha inviato il procuratore generale Eric H. Holder Jr. in giro per il paese per cercare di migliorare i rapporti della polizia con chi abita nei quartieri ad alto tasso di minoranze etniche.

 

North Charleston è la terza città più grande della Carolina del Sud, con una popolazione di circa 100mila afro-americani, il 47 per cento dei residenti, mentre i bianchi rappresentano circa il 37 %. Ma il Dipartimento di Polizia è quasi tutto bianco (l’80%).

 

Nel video, oltre alla terrificante sequenza degli otto colpi da 15-20 metri, è evidente la mossa dell’agente di lasciar cadere la sua pistola Taser accanto al corpo dell’uomo assassinato.

Per diversi minuti dopo i colpi, Walter L. Scott è rimasto a faccia in giù con le mani legate dietro la schiena. Un secondo agente arriva, mette i guanti medicali blu ma non viene mostrato l’eventuale massaggio cardiaco. Un terzo poliziotto arriva più tardi, a quanto pare con un kit medico, ma non si vede alcuna manovra di soccorso.

L’uomo aveva dei precedenti legati al mancato mantenimento dei figli e forse per questo avrebbe tentato la fuga dopo il fermo. Gli piaceva ballare e raccontare barzellette. Aveva da poco ritrovato lavoro. Frammenti della sua vita sono ricomposti dalle parole di suo fratello Anthony che non si fa una ragione della versione ufficiale: «Come si fa a morire per un blocco del traffico?».

La Corte Suprema ha ritenuto che un agente può usare la forza letale contro un sospetto in fuga solo quando vi è la probabilità che il sospetto “costituisca una grave minaccia di morte o di gravi lesioni fisiche al funzionario o altri.”

Dopo i fatti di Ferguson, l’estate scorsa, il dibattito sull’uso della forza è spinto da video come questo. Nel mese di gennaio, ad Albuquerque, due agenti di polizia hanno assassinato un uomo senza fissa dimora; i procuratori federali stanno indagando la morte di Eric Garner, morto l’anno scorso a Staten Island, dopo che un agente di polizia lo aveva preso alla gola; un altro video ripreso a Cleveland mostra la polizia che spara a un ragazzino di 12 anni, Tamir Rice, che portava una pistola finta in un parco.

Fonte:
http://popoffquotidiano.it/2015/04/08/usa-un-video-inchioda-il-poliziotto-bianco-assassino/