BRASILE. IL 1500, L’ANNO CHE NON È MAI FINITO

05.01.16

Chi ha pianto per Vitor, il bambino indigeno di due anni assassinato con un coltello conficcato nel collo?

di Eliane Brum*, pubblicato sul El Pais il 04.01.16

Foto: Gabriel Felipe/RBS TV

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NOTA DEL CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) : VITOR, UN BAMBINO KAINGANG DI APPENA DUE ANNI ASSASSINATO MENTRE VENIVA ALLATTATO DALLA MADRE

Il CIMI (Conselho Indigenista Missionário) manifesta pubblicamente la sua indignazione per il crudele assassinio di Pedro Vitor, bambino Kaingang di due anni. Il crimine è avvenuto nella stazione degli autobus di Imbituba, comune di Santa Catarina. Vitor era allattato al seno della madre, Sonia da Siva, quando un uomo si è avvicinato, gli ha accarezzato il viso e, con un coltello, lo ha sgozzato. Mentre la madre e il padre – Arcelino Pinto – disperati tentavano di soccorrere il bambino, l’assassino ha continuato a camminare attraverso la stazione degli autobus, fino a sparire.

Vitor è morto in un posto che la sua famiglia immaginava fosse sicuro. Le stazioni degli autobus sono spazi scelti frequentemente dagli indigeni Kaingang per riposare, quando questi lasciano i loro villaggi alla ricerca di luoghi dove vendere i loro prodotti artigianali. La famiglia di Vitor è originaria dell’ Aldeia Kondá, situata nel municipio di Chapecó, regione occidentale di Santa Catarina. Vitor si trovava alla stazione degli autobus con i genitori ed altri due fratelli, uno di sei e l’altro di dodici.

Si tratta di un crimine brutale, un atto vigliacco, compiuto contro un bambino indifeso, che denota disumanità e odio verso gli altri esseri umani. Un tipo di delitto che si fonda nel desiderio di cancellare e sterminare i popoli indigeni.

La Polizia Militare della regione aveva dato per risolto il caso in pochi minuti, arrestando, in un quartiere povero, un giovane in libertà provvisoria perché beneficiato dall’indulto di Natale e Capodanno. Apparentemente era tutto risolto. Ma al posto di Polizia Civile di Imbuitiba sono stati ascoltati i genitori di Vitor ed un altro testimone, un taxista che si trovava sul luogo nell’ora del delitto. L’uomo indicato dalla Polizia Militare come autore dell’assassinio non è stato riconosciuto dai tre testimoni.

Le informazioni raccolte al posto di Polizia Civile da un avvocato che ha assistito la famiglia Kaingang, indicano che questo crudele delitto potrebbe essere messo in relazione con l’azione di gruppi neonazisti o di altre correnti segregazioniste, che diffondono odio e incitano alla violenza contro indios, neri, poveri, omosessuali e donne. Il CIMI è preoccupato per il clima di intolleranza che si sta diffondendo nella regione meridionale del paese contro le popolazioni indigene.

Un razzismo – a volte velato, a volte esplicito – diffuso attraverso mass media e social network. Occorrono con una certa frequenza manifestazioni pubbliche di parlamentari legati al latifondo e all’agribusiness contro i diritti degli indigeni e che aizzano la popolazione contro questi popoli. In tutto il paese si registrano casi di violenza e di intolleranza contro indigeni e quilombolas, concretamente messi in atto attraverso persecuzioni, discriminazione, espulsioni e assassini. In questi ultimi giorni almeno cinque indigeni sono stati assassinati negli stati del Maranhão, Tocantins, Paraná e Santa Catarina.

Il Conselho Indigenista Missionário spera che questo crimine odioso sia effettivamente indagato e che non si commetta l’errore di voler tentare di dare alla società una risposta immediata, imputando a un innocente un delitto che non ha commesso.

Chapecó, SC, 31 dicembre 2015.

Conselho Indigenista Missionário – Regional Sul

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Un bambino di due anni è stato assassinato. Un uomo gli ha accarezzato il volto. E poi gli ha piantato un coltello nella gola. Il bambino era un indio del popolo Kaingang. Si chiamava Vitor Pinto.

La sua famiglia, come altri del villaggio in cui viveva, era venuta in città per vendere oggetti d’artigianato poco prima di Natale. Sarebbero restati fino a Carnevale.

Dormivano nella stazione degli autobus a Imbituba, sulla costa di Santa Catarina. È stato lì che, mentre sua madre lo allattava, un uomo gli ha trafitto la gola. Era mezzogiorno del 30 dicembre. Il 2015 era molto vicino alla fine.

