Rivolta nella prigione di Port Elizabeth

Dal blog di Salvatore Ricciardi:

 

Sudafrica, rivolta nella prigione di Port Elizabeth. 3 morti e 26 feriti.

Nel carcere St. Albans, appena fuori Port Elizabeth, teatro della rivolta, sono arrivati elicotteri, ambulanze e veicoli di emergenza. I dati diffusi finora dalle autorità parlano di 3 morti e 26 feriti, ma non sappiamo quanti detenuti tra questi.

Nella stessa prigione, nel settembre 1977, Stephen Biko, leader del movimento anti-apartheid – il Black Consciousness Movement (“movimento per la coscienza Nera”), un movimento sorto dalla frustrazione degli africani colti, che vedevano preclusa dall’apartheid ogni tipo di libertà. Il BCM si articolava in tre organizzazioni: un’associazione politica (Black Peoples’ Convention), una centrale sindacale (Black Allied Workers’ Union) e una lega studentesca (South African Students’ Organisation). biko

Il 18 agosto 1977, Biko era stato arrestato e rinchiuso nel carcere di Port Elizabeth per un mese e sei giorni. Durante la detenzione era stato sottoposto a interrogatori e torture dolorose e umilianti. Aveva subito anche una grave lesione al cranio, colpito con una spranga di ferro più volte. L’11 settembre 1977 la polizia aveva deciso di trasferirlo al carcere di Pretoria, che aveva una struttura sanitaria. Con una frattura al cranio, Biko non resse. Il giorno seguente, il 12 settembre 1977, dopo aver viaggiato per 1100 km nel baule di una Land Rover, morì poco dopo l’arrivo per lesioni cerebrali, ma la polizia sostenne che la morte era stata causata da un prolungato sciopero della fame. La successiva autopsia stabilì che la morte era conseguenza delle numerose contusioni e delle lesioni massive alla testa. I giornalisti che indagarono sull’assassinio furono costretti a scappare dal Sud Africa a causa delle persecuzioni della polizia e nessuno dei due poliziotti colpevoli delle percosse fu mai processato dal governo bianco, né dal successivo governo “democratico”. Al suo funerale parteciparono decine di migliaia di persone.

Port Elizabeth è una delle principali città portuali del Sudafrica situata nella Provincia del Capo Orientale, sulla costa meridionale (Oceano Indiano), distante 800 km da Città del Capo a Ovest e 800 km da Durban a Est.  Durante la Seconda Guerra Boera (1899-1902), gli inglesi costruirono a Port Elizabeth un campo di concentramento per i prigionieri boeri.

 

 

Fonte:

https://contromaelstrom.com/2016/12/28/rivota-nella-prigione-di-port-elizabeth/

Sudafrica, quattro anni fa la strage alla miniera di Marikana

15 AGOSTO 2016 | di

Policemen fire at striking miners outside a South African mine in Rustenburg, 100 km (62 miles) northwest of Johannesburg, August 16, 2012. South African police opened fire on Thursday against thousands of striking miners armed with machetes and sticks at Lonmin's Marikana platinum mine, leaving several bloodied corpses lying on the ground. A Reuters cameraman said he saw at least seven bodies after the shooting, which occurred when police laying out barricades of barbed wire were outflanked by some of an estimated 3,000 miners massed on a rocky outcrop near the mine, 100 km (60 miles) northwest of Johannesburg. REUTERS/Siphiwe Sibeko (SOUTH AFRICA - Tags: CIVIL UNREST CRIME LAW BUSINESS EMPLOYMENT)
Policemen fire at striking miners outside a South African mine in Rustenburg, 100 km (62 miles) …

Domani sarà il quarto anniversario della strage alla miniera di platino sudafricana di Marikana.

Il 16 agosto 2012 la polizia sudafricana aprì il fuoco (nella foto Reuters) contro i minatori in sciopero. Si contarono 34 morti e 70 feriti in modo grave, 10 dei quali decederono nei giorni successivi.

I minatori chiedevano l’aumento del salario e alloggi migliori.

Lavoravano per conto di Lonmin, il terzo produttore di platino al mondo, di proprietà britannica dal 1909 e che da Marikana, nella provincia del Nord-ovest, estrae il 95 per cento del suo prodotto. Il Sudafrica possiede quattro quinti delle riserve mondiali di platino.

Nel 2012 migliaia di minatori vivevano in condizioni di puro squallore intorno a Marikana.

Lonmin lo sapeva bene tanto che, nel 2006, si era assunta l’onere di legge di costruire 5500 nuovi alloggi e trasformare entro il 2011 gli ostelli per soli uomini in strutture abitative per famiglie.