E il Brasile non si è fermato a piangere l’omicidio di un bambino di due anni. Le campane non hanno suonato per Vitor.

La sua morte non ha fatto notizia sulla stampa nazionale. Fosse stato mio figlio, o di qualsiasi donna bianca della classe media, ucciso in tali circostanze, ci sarebbero titoloni in prima pagina, ci sarebbero esperti ad analizzare la violenza, ci sarebbero pianti e solidarietà.

E forse ci sarebbero anche candele e fiori sul pavimento della stazione degli autobus, come per le vittime del terrorismo a Parigi. Ma Victor era un indio. Un bambino, ma indigeno. Piccolo ma indigeno. Vittima ma indigeno. Assassinato, ma indigeno. Trafitto, ma indigeno. Quel “ma” è l’assassino occulto. Quel “ma” è serial killer.

La fotografia che ha illustrato le poche notizie sulla morte del “curumim” (ndt. termine in lingua Tupi, che significa bambino in tenera età) mostra il pavimento di cemento e ghiaia della stazione degli autobus. Un paio di ciabattine infradito blu, con motivi per bambini. Una bottiglia di PET, una stellina giocattolo, di quelle con cui si fanno formine di sabbia, un coperchio di plastica, forse parte di un secchiello da bambini, un piccolo tubetto di plastica, un panno a fiori ammucchiato contro il muro, forse un lenzuolino. Viene presentata come “la scena del delitto” o come “gli effetti personali del bambino”.

Questa foto è un documento storico. Tanto per quello che in essa c’è quanto per quello che in essa non c’è. In essa resta ciò che è usa e getta, oggetti di plastica e PET, i resti delle ciabattine. In essa non c’è quello che è stato cancellato dalla vita. L’assenza è l’elemento principale del ritratto.

Gli indigeni possono esistere in Brasile solo come stampa. Apprezzati come illustrazione di un passato superato, i primi abitanti di questa terra, con la loro nudità e le loro corone di piume, una cosa bella da appendere su alcune pareti o da stampare su quei libri che adornano i tavolini da salotto.

Gli indigeni trovano posto solo se impagliati, o incorniciati. Allo stato attuale, la loro esistenza è considerata fuori luogo, di cattivo gusto.

Gli indios devono essere “falsi indios”

perché le loro terre

sono vere – e ricche

Come dice l’antropologo Eduardo Viveiros de Castro, gli indigeni sono specialisti in fine del mondo, visto che il loro mondo è finito nel 1500.

Hanno avuto, però, l’ardire di sopravvivere all’apocalisse promossa dalle divinità europee. Malgrado a centinaia di migliaia siano stati sterminati, sono sopravvissuti all’estinzione totale. E poihé sopravvissuti continuano ad essere uccisi. Quando non li si può uccidere, la strategia è quella di trasformarli in poveri nelle periferie delle città. Quando diventano poveri delle città, li chiamano “falsi indios”. Oppure “Paraguaiani”, altro pregiudizio verso il paese vicino. Nel passato, gli indios sono allegoria. “Guarda, figlio mio, come erano coraggiosi i primi abitanti di questa terra.” Nel presente, sono “ostacoli allo sviluppo”. “Guarda, figlio mio, come sono brutti, sporchi e pigri questi Indios fasulli”. Gli indios devono essere falsi perché le loro terre sono vere – e ricche.

La morte dei “curumins” non cambia nessuna politica,
le foto della loro assenza

non commuovono

milioni di persone

Se Victor era un ostacolo, questo ostacolo è stato rimosso. Ecco perché questa foto è un documento storico. Se ci fosse un briciolo di onestà, è questa che dovrebbe essere appesa alle pareti.

Sembra non sia abbastanza che Vitor, un bambino di due anni, passasse settimane sul pavimento di una stazione di autobus perché la violenza contro il suo popolo è stata tanta e per tanti secoli e continua ancora oggi, tanto che i suoi genitori, Sonia e Arcelino, sono costretti a lasciare il loro villaggio per vendere dell’artigianato. A prezzi bassi, perché svalutati sono gli artigiani.

È importante capire il livello di abbandono che porta alcuni a considerare una stazione degli autobus come un luogo sicuro e accogliente. I terminal degli autobus sono luoghi di passaggio, e la famiglia di Vitor, così come altre di indigeni, si rifugiano lì perché c’è movimento. Il terminal è una terra di nessuno. E così in essa trovano posto mendicanti, bambini di strada, ubriachi, puttane, pazzi, emarginati. E gli indios. O forse trovavano posto. E non lo trovano più.

Le stazioni degli autobus sono spazi di circolazione di estranei, ed essendo “gli altri”, gli stranieri nativi, gli indigeni credono che in questo non luogo hanno la possibilità di fuggire all’espulsione. Ma poi ne vengono espulsi. Parte della popolazione dei comuni in cui indigeni appaiono con i loro oggetti d’artigianato pensa che la stazione degli autobus sia troppo per gli indios. O per i “bugre”, come vengono chiamati in alcune zone del sud del paese.(ndt. “bugre” è una denominazione dispregiativa data agli indigeni per non essere considerati cristiani dagli europei. Deriva dal francese “bougre”, eretico.) “La stazione degli autobus è la cartolina della città, in un periodo in cui tante persone viaggiano, vengono qui. Che immagine resterà loro della città? “, ha spiegato un commerciante di São Miguel do Oeste, sempre nello Stato di Santa Catarina, per giustificare l’espulsione degli indigeni da quel posto prima di Natale. Vitor ormai non rovina più nessuna cartolina. Di lui non c’è nemmeno un volto. La foto della sua assenza non commuoverà milioni in tutto il mondo come è accaduto per il bambino siriano portato dalle onde del mare. La morte dei “curumins” non cambia nessuna politica.

Prima che mi accusino di essere precipitata, esagerata o ingiusta, va detto che: i “cittadini perbene” non vogliono che i bambini indigeni abbiano i loro colli trafitti. Assolutamente no. Vogliono solo che stiano lontani dalla vista. Altrove, in un altro posto dove non contaminino, sporchino o imbruttiscano. Ma che non sia nemmeno nelle loro terre, se queste sono ricche di minerali, fertili per la soia o buone per il pascolo del bestiame. Anche lì sono fuori posto. Che scompaiono, insomma. Ma uccidere, no, uccidere è male.

Il 2015 è stato l’anno in cui questo discorso ha fatto vincere il secondo campionato consecutivo al Brasile. Il deputato Fernando Furtado, del Partito Comunista del Brasile (PC do B), è stato riconosciuto come “razzista dell’anno” dall’organizzazione Survival International per la sua dichiarazione antologica, espressa in una udienza pubblica:

“Là a Brasilia, Arnaldo ha visto gli indios tutti con con le camicette, tutti ben vestiti, con le loro freccette, tutti un branco di frocetti, perché ce n’erano almeno tre che erano froci, sono sicuro, froci. Non sapevo che ci fossero indios froci, l’ho scoperto quel giorno a Brasilia … Tutti froci. Ecco, è così che stanno le cose, com’è che gli indios riescono già ad essere froci, finocchi, e non sono in grado di lavorare e produrre? Negativo!”

Per parte degli abitanti

delle città del sud del paese, 

gli indigeni “sporcano”

la “cartolina” della città

Il deputato si riferiva agli Awa-Guajá, considerati uno dei popoli più vulnerabili del pianeta. La conquista di Fernando Furtado, tuttavia, non è senza precedenti. Un altro deputato, Luis Carlos Heinze, questi deputato del Partito Progressista (PP) del Rio Grande do Sul, era già salito sul podio nel 2014, con la seguente dichiarazione: “Il governo … si è accasato con popolazioni quilombolas, indios, gay e lesbiche, tutto quello che fa schifo”.

Tutto indica che il Brasile è quasi imbattibile per la conquista del terzo campionato di fila. Si parla tanto di paese politicamente bi-polarizzato, ma la premiazione dimostra che i popoli indigeni sono un punto di rara unanimità tra una certa destra e una certa sinistra di questa grande nazione.

Vitor, il bambino assassinato, viveva nel villaggio Condá nel comune di Chapecó, nella parte occidentale di Santa Catarina.

I crimini commessi dallo Stato contro il popolo Kaingang del sud del Brasile sono registrati nel Rapporto Figueiredo, un documento storico che si credeva perduto ed è stato scoperto alla fine del 2012. Il rapporto, datato 1968, ha documentato il trattamento riservato ai popoli indigeni dall’ormai estinto SPI (Servizio di Protezione per gli Indios).

In totale, il procuratore Jader Figueiredo Correia ha dedicato 7.000 pagine per raccontare ciò che la sua equipe ha visto  e sentito. Chiunque voglia capire perché Vitor si era rifugiato sul pavimento della stazione degli autobus di Imbituba, invece di passare i mesi estivi sicuro, sano e felice nel suo villaggio, puo’ trovare una ricca fonte di informazioni nel documento disponibile su Internet. Scoprirà, tra le altre atrocità, come gli antenati di Vitor sono arrivati ad essere torturati e a vivere in condizioni analoghe a quelle della schiavitù in modo che le loro terre sono venissero disboscate e sfruttate da non indios, in pieno 20° secolo. È possibile che alcuni di questi “imprenditori” siano i nonni di coloro che oggi ritengono che gli indigeni come Vitor sporchino la “cartolina” della loro città.