Alla fine di quell’anno, tuttavia, Lonmin aveva costruito unicamente tre case-tipo da mostrare a eventuali acquirenti e aveva modificato solo 60 dei 114 ostelli.

Per quanto riguarda l’esito delle indagini sulla strage dei minatori, siamo lontanissimi dall’accertamento delle responsabilità. Solo nel 2015 si è arrivati alla sospensione dall’incarico di Riah Phiyega, commissaria nazionale della polizia sudafricana.

I motivi che diedero luogo alle proteste, stroncate nel sangue, stanno ancora tutti là.

La Commissione d’inchiesta presieduta dall’ex giudice Jacob Farlam, istituita dal governo per fare luce su quanto accadde il 16 agosto 2012, lo ha scritto nero su bianco nelle sue conclusioni: le condizioni abitative erano estremamente misere e ciò fece esplodere la tensione (nei giorni precedenti vi erano stati altri 10 morti, tra cui agenti di polizia e guardie di sicurezza).

Del resto, che gli alloggi fossero “veramente terribili” e che ciò avesse contribuito a pregiudicare le relazioni e il rapporto di fiducia tra i minatori e l’impresa, non lo ha negato neppure Lonmin, audita dalla Commissione.

Anche se nel 2014 è stata completata la modifica degli ostelli, la maggior parte dei 20.000 minatori vive ancora in tuguri, come l’insediamento informale di Nkaneng. L’acqua e l’elettricità possono mancare anche per molti giorni.

In uno scambio di lettere con Amnesty International, Lonmin ha ammesso che 13.500 minatori sono ancora privi di un alloggio che possa chiamarsi tale ma ha ribadito di non avere intenzione di onorare l’impegno a costruire 5500 alloggi assunto nel 2006.

Per questo motivo, Amnesty International ha ufficialmente chiesto al ministero sudafricano delle Risorse minerarie di approfondire la questione e, nel caso, sanzionare Lonmin per il mancato rispetto degli impegni.

 

 

Fonte:

http://lepersoneeladignita.corriere.it/2016/08/15/sudafrica-quattro-anni-fa-la-strage-alla-miniera-di-marikana/

12 settembre 1977: muore Steve Biko

Sabato 12 Settembre 2015 05:24

Steve Biko nacque il 18 dicembre 1946 e fu un noto militante nella lotta contro l’apartheid e lo sfruttamento della popolazione nera 12 settembresudafricana e appartenete al Black Consciousness Movement (BCM).

Nel 1972 fu espulso dall’università di Natal a causa della sua militanza. Fu costretto quindi a rimanere nel distretto di King William’s Town, gli fu vietato di parlare in pubblico, scrivere o parlare con i giornalisti e frequentare più di una persona alla volta. In più fu vietato a chiunque di citare qualsiasi suo scritto.
Durante il suo soggiorno coatto nel distretto di King William’s Town iniziò a coinvolgere la popolazione nera e le altre minoranze etniche in collettivi autorganizzati

Nonostante la repressione Biko e il BCM ebbero un ruolo fondamentale nell’organizzazione della rivolta di Soweto del giugno 1976, durante la quale studenti neri erano scesi in piazza contro la politica segregazionista del National Party, per essere poi duramente repressi dalla polizia, che uccise diverse centinaia di persone durante i dieci giorni di scontri. Dopo la rivolta, per i funzionari razzisti sudafricani, divvenne fondamentale l’eliminazione fisica di Biko.

L’occasione venne quando Biko fu fermato in un posto di blocco della polizia e arrestato con l’accusa di terrorismo il 18 agosto 1977. In caserma fu interrogato per ventidue ore di fila, picchiato e torturato dagli ufficiali di polizia Harold Snyman e Gideon Nieuwoudt nella stanza interrogatori 619.A causa del vile pestaggio Biko entrò in coma.
A questo punto i due sbirri lo ammanettarono e caricarono nudo nel bagagliaio della loro Land Rover per portarlo al carcere di Pretoria distante 1100 Km. Morì il 12 settembre 1977 a causa di una vasta emorragia cerebrale appena arrivato a Pretoria.
La polizia subito spiegò la morte come la conseguenza di un ipotetico sciopero della fame, ma l’autopsia rivelò le ferite del pestaggio tra cui quella mortale alla testa. Nonostante le prove evidenti del brutale omicidio la polizia riuscì ad insabbiare la storia.

Solo i giornalisti Helen Zille e Donald Woods, molto amici di Biko, qualche tempo dopo, riuscirono con un costante lavoro di controinchiesta a far emergere la verità sull’assassinio del loro amico.
Data la popolarità di Biko la notizia della sua morte si diffuse rapidamente aprendo molti occhi sulla brutalità del regime Sud Africano.
Al suo funerale parteciparono decine di migliaia di persone.
I giornalisti che indagarono su questa storia furono costretti a scappare dal Sud Africa a causa delle persecuzioni della polizia e nessuno dei due poliziotti omicidi fu mai processato dal governo razziata bianco nè dal successivo governo “democratico”.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2561-12-settembre-1977-muore-steve-biko

Il massacro di Sharpeville

Giornata mondiale contro il razzismo, 52 anni dal massacro di Sharpeville

21 marzo 1960. A Sharpeville, sobborgo di Johannesburg, dei poliziotti Afrikaner sparano su un gruppo di manifestanti africani disarmati, uccidendo 69 persone e ferendone 180. I dimostranti erano scesi in piazza contro le restrizioni imposte dal governo sudafricano alla libertà di movimento della popolazione non appartenente alla razza bianca. In ricordo del massacro il 21 marzo è stato dichiarato dall’Onu “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale”.

 

Fonte:

http://frontierenews.it/2012/03/giornata-mondiale-contro-il-razzismo-52-anni-dal-massacro-di-sharpeville/

Mahatma Gandhi

Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma, la Grande Anima, nasce il 2 ottobre 1869 a Portbandar in India. Gandhi nasce in una famiglia privilegiata, il padre è Primo Ministro di Rajkot, nel Gujarat e Gandhi ha accesso ad un’istruzione di ottimo livello.

Si laurea in giurisprudenza a Londra, dove vive da occidentale, vestendosi alla moda e conducendo una vita da cittadino dell’Impero Britannico.

Svolge la professione di avvocato per un breve periodo, in Sudafrica, dove quasi subito, però, si scontra con una realtà fatta di discriminazione razziale verso gli indiani che lo porta ad una scelta di lotta politica molto determinata. La sua è una lotta politica, come dichiarato dallo stesso Gandhi nel famoso comizio il 1° settembre 1906, basata sulla non violenza, letteralmente il “satyagraha” (“fermezza nella verità”) grazie alla quale Gandhi ottiene in Sudafrica importanti riforme: l’eliminazione delle leggi discriminatorie, il riconoscimento della parità dei diritti e la validità dei matrimoni religiosi.

In Sudafrica rimane 21 anni e nel 1915 Gandhi torna in India dove trova un grande scontento verso il governo britannico in particolare a causa della riforma agraria che favorisce i proprietari terrieri a discapito dei piccoli contadini e degli artigiani.

Diventato leader del Partito del Congresso, nel 1919 dà il via alla prima grande rivolta non violenta basata sul boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte, a causa della quale Gandhi viene processato ed arrestato.

Una volta liberato, dopo qualche mese avvia una nuova protesta e viene di nuovo incarcerato. Rilasciato nuovamente, il Mahatma partecipa alla Conferenza di Londra dove chiede fermamente l’indipendenza dell’India.

Il 1930 è l’anno della svolta: Gandhi dà il via alla “marcia del sale”, una protesta di cui parleranno tutti i giornali del mondo: 380 km di marcia per chiedere il pubblico boicottaggio della tassa sul sale, considerata ingiusta. In questa occasione Gandhi, sua moglie e altre 50.000 persone vengono arrestati, ma dopo quasi un anno di prigione viene rilasciato e le leggi sul monopolio del sale vengono modificate. La protesta non-violenta riesce per la prima volta a scalfire l’immenso potere dell’Impero Britannico.

All’inizio della Seconda Guerra Mondiale Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra se questa non garantirà all’India l’indipendenza. Il governo britannico reagisce con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che viene rilasciato dopo due anni.

Il 2 aprile 1947 alla Conferenza Interasiatica di New Delhi, di fronte a 20.000 visitatori, indiani e anglosassoni, Gandhi pronuncia quello che rimane il suo discorso più celebre in cui, ancora una volta proclama la non violenza e l’amore come gli strumenti più forti per vincere qualunque battaglia: “Se volete… dare un altro messaggio all’Occidente, deve essere un messaggio d’amore, un messaggio di verità” … “ Se lascerete i vostri cuori battere all’unisono con le mie parole, avrò compiuto il mio lavoro”.

Il 15 agosto 1947 l’India conquista l’indipendenza, ma a causa delle divergenze etniche e religiose tra musulmani e indù che provocano sanguinose rivolte, il Pakistan viene dichiarato stato indipendente.

Proprio per mano di un fanatico indù, il 30 gennaio 1948 Gandhi viene ucciso, mentre sta andando a pregare in giardino, come tutti i giorni, alle 5 del pomeriggio.