Dopo l’omicidio del bambino, la polizia militare ha arrestato il solito sospettato di sempre. Un ragazzo povero, in libertà provvisoria, con “una piccola quantità di marijuana e cocaina nello zainetto.” Poiché non vi era alcuna prova contro di lui, è stato rilasciato. Successivamente è stato arrestato un altro giovane, oggi considerato il principale indiziato. La polizia cercava qualcuno dai connotati abbastanza generici: zainetto e cappellino e con una corporatura simile a quello che appare in un video registrato da una telecamera di sicurezza. La polizia militare sospetta che l’assassino fosse “infastidito dalla presenza di indigeni sul posto.” La Polizia Civile ha indicato come possibili moventi “il pregiudizio razziale”, “uno stato di crisi” e “problemi psicologici”.

In una nota (vedi nel riquadro in alto di quest’articolo) il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) ha dichiarato: “Il CIMI è preoccupato per il clima di intolleranza che si sta diffondendo nella regione meridionale del paese contro le popolazioni indigene. Un razzismo – a volte velato, a volte esplicito – che si sviluppa attraverso mass media e social network “

Abbiamo iniziato il 2016

come abbiamo

terminato il 2015: osceni.
I fuochi di Capodanno

hanno già fallito nell’artificio

Chi di fatto ha ucciso Vitor forse sarà indagato, processato e condannato, che è già una rarità nei casi di omicidio di indigeni in Brasile, segnati dall’impunità. Ma dobbiamo farci domande più complesse.

Chi ha armato questa mano? Quale crocevia storico ha fatto si che Vitor fosse scelto dal il bambino scelto dall’assassino, a prescindere dalla sua sanità mentale o meno – e non mio figlio o il tuo? Dove siamo noi in questa foto nella quale siamo senza essere?

Si è detto che il 2015, un anno di crisi in Brasile e di orrore ovunque, è l’anno che non è finito. Il 2016 sarebbe solo un looping. Ha un senso.

Alla vigilia di questo Natale, Antônio Isídio Pereira da Silva, leader contadino e ambientalista nello stato del Maranhão, è stato trovato morto. Si è trattato di un altro omicidio annunciato. Un anno fa è stata archiviata la domanda di inclusione dell’agricoltore nel programma federale di protezione ai difensori dei diritti umani. Si stava preparando a segnalare l’ennesimo disboscamento illegale in una regione con gravi conflitti per la terra quando è stato assassinato.

Sempre a Natale, cinque giovani hanno denunciato poliziotti militari di Rio per tortura e furto. Secondo il loro racconto, stavano tornando su tre moto da una festa quando sono stati fermati da poliziotti militari delle Unità di Polizia Pacificatrice (UPP) delle favelas Corona, Fallet e Fogueteiro. Oltre alle torture con coltello rovente, un accendino e pugni uno di loro sarebbe stato obbligato a fare sesso orale con il suo amico.

A San Paolo, ci sono voluti solo due giorni perché si verificasse il primo massacro del 2016, con quattro morti alla periferia di Guarulhos. Si sospetta la vendetta per la morte di un poliziotto militare avvenuta nella zona pochi giorni prima.

Abbiamo iniziato come abbiamo finito. Nulla, dunque, né è iniziato né è finito. Chi continua a morire assassinato in Brasile, in maggioranza, sono i neri, i poveri e gli indios. Il genocidio prosegue davanti all’indifferenza, quando non agli applausi, della cosiddetta società brasiliana.

Abbiamo iniziato il 2016 come abbiamo finito il 2015. Osceni. I fuochi di Capodanno hanno già fallito nell’artificio. Siamo nudi. E la nostra immagine è orrenda. Essa sporca di sangue il corpicino di Vitor per il quale hanno pianto in così pochi.

Dicono che il 2015 è l’anno che non finisce. O che è il 2013 che ancora non è terminato.

Per gli indios è molto più brutale: il 1500 non è ancora finito.

Eliane Brum* è scrittrice, reporter e documentarista. Tra le sue opere:

Coluna Prestes – o Avesso da Lenda, A Vida Que Ninguém vê, O Olho da Rua,

A Menina Quebrada, Meus Desacontecimentos e il romanzo Uma Duas.

Sito: desacontecimentos.com

Tratto da http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!il-1500-lanno-che-non–mai-finito/c1grm