16 aprile 2012 (modifica il 17 aprile 2012)

Fonte:

http://www.corriere.it/cultura/leparole/biografie/gandhi_c0813b7e-87d0-11e1-99d7-92f741eee01c.shtml

16 giugno 1976: la rivolta di Soweto

Lunedì 16 Giugno 2014 06:52

E’ il 16 Giugno 1976 quando a Soweto in Sudafrica iniziano violenti scontri tra gli studenti neri e la polizia segregazionista del 16 giugnoNational Party, partito nazionalista al governo del paese.

Il motivo specifico della protesta studentesca di Soweto fu un decreto governativo che imponeva a tutte le scuole in cui erano segregati i neri, di utilizzare l’afrikaans come lingua paritetica all’inglese.
Quest’ ultimo episodio, preceduto da una lunga serie di imposizioni da parte degli afrikaner, fu percepito come direttamente associato alla logica generale dell’apartheid.
L’inglese era la lingua più diffusa presso la popolazione nera ed era stata scelta come lingua ufficiale da molti bantustan al contrario dell’afrikaans, la lingua degli oppressori.
Il Ministro per l’Istruzione Bantu, Punt Janson, incurante del volere della popolazione arrivò ad affermare «Non ho consultato gli africani sulla questione della lingua e non intendo farlo. Un africano potrebbe trovarsi di fronte a un “capo” che parla afrikaans o che parla inglese. È nel suo interesse conoscere entrambe le lingue. »
Queste ultime dichiarazioni suscitarono numerose proteste da parte del corpo docenti e degli studenti neri delle scuole dov’erano segregati.
Il 30 aprile 1976, i bambini della “Orlando West Junior School” diedero inizio a uno sciopero, rifiutandosi di andare a scuola.
Gli studenti di Soweto intanto formarono un comitato d’azione, il “Soweto Students’ Representative Council” per organizzare la protesta, indicendo una manifestazione di massa per il 16 giugno.
Migliaia di studenti e docenti neri si riversarono nelle piazze e si diressero verso lo stadio di Orlando.
Si decise per la linea pacifica, pianificando in modo accurato il tutto, in modo tale che fosse chiaro: nelle prime file del corteo erano esposti cartelli con scritte come “Non sparateci – non siamo armati”.
Il corteo incontrò la polizia, che aveva preparato delle vere e proprie barricate.
Si optò per una deviazione del corteo su di un percorso alternativo: anziché andare allo stadio, giunsero presso la Orlando High School.
Qui, nuovamente trovarono la polizia ad attenderli che cercò subito di disperdere la folla con i gas lacrimogeni.
Dal corteo cominciarono a levarsi slogan di protesta ed i bambini esasperati dalla condizione di segregazione in cui si trovavano costretti a vivere sin dalla nascita e dal crescendo di angherie che erano costretti a subire, cominciarono a tirare pietre verso la polizia.
La polizia prontamente e senza alcuno scrupolo, aprì il fuoco uccidendo quattro bambini, fra cui il tredicenne Hector Pieterson di cui la fotografia del suo corpo martoriato divenne un simbolo della violenza della polizia sudafricana.
Negli scontri che seguirono durante la giornata morirono altre 23 persone.
Dopo il massacro del 16 giugno, la tensione fra gli studenti neri di Soweto e la polizia continuò a crescere.
Il giorno successivo, le forze dell’ordine sudafricane giunsero a Soweto armate di fucili automatici, inoltre furono dispiegate anche forze dell’esercito.
Soweto era pattugliata da elicotteri e automobili della polizia e diverse fonti riportarono di agenti in borghese che giravano in automobili civili e sparavano a vista sui dimostranti neri.
Le contestazioni durarono circa 10 giorni e si dovette arrivare alla morte di più di 500 manifestanti e il ferimento di oltre 1000, perchè il regime dell’apartheid crollasse.
La rivolta contribuì a consolidare il sentimento anti-afrikaner nelle masse nere e la posizione predominante dell’ANC come principale interprete di questo sentimento.
Molti dei cittadini bianchi sudafricani presero parte in modo deciso a favore dei dimostranti.
Alle manifestazioni di studenti neri si andarono ad aggiungere quelle degli studenti bianchi.
Dal mondo studentesco, inoltre, la protesta si allargò a diversi settori produttivi con una catena di scioperi da parte degli operai di molte fabbriche.
La rivoltà che si estese in tutto il Sudafrica pagò ed ebbe un ruolo fondamentale nella caduta del National Party e nella fine dell’apartheid, sancita definitivamente nel 1994.
Fonte: